mercoledì 21 novembre 2018

01-04-B - Il colpo di Stato del 1851

IL COLPO DI STATO DEL 1851


Luigi Napoleone al tempo della candidatura a Presidente della Repubblica
Luigi Napoleone, nipote di Napoleone Bonaparte, fu eletto presidente della Repubblica il 10 dicembre del 1848 con il 74% dei voti, superando, con il sostegno del «Partito dell'Ordine», il candidato Louis-Eugène Cavaignac, Bonaparte si pose in un continuo confronto con il potere legislativo esercitato dall'Assemblea nazionale, deciso a svuotarne le prerogative. Portato a rappresentare la Repubblica dalla borghesia moderata e conservatrice, dai contadini e dagli ambienti militari, che vedevano in lui l'uomo capace di riportare l'ordine e la tranquillità sociale, in pochissimi anni egli trasformò la repubblica borghese in un regime dittatoriale basato fino all'ultimo su un largo consenso sociale.
A seguito dei grandi moti del 1848, che coinvolsero tutta l’Europa, il 9 febbraio 1849 nacque la Repubblica Romana. Luigi Napoleone era a favore di questa spedizione per soddisfare le richieste dei cattolici, che rappresentavano una sua importante base elettorale, tuttavia rimase sempre ambiguo sugli obiettivi reali della missione, cambiandoli a seconda delle convenienze. L'Assemblea Costituente votò a maggioranza a favore della spedizione militare a Civitavecchia, ufficialmente per difendere Roma dagli austriaci, ma assaltandola il 30 aprile.
L'11 giugno 1849 socialisti e repubblicani radicali tentarono di prendere il potere militarmente: Ledru-Rollin[1] reclamò la messa in stato d'accusa del presidente per aver violato la costituzione francese che vietava qualsiasi intervento militare in altre nazioni, e cercò di istigare una sollevazione generale; furono erette alcune barricate ma il presidente agì rapidamente, dichiarando lo stato d'assedio, facendo circondare il quartier generale della rivolta e infine arrestando tutti i capi della stessa, tra cui Raspail[2], mentre Ledru-Rollin fuggiva in Inghilterra.
Nel frattempo il contingente francese ai primi di luglio abbatté la Repubblica Romana per re instaurare il Papato.
Nel marzo del 1850 si svolsero a Parigi le elezioni suppletive dell’Assemblea legislativa. Furono eletti il rivoluzionario di giugno De Flotte, l’ex-segretario della commissione del Lussemburgo Vidal e il repubblicano di sinistra H. Carnot, che dopo la rivoluzione di febbraio era stato ministro per l’istruzione popolare. L’esito di queste elezioni dimostrò che l'influenza dei gruppi di sinistra era in aumento e ciò causò grande allarme negli ambienti controrivoluzionari.
Il 31 maggio 1850 l’Assemblea legislativa approvò una nuova legge, la quale per l’esercizio del diritto elettorale stabiliva una residenza di tre anni in un determinato posto e poneva altre limitazioni dirette a colpire gli operai: circa 3 milioni di persone ("la moltitudine vile", come fu definita) furono private del diritto di voto.
Secondo l'espressione di Adolphe Thiers, che aveva sostenuto la candidatura di Luigi Napoleone, «[...] questo cretino che noi maneggeremo[...]», credendo di aver a che fare con un personaggio facilmente manipolabile, il Bonaparte si dimostrò politicamente scaltro: sebbene la nuova legge elettorale fosse stata approvata nel maggio del 1850, Luigi Bonaparte si oppose alla ratifica e, assicurandosi l'appoggio dell'esercito e di parte della popolazione, richiese che vi fossero apportati emendamenti correttivi; tale iniziativa, tuttavia, fu bocciata dall'Assemblea nazionale; il 3 gennaio 1851 licenziò il ministro Changarnier, suo oppositore, provocando una crisi nel suo stesso Partito, dal quale prese definitivamente le distanze, formando il cosiddetto «Partito dell'Eliseo», un gruppo di 150 deputati acquisiti alla sua causa, e cominciò a finanziare giornali anti-parlamentari.
Poiché la Costituzione del 1848 non permetteva la rieleggibilità del presidente, Luigi Bonaparte avrebbe dovuto lasciare il potere alla scadenza del mandato, nel dicembre del 1852, ma egli per evitare questa possibilità, sostenendo che quattro anni non erano stati sufficienti ad attuare il proprio programma politico ed economico, per tutta la prima metà del 1851, insieme ai suoi sostenitori, fece un tour per tutto il paese proponendo riforme costituzionali, guadagnò il sostegno di molti governi e deputati regionali al fine di poter ottenere la possibilità di concorrere a un secondo mandato; tale proposta, nel luglio del 1851, ottenne 446 voti favorevoli e 278 contrari ma mancò di poco la maggioranza dei due terzi necessaria per modificare la costituzione e, pertanto, fu rigettata.
Nei circoli dell’alta borghesia cresceva la delusione nei confronti del sistema parlamentare e andava rafforzandosi il desiderio di un “potere forte” che proteggesse le classi possidenti da nuovi turbamenti rivoluzionari. Nei loro giornali e opuscoli i bonapartisti tenevano vivo questo stato d’animo, spaventando le classi possidenti con la prospettiva di una nuova insurrezione di giugno. I dissidi tra i vari gruppi monarchici indebolivano l’Assemblea legislativa.


I preparativi

A questo punto, per mantenere il potere occorreva organizzare un colpo di Stato, ulteriore imitazione delle imprese parentali, che cominciò a essere preparato a partire dal 20 agosto 1851 a Saint-Cloud. Si assicurò l'appoggio di vari ufficiali al fine di ottenere il supporto dell'esercito, tra cui: il generale Jacques Leroy de Saint-Arnaud, comandante delle forze francesi in Algeria che fu nominato ministro della guerra; il generale Magnan fu nominato comandante della piazza di Parigi e il prefetto dell'Haute-Garonne, Charlemagne de Maupas, venne promosso prefetto della polizia della capitale. Il complotto raccolse l'adesione del duca di Persigny, del fratellastro del Bonaparte, Charles Auguste il duca di Morny.
Il 14 ottobre Luigi Bonaparte chiese all'Assemblea nazionale di ristabilire il suffragio universale, che era stato limitato da un decreto del 31 maggio 1850, che imponeva all'elettore la condizione di non aver subito condanne alla reclusione superiori a un mese e l'iscrizione per almeno tre anni continuativi nelle liste elettorali del proprio comune di residenza: era stato un modo, escogitato dall'Assemblea conservatrice, per limitare il diritto di voto degli operai, che erano spesso costretti a cercare lavoro emigrando per qualche tempo in altri comuni.
Il colpo di Stato venne fissato al 2 dicembre, anniversario dell'incoronazione di Napoleone I a imperatore, nel 1804, e alla vittoria di Austerlitz nel 1805. L'operazione fu battezzata Rubicone, alludendo naturalmente a Giulio Cesare.


Il colpo di Stato

A quel punto, il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 fu una semplice operazione. Si trattò di un colpo di stato, simile a quello compiuto il 18 brumaio da Napoleone i con il quale questi aveva distrutto la Repubblica del 1793.
Durante la notte di quel giorno, le truppe di Saint-Arnaud (60.000 uomini e più di cento pezzi di artiglieria) occuparono, senza colpo ferire, i punti strategici di Parigi: l'ufficio nazionale della stampa, il Palais Bourbon, le redazioni dei giornali e le tipografie. L’Assemblea legislativa fu sciolta.
Per dissimulare la natura controrivoluzionaria del colpo di stato e per ingannare i circoli democratici della popolazione, Luigi Bonaparte annunciò l’abrogazione della legge del 31 maggio 1850 che limitava il diritto di voto. Tutta Parigi fu tappezzata di manifesti che annunciavano la convocazione di nuove elezioni, la promessa di una nuova Costituzione e la proclamazione dello stato d'assedio.


Il tentativo di resistenza a Parigi

Essendo occupata l'Assemblea, i parlamentari si rifugiarono nel municipio del 10° arrondissement e dichiararono Luigi Bonaparte decaduto dalle sue funzioni presidenziali, secondo l'articolo 68 della Costituzione per il quale «ogni misura con la quale il presidente sciolga l'Assemblea nazionale [...] è un delitto di alto tradimento». Pertanto i cittadini non erano più tenuti a obbedirgli e il potere esecutivo doveva passare nelle mani dell'Assemblea nazionale: così votarono all'unanimità 220 deputati, tra i quali gli orléanisti Rémusat, Salmon e Tocqueville, come il repubblicano conservatore Pascal Duprat. Ma questi furono subito arrestati.
Una sessantina di deputati repubblicani de la Montagne[3] e altri repubblicani formano un Comitato di resistenza - ne facevano parte, tra gli altri, Victor Hugo, Victor Schoelcher[4] e Carnot[5] - che chiamò il popolo ad insorgere contro Luigi Napoleone che, come recitavano gli articoli 68 e 110 della Costituzione, «aveva violato la Costituzione» e «si era messo fuorilegge da solo». Per tutta risposta, nella notte, vennero arrestati 78 deputati dell'opposizione, 69 dei quali repubblicani montanari, altri 220, quelli appartenenti alla destra moderata che si erano raccolti al municipio del decimo arrondissement, subirono lo stesso destino dei primi.
Il 3 dicembre, il prefetto di polizia de Maupas[6] scrisse al duca di Morny: «Non credo che le simpatie popolari siano con noi. Non troviamo entusiasmo da nessuna parte [...] il lato buono della medaglia è che la truppa sembra decisa ad agire senza esitazione». In effetti a Parigi, il 3 e il 4 dicembre, nei quartieri popolari, furono erette le barricate e i difensori opposero una tenace resistenza alle truppe. Ma il numero di questi combattenti, principalmente operai, non superava le 1.200 persone (contro gli oltre 30 mila soldati mobilitati). Le più vaste masse del proletariato di Parigi non parteciparono attivamente alla lotta contro il colpo di stato, e questo si spiega soprattutto col fatto che l'Assemblea legislativa, con i suoi provvedimenti, si era attirata l’ostilità degli operai, perché li aveva privati di quasi tutte conquiste democratiche ottenute con la rivoluzione di febbraio (diritto al voto, libertà di stampa e di riunione, diritto di associazione ecc). Inoltre la classe operaia di Parigi era stata disarmata nel corso della repressione dell’insurrezione del giugno 1848 e indebolita dagli arresti in massa e dalle deportazioni.
L'esercito passò subito all'attacco. I bonapartisti riuscirono con relativa facilità a spezzare la resistenza dei repubblicani di Parigi. Per affrettare la conclusione e spaventare il popolo, si servirono dell’artiglieria e caddero i primi insorti: il deputato Baudin venne ucciso in una barricata del faubourg Saint-Antoine. Tra i rivoltosi parigini si trovava anche il giornalista italiano Ferdinando Petruccelli della Gattina il quale, fallita la resistenza, venne espulso dalla Francia e racconterà, anni dopo, la sua esperienza in Memorie del colpo di stato del 1851 a Parigi (1880).
La sera, il generale Saint-Arnaud pubblicò un ordine che minacciava di fucilare «chiunque sia preso, armi alla mano, nell'atto di costruire o difendere una barricata». Tre studenti, arrestati perché detenevano manifesti contro il colpo di Stato, furono passati per le armi e i cadaveri vennero gettati nella Senna: il generale Magnan diede infatti ordine di fucilare sommariamente i rivoltosi, anche se non sempre quest'ordine venne rispettato.
Nel pomeriggio del 4 dicembre le truppe furono accolte dalle grida ostili di una folla che manifestava sui boulevards: la risposta fu una scarica di fucileria e colpi di mitraglia che provocano centinaia di morti, donne e bambini compresi. La sera, la rivolta sembrava essere finita: de Maupas affisse manifesti minacciando che «lo stazionamento dei pedoni sulla pubblica via e la formazione di capannelli saranno immediatamente dispersi con le armi». Le ultime barricate, nelle quali combatté anche Victor Hugo, caddero il 5 dicembre. In questa operazione furono uccisi o feriti duemila cittadini.

Il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 - La truppa spara sugli insorti
Stampa pubblicata da The Illustrated London News


La resistenza in provincia

La notizia del colpo di Stato si diffuse progressivamente per tutta la Francia, producendo numerose rivolte in difesa della Repubblica. Questi drappelli di rivoltosi erano formati essenzialmente da operai, piccoli artigiani, commercianti, intellettuali democratici e in parte da contadini. Ma queste insurrezioni avevano un carattere isolato, erano spontanee, non avevano una direzione comune e perciò furono presto represse. I gruppi dirigenti dei contadini agiati appoggiarono attivamente le autorità bonapartiste.
Il 3 dicembre si segnalarono moti popolari a Tolosa, Marsiglia, Limoges, Perpignano, Bayonne; il 6 dicembre a Bordeaux e a Strasburgo, che vennero però represse in breve tempo. Alcuni consigli municipali, in applicazione della Costituzione, dichiararono la decadenza del Bonaparte dalla carica di presidenza.
Il 5 dicembre l'insurrezione si estese nel Sud-Est: ad Aups, a Les Mées, ad Apt, a Digne, a Manosque, a Barcelonnette. Émile Zola prendse spunto dai moti nel dipartimento del Var per la sua saga dei Rougon-Macquart.
A Digne la guarnigione capitolò il 7 dicembre, e i repubblicani presero il controllo della prefettura: la città venne ripresa il 13; il 7 dicembre il dipartimento delle Basses-Alpes venne amministrato da un Comitato dipartimentale di resistenza, ma l'esercito, fedele a Bonaparte, riprese il controllo del territorio.
Gli insorti catturati erano a volte passati immediatamente per le armi, 32 dipartimenti furono posti in stato d'assedio l'8 dicembre, e generalmente i territori dove maggiore avvenne la resistenza tornarono sotto il controllo dell'esercito in pochi giorni. Dopo il colpo di stato, Luigi Bonaparte intraprese una capillare opera di repressione di ogni dissenso: si contarono in tutta la Francia, secondo un documento trovato alle Tuileries nel 1870, 26.643 arrestati, 6.500 rilasciati, 5.108 sottoposti a sorveglianza, 15.033 condannati, di cui 9.330 deportati in Algeria, 239 nella Cayenne, 2.802 internati in città francesi, mentre 80 deputati vennero esiliati. Vi sono poi le fughe all'estero di molti oppositori: l'11 dicembre, Victor Hugo, antico sostenitore dello stesso Napoleone, decise di recarsi in esilio a Bruxelles e per oltre vent'anni rifiutò di fare ritorno in Francia. Camille de Meaux, deputato monarchico nell'Assemblea legislativa, dichiarò esplicitamente il 16 giugno 1871, appena conclusa l'esperienza comunarda: “Il socialismo è esploso in Francia per la prima volta nel 1848 e ha spaventato a tal punto il paese che l'Impero è stato istituito soprattutto per abbatterlo”.
Dopo alcuni mesi, tuttavia, una commissione speciale liberò 3.000 detenuti ma solo nel 1859 gli ultimi 1.800 prigionieri o esiliati ricevettero l'amnistia (tranne il leader repubblicano Ledru-Rollin che fu invitato a lasciare la Francia).


La fine della Repubblica

Il Principe-presidente nel 1852, dopo il colpo di stato
Stabilito il nuovo ordine, ricompensati i generali Vaillant e Harispe con il bastone di maresciallo, s'iniziò a metter mano a una nuova Costituzione e si organizzò il referendum che doveva legittimare la dittatura.
Il 20-21 dicembre, i cittadini furono invitati a votare, con un plebiscito, se approvassero o meno il colpo di stato; il responso delle urne, sebbene con forti condizionamenti (non furono pochi i sindaci che minacciarono di pubblicare i nomi degli astenuti), fu schiacciante: 7.439.216 sì, 641.737 no (36.880 schede nulle); l'astensione fu di 1,7 milioni di votanti.
Il plebiscito approvò il prolungamento a dieci anni del mandato presidenziale: nulla venne lasciato di intentato per garantire la schiacciante vittoria: solo la stampa bonapartista era autorizzata ad uscire, la propaganda contro l'approvazione della riforma venne impedita, nelle schede elettorali era già impresso il Sì.
All'inizio del 1852, Luigi Bonaparte incaricò una commissione di 80 giuristi di preparare una nuova costituzione che attribuiva a se stesso la rielezione a presidente, la possibilità di concorrere per altri mandati decennali (senza alcun limite), il potere di dichiarare guerra, firmare trattati, formare alleanze e promuovere disegni di legge; la carta, inoltre, ripristinava il suffragio universale e l'Assemblea nazionale, la cui autorità fu però ridimensionata.
La nuova Costituzione, entrata in vigore il 14 gennaio 1852, assegnò al presidente sia il potere esecutivo che, di fatto, quello legislativo. Svuotato di quest'ultimo potere, al Parlamento venne assegnato solo il potere di ratifica delle decisioni presidenziali. La riforma istituì infatti una Camera dei deputati eletta per sei anni con suffragio universale maschile diretto, un Consiglio di Stato, composto di funzionari, cui era riservata la funzione legislativa, e un Senato, i cui membri erano nominati a vita dal presidente della Repubblica, e che agiva per senatoconsulti, atti che avevano forza di legge e che modificarono la Costituzione per adattarla alla volontà del principe-presidente.
Il 17 febbraio del 1852, inoltre, un decreto presidenziale impose una stretta censura sulla stampa, proibendo ogni pubblicazione politica attuata senza il preventivo assenso del governo, aumentando le pene pecuniarie e inasprendo i reati di opinione al punto che un giornale poteva essere colpito dalla sospensione temporanea o permanente delle pubblicazioni dopo appena tre diffide. Anche i libri furono assoggettati a censura.
Attuò anche un fortissimo intervento sulla stampa, sulla politica scolastica (soppressione dell'insegnamento della filosofia nei licei, aumento dei poteri disciplinari dell'amministrazione scolastica), e su ogni altra espressione di autonomia popolare.
Sul piano del controllo individuale, fu istituito un sistema di sorveglianza poliziesca degli individui sospetti, che ebbe un incremento intenso dopo l'attentato di Felice Orsini nel 1858, che servì da pretesto per aumentare la severità del regime con la Legge di sicurezza generale, che consentiva l'internamento, l'esilio o la deportazione, senza processo, di ogni persona sospetta.
Il passaggio dall'istituzione formalmente repubblicana a quella ufficialmente imperiale venne approvato dal senatoconsulto del 7 novembre 1852. Il 21 e 22 novembre un secondo plebiscito sancì il seguente responso: 7.824.129 voti favorevoli all’impero, contrari 253.159 (due milioni di astenuti): alla Seconda Repubblica successe il Secondo Impero e Luigi Bonaparte divenne, a partire dalla data simbolica del 2 dicembre 1852 (stesso giorno dell’incoronazione dello zio Napoleone I), Napoleone III, “Imperatore dei Francesi (per grazia di Dio e volontà della nazione)”.
In Francia cosi «Napoleone il Piccolo» iniziava la sua ventennale dittatura camuffata sotto il pomposo manto di «imperatore dei francesi»,
La dittatura bonapartista, fu una particolare forma di dominio degli ambienti più reazionari e aggressivi dell’alta borghesia. Spaventate dall’attività rivoluzionaria della classe operaia, che si era così chiaramente manifestata negli avvenimenti rivoluzionari del 1848, le classi possidenti affidarono la direzione del paese a questo gruppo di avventurieri ambiziosi che si appoggiavano alla cricca militarista reazionaria e a un grande apparato poliziesco e burocratico.




[1] Alexandre-Auguste Ledru-Rollin (Parigi, 2 febbraio 1807 – Fontenay-aux-Roses, 31 dicembre 1874) è stato un avvocato e politico francese, di parte democratica e repubblicana.
[2] François Vincent Raspail (Carpentras, 29 gennaio 1794 – Arcueil, 7 gennaio 1878) è stato un politico e scienziato francese.
[3] La Montagne è il nome preso dal gruppo di repubblicani (i "democ-socs", "democratici-socialisti") che all'Assemblea costituente nazionale del 1848 e all'Assemblea legislativa del 1849, cercarono di difendere, contro gli attacchi del partito dell'Ordine e dei repubblicani moderati, le conquiste politiche e alcuni vantaggi sociali della rivoluzione del febbraio 1848. Ledru-Rollinne fu l'organizzatore.
[4] Victor Schoelcher (Parigi, 22 luglio 1804 – Houilles, 25 dicembre 1893) è stato un politico e imprenditore francese.
[5] Lazare Hippolyte Carnot (Saint-Omer, 1801Parigi, 1888) è stato un politico francese, e padre del futuro presidente francese Marie François Sadi Carnot, assassinato il 24 giugno 1894, dall'anarchico italiano Sante Caserio.
[6] Charlemagne-Émile de Maupas, (Bar-sur-Aube l'8 dicembre 1818 - Parigi il 18 giugno 1888), è un politico francese. Fu l'organizzatore della polizia e delle forze militari parigine durante il colpo di stato del 2 dicembre 1851 per conto di Luigi-Napoleone Bonaparte, futuro Napoleone III.