mercoledì 21 novembre 2018

01-05 - La guerra franco prussiana

LA GUERRA FRANCO PRUSSIANA


Ritratto equestre di Napoleone III,
dipinto del 1858 di Alfred Dedreux
La Francia del Secondo Impero aspirava a occupare una posizione di massimo prestigio e potere in Europa. Nel 1870 a Parigi si era appena completata una vasta opera di ristrutturazione e modernizzazione urbanistica iniziata nel 1852 dal prefetto Georges Eugène Haussmann. La capitale francese, con una popolazione di due milioni di abitanti, rivaleggiava con Londra in termini di grandezza e influenza. L'esercito aveva ottenuto una brillante vittoria tra il 1854 e il 1856 in Crimea, mentre in Italia il ricordo dell'intervento francese a sostegno del Regno Sardo-Piemontese e la netta vittoria degli italo-francesi ottenuta anche grazie alle ottime azioni dell'esercito d'oltralpe nella seconda guerra d'indipendenza aveva lasciato un'impressione indelebile sulla potenza dell'apparato militare bonapartista.
La posizione francese in Europa era però messa in pericolo dall'emergere di uno Stato germanico guidato dalla Prussia (sostenuto dalla Confederazione Tedesca del Nord e alleato con i regni tedeschi del sud di Baden, Baviera e Württemberg); vi erano inoltre difficoltà interne dovute al fatto che Napoleone III aveva perso molto del suo prestigio in patria. Egli aveva sovvertito la Seconda Repubblica francese il 2 dicembre 1851 attraverso un colpo di Stato e instaurato con la forza il Secondo Impero, emanando l'anno successivo una costituzione che gli conferì un potere assoluto. In quegli stessi anni il nuovo imperatore dovette affrontare le pressioni dei capi repubblicani che chiedevano l'attuazione di riforme democratiche (in un tempo successivo e più prossimo al conflitto, praticherà concessioni al parlamento in materia di partecipazione all'attività di governo) e la costante minaccia di una rivoluzione. La crisi interna non sembrava aver termine, l’atmosfera era molto tesa.
Intanto iniziava la crescita del Regno di Prussia nelle mani del Primo Ministro Otto Eduard Leopold von Bismarck; il rapido trionfo prussiano nella guerra con l'Austria del 1866 e il successivo accordo tra gli Asburgo e gli Hohenzollern per l'egemonia sulla Germania costrinsero Napoleone III (che aveva immaginato di fare il terzo vincente fra i due litiganti) a prendere atto di avere uno scomodo vicino, che minacciava il suo ruolo europeo, oltre che la sua frontiera orientale.
Umiliare la Prussia facendo in modo di ricondurla a un ruolo subalterno alla Francia e soffocare le agitazioni democratiche interne costituivano per Napoleone III due momenti della stessa strategia.
Il governo tentò di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica oltre che invogliando il fanatismo nazionalistico con l’entrata in guerra contro la Prussia, anche montando una campagna diffamatoria contro i rivoluzionari, ordendo attentati e complotti: tutto era buono per travolgerli e renderli così inoffensivi.
La famiglia imperiale era sempre più convinta della necessità di confermare, con una «bravata» in politica estera, il ritorno del favore popolare dopo il plebiscito. Si attribuisce all'imperatrice Eugenia la battuta “S'il n'y a pas de guerre, mon fils ne sera jamais empereur (Se non si fa la guerra, mio figlio non sarà mai imperatore)”.
Leopoldo di Hohenzollern Sigmaringen
fu il principale candidato ad ottenere
il trono della monarchia spagnola, dopo
l'abbattimento del regno di Isabella II
L’unica arma per Napoleone III di uscire dalla crisi interna era, quindi, la vecchia arma dello sciovinismo: una guerra «patriottica» poteva unificare il Paese, ridare slancio al Regime e ridimensionare la Prussia. A condizione che si vinca, però: una sconfitta segnerebbe la fine dell'Impero, ma Bonaparte, abituato alle avventure, tentò l'ultimo azzardo; tanto cosa ne importava a lui, sono sempre i proletari che vengono mandati a morire in prima linea, se ci sarà un bagno di sangue sarà sangue proletario.


La candidatura Hohenzollern

All'indomani del sovvertimento del regno di Isabella II, in seguito alla Rivoluzione spagnola del 1868, conosciuta come "la gloriosa", la dinastia dei Borbone fu esclusa dal trono di Spagna. La candidatura al trono fu offerta al principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, fratello di Carlo I di Romania e cugino del re Guglielmo I Hohenzollern di Prussia.
Alla possibile ascesa del candidato tedesco al trono spagnolo la Francia si oppose con forza perché temeva che la parentela potesse tradursi in un'alleanza fra Spagna e Prussia e quindi era decisa ad impedire che si potesse realizzare un nuovo accerchiamento dei territori francesi, nelle stesse forme di quello realizzatosi tre secoli prima al tempo dell'impero di Carlo V.
Nel maggio del 1870 Bismarck cominciò a fare pressioni sul padre di Leopoldo, Carlo Antonio di Hohenzollern-Sigmaringen, per spingere il figlio ad accettare la candidatura, che venne poi ufficializzata due settimane dopo. Il cancelliere stava preparando la trappola in cui far cadere Napoleone III.
Il ministro degli esteri Gramont, che Bismarck sosteneva essere «l'uomo più stupido d'Europa», il 5 luglio dichiarò che l'impero non poteva accettare il fatto che «una potenza straniera insedi sul trono di Carlo V uno dei loro principi, minacciando di compromettere gli interessi e il prestigio della Francia». Tali dichiarazioni furono accolte come avvisaglie esplicite di un avvicinarsi dell'apertura delle ostilità. Bismarck avrebbe potuto e dovuto a quel punto mobilitare l'esercito ma la riluttanza di Guglielmo I costituì, per il momento, un ostacolo alla guerra.
Il re di Prussia Guglielmo I
Re Guglielmo Hohenzollern di Prussia, non desiderando di essere considerato come l'istigatore di un eventuale conflitto, scrisse al padre del principe Leopoldo, chiedendo il ritiro della candidatura del figlio che fu annunciato il 12 luglio.
Spinto da un'ondata di fermento nazionale, l'imperatore francese Napoleone III acconsentì il 19 luglio successivo a consegnare a Berlino la dichiarazione di guerra francese.
Napoleone III inviò a Guglielmo I un messaggio contenente una sorta di ultimatum, nel quale si esprimeva un invito perentorio al ritiro della candidatura di Leopoldo. Otto von Bismarck consigliò a Guglielmo I di respingere seccamente le richieste francesi, ma questi si dimostrò invece accondiscendente.
Guglielmo accettò l'ultimatum di Napoleone III, e tuttavia Parigi apparve non pienamente soddisfatta dal solo ritiro della candidatura. Delusi dall'arrendevolezza prussiana, i francesi cercarono di prolungare la crisi. Il governo volle che da parte prussiana giungesse l'assicurazione che neppure in futuro sarebbe potuta giungere la candidatura di un Hohenzollern al trono spagnolo. Tale messaggio, che aveva il sapore di un diktat e che, qualora i prussiani vi si fossero piegati, avrebbe costituito una fortissima umiliazione e uno smacco per l'immagine prussiana, aveva l'obiettivo di imporre la superiorità francese agli occhi delle altre potenze europee. Il sovrano, che si trovava presso la località termale di Ems, fu raggiunto da un ambasciatore francese, il conte Vincent Benedetti. Sul viale che portava alla fonte termale di Ems, il 13 luglio, al conte che gli chiedeva di promettere che la candidatura non sarebbe stata riproposta in futuro, Guglielmo rispose riaffermando il ritiro della stessa, ma si rifiutò di offrire altre forme di rassicurazioni. Dopodiché abbandonò l'incontro senza prendere accordi per futuri tavoli con l'ambasciatore.
Bismarck, che si trovava a Berlino, essendo venuto a conoscenza del contenuto del telegramma (che fu inviato il giorno stesso dell'incontro con Benedetti, da Ems a Berlino), dopo aver chiesto parere al capo dello Stato maggiore generale tedesco von Moltke sulla preparazione delle forze armate prussiane ed aver avuto rassicurazioni sul fatto che alla Prussia convenisse uno scoppio immediato della guerra, modificò artatamente il dispaccio da consegnare alla stampa, facendo apparire il tono delle dichiarazioni di Guglielmo nei confronti dell'ambasciatore come provocatorio verso i francesi. Il testo del telegramma, intitolato «dispaccio di Ems», affermava:
«Dopo che le notizie della rinuncia del principe ereditario di Hohenzollern sono state comunicate al governo imperiale francese da quello reale spagnolo, l'ambasciatore francese in Ems ha richiesto ancora Sua Maestà il Re di autorizzarlo a telegrafare a Parigi che Sua Maestà il Re si impegnava per tutto il tempo avvenire a non dare giammai il suo consenso, qualora gli Hohenzollern ritornassero alla loro candidatura. Sua Maestà il Re ha ricusato di ricevere ancora l'ambasciatore francese e ha fatto dire per mezzo del suo aiutante che non aveva nulla da comunicare all'ambasciatore».
Otto von Bismarck.
L'elmetto è il caratteristico Pickelhaube
Il documento rilasciato alla stampa apparve sui giornali berlinesi già il pomeriggio del 13 luglio. Il 14, festa nazionale in Francia, il contenuto del telegramma diveniva di pubblico dominio in tutta Europa proprio mentre si svolgeva la parata militare nel centro di Parigi. La notizia dell'incontro con l'ambasciatore raggiunse immediatamente l'opinione pubblica, che riconobbe nelle parole del Re intenzioni malevole volte ad umiliare la Francia. Il dispaccio fu interpretato dallo stesso governo parigino come una grave offesa. Il ministro Agénor de Gramont riferì a Émile Ollivier che il trattamento riservato dal re Guglielmo I a Benedetti costituiva un insulto che la Francia non avrebbe tollerato.
Bismarck, deciso allo scontro, al fine di accentuare ancora maggiormente la portata della crisi e sollecitare la reazione francese, colse l'occasione per ritorcere contro Napoleone III la richiesta di ritirare la candidatura al trono di Spagna, rese pubblici i documenti che Benedetti aveva presentato quattro anni prima ai tedeschi con le richieste da parte di Napoleone III dei territori del Belgio e del Lussemburgo a titolo di compenso per la neutralità francese durante la guerra austro-prussiana, inviandoli al Times londinese.
La notizia suscitò la furia del parlamento francese e il governo fu duramente attaccato sia dai repubblicani, sia dai conservatori più radicali; il dispaccio fu interpretato dallo stesso governo parigino come una grave offesa. Il ministro Gramont riferì a Émile Ollivier che il trattamento riservato dal re Guglielmo a Benedetti costituiva un insulto che la Francia non avrebbe tollerato.


La dichiarazione di guerra francese

Il 6 luglio, Napoleone III, in riunione con i ministri, chiese assicurazioni al maresciallo Edmond Le Bœuf circa l'efficienza dell'esercito in caso di guerra: il maresciallo, capo di stato maggiore dell'esercito, assicurò che i soldati francesi avevano un fucile qualitativamente superiore a quello prussiano, un'artiglieria maggiormente esperta e che avrebbe potuto mobilitare oltre 400 mila soldati in meno di 15 giorni.
La pubblicazione del telegramma suscitò l'effetto che Bismarck si aspettava: l'opinione pubblica francese riconobbe nelle parole del re intenzioni malevole volte a offendere e umiliare la Francia e ne fu infiammata, il ministro degli esteri Gramont affermò di aver ricevuto un insulto mentre il tentativo del leader conservatore, Adolphe Thiers, di invitare il governo alla moderazione fallì, mentre una folla di oltre 20 mila persone, istigata dal governo, marciando per le strade di Parigi, chiedeva la guerra.
Il 19 luglio 1870 la dichiarazione di guerra francese venne consegnata a Berlino. Bismarck, principale artefice dell'intrigo diplomatico, era riuscito nell'intento di provocare la reazione francese e far apparire la Prussia come aggredita e la Francia come principale responsabile del conflitto. Come conseguenza della dichiarazione di guerra, gli Stati tedeschi del sud (contrariamente alle previsioni francesi) - Baviera, Württemberg e Baden - si unirono alla Confederazione Tedesca del Nord contro la Francia.
Bismarck aveva avuto successo anche nel suo progetto di isolare dal punto di vista diplomatico l'Impero francese: il cancelliere prussiano aveva saputo allontanare dalla Francia tanto il Regno Unito, quanto la Russia, che inoltre si impegnava a mantenere la neutralità nel conflitto. Volendo impedire l'intervento dell'Inghilterra, fece leva sulla diffidenza di quest'ultima nei confronti di Parigi, a causa dei suoi piani espansionistici in Belgio. Per ipotecare la neutralità russa, garantì allo zar appoggio diplomatico sulla questione della smilitarizzazione del Mar Nero che era seguita alla sconfitta russa nella guerra di Crimea del 1856.
Allo scoppio della guerra, la folla si riunisce in Place de la Bastille, urlando A Berlino!