LA
GUERRA FRANCO PRUSSIANA
Ritratto equestre di Napoleone III, dipinto del 1858 di Alfred Dedreux |
La Francia del Secondo
Impero aspirava a occupare una posizione di massimo prestigio e potere in
Europa. Nel 1870 a Parigi si era appena completata una vasta opera di
ristrutturazione e modernizzazione urbanistica iniziata nel 1852 dal prefetto
Georges Eugène Haussmann. La capitale francese, con una popolazione di due
milioni di abitanti, rivaleggiava con Londra in termini di grandezza e
influenza. L'esercito aveva ottenuto una brillante vittoria tra il 1854 e il
1856 in Crimea, mentre in Italia il ricordo dell'intervento francese a sostegno
del Regno Sardo-Piemontese e la netta vittoria degli italo-francesi ottenuta
anche grazie alle ottime azioni dell'esercito d'oltralpe nella seconda guerra
d'indipendenza aveva lasciato un'impressione indelebile sulla potenza
dell'apparato militare bonapartista.
La posizione francese in Europa era però messa in
pericolo dall'emergere di uno Stato germanico guidato dalla Prussia (sostenuto
dalla Confederazione Tedesca del Nord e alleato con i regni tedeschi del sud di
Baden, Baviera e Württemberg); vi erano inoltre difficoltà interne dovute al
fatto che Napoleone
III aveva perso molto del suo prestigio in patria. Egli aveva sovvertito la
Seconda
Repubblica francese il 2
dicembre 1851 attraverso un
colpo di Stato e instaurato con la forza il Secondo
Impero, emanando l'anno successivo una costituzione che gli conferì un
potere assoluto. In quegli stessi anni il nuovo imperatore dovette affrontare
le pressioni dei capi repubblicani che chiedevano l'attuazione di riforme
democratiche (in un tempo successivo e più prossimo al conflitto, praticherà
concessioni al parlamento in materia di partecipazione all'attività di governo)
e la costante minaccia di una rivoluzione. La crisi interna non sembrava aver
termine, l’atmosfera era molto tesa.
Intanto iniziava la crescita del Regno di Prussia
nelle mani del Primo Ministro Otto
Eduard Leopold von Bismarck; il rapido trionfo prussiano nella guerra
con l'Austria del 1866 e il successivo accordo tra gli Asburgo e gli
Hohenzollern per l'egemonia sulla Germania costrinsero Napoleone
III (che aveva immaginato di fare il
terzo vincente fra i due litiganti) a prendere atto di avere uno scomodo
vicino, che minacciava il suo ruolo europeo, oltre che la sua frontiera
orientale.
Umiliare la Prussia facendo in modo di ricondurla a
un ruolo subalterno alla Francia e soffocare le agitazioni democratiche interne
costituivano per Napoleone
III due momenti della stessa strategia.
Il governo tentò di distogliere l’attenzione
dell’opinione pubblica oltre che invogliando il fanatismo nazionalistico con
l’entrata in guerra contro la Prussia, anche montando una campagna diffamatoria
contro i rivoluzionari, ordendo attentati e complotti: tutto era buono per
travolgerli e renderli così inoffensivi.
La famiglia imperiale era sempre più convinta della
necessità di confermare, con una «bravata» in politica estera, il ritorno del
favore popolare dopo il plebiscito. Si attribuisce all'imperatrice Eugenia la
battuta “S'il n'y a pas de guerre, mon fils ne sera jamais empereur (Se non si
fa la guerra, mio figlio non sarà mai imperatore)”.
Leopoldo di Hohenzollern Sigmaringen
fu il principale candidato ad ottenere
il trono della monarchia spagnola,
dopo
l'abbattimento del regno di Isabella II
|
L’unica arma per Napoleone
III di uscire dalla crisi interna era,
quindi, la vecchia arma dello sciovinismo: una guerra «patriottica» poteva
unificare il Paese, ridare slancio al Regime e ridimensionare la Prussia. A
condizione che si vinca, però: una sconfitta segnerebbe la fine dell'Impero,
ma Bonaparte, abituato alle
avventure, tentò l'ultimo azzardo; tanto cosa ne importava a lui, sono sempre i
proletari che vengono mandati a morire in prima linea, se ci sarà un bagno di
sangue sarà sangue proletario.
La candidatura Hohenzollern
All'indomani del sovvertimento del regno di Isabella
II, in seguito alla Rivoluzione spagnola del 1868, conosciuta come "la
gloriosa", la dinastia dei Borbone fu esclusa dal trono di Spagna. La
candidatura al trono fu offerta al principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen,
fratello di Carlo I di Romania e cugino del re
Guglielmo I Hohenzollern di Prussia.
Alla possibile ascesa del candidato tedesco al trono
spagnolo la Francia si oppose con forza perché temeva che la parentela potesse
tradursi in un'alleanza fra Spagna e Prussia e quindi era decisa ad impedire
che si potesse realizzare un nuovo accerchiamento dei territori francesi, nelle
stesse forme di quello realizzatosi
tre secoli prima al tempo dell'impero di Carlo V.
Nel maggio del 1870 Bismarck cominciò a fare pressioni sul padre di
Leopoldo, Carlo Antonio di Hohenzollern-Sigmaringen, per spingere il figlio ad
accettare la candidatura, che venne poi ufficializzata due settimane dopo. Il
cancelliere stava preparando la trappola in cui far cadere Napoleone
III.
Il ministro degli esteri Gramont,
che Bismarck sosteneva
essere «l'uomo più stupido d'Europa», il 5 luglio dichiarò che l'impero non
poteva accettare il fatto che «una potenza straniera insedi sul trono di Carlo V uno dei loro principi, minacciando
di compromettere gli interessi e il prestigio della Francia». Tali
dichiarazioni furono accolte come avvisaglie esplicite di un avvicinarsi
dell'apertura delle ostilità. Bismarck avrebbe potuto e dovuto a quel punto mobilitare l'esercito ma la riluttanza di
Guglielmo I costituì, per il momento, un
ostacolo alla guerra.
Il re di Prussia Guglielmo I |
Re Guglielmo Hohenzollern di Prussia, non desiderando
di essere considerato come l'istigatore di un eventuale conflitto, scrisse al
padre del principe Leopoldo, chiedendo il ritiro della candidatura del figlio
che fu annunciato il 12 luglio.
Spinto da un'ondata di fermento nazionale,
l'imperatore francese Napoleone
III acconsentì il 19 luglio successivo a consegnare a Berlino
la dichiarazione di guerra francese.
Napoleone
III inviò a Guglielmo I un messaggio contenente una sorta di ultimatum, nel quale si esprimeva
un invito perentorio al ritiro della candidatura di Leopoldo. Otto
von Bismarck consigliò a Guglielmo I di respingere seccamente le
richieste francesi, ma questi si dimostrò invece accondiscendente.
Guglielmo accettò l'ultimatum di Napoleone
III, e tuttavia Parigi apparve non pienamente soddisfatta dal solo ritiro
della candidatura. Delusi dall'arrendevolezza prussiana, i francesi cercarono
di prolungare la crisi. Il governo volle che da parte prussiana giungesse
l'assicurazione che neppure in futuro sarebbe potuta giungere la candidatura di
un Hohenzollern al trono spagnolo. Tale messaggio, che aveva il sapore di un
diktat e che, qualora i prussiani vi si fossero piegati, avrebbe costituito una
fortissima umiliazione e uno smacco per l'immagine prussiana, aveva l'obiettivo
di imporre la superiorità francese agli occhi delle altre potenze europee. Il
sovrano, che si trovava presso la località termale di Ems, fu raggiunto da un
ambasciatore francese, il conte Vincent Benedetti. Sul viale che portava alla
fonte termale di Ems, il 13 luglio, al conte che gli chiedeva di promettere che
la candidatura non sarebbe stata riproposta in futuro, Guglielmo rispose
riaffermando il ritiro della stessa, ma si
rifiutò di offrire altre forme di rassicurazioni. Dopodiché abbandonò
l'incontro senza prendere accordi per futuri tavoli con l'ambasciatore.
Bismarck, che si trovava a Berlino, essendo
venuto a conoscenza del contenuto del telegramma (che fu inviato il giorno
stesso dell'incontro con Benedetti, da Ems a Berlino), dopo aver chiesto parere
al capo dello Stato maggiore generale tedesco von Moltke sulla preparazione
delle forze armate prussiane ed aver avuto rassicurazioni sul fatto che alla
Prussia convenisse uno scoppio immediato della guerra, modificò artatamente il
dispaccio da consegnare alla stampa, facendo apparire il tono delle
dichiarazioni di Guglielmo nei confronti dell'ambasciatore come provocatorio
verso i francesi. Il testo del telegramma, intitolato «dispaccio di Ems»,
affermava:
«Dopo che le notizie della rinuncia del principe
ereditario di Hohenzollern sono state comunicate al governo imperiale francese
da quello reale spagnolo, l'ambasciatore francese in Ems ha richiesto ancora
Sua Maestà il Re di autorizzarlo a telegrafare a Parigi che Sua Maestà il Re si
impegnava per tutto il tempo avvenire a non dare giammai il suo consenso,
qualora gli Hohenzollern ritornassero alla loro candidatura. Sua Maestà il Re
ha ricusato di ricevere ancora l'ambasciatore francese e ha fatto dire per
mezzo del suo aiutante che non aveva nulla da comunicare all'ambasciatore».
Otto von Bismarck. L'elmetto è il caratteristico Pickelhaube |
Il documento rilasciato alla stampa apparve sui
giornali berlinesi già il pomeriggio del 13 luglio. Il 14, festa nazionale in
Francia, il contenuto del telegramma diveniva di pubblico dominio in tutta
Europa proprio mentre si svolgeva la parata militare nel centro di Parigi. La
notizia dell'incontro con l'ambasciatore raggiunse immediatamente l'opinione
pubblica, che riconobbe nelle parole del Re intenzioni malevole volte ad
umiliare la Francia. Il dispaccio fu interpretato dallo stesso governo parigino
come una grave offesa. Il ministro Agénor de Gramont riferì a Émile Ollivier
che il trattamento riservato dal re Guglielmo I a Benedetti costituiva un
insulto che la Francia non avrebbe tollerato.
Bismarck, deciso allo scontro, al fine di accentuare
ancora maggiormente la portata della crisi e sollecitare la reazione francese,
colse l'occasione per ritorcere contro Napoleone
III la richiesta di ritirare la candidatura al trono di Spagna,
rese pubblici i documenti che Benedetti aveva presentato quattro anni prima ai
tedeschi con le richieste da parte di Napoleone
III dei territori del Belgio e del Lussemburgo a titolo di
compenso per la neutralità francese durante la guerra austro-prussiana,
inviandoli al Times londinese.
La notizia suscitò la furia del parlamento francese e
il governo fu duramente attaccato sia dai repubblicani, sia dai conservatori
più radicali; il dispaccio fu interpretato dallo stesso governo parigino come
una grave offesa. Il ministro Gramont riferì a Émile Ollivier che il
trattamento riservato dal re Guglielmo a Benedetti costituiva un insulto che la
Francia non avrebbe tollerato.
Il 6 luglio, Napoleone
III, in riunione con i ministri, chiese assicurazioni al
maresciallo Edmond Le Bœuf circa l'efficienza dell'esercito in caso di guerra:
il maresciallo, capo di stato maggiore dell'esercito, assicurò che i soldati
francesi avevano un fucile qualitativamente superiore a quello prussiano,
un'artiglieria maggiormente esperta e che avrebbe potuto mobilitare oltre 400
mila soldati in meno di 15 giorni.
La pubblicazione del telegramma suscitò l'effetto che Bismarck si aspettava:
l'opinione pubblica francese riconobbe nelle parole del re intenzioni malevole
volte a offendere e umiliare la Francia e ne fu infiammata, il ministro degli
esteri Gramont affermò di aver ricevuto un insulto mentre il tentativo del
leader conservatore, Adolphe
Thiers, di invitare il governo alla moderazione fallì, mentre una folla
di oltre 20 mila persone, istigata dal governo, marciando per le strade di
Parigi, chiedeva la guerra.
Il 19 luglio 1870 la dichiarazione di guerra francese
venne consegnata a Berlino. Bismarck,
principale artefice dell'intrigo diplomatico, era riuscito nell'intento di
provocare la reazione francese e far apparire la Prussia come aggredita e la
Francia come principale responsabile del conflitto. Come conseguenza della
dichiarazione di guerra, gli Stati tedeschi del sud (contrariamente alle
previsioni francesi) - Baviera, Württemberg e Baden - si unirono alla
Confederazione Tedesca del Nord contro la Francia.
Bismarck aveva avuto successo anche nel suo
progetto di isolare dal punto di vista diplomatico l'Impero francese: il
cancelliere prussiano aveva saputo allontanare dalla Francia tanto il Regno
Unito, quanto la Russia, che inoltre si impegnava a mantenere la neutralità nel
conflitto. Volendo impedire l'intervento dell'Inghilterra, fece leva sulla
diffidenza di quest'ultima nei confronti di Parigi, a causa dei suoi piani
espansionistici in Belgio. Per ipotecare la neutralità russa, garantì allo zar
appoggio diplomatico sulla questione della smilitarizzazione del Mar Nero che
era seguita alla sconfitta russa nella guerra di Crimea del 1856.
Allo scoppio della guerra, la folla si riunisce in Place de la Bastille, urlando A Berlino! |