IL
COLPO DI STATO DEL 1851
Luigi Napoleone al tempo della candidatura a Presidente della Repubblica |
Luigi
Napoleone, nipote di Napoleone Bonaparte, fu eletto presidente della
Repubblica il 10 dicembre del 1848 con il 74% dei voti, superando, con il
sostegno del «Partito dell'Ordine», il candidato Louis-Eugène Cavaignac, Bonaparte
si pose in un continuo confronto con il potere legislativo esercitato
dall'Assemblea nazionale, deciso a svuotarne le prerogative. Portato a
rappresentare la Repubblica dalla borghesia moderata e conservatrice, dai
contadini e dagli ambienti militari, che vedevano in lui l'uomo capace di
riportare l'ordine e la tranquillità sociale, in pochissimi anni egli trasformò
la repubblica borghese in un regime dittatoriale basato fino all'ultimo su un
largo consenso sociale.
A seguito dei grandi moti
del 1848, che coinvolsero tutta l’Europa, il 9 febbraio 1849 nacque la
Repubblica Romana. Luigi
Napoleone era a favore di questa spedizione per soddisfare le richieste dei
cattolici, che rappresentavano una sua importante base elettorale, tuttavia
rimase sempre ambiguo sugli obiettivi reali della missione, cambiandoli a
seconda delle convenienze. L'Assemblea Costituente votò a maggioranza a favore
della spedizione militare a Civitavecchia, ufficialmente per difendere Roma
dagli austriaci, ma assaltandola il 30 aprile.
L'11
giugno 1849 socialisti e repubblicani radicali tentarono di prendere il
potere militarmente: Ledru-Rollin[1]
reclamò la messa in stato d'accusa del presidente per aver violato la
costituzione francese che vietava qualsiasi intervento militare in altre
nazioni, e cercò di istigare una sollevazione generale; furono erette alcune
barricate ma il presidente agì rapidamente, dichiarando lo stato d'assedio,
facendo circondare il quartier generale della rivolta e infine arrestando tutti
i capi della stessa, tra cui Raspail[2],
mentre Ledru-Rollin fuggiva in Inghilterra.
Nel frattempo il contingente
francese ai primi di luglio abbatté la Repubblica Romana per re instaurare il
Papato.
Nel marzo del 1850 si svolsero
a Parigi le elezioni suppletive dell’Assemblea legislativa. Furono eletti il
rivoluzionario di giugno De Flotte, l’ex-segretario della commissione del
Lussemburgo Vidal e il repubblicano di sinistra H. Carnot, che dopo la
rivoluzione di febbraio era stato ministro per l’istruzione popolare. L’esito
di queste elezioni dimostrò che l'influenza dei gruppi di sinistra era in
aumento e ciò causò grande allarme negli ambienti controrivoluzionari.
Il 31 maggio 1850 l’Assemblea
legislativa approvò una nuova legge, la quale per l’esercizio del diritto
elettorale stabiliva una residenza di tre anni in un determinato posto e poneva
altre limitazioni dirette a colpire gli operai: circa 3 milioni di persone
("la moltitudine vile", come fu definita) furono private del
diritto di voto.
Secondo l'espressione di Adolphe
Thiers, che aveva sostenuto la candidatura di Luigi
Napoleone, «[...] questo cretino che noi maneggeremo[...]», credendo
di aver a che fare con un personaggio facilmente manipolabile, il Bonaparte
si dimostrò politicamente scaltro: sebbene la nuova legge elettorale fosse
stata approvata nel maggio del 1850, Luigi
Bonaparte si oppose alla ratifica e, assicurandosi l'appoggio dell'esercito
e di parte della popolazione, richiese che vi fossero apportati emendamenti
correttivi; tale iniziativa, tuttavia, fu bocciata dall'Assemblea nazionale; il
3 gennaio 1851 licenziò il ministro Changarnier, suo oppositore, provocando una
crisi nel suo stesso Partito, dal quale prese definitivamente le distanze,
formando il cosiddetto «Partito dell'Eliseo», un gruppo di 150 deputati
acquisiti alla sua causa, e cominciò a finanziare giornali anti-parlamentari.
Poiché la Costituzione del
1848 non permetteva la rieleggibilità del presidente, Luigi
Bonaparte avrebbe dovuto lasciare il potere alla scadenza del mandato, nel
dicembre del 1852, ma egli per evitare questa possibilità, sostenendo che
quattro anni non erano stati sufficienti ad attuare il proprio programma
politico ed economico, per tutta la prima metà del 1851, insieme ai suoi
sostenitori, fece un tour per tutto il paese proponendo riforme costituzionali,
guadagnò il sostegno di molti governi e deputati regionali al fine di poter
ottenere la possibilità di concorrere a un secondo mandato; tale proposta, nel
luglio del 1851, ottenne 446 voti favorevoli e 278 contrari ma mancò di poco la
maggioranza dei due terzi necessaria per modificare la costituzione e, pertanto,
fu rigettata.
Nei circoli dell’alta borghesia cresceva la delusione nei confronti del
sistema parlamentare e andava rafforzandosi il desiderio di un “potere forte”
che proteggesse le classi possidenti da nuovi turbamenti rivoluzionari. Nei
loro giornali e opuscoli i bonapartisti tenevano vivo questo stato d’animo,
spaventando le classi possidenti con la prospettiva di una nuova insurrezione
di giugno. I dissidi tra i vari gruppi monarchici indebolivano l’Assemblea
legislativa.
I preparativi
A questo punto, per mantenere
il potere occorreva organizzare un colpo di Stato, ulteriore imitazione delle
imprese parentali, che cominciò a essere preparato a partire dal 20 agosto 1851
a Saint-Cloud. Si assicurò l'appoggio di vari ufficiali al fine di ottenere il
supporto dell'esercito, tra cui: il generale Jacques Leroy de Saint-Arnaud,
comandante delle forze francesi in Algeria che fu nominato ministro della
guerra; il generale Magnan fu nominato comandante della piazza di Parigi e il
prefetto dell'Haute-Garonne, Charlemagne de Maupas, venne promosso prefetto
della polizia della capitale. Il complotto raccolse l'adesione del duca di
Persigny, del fratellastro del Bonaparte,
Charles Auguste il duca di Morny.
Il 14 ottobre Luigi
Bonaparte chiese
all'Assemblea nazionale di ristabilire il suffragio universale, che era stato
limitato da un decreto del 31 maggio 1850, che imponeva all'elettore la
condizione di non aver subito condanne alla reclusione superiori a un mese e
l'iscrizione per almeno tre anni continuativi nelle liste elettorali del
proprio comune di residenza: era stato un modo, escogitato dall'Assemblea
conservatrice, per limitare il diritto di voto degli operai, che erano spesso
costretti a cercare lavoro emigrando per qualche tempo in altri comuni.
Il colpo di Stato venne
fissato al 2 dicembre, anniversario dell'incoronazione di Napoleone I a
imperatore, nel 1804, e alla vittoria di Austerlitz nel 1805. L'operazione fu
battezzata Rubicone, alludendo naturalmente a Giulio Cesare.
Il colpo di Stato
A quel punto, il colpo di
Stato del 2 dicembre 1851 fu una semplice operazione. Si trattò di un colpo di
stato, simile a quello compiuto il 18 brumaio da Napoleone i con il quale
questi aveva distrutto la Repubblica del 1793.
Durante la notte di quel
giorno, le truppe di Saint-Arnaud (60.000 uomini e più di cento pezzi di
artiglieria) occuparono, senza colpo ferire, i punti strategici di Parigi:
l'ufficio nazionale della stampa, il Palais
Bourbon, le redazioni dei giornali e le tipografie. L’Assemblea legislativa
fu sciolta.
Per dissimulare la natura controrivoluzionaria del colpo di stato e per
ingannare i circoli democratici della popolazione, Luigi
Bonaparte annunciò l’abrogazione della legge del 31 maggio 1850 che
limitava il diritto di voto. Tutta Parigi fu tappezzata di manifesti che
annunciavano la convocazione di nuove elezioni, la promessa di una nuova
Costituzione e la proclamazione dello stato d'assedio.
Il tentativo di resistenza a Parigi
Essendo occupata l'Assemblea,
i parlamentari si rifugiarono nel municipio del 10°
arrondissement e dichiararono Luigi
Bonaparte decaduto
dalle sue funzioni presidenziali, secondo l'articolo 68 della Costituzione per
il quale «ogni misura con la quale il presidente sciolga l'Assemblea nazionale
[...] è un delitto di alto tradimento». Pertanto i cittadini non erano più
tenuti a obbedirgli e il potere esecutivo doveva passare nelle mani
dell'Assemblea nazionale: così votarono all'unanimità 220 deputati, tra i quali
gli orléanisti Rémusat, Salmon e Tocqueville, come il repubblicano conservatore
Pascal Duprat. Ma questi furono subito arrestati.
Una sessantina di deputati
repubblicani de la Montagne[3]
e altri repubblicani formano un Comitato di resistenza - ne facevano parte, tra
gli altri, Victor
Hugo,
Victor Schoelcher[4] e
Carnot[5]
- che chiamò il popolo ad insorgere contro Luigi
Napoleone che, come recitavano gli articoli 68 e 110 della Costituzione,
«aveva violato la Costituzione» e «si era messo fuorilegge da solo». Per tutta
risposta, nella notte, vennero arrestati 78 deputati dell'opposizione, 69 dei
quali repubblicani montanari, altri 220, quelli appartenenti alla destra
moderata che si erano raccolti al municipio del decimo
arrondissement,
subirono lo stesso destino dei primi.
Il 3 dicembre, il prefetto di
polizia de Maupas[6] scrisse al duca di Morny: «Non credo che le simpatie
popolari siano con noi. Non troviamo entusiasmo da nessuna parte [...] il
lato buono della medaglia è che la truppa sembra decisa ad agire senza
esitazione». In effetti a Parigi, il 3 e il 4 dicembre, nei quartieri
popolari, furono erette le barricate e i difensori opposero una tenace
resistenza alle truppe. Ma il numero di questi combattenti, principalmente
operai, non superava le 1.200 persone (contro gli oltre 30 mila soldati
mobilitati). Le più vaste masse del proletariato di Parigi non parteciparono
attivamente alla lotta contro il colpo di stato, e questo si spiega soprattutto
col fatto che l'Assemblea legislativa, con i suoi provvedimenti, si era
attirata l’ostilità degli operai, perché li aveva privati di quasi tutte
conquiste democratiche ottenute con la rivoluzione di febbraio (diritto al
voto, libertà di stampa e di riunione, diritto di associazione ecc). Inoltre la
classe operaia di Parigi era stata disarmata nel corso della repressione dell’insurrezione
del giugno 1848 e indebolita dagli arresti in massa e dalle deportazioni.
L'esercito passò subito
all'attacco. I bonapartisti riuscirono con relativa facilità a spezzare la
resistenza dei repubblicani di Parigi. Per affrettare la conclusione e
spaventare il popolo, si servirono dell’artiglieria e caddero i primi insorti:
il deputato Baudin
venne ucciso in una barricata del faubourg Saint-Antoine. Tra i rivoltosi
parigini si trovava anche il giornalista italiano Ferdinando Petruccelli della
Gattina il quale, fallita la resistenza, venne espulso dalla Francia e
racconterà, anni dopo, la sua esperienza in Memorie del colpo di stato del
1851 a Parigi (1880).
La sera, il generale
Saint-Arnaud pubblicò un ordine che minacciava di fucilare «chiunque sia
preso, armi alla mano, nell'atto di costruire o difendere una barricata».
Tre studenti, arrestati perché detenevano manifesti contro il colpo di Stato,
furono passati per le armi e i cadaveri vennero gettati nella Senna: il
generale Magnan diede infatti ordine di fucilare sommariamente i rivoltosi,
anche se non sempre quest'ordine venne rispettato.
Nel pomeriggio del 4 dicembre le truppe furono accolte dalle grida
ostili di una folla che manifestava sui boulevards: la risposta fu una scarica
di fucileria e colpi di mitraglia che provocano centinaia di morti, donne e
bambini compresi. La sera, la rivolta sembrava essere finita: de Maupas affisse
manifesti minacciando che «lo stazionamento dei pedoni sulla pubblica via e la
formazione di capannelli saranno immediatamente dispersi con le armi». Le
ultime barricate, nelle quali combatté anche Victor
Hugo, caddero il 5 dicembre. In questa operazione furono uccisi o feriti
duemila cittadini.
Il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 - La truppa spara sugli insorti Stampa pubblicata da The Illustrated London News |
La resistenza in provincia
La notizia del colpo di Stato
si diffuse progressivamente per tutta la Francia, producendo numerose rivolte
in difesa della Repubblica. Questi drappelli di rivoltosi erano formati
essenzialmente da operai, piccoli artigiani, commercianti, intellettuali
democratici e in parte da contadini. Ma queste insurrezioni avevano un
carattere isolato, erano spontanee, non avevano una direzione comune e perciò
furono presto represse. I gruppi dirigenti dei contadini agiati appoggiarono
attivamente le autorità bonapartiste.
Il 3 dicembre si segnalarono
moti popolari a Tolosa, Marsiglia, Limoges, Perpignano, Bayonne; il 6 dicembre
a Bordeaux e a Strasburgo, che vennero però represse in breve tempo. Alcuni
consigli municipali, in applicazione della Costituzione, dichiararono la
decadenza del Bonaparte
dalla carica di presidenza.
Il 5 dicembre l'insurrezione
si estese nel Sud-Est: ad Aups, a Les Mées, ad Apt, a Digne, a Manosque, a
Barcelonnette. Émile Zola prendse spunto dai moti nel dipartimento del Var per
la sua saga dei Rougon-Macquart.
A Digne la guarnigione
capitolò il 7 dicembre, e i repubblicani presero il controllo della prefettura:
la città venne ripresa il 13; il 7 dicembre il dipartimento delle Basses-Alpes
venne amministrato da un Comitato dipartimentale di resistenza, ma l'esercito,
fedele a Bonaparte,
riprese il controllo del territorio.
Gli insorti catturati erano a volte passati immediatamente per le armi,
32 dipartimenti furono posti in stato d'assedio l'8 dicembre, e generalmente i
territori dove maggiore avvenne la resistenza tornarono sotto il controllo
dell'esercito in pochi giorni. Dopo il colpo di stato, Luigi
Bonaparte intraprese una capillare opera di repressione di ogni dissenso:
si contarono in tutta la Francia, secondo un documento trovato alle Tuileries
nel 1870, 26.643 arrestati, 6.500 rilasciati, 5.108 sottoposti a sorveglianza,
15.033 condannati, di cui 9.330 deportati in Algeria, 239 nella Cayenne, 2.802
internati in città francesi, mentre 80 deputati vennero esiliati. Vi sono poi
le fughe all'estero di molti oppositori: l'11 dicembre, Victor Hugo,
antico sostenitore dello stesso Napoleone, decise di recarsi
in esilio a Bruxelles e per oltre vent'anni rifiutò di fare ritorno in Francia.
Camille de Meaux, deputato monarchico nell'Assemblea legislativa, dichiarò
esplicitamente il 16 giugno 1871, appena conclusa l'esperienza comunarda: “Il
socialismo è esploso in Francia per la prima volta nel 1848
e ha spaventato a tal punto il paese che l'Impero è stato istituito soprattutto
per abbatterlo”.
Dopo alcuni mesi, tuttavia,
una commissione speciale liberò 3.000 detenuti ma solo nel 1859 gli ultimi
1.800 prigionieri o esiliati ricevettero l'amnistia (tranne il leader
repubblicano Ledru-Rollin che fu invitato a lasciare la Francia).
La fine della Repubblica
Il Principe-presidente nel 1852, dopo il colpo di stato |
Stabilito il nuovo ordine,
ricompensati i generali Vaillant e Harispe con il bastone di maresciallo,
s'iniziò a metter mano a una nuova Costituzione e si organizzò il referendum che
doveva legittimare la dittatura.
Il 20-21 dicembre, i cittadini
furono invitati a votare, con un plebiscito, se approvassero o meno il colpo di
stato; il responso delle urne, sebbene con forti condizionamenti (non furono
pochi i sindaci che minacciarono di pubblicare i nomi degli astenuti), fu
schiacciante: 7.439.216 sì, 641.737 no (36.880 schede nulle); l'astensione fu
di 1,7 milioni di votanti.
Il plebiscito approvò il
prolungamento a dieci anni del mandato presidenziale: nulla venne lasciato di
intentato per garantire la schiacciante vittoria: solo la stampa bonapartista
era autorizzata ad uscire, la propaganda contro l'approvazione della riforma
venne impedita, nelle schede elettorali era già impresso il Sì.
All'inizio del 1852, Luigi
Bonaparte incaricò una commissione di 80 giuristi di preparare una nuova
costituzione che attribuiva a se stesso la rielezione a presidente, la
possibilità di concorrere per altri mandati decennali (senza alcun limite), il
potere di dichiarare guerra, firmare trattati, formare alleanze e promuovere
disegni di legge; la carta, inoltre, ripristinava il suffragio universale e
l'Assemblea nazionale, la cui autorità fu però ridimensionata.
La nuova Costituzione, entrata
in vigore il 14 gennaio 1852, assegnò al presidente sia il potere esecutivo
che, di fatto, quello legislativo. Svuotato di quest'ultimo potere, al
Parlamento venne assegnato solo il potere di ratifica delle decisioni
presidenziali. La riforma istituì infatti una Camera dei deputati eletta per
sei anni con suffragio universale maschile diretto, un Consiglio di Stato,
composto di funzionari, cui era riservata la funzione legislativa, e un Senato,
i cui membri erano nominati a vita dal presidente della Repubblica, e che agiva
per senatoconsulti, atti che avevano forza di legge e che modificarono la
Costituzione per adattarla alla volontà del principe-presidente.
Il 17 febbraio del 1852,
inoltre, un decreto presidenziale impose una stretta censura sulla stampa,
proibendo ogni pubblicazione politica attuata senza il preventivo assenso del
governo, aumentando le pene pecuniarie e inasprendo i reati di opinione al
punto che un giornale poteva essere colpito dalla sospensione temporanea o
permanente delle pubblicazioni dopo appena tre diffide. Anche i libri furono
assoggettati a censura.
Attuò anche un fortissimo
intervento sulla stampa, sulla politica scolastica (soppressione
dell'insegnamento della filosofia nei licei, aumento dei poteri disciplinari
dell'amministrazione scolastica), e su ogni altra espressione di autonomia
popolare.
Sul piano del controllo
individuale, fu istituito un sistema di sorveglianza poliziesca degli individui
sospetti, che ebbe un incremento intenso dopo l'attentato di Felice
Orsini nel 1858, che servì da pretesto per aumentare la severità del regime
con la Legge di sicurezza generale, che consentiva l'internamento,
l'esilio o la deportazione, senza processo, di ogni persona sospetta.
Il passaggio dall'istituzione
formalmente repubblicana a quella ufficialmente imperiale venne approvato dal
senatoconsulto del 7 novembre 1852. Il 21 e 22 novembre un secondo plebiscito
sancì il seguente responso: 7.824.129 voti favorevoli all’impero, contrari
253.159 (due milioni di astenuti): alla Seconda
Repubblica successe il Secondo
Impero e Luigi
Bonaparte divenne, a partire dalla data simbolica del 2 dicembre 1852
(stesso giorno dell’incoronazione dello zio Napoleone I), Napoleone
III,
“Imperatore dei Francesi (per grazia di Dio e volontà della nazione)”.
In Francia cosi «Napoleone
il Piccolo»
iniziava la sua ventennale dittatura camuffata sotto il pomposo manto di
«imperatore dei francesi»,
La dittatura bonapartista, fu
una particolare forma di dominio degli ambienti più reazionari e aggressivi
dell’alta borghesia. Spaventate dall’attività rivoluzionaria della classe
operaia, che si era così chiaramente manifestata negli avvenimenti
rivoluzionari del 1848, le classi possidenti affidarono la direzione del
paese a questo gruppo di avventurieri ambiziosi che si appoggiavano alla cricca
militarista reazionaria e a un grande apparato poliziesco e burocratico.
[1] Alexandre-Auguste
Ledru-Rollin (Parigi, 2 febbraio 1807 – Fontenay-aux-Roses, 31 dicembre 1874) è
stato un avvocato e politico francese, di parte democratica e repubblicana.
[2] François
Vincent Raspail (Carpentras, 29 gennaio 1794 – Arcueil, 7 gennaio 1878) è stato
un politico e scienziato francese.
[3] La Montagne è il nome preso dal gruppo di repubblicani (i
"democ-socs", "democratici-socialisti") che all'Assemblea
costituente nazionale del 1848
e all'Assemblea legislativa del 1849, cercarono di difendere, contro gli
attacchi del partito dell'Ordine e dei repubblicani moderati, le conquiste
politiche e alcuni vantaggi sociali della rivoluzione
del febbraio 1848. Ledru-Rollinne fu l'organizzatore.
[4] Victor Schoelcher (Parigi,
22 luglio 1804 – Houilles, 25 dicembre 1893) è stato un politico e imprenditore
francese.
[5] Lazare Hippolyte Carnot (Saint-Omer, 1801 – Parigi, 1888) è
stato un politico francese, e padre del futuro presidente
francese Marie François Sadi Carnot, assassinato il 24 giugno 1894,
dall'anarchico italiano Sante Caserio.
[6] Charlemagne-Émile
de Maupas, (Bar-sur-Aube l'8 dicembre 1818 - Parigi il 18 giugno 1888), è un
politico francese. Fu l'organizzatore della polizia e delle forze militari
parigine durante il colpo di stato del 2 dicembre 1851 per conto di Luigi-Napoleone
Bonaparte, futuro Napoleone
III.