LUIGI NAPOLEONE BONAPARTE
Ritratto di Napoleone III, di Franz Xaver Winterhalter |
Detto
anche Napoleone il piccolo (soprannome datogli da Victor
Hugo), sposò la contessa di Teba María Eugenia de Guzmán Montijo, una
Grande di Spagna, con cui ebbe Napoleone Eugenio Luigi, mentre altri quattro figli
furono illegittimi e avuti da donne diverse.
Carlo Luigi Napoleone Bonaparte
nacque a Parigi la notte del 20-21 aprile 1808. Suo padre era Luigi Bonaparte,
re d'Olanda (dal 1805 al 1810) e fratello minore di Napoleone Bonaparte; la
madre era Ortensia di Beauharnais, figlia di Giuseppina di Beauharnais e del
suo primo marito Alessandro e quindi figliastra dello stesso Napoleone; tale
unione, difficile e priva di affetto, era stata proposta dalla stessa
imperatrice consorte, Joséphine, che non poteva generare figli, in modo da
garantire all'Imperatore un erede diretto.
Il primo figlio della coppia morì nel 1807,
e pertanto i due coniugi, che ormai vivevano separatamente e che comunque
avevano un secondo bambino, Napoleone Luigi, decisero di trasferirsi insieme a Tolosa; nove mesi dopo, a
Parigi, nacque Carlo Luigi. In ogni caso, i nemici di Louis-Napoleon, tra cui Victor
Hugo, diffusero il pettegolezzo che fosse figlio di un altro uomo[1].
Charles-Louis
fu battezzato al Palazzo di Fontainebleau il 5 novembre 1810, avendo come
padrini lo zio, l'imperatore Napoleone, e l'imperatrice Maria Luisa. In
seguito, quando il padre Luigi si separò dalla moglie, Luigi Napoleone rimase
con la madre fino all'età di sette anni, quando lo zio Napoleone lo invitò al Palazzo
delle Tuileries a Parigi per osservare i soldati sfilare nel cortile. Vide
lo zio imperatore per l'ultima volta al Castello di Malmaison, poco prima che
Napoleone partisse per Waterloo.
Dopo
la sconfitta di Napoleone a Waterloo e la Restaurazione
della monarchia in Francia, tutti i membri della dinastia Bonaparte furono
costretti all'esilio: Hortense e Luigi Napoleone vagarono da Aix a Berna al
Baden finché, infine, non si trasferirono in Svizzera, ad Arenenberg, nel
Canton Turgovia e in Germania, dove il giovane Luigi Napoleone frequentò il
ginnasio ad Augusta in Baviera. La sua educazione fu completata da un
precettore, Philippe Le Bas, un repubblicano ardente nonché figlio di un amico
e vicino di Maximilien de Robespierre, che gli insegnò storia francese e ne
indirizzò gli interessi politici verso un repubblicanesimo radicale.
Luigi Napoleone, ventenne |
Quando Luigi
Napoleone aveva quindici anni, Hortense si trasferì a Roma, dove i Bonaparte
presero residenza presso Palazzo Ruspoli dell'omonima famiglia romana: passò il
tempo a imparare l'italiano, esplorare le antiche rovine, imparare le arti
della seduzione e degli affari romantici, di cui avrebbe spesso fatto mostra
nella sua vita successiva; divenne amico dell'ambasciatore francese,
François-René de Chateaubriand, padre del romanticismo francese, con il quale
rimase in contatto per molti anni.
A Roma,
ritrovò il fratello maggiore, Napoleone Luigi Bonaparte, e insieme aderirono
alla carboneria. Nella primavera del 1831, quando aveva ventitré anni, il
governo austriaco e quello papale lanciarono un'offensiva contro le società
segrete e i due fratelli, ricercati dalla polizia, furono costretti a fuggire
ma, durante la fuga, Napoleone Luigi contrasse il morbillo e morì il 17 marzo
1831, tra le braccia del fratello minore; in seguito, Hortense si riunì con suo
figlio e insieme raggiunsero il confine francese.
Hortense e
Luigi Napoleone presero il nome falso di "Hamilton" e giunsero a
Parigi, dove il vecchio regime era appena caduto ed era stato sostituito da
quello più liberale di re Luigi
Filippo d'Orléans; arrivati in città il 23 aprile 1831, presero residenza
presso l'Hotel du Holland sulla Place Vendôme.
Hortense
scrisse un appello al re, chiedendo di restare in Francia, e Luigi Napoleone si
offrì volontario come soldato semplice nell'esercito francese: il nuovo re
accettò di incontrarsi
segretamente con Hortense e concesse alla stessa Hortense e a Luigi Napoleone
di poter restare a Parigi, a patto che il loro soggiorno fosse breve e segreto
e che Luigi Napoleone si sarebbe potuto unire all'esercito francese se avesse
cambiato il nome, cosa che però sdegnosamente si rifiutò di fare. Madre e
figlio rimasero a Parigi fino al 5 maggio, decimo anniversario della morte di
Napoleone Bonaparte quando la loro presenza divenne nota e pertanto Luigi
Filippo ordinò loro di lasciare la Francia; si recarono in Gran Bretagna e
poco dopo andarono in esilio in Svizzera.
Sin dalla
caduta di Napoleone nel 1815 esisteva in Francia un movimento bonapartista, con
la speranza di restituire un Bonaparte al trono; secondo la legge di
successione stabilita da Napoleone I, la pretesa passò prima al figlio, cui,
alla nascita, era stato dato dal padre il titolo di "Re di Roma".
Conosciuto dai bonapartisti come Napoleone II, viveva in reclusione virtuale
alla corte di Vienna sotto il nome di Duca di Reichstadt; prossimo nella linea,
vi era il fratello maggiore di Napoleone I, Giuseppe Bonaparte, seguito da
Luigi Bonaparte, ma né Giuseppe, né Luigi Bonaparte avevano alcun interesse a
rientrare nella vita pubblica e, pertanto, quando il duca di Reichstadt morì
nel 1832, Luigi Napoleone divenne l'erede della dinastia.
In
esilio con la madre in Svizzera, Luigi Napoleone si arruolò nell'esercito
svizzero, ricevette l'addestramento da ufficiale e scrisse un manuale di
artiglieria oltre ad altre opere di filosofia politica: nel 1833, all'età di 25
anni, pubblicò il suo Rêveries politique, o "sogni politici",
seguito nel 1834 da Considérations politiques et militaire sur la Suisse
("Considerazioni politiche e militari sulla Svizzera"), seguito nel
1839 da Les Idées napoléoniennes ("Idee napoleoniche") che,
pubblicato in tre edizioni, costituisce una delle fonti principali del
Bonapartismo, tra cui la massima «Una monarchia che procura i vantaggi della
Repubblica senza gli inconvenienti [...] , un regime forte, senza dispotismo,
libero, senza anarchia, indipendente, senza conquista».
Luigi Napoleone dà inizio al colpo di Stato, 1836 |
Durante il
soggiorno a Parigi, il giovane Luigi Napoleone aveva osservato l'entusiasmo
popolare per il defunto zio, Napoleone; da ciò aveva tratto il convincimento
che il popolo, come durante i Cento giorni, si sarebbe ribellato al regime
costituito per unirsi ai Bonaparte e per questo motivo iniziò a pianificare un
colpo di Stato contro il re, Luigi
Filippo.
Secondo i
suoi progetti, la rivolta sarebbe dovuta scoppiare a Strasburgo, dove Luigi
Napoleone, ottenuta la lealtà di un colonnello d'artiglieria della guarnigione,
il 29 ottobre del 1836, sollevò un reggimento, prese il controllo della
prefettura e fece arrestare il prefetto. Tuttavia, il generale in comando
riuscì a fuggire e a chiamare i rinforzi che, circondati i ribelli, costrinsero
alla resa gli ammutinati (sarebbero poi stati assolti delle accuse) mentre
Luigi Napoleone veniva arrestato. La famiglia del giovane principe condannò la
sua operazione e la madre pregò Luigi
Filippo di consentire che il figlio lasciasse la Francia. Il re,
convincendo il suo governo, fece condurre il principe a Lorient[2]
dove, munito di una somma di denaro, venne imbarcato su una fregata il 21
novembre 1836 con destinazione Stati Uniti, dove sbarcò il 30 marzo 1837, dopo
una sosta per rifornimenti in Brasile in cui restò confinato nella sua cabina.
Si trasferì quindi in un albergo di New York, incontrò l'élite della società
americana e lo scrittore Washington Irving[3].
Tuttavia, durante il viaggio negli Stati Uniti, Luigi Napoleone ricevette la
notizia che la salute della madre declinava rapidamente
e, pertanto, si affrettò a tornare in Svizzera clandestinamente; raggiunse
Arenenberg appena in tempo per vedere la madre spirare il 5 ottobre 1837; fu
sepolta nella Reuil, in Francia, vicino a Josephine, l'11 gennaio 1838, ma
Luigi Napoleone non poté partecipare ai funerali, perché non era gradito in
Francia. Luigi
Filippo, non gradendo il suo ritorno dall'esilio, richiese nel 1838 al
governo svizzero l'estradizione di Luigi Napoleone in Francia, ma la Svizzera,
sottolineando la cittadinanza elvetica, rifiutò. Poco dopo, i Francesi,
spalleggiati anche dagli Austriaci, minacciarono di inviare un esercito ma
Luigi Napoleone, volontariamente, lasciò il paese non volendo far scoppiare una
guerra per causa sua.
Ereditato
il cospicuo patrimonio della madre, Luigi Napoleone decise di installarsi,
nell'ottobre del 1838, a Londra; in città, incontrò i leader politici e
scientifici del momento, tra cui Benjamin Disraeli e Michael Faraday, fece
numerose ricerche sulla economia inglese e infine era solito passeggiare per
Hyde Park.
Sebbene vivesse negli agi di Londra,
Luigi Napoleone non aveva rinunciato al sogno di tornare in Francia per
completare il suo destino: infatti, nell'estate del 1840, comprò armi e
uniformi, raccolse un contingente di circa sessanta uomini armati, noleggiò una
nave chiamata Edinburgh-Castlee il 6 agosto 1840 raggiunse il porto di
Boulogne[4].
Tuttavia i rivoltosi furono fermati dagli agenti doganali, i soldati
della guarnigione rifiutarono di aderire e gli stessi rivoltosi furono
circondati sulla spiaggia: uno fu ucciso, gli altri arrestati mentre sia la
stampa britannica, quanto quella francese, coprirono di ridicolo Luigi
Napoleone e il suo colpo di Stato.
Arrestato, Luigi Napoleone fu tradotto alla fortezza di Ham
dove il 7 ottobre del 1840 fu registrato come nuovo prigioniero con le seguenti
generalità: «Età: 32 anni; altezza: un metro e sessantasei; capelli e
sopracciglia: castani; occhi: grigi e piccoli; naso: largo; bocca: ordinaria;
barba: marrone; mento: pronunciato; viso: ovale; carnagione: pallida; testa
affondata nelle spalle, larghe spalle; labbra: sottili». In questo periodo,
inoltre, mantenne un'amante, una giovane donna di nome Éléonore Vergeot della
vicina città, che diede i natali a due dei suoi figli.
In prigione scrisse
poesie, saggi politici e articoli sui temi più disparati; contribuì con
articoli su giornali e riviste in tutta la Francia, ottenendo una certa
notorietà; il suo libro più noto fu L'estinzione della povertà (1844),
un saggio sulle cause della povertà della classe operaia francese, con proposte
per eliminarla. Propose, inoltre, la creazione di un sistema bancario e di
risparmio popolare e di creare vere e proprie colonie agricole allo scopo di
dare sollievo alla popolazione più povera; grazie a tali opere, divenne noto
presso il pubblico e contribuì a creare un'immagine di persona vicina agli
interessi dei ceti più umili.
Nonostante
l'impegno, restava infelice e impaziente specie quando, il 15 dicembre 1840,
non poté assistere al ritorno a Parigi della salma di Napoleone I. Il 25 maggio
1846, con l'assistenza del suo medico e altri complici, si travestì come
operaio ed evase dal carcere; prese una carrozza e poi una nave che lo portò in
Inghilterra. Un mese dopo la sua fuga, il padre Luigi morì, rendendo Luigi
Napoleone l'erede incontestato della dinastia Bonaparte.
Ritornato a Londra,
riprese rapidamente il suo posto nell'alta società inglese: viveva in King
Street a St James, frequentava il teatro ed era solito andare a caccia; rinnovò
la sua conoscenza con Benjamin Disraeli, incontrò Charles Dickens e tornò ai suoi
studi presso il British Museum. In questo periodo ebbe una relazione con
l'attrice Rachel, una delle più famose interpreti del teatro francese del
periodo e anche con la ricca ereditiera Harriet Howard (1823-1865). Aveva
conosciuto la Howard nel 1846, poco dopo il suo ritorno in Inghilterra e presto
cominciò una lunga convivenza da cui ebbe due figli illegittimi oltre a
cospicui finanziamenti per i suoi progetti politici.
Nel febbraio
del 1848,
Luigi Napoleone apprese la notizia che lo scoppio della Rivoluzione
francese aveva costretto re
Luigi Filippo, inabile a fronteggiare un così vasto dissenso tra la
popolazione e l'esercito, ad abdicare.
Deciso a
cogliere l'occasione, Luigi Napoleone lasciò Londra e tornò in Francia,
giungendo a Parigi poco dopo la proclamazione
della Seconda Repubblica e la nascita di un governo provvisorio, guidato
dal poeta Alphonse de Lamartine[5]
che, tuttavia, era minato da contrasti tra le diverse fazioni repubblicane.
Subito,
scrisse a Lamartine[5] per annunciare il suo arrivo, dichiarando di non aver
altra ambizione oltre a quella di servire la nazione, ma Lamartine[5] declinò
l'invito e fece pressioni affinché Luigi Napoleone lasciasse provvisoriamente
Parigi fino alle elezioni per l'Assemblea Nazionale; pertanto, sebbene alcuni
suoi collaboratori lo invitassero a prendere il potere con la forza, Luigi
Napoleone preferì tornare a Londra il 2 marzo e osservare gli eventi.
Alle
elezioni parlamentari, tenutesi nell'aprile del 1848,
decise di non candidarsi e rimase in disparte osservando il successo di tre
membri della famiglia Bonaparte, Girolamo Napoleone, Pietro Napoleone e
Napoleone Luciano Murat.
Si
candidò, invece, all'Assemblea nazionale costituente (4 giugno) e vinse in
quattro diversi dipartimenti, mentre a Parigi fu tra i cinque candidati più
votati, subito dopo il leader conservatore Adolphe
Thiers e Victor
Hugo, ottenendo vasti consensi tra i contadini e la classe operaia, grazie
anche alla forte diffusione del pamphlet L'estinzione della povertà.
Timorosi
di questo successo, i leader conservatori del governo provvisorio, Lamartine[5]
e Cavaignac[6], considerarono l'opzione
di arrestarlo per attività sovversive rivoluzionarie ma Luigi Napoleone li
spiazzò scrivendo che non intendeva fare in modo che la sua semplice presenza
potesse servire come pretesto per i nemici della Repubblica e, pertanto,
rinunziò al seggio e lasciò la capitale.
Il
23
giugno, scoppiò, su iniziativa dell'estrema sinistra, l'Insurrezione di
giugno e Parigi fu costellata da centinaia di barricate: il generale Cavaignac[6],
ministro della difesa, prima ritirò le sue truppe dalla capitale, poi, ottenuti
rinforzi, ingaggiò violenti scontri per le strade dei quartieri popolari della
città, stroncando definitivamente ogni moto insurrezionale; la rivolta durò due
giorni e si stima che portò alla morte di 5.000 insorti mentre altri 19.000
subirono l'arresto o la deportazione nelle colonie.
L'assenza
da Parigi, permise a Luigi Napoleone di essere considerato dall'opinione
pubblica come persona estranea sia alla rivolta quanto alla repressione; da
Londra annunziò la propria ricandidatura (in ben 13 dipartimenti) alle elezioni
legislative intermedie del 17-18 settembre 1848: vinse in cinque dipartimenti e
a Parigi ottenne oltre 110.000 voti su 247.000, risultando il candidato più
votato. Tornato a Parigi il 24 settembre, accettò il seggio e prese il suo
posto all'Assemblea Nazionale.
Luigi Napoleone al tempo della
candidatura a Presidente della Repubblica.
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Sempre nel
mese di settembre, la commissione (che tra i suoi componenti annoverava anche
Alexis de Tocqueville[7])
aveva terminato di redigere una nuova costituzione, caratterizzata dalla
presenza di un esecutivo forte e di un presidente eletto per quattro anni con
voto popolare, mediante suffragio universale maschile (prima volta in Francia);
contestualmente a ciò, furono fissate per il 10-11 dicembre le elezioni per la
carica di Presidente della Repubblica.
Luigi
Napoleone annunziò prontamente la sua candidatura alle elezioni presidenziali,
affrontando la concorrenza di altri quattro candidati: il generale Louis Eugène
Cavaignac[6], il ministro della Difesa, che aveva guidato la soppressione delle
rivolte di giugno a Parigi; Lamartine[5], il poeta-filosofo e capo del governo
provvisorio; Alexandre Ledru-Rollin[8],
il leader dei socialisti; e François Vincent Raspail[9],
il leader dell'ala sinistra dei socialisti.
Per la campagna elettorale, Luigi
Napoleone stabilì il suo quartier generale presso l'Hôtel du Rhin in Place
Vendôme, accompagnato dalla sua amica, Harriet Howard, che gli aveva dato un
grande prestito per finanziare la sua campagna; partecipava raramente ai voti e
alle sessioni dell'Assemblea Nazionale, né tanto meno poteva essere considerato
un oratore di talento: parlava lentamente, con voce monotona, con un lieve
accento tedesco dovuto alla sua formazione svizzera e, perciò, i suoi avversari
lo deridevano, dicendo che fosse "un tacchino che si crede
un'aquila".
Nel
corso della campagna elettorale fece appello sia a istanze conservatrici, sia a
istanze riformiste: infatti, nel suo manifesto elettorale, riaffermò il suo
sostegno per la "religione, la famiglia, la proprietà" considerate
come "la base eterna di ogni ordine sociale" ma, al contempo,
annunciò che avrebbe attuato piani per favorire l'occupazione, garantito
pensioni di vecchiaia ai lavoratori e introdotto riforme adeguate che, senza
rovinare i ricchi, avrebbero garantito il benessere di tutti.
I suoi agenti
in campagna, molti dei quali veterani dell'Esercito di Napoleone Bonaparte,
riuscirono a garantire un forte supporto da tutto il paese; inoltre, ottenne
l'appoggio, sia pure riluttante, del leader conservatore, Adolphe
Thiers ("di tutti i candidati, il meno peggio") e anche il
sostegno dell'L'événement, il quotidiano di Victor
Hugo. In ogni caso, il suo avversario principale, generale Cavaignac[6],
era convinto che, se anche Luigi Napoleone fosse arrivato primo, non avrebbe
mai ottenuto oltre il cinquanta per cento dei voti e che questo avrebbe
comportato che l'Assemblea nazionale, dove Cavaignac[6] aveva maggiori consensi,
avrebbe dovuto scegliere tra i due candidati più votati.
Le
elezioni si tennero il 10-11 dicembre, e i risultati furono annunciati il 20
dicembre; sebbene fosse stato previsto che avrebbe ottenuto il maggior
consenso, la dimensione della vittoria sorprese quasi tutti: ottenne, infatti,
5.572.834 voti, pari al 74,2 per cento dei voti espressi, a fronte di 1.469.156
voti per Cavaignac[6]; il socialista Ledru-Rollin[8] ricevette 376.834 voti; il candidato di estrema
sinistra Raspail[9], 37.106 voti; il poeta Lamartine[5] 17.000 voti. Luigi
Napoleone ottenne il sostegno di ogni ceto: contadini scontenti per l'aumento
dei prezzi, lavoratori disoccupati, piccoli imprenditori che volevano
prosperità e ordine e anche intellettuali come Victor
Hugo; ottenne il 55,6 per cento dei voti di tutti gli elettori iscritti e
arrivò primo in tutti i dipartimenti, tranne quattro.
Appena
eletto, Luigi Napoleone trasferì la sua residenza nel Palazzo dell'Eliseo e,
non curandosi della raccomandazione di Adolphe
Thiers di restare fedele alla semplicità democratica, appese nel boudoir un
ritratto della madre e, nel salone, uno dell'incoronazione di Napoleone
Bonaparte mentre per sé preferì indossare la divisa di generale della guardia
repubblicana e assumere il titolo di "Principe-presidente".
In politica estera, Luigi
Napoleone inaugurò la propria presidenza, lui che da giovane si era unito alla
rivolta patriottica contro gli Austriaci, sostenendo la spedizione francese
(già approvata dal precedente governo) che avrebbe dovuto restaurare l'autorità
temporale del Papa Pio IX, deposto dalla Repubblica Romana, che aveva come
principale capo politico Giuseppe Mazzini, con Garibaldi
che deteneva il comando militare.
Le truppe francesi, sbarcate a
Civitavecchia, avanzarono fino a Roma dove ingaggiarono violenti scontri contro
le truppe di Garibaldi;
tale atto, non concordato con i ministri, gli attirò vasti consensi dal mondo
cattolico ma, al contempo, fece infuriare i repubblicani più radicali e questo
costrinse il presidente ad attuare una politica di compromesso e mediazione:
infatti, per garantirsi il sostegno dei cattolici, approvò la Legge Falloux,
che restituì un ruolo maggiore alla Chiesa nel sistema educativo francese, al
contempo, per non perdere il sostegno di sinistra, fece forti pressioni sul
Papa affinché attuasse riforme e concedesse un'amnistia ai seguaci della
repubblica.
Il
13-14 maggio del 1849, le nuove elezioni all'Assemblea Nazionale furono
ampiamente vinte da una coalizione di repubblicani conservatori e cattolici
filo-monarchici, unita nel "Parito dell'Ordine" di Adolphe
Thiers; i repubblicani radicali, socialdemocratici e socialisti, guidati da
Alexandre Ledru-Rollin[8]
e François Vincent Raspail[9],
ottennero 200 seggi; i repubblicani moderati, principale sostegno del
presidente, presero solo 70 seggi; in altri termini, il parlamento era
controllato da una salda maggioranza conservatrice che avrebbe potuto bloccare
ogni iniziativa del presidente.
L'11 giugno
1849 socialisti e repubblicani radicali tentarono di prendere il potere
militarmente: Ledru-Rollin[8],
dal suo quartier generale nel Conservatorio di Arti e Mestieri, reclamò la
messa in stato d'accusa del presidente e cercò di istigare una sollevazione
generale; furono erette alcune barricate ma il presidente agì rapidamente,
dichiarando lo stato d'assedio, fecendo circondare il quartier generale della
rivolta e infine arrestando tutti i capi della stessa, tra cui Raspail[9],
mentre Ledru-Rollin[8]
fuggiva in Inghilterra.
Repressa
la rivolta, i deputati repubblicani socialisti furono dichiarati decaduti
dall'assemblea, mentre Thiers
propose un disegno di legge che, ponendo il requisito della residenza di tre
anni, avrebbe escluso dal diritto di voto 3.5 su 9 milioni di votanti ("la
moltitudine vile, come fu definita").
Sebbene
la nuova legge elettorale fosse stata approvata nel maggio del 1850 con 433
voti favorevoli e 241 contrari, Luigi Napoleone si oppose alla ratifica e,
assicurandosi l'appoggio dell'esercito e di parte della popolazione, richiese
che vi fossero apportati emendamenti correttivi; tale iniziativa, tuttavia, fu
bocciata dall'Assemblea nazionale con 355 voti contrari su 348 favorevoli.
Secondo
la costituzione del 1848,
Luigi Napoleone si sarebbe dovuto dimettere alla scadenza del mandato ma egli,
sostenendo che quattro anni non erano stati sufficienti ad attuare il proprio
programma politico ed economico, fece un tour per tutto il paese, guadagnò il
sostegno di molti governi regionali e deputati al fine di poter ottenere la
possibilità di concorrere a un secondo mandato; tale proposta, nel luglio del
1851, ottenne 446 voti favorevoli e 278 contrari ma mancò di poco la maggioranza
dei due terzi necessaria per modificare la costituzione e, pertanto, fu
rigettata.
Fallito il
tentativo di consolidare il proprio potere mediante la riforma costituzionale,
Luigi Napoleone decise di preparare un colpo
di Stato: coadiuvato dal fratellastro, Charles Auguste e dai suoi
consiglieri, si assicurò l'appoggio del generale Jacques Leroy de Saint Arnaud,
comandante delle forze francesi in Algeria e di altri ufficiali al fine di
ottenere il supporto dell'esercito.
Il Principe-presidente nel 1852, dopo il colpo di Stato |
Nella
notte del 2
dicembre, anniversario della battaglia di Austerlitz, e dell'incoronazione
di Napoleone a imperatore, i soldati di Saint Arnaud occuparono, senza colpo
ferire, l'ufficio nazionale della stampa, il Palais
Bourbon, le redazioni dei giornali e i punti strategici della città; al
mattino, tutta Parigi fu tappezzata di manifesti che annunziavano lo
scioglimento dell'Assemblea Nazionale, il ripristino del suffragio universale,
la convocazione di nuove elezioni e la proclamazione dello stato d'assedio.
Poche furono le proteste: sedici deputati furono immediatamente arrestati nella
notte, altri 220, quelli appartenenti alla destra moderata che si erano raccolti
al municipio del decimo arrondissement, subirono lo stesso destino dei primi.
Il 3
dicembre, Victor
Hugo e pochi altri repubblicani cercarono di organizzare un'insurrezione:
furono erette alcune barricate ma gli insorti, poche migliaia, non furono in
grado di reggere la controffensiva degli oltre 30 mila soldati mobilitati e
subirono oltre 400 morti; altre città seguirono l'esempio di Parigi ma non
ebbero miglior fortuna e in sintesi, entro il 10 dicembre, ogni tumulto fu
schiacciato. Poco dopo, l'11 dicembre, Hugo,
antico sostenitore dello stesso Napoleone, decise di recarsi in esilio a
Bruxelles e per oltre vent'anni rifiutò di fare ritorno in Francia.
Dopo
il colpo
di Stato, Luigi Napoleone intraprese una capillare opera di repressione di
ogni dissenso ordinando l'arresto di oltre 26.000 persone (4.000 solo a
Parigi): 239 detenuti, considerati i più pericolosi, furono trasferiti alla
colonia penale di Caienna, 9.539 in Algeria, 1.500 furono esiliati e infine
3.000 posti agli arresti domiciliari; dopo alcuni mesi, tuttavia, una
commissione speciale liberò 3.000 detenuti ma solo nel 1859 gli ultimi 1.800
prigionieri o esiliati ricevettero l'amnistia (tranne il leader repubblicano
Ledru-Rollin[8]
che fu invitato a lasciare la Francia).In ogni caso, per garantirsi comunque
una forma di investitura popolare, il 20-21 dicembre, i cittadini furono
invitati a votare, con un plebiscito, se approvassero o meno il colpo
di Stato; il responso delle urne, sebbene con forti condizionamenti (non
furono pochi i sindaci che minacciarono di pubblicare i nomi degli astenuti),
fu schiacciante: 7.439.216 sì, 641.737 no; l'astensione fu di 1,7 milioni di
votanti.
All'inizio
del 1852, Luigi Napoleone incaricò una commissione di 80 giuristi di preparare
una nuova costituzione che attribuiva a Luigi Napoleone la rielezione a
presidente, la possibilità di concorrere per altri mandati decennali (senza
alcun limite), il potere di dichiarare guerra, firmare trattati, formare
alleanze e promuovere disegni di legge; la carta, inoltre, ripristinava il
suffragio universale e l'Assemblea nazionale, la cui autorità fu però
ridimensionata.
In
seguito, per meglio controllare il dissenso, Luigi Napoleone sequestrò le
proprietà che erano state di re
Luigi Filippo, ridusse il ruolo della Guardia Nazionale (molti dei suoi
membri, in effetti, si erano uniti alle proteste contro il colpo
di Stato), impose ai pubblici funzionari l'obbligo di indossare la divisa
nelle circostanze ufficiali e infine attribuì al ministro della pubblica
istruzione il potere di rivedere il contenuto dei corsi universitari nonché di
licenziare quei professori che non avessero dato prova di fedeltà al regime.
Il
17 febbraio del 1852, inoltre, un decreto presidenziale impose una stretta
censura sulla stampa, proibendo ogni pubblicazione politica attuata senza il
preventivo assenso del governo, aumentando le pene pecuniarie e inasprendo i
reati di opinione al punto che un giornale poteva essere colpito dalla
sospensione temporanea o permanente delle pubblicazioni dopo appena tre
diffide.
Infine, il 29 febbraio si svolsero le
elezioni per il rinnovo della Assemblea Nazionale: di otto milioni di aventi
diritto, 5.200.000 voti andarono ai candidati ufficiali (ampiamente
sovvenzionati con danaro pubblico), 800.000 ai candidati dell'opposizione;
circa un terzo degli aventi diritto al voto si astennero; in tutto, i candidati
governativi ottennero 253 seggi, 7 i monarchici e appena 3 i repubblicani.
Non
pago dei nuovi poteri attribuitigli, Luigi Napoleone decise di organizzare un
tour per tutta la nazione al fine di consolidare la propria autorità e, infine,
trasformare la repubblica in Secondo
Impero: a Marsiglia
pose la prima pietra per una nuova cattedrale, istituì una borsa e una camera
di commercio e a Bordeaux,
il 9 ottobre del 1852, per la prima volta rese evidente l'intenzione di
restaurare l'impero.
Di ritorno a
Parigi, Luigi Napoleone fu accolto da manifestazioni e scritte, più o meno
spontanee, "Per Napoleone III, imperatore"; poco dopo un
senato-consulto ristabilì la dignità imperiale e il 21-22 novembre un secondo
plebiscito sanciva il seguente responso: 7.824.129 voti favorevoli all'impero,
contrari 253.159 (due milioni gli astenuti).
Il 2 dicembre
del medesimo anno, nello stesso giorno dell'incoronazione di Napoleone I, la
Seconda Repubblica fu dichiarata ufficialmente conclusa; nasceva così il Secondo
Impero francese: il Principe-presidente Luigi Napoleone assunse il titolo
di Napoleone III mentre la carta costituzionale del
1852 fu lasciata in vigore, semplicemente la parola "Presidente" fu
sostituita da quella di "Imperatore dei Francesi" (per grazia di Dio
e volontà della nazione).
Una delle
prime priorità di Napoleone III fu la modernizzazione
dell'economia francese, piuttosto arretrata rispetto a quella del Regno Unito o
di alcuni stati tedeschi come la Prussia, secondo un impianto
"dirigistico" che vedeva nello Stato il motore benevolo per l'intero
organismo sociale tramite la costruzione di infrastrutture e garantendo
un'efficiente istruzione.
Tale
impianto dirigistico, inoltre, secondo le idee dell'Imperatore, si doveva
combinare a una politica liberista dal momento che solo l'apertura dei mercati,
stimolando la concorrenza, avrebbe costretto i privati a investire capitali per
ottenere una maggiore efficienza del processo produttivo.
Luigi Bonaparte, Napoleone III |
Tale
programma, sebbene osteggiato dalla parte più conservatrice del mondo
produttivo, fu implementato nel 1860 quando l'Imperatore decise di inviare a
Londra il suo principale consigliere economico, Micheal Chevalier, al fine di
negoziare una graduale riduzione dei dazi doganali; il trattato, siglato in
segreto il 23 gennaio del 1860, causò lo scontento di oltre 400 imprenditori
che protestarono duramente a Parigi ma Napoleone rifiutò di considerare
un'attenuazione dei provvedimenti: prima furono abbassati i dazi per i prodotti
manifatturieri in acciaio e in seguito quelli per il grano e altre risorse
agricole. Nel complesso, la riduzione delle tariffe doganali costituì un forte
impulso al rinnovamento del sistema produttivo e presto l'Imperatore negoziò
simili trattati commerciali anche con il Belgio, i Paesi Bassi e altre nazioni.
Va poi aggiunto che il periodo storico
ben si prestava all'espansione economica: infatti, la Corsa all'Oro in
California e in Australia aveva stimolato una moderata inflazione europea
mentre al contempo la Francia beneficiava di una forte crescita demografica
(dovuta al fatto che avevano raggiunto la maggiore età coloro i quali erano
nati durante il "boom delle nascite" avvenuto nel corso della
Restaurazione).
Di tale
crescita economica, sensibile a partire dal 1852, è segno la nascita di
numerosi istituti di credito: in questo periodo, infatti, nacque Crédit
mobilier, specializzato nella concessione di prestiti e obbligazioni sia ai
privati, sia al governo; poi, nel 1863, fu fondato il Crédit Lyonnais e,
infine, la Société Generale nel 1864.
Agli
inizi dell'Impero,
la rete ferroviaria francese contava appena 3.500 chilometri di linea, a fronte
dei 10 mila chilometri in Inghilterra e 800 chilometri in Belgio, un paese
venti volte più piccolo della Francia. Napoleone III,
ritenendo che lo sviluppo ferroviario fosse necessario per garantire la
crescita economica, sin dal 1852, fece avviare un progetto che unisse tutte le
linee, diverse e separate, dirette verso Parigi; in seguito, per stimolare
l'iniziativa privata, il governo fornì garanzie per i prestiti contratti dalle
compagnie private ed esortò le singole società ferroviarie a fondersi tra loro
(tanto che se nel 1848
in Francia operavano ben 18 compagnie ferroviarie, nel 1870 il numero era
calato a 6). Tali misure ebbero certamente un notevole successo se si considera
che, nel 1870, la Francia aveva oltre 20 mila chilometri di linea ferroviaria
che, garantendo i collegamenti verso i porti e i sistemi ferroviari dei paesi
vicini, permetteva il trasporto superiore ai cento milioni di passeggeri l'anno
oltre che di innumerevoli merci e risorse. Oltre alla rete ferroviaria, il
governo riservò notevoli attenzione anche alla marina mercantile: furono
ampliati i porti di Marsiglia
e Le Havre[10], poi, grazie a forti
sovvenzioni pubbliche, il tonnellaggio delle navi a vapore fu
triplicato tanto che, nel 1870, la flotta francese era seconda solo a quella
inglese; infine, non va trascurato che l'appoggio di Napoleone III fu essenziale per garantire il buon
esito della costruzione del Canale di Suez, la cui costruzione fu finanziata da
azioni immesse sul mercato azionario di Parigi e fu diretta da un
ex-diplomatico francese, Ferdinand de Lesseps.
Per quanto riguarda
il commercio, esso ricevette notevole stimolo non solo dal miglioramento delle
infrastrutture ma anche dalla ricostruzione del centro storico di Parigi:
infatti, già nel 1852, fu aperto il Bon Marché[11], il
primo grande emporio commerciale, disegnato da Louis-Auguste Boileau[12]; presto il suo
fatturato si espanse da 450 mila franchi a oltre 28 milioni annui permettendo
al suo fondatore, Aristide Boucicault[13], di
commissionare un secondo edificio in vetro e ferro, disegnato da Louis-Charles
Boileau (figlio di Louis-Auguste Boileau[12]) e Gustave Eiffel[14],
prototipo del centro commerciale odierno. Sull'esempio del Bon Marché[11],
furono aperti altri magazzini commerciali: Printemps nel 1865, e La Samaritaine
nel 1870, generando un modello economico che presto sarebbe stato largamente
imitato.
Oltre
ai centri commerciali, in questo periodo, sorsero anche le prime biblioteche
pubbliche, mentre Louis Hachette[15]
aprì le prime librerie nelle stazioni ferroviarie, garantendo una più ampia
circolazione dei libri per tutta la Francia.
Gli esiti di questo
profondo programma economico non si fecero attendere: durante l'Impero,
la produzione industriale francese aumentò del 73% (con una crescita seconda
solo a quella inglese); dal 1850 al 1857, l'economia crebbe a un ritmo del 5%
annuo mentre le esportazioni crebbero del 60% tra il 1855 e il 1870.
Anche l'agricoltura
fece numerosi progressi: infatti, la creazione di scuole pubbliche specializzate
permise la diffusione di nuove tecniche di coltivazione mentre la ferrovia
garantì un maggiore scambio di prodotti; come risultato, durante l'Impero,
la produzione crebbe del 60%, nonostante la percentuale di popolazione dedita
all'agricoltura calasse dal 61% del 1851 al 54% del 1870; il progresso fu tale
che l'ultima carestia, registrata sul suolo francese, è datata al 1855
(escludendo la penuria di viveri durante la seconda guerra mondiale).
La famiglia imperiale (circa 1865) |
In
ogni caso, lo sviluppo economico non interessò l'intera popolazione: difatti,
sebbene il salario medio fosse cresciuto del 45%, questo appena faceva fronte
all'aumento dell'inflazione e ciò impediva a larga parte del ceto operaio e
contadino di risparmiare o aprire un conto corrente bancario, il cui aumento,
da 742.889 nel 1852 a 2.079.141 nel 1870, è principalmente dovuto alla crescita
di un ceto medio di impiegati e piccolo-borghesi.
Politica interna
Un importante
evento durante il suo regno fu la ricostruzione di Parigi. Parte del progetto
fu guidato dall'idea di rendere più difficili eventuali future azioni
rivoluzionarie: ampie zone della città vennero rase al suolo e le stradine
medievali lasciarono il posto ai grandi boulevards, con l'intento di
creare ampi spazi d'azione ai cannoni all'interno della città ed evitare le
barricate che si erano verificate durante la Rivoluzione francese, durante la
rivoluzione di luglio del 1830 e durante i moti del 1848
che portarono alla fine della Monarchia di luglio. La ricostruzione della città
fu affidata al Barone Haussmann[16]
che fu prefetto del dipartimento della Senna (1853-1870).
Nel
1852, iniziò l'invio di prigionieri politici e criminali comuni verso colonie
penali tristemente famose quali l'Isola del Diavolo (nella Guyana francese) o,
per i crimini più leggeri, nella Nuova
Caledonia. Il 28 aprile 1855 Napoleone III e l'imperatrice
Eugenia sopravvissero a un tentativo di assassinio agli Champs-Élysées da parte
dell'italiano Giovanni Pianori, che voleva vendicare il fallimento della
Repubblica Romana. Un altro italiano, Felice
Orsini, tentò invano di ucciderlo il 14 gennaio 1858 insieme con
l'imperatrice Eugenia al loro ingresso nell'Académie Royale de Musique di
Parigi, al grido di "Ricordati dell'Italia!". Con ogni probabilità,
questo secondo attentato fu motivato dall'accusa di aver tradito il giuramento
carbonaro di dedicare la propria vita alla causa dell'unità d'Italia. Anni
dopo, anche l'anarchico Giovanni Passannante[17],
attentatore di Umberto I, progettava,
secondo alcune testimonianze, l'assassinio dell'Imperatore francese, poiché lo
considerava «la causa di impedimento all'attuazione della Repubblica
Universale».
Nonostante il
progresso economico e i successi esteri, l'opposizione interna a Napoleone III,
lentamente si consolidava tanto nel parlamento quanto nel Paese. Infatti, da un
lato, l'Imperatore subì l'opposizione dei repubblicani per il colpo
di Stato, dall'altro, i cattolici lo criticavano sia per la creazione di un
sistema di istruzione pubblica, rivale di quello della Chiesa, sia per il
sostegno fornito all'unificazione italiana; infine numerosi industriali e
uomini d'affari erano scontenti della politica di riduzione dei dazi doganali,
che aveva fortemente aumentato la concorrenza della Gran Bretagna, per
l'aumento del peso fiscale e per il mancato coinvolgimento nelle scelte
politiche e legislative.
Tale
scontento, unito al fatto che il vasto programma di opere pubbliche e gli
interventi esteri avevano dissestato il bilancio (il deficit annuale era salito
a circa 100 milioni e il debito alla quota di 1 miliardo di franchi d'oro),
resero necessaria una politica volta ad acquisire la fiducia del mondo
imprenditoriale.
Dunque,
il 24 dicembre 1861, Napoleone III, contro l'opposizione dei suoi
ministri, emanò un decreto grazie al quale il Senato e il Corpo Legislativo
avrebbero ottenuto maggiori poteri: i ministri sarebbero stati responsabili
davanti alle camere e i singoli parlamentari avrebbero potuto emendare i
decreti del governo; inoltre, pochi giorni dopo, il 31 dicembre, fu sancito che
il bilancio di ogni ministero sarebbe stato votato dalle camere non più in una
votazione complessiva, bensì per ciascuna singola sezione e che il governo non
potesse attuare alcuna spesa che non fosse autorizzata dal parlamento; infine,
il 1º febbraio, l'imperatore concesse ai deputati il diritto di parola alla
tribuna (con resoconto stenografico). In sintesi, l'impero diveniva
sostanzialmente una monarchia costituzionale parlamentare.
Il
31 maggio del 1863, si svolsero le prime elezioni posteriori alle riforme: i
candidati governativi ricevettero 5.308.000 voti; l'opposizione 1.954.000 voti,
tre volte di più rispetto alle precedenti elezioni; tuttavia, a Parigi e nelle
città maggiori, il blocco dei repubblicani superò ampiamente la maggioranza
assoluta dei voti (circa il 63% nella capitale).
Le
elezioni, pertanto, pur garantendo la maggioranza ai candidati governativi,
rendevano evidente la creazione di un blocco di opposizione che andava dai
cattolici, ai legittimisti (in campo politico, sostenitori degli Orléans; in
economia, protezionisti) e ai repubblicani.
Tuttavia,
nonostante la formazione di un blocco di opposizione parlamentare, le riforme
rimasero popolari, specialmente presso l'elettorato rurale: infatti, quando nel
1870 fu tenuto un referendum in materia costituzionale (nel quale si
specificava che, se fosse stato sconfitto, Napoleone avrebbe abdicato al
figlio), l'Imperatore ottenne 7.336.434 voti favorevoli, 1.560.709 voti
contrari e 1.900.000 astensioni; Léon
Gambetta, il leader dell'opposizione repubblicana, scrisse in preda alla
disperazione «Siamo stati schiacciati. L'Imperatore è più popolare che mai».
Nei primi
anni di regno, Napoleone III mantenne un rapporto abbastanza
buono con il regno di Prussia, tanto che l'Imperatore aveva accolto molto
cordialmente il cancelliere Otto
von Bismarck in occasione di una missione diplomatica.
Tali
rapporti, tuttavia, iniziarono a incrinarsi nel 1865 quando, in occasione della
Guerra dei Ducati[18],
Napoleone riconobbe la minaccia che uno stato tedesco unitario avrebbe potuto
arrecare ai confini orientali francesi mentre, d'altro canto, la Prussia
temeva, insieme alla Gran Bretagna, che l'Imperatore avesse mire
espansionistiche sul Belgio.
L'anno
seguente, quando Prussia e Italia si accordarono per una guerra contro l'Impero
austriaco, Bismarck
fece una seconda visita diplomatica a Parigi, accennando anche che - qualora la
Francia fosse rimasta neutrale - avrebbe potuto ottenere alcune compensazioni.
L'anno
seguente la Prussia aprì le ostilità invadendo la Sassonia, alleato dell'Impero
Austriaco, e l'Imperatore Francesco Giuseppe, volendo evitare un
accerchiamento, chiese a Napoleone III di mediare per far
sì che almeno l'Italia restasse neutrale, ma ogni proposta di compromesso fu
rigettata dai contendenti. Il conflitto tra Austria e Prussia fu assai breve e
si concluse con la strabiliante vittoria prussiana nella battaglia di Sadowa,
fatto che sconvolse l'Imperatore.
Nel 1867,
Napoleone III, ancora in attesa di un compenso in Germania,
decise di intavolare trattative con il re dei Paesi Bassi, Guglielmo III,
al fine di ottenere il territorio del Lussemburgo, dietro il pagamento di una
congrua somma di danaro. Bismarck,
tuttavia, si oppose duramente e inviò un estratto delle richieste francesi a
Londra mentre nel contempo attuò forti pressioni sul governo olandese affinché
rinunciasse alla vendita. Napoleone fu costretto, pertanto, a rinunciare ma
tale crisi contribuì non poco a deteriorare le relazioni diplomatiche tra
Prussiani e Francesi.
A
seguito della crisi, infatti, il governo francese decise di considerare un
programma di riarmo dell'esercito terrestre, al momento pari a 385 mila soldati
(di cui oltre 100 mila stanziati in Messico, Algeria e a Roma), al fine di
contrastare gli oltre 700 mila uomini che potevano schierare i Prussiani e i
loro alleati.
Pertanto, nell'autunno del 1867,
Napoleone III propose di introdurre un sistema di
coscrizione obbligatoria (simile a quello prussiano), in modo da aumentare le
dimensioni dell'esercito a 1 milione di uomini. Però tale proposta fu
aspramente contestata da numerosi ufficiali che, come il maresciallo Randon,
preferivano l'istituzione di un esercito professionale, inferiore per numero ma
meglio addestrato. Anche l'opposizione repubblicana rigettò il progetto
dell'Imperatore, considerando che non avrebbe fatto altro che esasperare il
militarismo prussiano mentre molti liberali non apprezzavano che rilevanti
risorse venissero destinate alle spese militari.
Per
questi motivi, consapevole che mai il disegno di legge avrebbe avuto
l'approvazione del parlamento, Napoleone decise di attuare un compromesso: nel
gennaio del 1868, l'esercito regolare fu
affiancato da una forza di riserva "Garde Mobile" i cui effettivi
sarebbero stati arruolati mediante coscrizione.
Negli anni
seguenti, la politica estera francese fu assillata dal solo pensiero di creare
una rete di alleanze utili a imbrigliare la Prussia ma ogni tentativo fallì
miseramente.
Dapprima,
nell'aprile del 1867, Napoleone propose all'Austria un'alleanza difensiva e
offensiva promettendo, in caso di vittoria, che l'Austria avrebbe potuto
formare una confederazione degli stati tedeschi meridionali e avrebbe potuto
annettere la Slesia; l'Imperatore Francesco Giuseppe, tuttavia, impegnato
nell'attuazione della riforma diarchica (che avrebbe portato alla creazione
dell'Impero austro-ungarico), rimase scettico sulla proposta e non garantì la
propria adesione.
Dopo
l'Austria, Napoleone tentò di convincere l'Italia: re Vittorio Emanuele era
personalmente favorevole all'alleanza francese, ben ricordando il ruolo
fondamentale dell'Imperatore nel raggiungimento dell'unificazione italiana;
tuttavia, l'opinione pubblica, ricordando l'appoggio francese al Papa e la
Battaglia di Mentana[19],
era fortemente ostile; l'Imperatore tentò di intavolare un negoziato ma, quando
il governo italiano pose come condizione il ritiro della truppe francesi stanziate
a Roma, dovette rinunciare (per non screditarsi con il proprio elettorato
cattolico).
Durante
la disputa per la successione al trono spagnolo di Isabella II, l'Imperatore
propose un patto di alleanza fra Francia, Regno d'Italia e Impero Austro-ungarico
che tuttavia fu rifiutato da entrambe le parti.
Al
contrario di Napoleone, Bismarck
era riuscito nel suo intento: gli stati tedeschi avevano promesso di fornire
truppe alla Prussia mentre la Russia decise che sarebbe rimasta neutrale
(ovviamente in cambio della libertà d'azione nei Balcani), fatto che indusse
anche gli Austriaci a rifiutare definitivamente l'alleanza francese; infine, la
Gran Bretagna, ricordando i progetti francesi di annessione del Belgio (svelati
proprio da Bismarck),
decise di mobilitare la flotta e di restare a guardare.
In altri
termini, in caso di conflitto, la Francia era praticamente isolata.
Agli inizi
del 1870, Bismarck
decise di accelerare i tempi per una guerra, dal momento che temeva le spinte
contrarie all'unificazione tedesca che erano sorte in diversi stati meridionali
(specialmente la Baviera) che avrebbero potuto portare anche a una maggiore
opposizione alla ratifica dei trattati di alleanza con la Prussia.
Contemporaneamente,
l'8 maggio del 1870, gli elettori francesi avevano nuovamente dimostrato
adesione al programma di Napoleone con un nuovo plebiscito il cui esito fu di
7.358.000 voti favorevoli a fronte di 1.582.000 voti contrari (registrando
peraltro un forte calo della astensione) ma l'Imperatore diveniva ogni giorno
sempre più debole, oltre che malato, e questo impediva al suo governo di
imbrigliare le ali più radicali dei nazionalisti anti-prussiani, rappresentati
dal nuovo ministro degli esteri, il duca Agénor de Gramont.
Nel luglio
del medesimo anno, Bismarck
trovò un utile pretesto di guerra in una vecchia disputa dinastica: nel
settembre del 1868, la regina Isabella II di Spagna era stata
deposta ed esiliata e il nuovo governo, tra le altre candidature, aveva
considerato quella del principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, un cugino
del re di Prussia Guglielmo; Napoleone III aveva già opposto
il suo veto alla candidatura di Leopoldo ma Bismarck
decise di forzare la mano, scrivendo al padre del candidato, di accettare la
corona spagnola.
La
notizia della candidatura di Leopoldo al trono spagnolo, pubblicata il 2 luglio
del 1870, suscitò la furia del parlamento francese e il governo fu duramente
attaccato sia dai repubblicani, sia dai conservatori più radicali; il 6 luglio,
Napoleone, in riunione con i ministri, chiese assicurazioni al maresciallo
Edmond Le Bœuf circa l'efficienza dell'esercito in caso di guerra: il
maresciallo, capo di stato maggiore dell'esercito, assicurò che i soldati
francesi avevano un fucile qualitativamente superiore a quello prussiano,
un'artiglieria maggiormente esperta e che avrebbe potuto mobilitare oltre 400
mila soldati in meno di 15 giorni.
Re
Guglielmo di Prussia, non desiderando di essere considerato come l'istigatore
del conflitto, scrisse al padre del principe Leopoldo, chiedendo il ritiro
della candidatura del figlio che fu annunciato il 12 luglio. Napoleone,
tuttavia, imbrigliato dalla fazione più ostile ai prussiani e consigliato dal
ministro degli esteri, duca di Gramont, inviò l'ambasciatore francese in
Prussia alla città termale di Bad Ems, ove si trovava il re Guglielmo, per
chiedere ufficialmente che la Prussia non avrebbe mai più candidato principi
tedeschi al trono di Spagna.
Re
Guglielmo, cortesemente ma con fermezza, disse che non poteva dare promesse per
conto del suo governo e declinò di concedere ulteriori incontri con
l'ambasciatore, dal momento che riteneva la questione ormai conclusa; al fine
di avere un pretesto, tuttavia, Bismarck
decise di manipolare il telegramma ufficiale dell'incontro in modo da far
sembrare la risposta di Guglielmo ostile nei confronti del governo francese e
comunicò a tutti i governi questa seconda versione:
«Sua Maestà
il Re ha rifiutato di incontrarsi di nuovo con l'ambasciatore francese e, per
il tramite del suo aiutante di campo, ha fatto conoscere che Sua Maestà non ha
nient'altro da comunicare all'ambasciatore».
La pubblicazione del telegramma
suscitò l'effetto che Bismarck
si aspettava: l'opinione pubblica francese ne fu infiammata, il ministro degli
esteri Gramont affermò di aver ricevuto un insulto mentre il tentativo del
leader conservatore, Adolphe
Thiers, di invitare il governo alla moderazione fallì, mentre una folla di
oltre 20 mila persone, marciando per le strade di Parigi, chiedeva la guerra;
pertanto, Émile Olliver, nuovo primo ministro, decise di notificare, con
l'assenso dell'Imperatore, una dichiarazione di guerra al governo prussiano:
era il 19 luglio del 1870. La disastrosa sconfitta subita dalla Francia nella guerra
franco-prussiana porterà alla caduta dell'impero di Napoleone III.
Allo scoppio della guerra, la folla si riunisce in Place de la Bastille, urlando A Berlino! |
Quando la Francia entrò in guerra,
vi furono manifestazioni patriottiche per le strade di Parigi, con la folla che
cantava la Marsigliese e urlava "A Berlino! A Berlino!". Tuttavia,
Napoleone era malinconico, affermava che la guerra sarebbe stata lunga e
difficile e che non si aspettava di tornare dal momento che si sentiva troppo
anziano per una campagna militare.
Nonostante le precarie condizioni di
salute, l'Imperatore decise comunque di assumere il comando supremo
dell'esercito e il 28 luglio, accompagnato dal principe ereditario,
quattordicenne, e da uno staff militare, partì da Saint-Cloud, lasciando il
governo alla moglie, Eugenia, in qualità di reggente.
Sin dalle origini, l'esercito
francese mostrò una notevole impreparazione: l'alto comando riuscì a mobilitare
duecentomila soldati lungo un fronte di 250 chilometri soffocando l'intera rete
stradale e ferroviaria; spesso gli ufficiali non erano in grado di trovare le
unità, né le unità i loro comandanti, dal momento che nessuno era stato dotato
di mappe del territorio francese, né era stato redatto un preciso piano di battaglia.
Al contrario, Von
Moltke e l'esercito tedesco, grazie all'esperienza acquisita durante la guerra
contro l'Austria, furono in grado di muovere in modo efficace tre eserciti (per
un totale di 518.000 uomini) lungo un fronte di appena 120 chilometri; inoltre,
i soldati tedeschi erano sostenuti da una riserva sostanziale della Landwehr
(difesa territoriale), con 340.000 uomini, e da una riserva aggiuntiva di
400.000 guardie territoriali.
Il 2 agosto, Napoleone e il principe
imperiale accompagnarono l'esercito francese in un attraversamento provvisorio
del confine verso la città di Saarbrücken; vinta una piccola scaramuccia,
l'esercito proseguì la sua lenta avanzata; Napoleone III, molto malato, non era in grado di
guidare il suo cavallo e dovette sostenersi appoggiandosi contro un albero. Nel
frattempo, i Tedeschi concentrarono un esercito molto più grande lungo il
fronte dell'Alsazia e della Lorena: il 4 agosto 1870 travolsero una divisione
francese in Alsazia nella Battaglia di Wissembourg (in tedesco: Weissenburg),
costringendola a ritirarsi; il giorno seguente, vinsero un'altra unità francese
nella Battaglia di Spicheren in Lorena.
Il 6 agosto,
140.000 Tedeschi attaccarono 35.000 soldati francesi nella Battaglia di Wörth:
tale battaglia, sebbene combattuta con accanimento e valore da parte delle
truppe francesi (le quali, più volte, tentarono di sfondare le linee nemiche),
si tramutò in una grave sconfitta con la perdita di quasi metà degli effettivi
tra morti, feriti e prigionieri. Tale scontro, inoltre, evidenziò la forte
superiorità prussiana, tanto nella logistica quanto nelle comunicazioni e
nell'efficienza dello Stato maggiore; infine, l'artiglieria tedesca (cannone da
campo C64 Krupp), in acciaio e a retrocarica, risultò estremamente più precisa
e maneggevole degli ormai antiquati cannoni in bronzo ad avancarica francese.
Non appena la
notizia delle sconfitte raggiunse Parigi, causò incredulità e sgomento: il
primo ministro Ollivier e i vertici dello Stato maggiore si dimisero,
l'Imperatrice reggente nominò, quale nuovo primo ministro, il generale
Cousin-Mountaban, già comandante del corpo di spedizione in Cina, il quale, a
sua volta, nominò François Achille Bazaine[20]
nuovo capo di Stato maggiore. L'Imperatore, ritenendo di non essere utile al
fronte, meditò il ritorno nella capitale, ma l'Imperatrice e il governo gli
consigliarono di restare onde evitare che la notizia del suo rientro potesse
essere interpretata come un segnale di sconfitta.
Con l'Imperatrice a
dirigere il Paese e Bazaine a comandare l'esercito, l'Imperatore non aveva più
alcun vero ruolo da svolgere, tanto da affermare al maresciallo Le Bœuf,
precedente capo di Stato maggiore: «Siamo stati tutti e due licenziati».
Il 18 agosto 1870,
ebbe luogo la Battaglia di Gravelotte (in Lorena), la più grande del conflitto:
i prussiani, pur avendo subito 20.000 perdite, assai più dei 12.000 Francesi,
emersero vincitori, riuscendo a costringere le forze del maresciallo Bazaine,
175.000 soldati, sei divisioni di cavalleria e
500 cannoni, a rinchiudersi nella piazzaforte di Metz[21],
incapaci di muoversi.
Dopo
la sconfitta di Gravellotte, Napoleone tenne un consiglio di guerra a
Châlons-en-Champagne, alla presenza del maresciallo Patrice de Mac-Mahon
e in contatto con il primo ministro, l'Imperatrice e il Bazaine, ma le idee
furono discordanti: l'Imperatore e Mac-Mahon
proposero di spostare il loro esercito più vicino a Parigi, per proteggere la
città, ma il 17 agosto Bazaine, con l'assenso dell'Imperatrice e del primo
ministro, telegrafò all'Imperatore chiedendo di rinunciare all'idea e di
tentare una controffensiva verso Metz[20] contro le truppe prussiane, ritenute
esaurite. L'Imperatore, dunque, inviò il principe ereditario a Parigi e
intraprese la controffensiva, sebbene l'esercito fosse demoralizzato.
Il
piano della controffensiva sarebbe dovuto restare segreto, ma fu pubblicato
sulla stampa francese e quindi divenne noto anche al comando tedesco: il
comandante tedesco, Helmuth Karl Bernhard von Moltke, comandò alle due armate
prussiane che marciavano verso Parigi di voltarsi per inseguire l'esercito di Mac-Mahon.
Il 30 agosto un corpo d'armata di Mac-Mahon
fu attaccato dai prussiani a Beaumont, perdendo cinquecento uomini e quaranta
cannoni; il generale francese, credendo che la strada fosse sbarrata
dall'esercito prussiano, decise di fermarsi e di riorganizzare le sue forze
presso la città fortificata di Sedan[22],
nelle Ardenne, vicino al confine con il Belgio.
Mac-Mahon
giunse a Sedan[21] con centomila soldati non sapendo che due armate prussiane
si stavano avvicinando alla città, una da ovest e l'altra da est, bloccando
ogni via di fuga. I prussiani arrivarono il 31 agosto e il 1° settembre
occuparono le alture intorno alla città, collocarono batterie di artiglieria
(circa 700 bocche da fuoco) e cominciarono a bombardare le posizioni francesi
sottostanti.
Il
1º settembre, alle cinque del mattino, Mac-Mahon
fu gravemente ferito al fianco da una granata tedesca; il suo sostituto,
generale Wimpffen, lanciò una serie di cariche di cavalleria allo scopo di
rompere l'accerchiamento ma, nonostante il valore delle truppe e la perdita di
oltre 17.000 uomini tra morti e feriti e la cattura di 21.000 prigionieri, le
linee prussiane rimasero intatte.
La resa di Napoleone III alla battaglia di Sedan |
Nel
corso della battaglia, l'Imperatore rimase sostanzialmente inerte limitandosi a
perlustrare le posizioni francesi (nel corso di tali movimenti fu ucciso un
ufficiale della sua scorta e ne furono feriti altri due) e il medico che lo
accompagnava scrisse così sul suo diario: «Se quest'uomo non è venuto qui
per uccidere se stesso, non so cosa sia venuto a fare. Non l'ho visto impartire
un ordine per tutta la mattina».
Finalmente,
all'una del pomeriggio, Napoleone emerse dal suo sogno a occhi aperti e diede
l'ordine di issare la bandiera bianca sopra la cittadella; in seguito, inviò un
messaggio personale al re di Prussia, presente a Sedan[21], scrivendo quanto
segue: «Mio Signor fratello, non essendo in grado di morire alla testa delle
mie truppe, nulla resta per me, se non mettere la mia spada nelle mani di Sua
Maestà».
Anni
dopo, quando fu accusato di essersi vergognosamente arreso al nemico, scrisse:
«Alcuni credono che, seppellendo noi stessi sotto le rovine di Sedan[21],
avremmo meglio servito il mio nome e la mia dinastia. È possibile. Anzi, tenere
in mano la vita di migliaia di uomini e non fare alcun segnale di salvare le
loro vite era qualcosa che andava ben oltre la mia capacità [...] il mio cuore
ha rifiutato queste grandezze sinistre».
Alle sei del
mattino del 2 settembre, accompagnato da quattro generali del suo personale,
Napoleone fu condotto al quartier generale tedesco di Donchery, dove si
aspettava di incontrare re Guglielmo; fu accolto, invece, dal cancelliere Bismarck
e dal comandante tedesco, generale von Moltke, i quali dettarono le condizioni
della resa.
Napoleone
chiese che il proprio esercito, disarmato, potesse attraversare il Belgio ma Bismarck
rifiutò la proposta e ingiunse all'Imperatore di firmare i documenti
preliminari per un trattato di pace; questa volta fu Napoleone a rifiutare
sostenendo che il compito di negoziare la resa sarebbe spettato al governo e
alla moglie, l'imperatrice Eugenia, in carica come reggente.
In seguito, fu
trasferito al castello di Bellevue, dove ricevette la visita del re di Prussia
e al quale disse di non aver voluto la guerra ma di essere stato costretto
sotto il peso della opinione pubblica; re Guglielmo, cortesemente, concordò. La
sera, Napoleone scrisse all'imperatrice Eugenia: «È impossibile per me dire
quello che ho sofferto e quello che sto soffrendo ora [...] avrei preferito la
morte a una capitolazione così disastrosa, eppure, sotto le attuali
circostanze, è stato l'unico modo per evitare il massacro di sessantamila
persone. Se solo tutti i miei tormenti fossero concentrati qui! Io penso a te,
a nostro figlio e al nostro Paese infelice».
La notizia
della capitolazione raggiunse Parigi il 3 settembre, confermando le voci che
già circolavano in città; non appena l'imperatrice ricevette la notizia reagì
urlando: «No! Un imperatore non si arrende! È morto! [...] Stanno cercando
di nasconderlo a me! Perché non si è suicidato? Non sa che così ha disonorato
sé stesso».
Poco
dopo, una folla ostile cominciò ad accerchiare il palazzo imperiale e
l'Imperatrice, abbandonata ormai anche dal personale, decise di cercare rifugio
dal suo dentista americano il quale la portò a Deauville. Da lì, il 7
settembre, grazie alla nave di un ufficiale britannico, raggiunse
l'Inghilterra.
Il
4
settembre, un gruppo di deputati repubblicani, guidati da Léon
Gambetta, si riunirono presso l'Hôtel
de Ville (municipio) di Parigi e proclamarono
il ritorno della Repubblica e la creazione di un governo
di difesa nazionale: il Secondo Impero di Napoleone III
era finito.
Napoleone III dopo la morte, di R & E Taylor |
Dopo la Battaglia
di Sedan, dal 5 settembre 1870 al 19 marzo 1871, Napoleone III
e il suo entourage furono tenuti in custodia in un castello a
Wilhelmshöhe, nei pressi di Kassel.
Durante
la prigionia, l'ormai ex-Imperatore ricevette spesso le visite della moglie, si
dedicò alla scrittura di lettere e trattati politici mentre cercava di
promuovere un suo eventuale ritorno al potere; tuttavia, sebbene alle elezioni
dell'8 febbraio 1871 partecipassero anche candidati bonapartisti, questi ottennero
solo cinque seggi, né poterono impedire che, il 1º marzo, l'Imperatore fosse
dichiarato ufficialmente deposto.
Finita la guerra, Bismarck
rilasciò Napoleone il quale, insieme alla moglie e al figlio, decise di andare
in esilio in Gran Bretagna ma, avendo fondi limitati, fu costretto a vendere
gran parte delle sue proprietà e dei gioielli. Giunto a Londra nel marzo del
1871, l'ex-Imperatore e la sua famiglia si stabilirono a Camden Palace,
una grande casa di campagna, sita nel villaggio di Chislehurst, distante una
mezz'ora di treno da Londra. A Camden Palace, Napoleone trascorse il
tempo a scrivere e a progettare un modello di stufa, mantenendosi assai
distante dalla politica (sebbene ricevesse la visita della regina Vittoria).
Tuttavia,
nell'estate del 1872, la sua salute iniziò a peggiorare: i medici
raccomandarono un intervento chirurgico al fine di rimuovere i calcoli biliari;
Napoleone fu operato due volte ma, poco dopo il secondo intervento, si ammalò
gravemente; morì il 9 gennaio del 1873 dopo aver domandato agli astanti se gli
ufficiali francesi si fossero comportati da codardi a Sedan.
In origine fu
sepolto a Chislehurst, presso la chiesa cattolica di Santa Maria; tuttavia,
dopo che suo figlio, un ufficiale dell'esercito britannico, morì nel 1879
combattendo contro gli Zulu in Sud Africa, Eugenia decise di costruire un
monastero e una cappella per le spoglie del marito e del figlio; nel 1888,
Napoleone e il figlio furono definitivamente traslati nella cripta imperiale
nell'Abbazia di San Michele a Farnborough, nella contea dello Hampshire in
Inghilterra.
[1] Nel 2014, uno studio genetico
condotto su una ciocca di capelli dal professor Gerard Lucotte ha dimostrato
che Carlo Luigi non può essere geneticamente nipote in linea paterna di
Napoleone I: infatti, Carlo Luigi apparteneva all'aplogruppo I2 (gli aplogruppi
del cromosoma Y sono marcatori specifici della linea genetica paterna) mentre
Napoleone e suo fratello Girolamo appartenevano all'aplogruppo E-M34; secondo
l'autore dello studio, tale discrepanza può essere spiegata solo ammettendo
l'origine illegittima dello stesso Carlo Luigi oppure affermando che Luigi
Bonaparte non sia fratello di Napoleone I.
[2] Nel
dipartimento del Morbihan nella regione della Bretagna.
[3] Washington Irving (New York, 3 aprile 1783 – New York, 28 novembre 1859)
è stato uno scrittore statunitense.
[4] Nel
dipartimento del Passo di Calais nella regione Alta Francia.
[5] Alphonse Marie Louis de Prat de Lamartine (Mâcon, 21
ottobre 1790 – Parigi, 28 febbraio 1869) è stato un poeta, scrittore, storico e
politico francese. Nel 1848,
Lamartine è fra i più attivi: membro del governo provvisorio, è il ministro
degli esteri della Seconda
Repubblica. Ottiene l'abolizione della schiavitù nelle colonie ed è rimasto
celebre il suo discorso del 25 febbraio in cui chiede di scegliere come
bandiera nazionale il tricolore, rifiutando la bandiera
rossa.
[6] Louis
Eugène Cavaignac è stato un politico e generale francese. Fu organizzatore
della sanguinosa repressione della rivolta operaia del giugno 1848
contro il governo conservatore francese, divenne subito dopo Primo Ministro,
carica che tenne dal 28 giugno al 20 dicembre 1848.
In quell'anno si presentò da indipendente alle elezioni presidenziali contro
Luigi Napoleone nelle quali, nonostante fosse il favorito, ottenne solo il
19.81% dei voti.
[7] Il
visconte Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (Parigi, 29 luglio 1805
– Cannes, 16 aprile 1859) è stato un filosofo, politico, storico, precursore
della sociologia, giurista e magistrato francese. Tocqueville si oppone alla
deriva radicale e socialista della rivoluzione
francese del 1848, spaventato dal possibile ritorno del Terrore
rivoluzionario e dal paventato emergere di un "uomo forte", cosa che
accadrà qualche tempo dopo con Napoleone III. Alle elezioni presidenziali del 10 dicembre 1848
Tocqueville dichiara di votare per il generale Cavaignac. Nel 1849 è eletto
deputato nel villaggio normanno di cui egli porta il nome e di cui parla nelle
sue memorie. Dal 3 giugno al 29 ottobre 1849 ricopre la carica di ministro
degli Esteri nel governo di Odilon Barrot.Tocqueville
però si accorge quasi subito delle intenzioni del Presidente: diviene così
critico verso il crescente autoritarismo ed è costretto alle dimissioni, fino a
precipitare nello sconforto quando Bonaparte abbatte la Seconda
Repubblica Francese per restaurare l'impero napoleonico, divenendo
Napoleone III. Già due anni
prima, aveva commentato: «il corvo cerca di imitare l'aquila», intendendo che
il nipote voleva imitare lo zio. A causa delle sue critiche, Napoleone III lo fa arrestare brevemente nella
fortezza di Vincennes,
[8] Alexandre-Auguste
Ledru-Rollin (Parigi, 2 febbraio 1807 – Fontenay-aux-Roses, 31 dicembre 1874) è
stato un avvocato e politico francese, di parte democratica e repubblicana. Dopo la caduta di Luigi Filippo, con la rivoluzione di febbraio, Ledru-Rollin assunse l'importante carica di ministro degli Interni del governo provvisorio. Venne escluso dal potere dal generale Cavaignac[6]. Si candidò, allora, alla presidenza della Repubblica, ottenendo solo 370 119 voti. Da deputato, si
oppose con veemenza alla politica del principe-presidente Luigi Napoleone. Nel giugno
1849 tentò infatti di organizzare una sollevazione, il fallimento della
quale lo costrinse a fuggire in Inghilterra.
Rientrò in Francia solo nel 1871, dopo la cattura di Luigi Napoleone (nel frattempo
divenuto Napoleone III, sovrano del Secondo
Impero). Fu rieletto deputato, nel 1871 e poi ancora nel '74, ma non esercitò più nessuna influenza.
Le Bon Marché (vecchia foto) |
[9] François Vincent Raspail
(Carpentras, 29 gennaio 1794 – Arcueil, 7 gennaio 1878) è stato un politico e
scienziato francese. Partecipò alla Rivoluzione
del 1848 guidando, il 24 febbraio l'occupazione dell'Hôtel
de Ville e proclamandovi la Repubblica. Il 27 febbraio fondò il quotidiano L'Ami
du peuple e prese parte all'insurrezione del 15 maggio contro il governo
conservatore. Arrestato, durante la detenzione risultò eletto, il 17 settembre,
all'Assemblea Costituente, e non poté farne parte. Condannato il 2 aprile 1849
a sei anni di carcere, fu liberato nel 1855 ma, esiliato, si stabilì in Belgio.
Amnistiato nel 1859, tornò in Francia, stabilendosi ad Arcueil, presso Parigi.
Si presentò candidato alle elezioni del 24 maggio 1869 come candidato radicale
e fu eletto al Corpo legislativo. L'11 gennaio 1870 denunciò le manovre della
Corte per mandare impunito il principe Pietro Napoleone Bonaparte, responsabile
della morte di Victor
Noir, che fu infatti assolto in marzo dai giudici compiacenti. Fu a Parigi
durante l'assedio
e la Comune,
mantenendo un atteggiamento neutrale. Il 5 marzo 1876 fu eletto all'Assemblea
Nazionale e vi propose l'amnistia per tutti i condannati politici, che fu
respinta a grande maggioranza dall'Assemblea. Fu rieletto il 14 ottobre 1877 e
morì pochi mesi dopo.
[10] Nel
dipartimento della Senna Marittima nella regione della Normandia.
[11] Le Bon Marché ("buon
affare" in francese) è uno dei più grandi magazzini di Parigi. A volte è
considerato come il "primo grande magazzino del mondo". Il fondatore
fu Aristide Boucicaut[12]. Il negozio nasce come un piccolo negozio a Parigi
durante il 1838, ed era un grande magazzino a prezzo fisso circa dal 1850. È
stato un business di successo, e un nuovo edificio è stato costruito per
l'archivio da Louis-Auguste Boileau nel 1867. Louis Charles Boileau, suo
figlio, continuò a costruire il negozio nel 1870, sotto la consulenza di
Gustave Eiffel[14] per una parte della struttura. Louis-Hippolyte Boileau,
nipote di Louis Auguste, ha lavorato ad una estensione del negozio nel 1920.
Dopo aver adottato l'emblema ad incastro di anelli nel 1914, Pierre de
Coubertin commissionò la tessitura delle bandiere a Le Bon Marchè per le
Olimpiadi del 1916, che tuttavia debutteranno solo nella successiva.
[12] Louis-Auguste
Boileau (Parigi, 24 marzo 1812 – Parigi, 12 febbraio 1896) è stato un architetto
francese. La sua opera più celebre risultò Le Bon Marché (1876), costruzione
interamente in ferro e in vetro, ad illuminazione naturale, una tra le più
tipiche fusioni del gusto romantico e della tecnica moderna.Le Bon Marché (foto attuale) |
[13] Aristide Boucicaut (Bellême, 14
luglio 1810 – Parigi, 26 dicembre 1877) fu un uomo d'affari e imprenditore
francese. Fondò nel 1852 a Parigi del primo grande magazzino, Au Bon
Marché[11]. È stato il pioniere del commercio moderno e il suo esempio fu
rapidamente copiato in Francia e all'estero. Il suo lavoro venne continuato e
sviluppato per dieci anni dalla sua vedova Marguerite Guérin.
[14] Alexandre
Gustave Eiffel (Digione, 15 dicembre 1832 – Parigi, 27 dicembre 1923) è stato
un ingegnere e imprenditore francese. Specialista in strutture metalliche,
divenne famoso per la costruzione della Torre Eiffel in occasione
dell'Esposizione Universale di Parigi del 1889. Eiffel era molto apprezzato
anche sul Nuovo Continente, dove lasciò una propria impronta con la
progettazione dell'intelaiatura in ferro forgiato della Statua della Libertà.
[15] Louis
Christophe François Hachette (Rethel 5 maggio 1800 - Plessis-Piquet 31
luglio 1864) era un editore francese che fondò nel
1826 una casa editrice parigina progettata per
produrre libri e altro materiale per migliorare il sistema d’istruzione
scolastica. La casa editrice porta ancora il suo nome ed è, tutt’oggi,
il primo gruppo editoriale francese.
[16] Georges
Eugène Haussmann (Parigi, 27 marzo 1809 – Parigi, 11 gennaio 1891), più
conosciuto come Barone Haussmann è stato un politico, urbanista e funzionario
francese. Ricoprì l'incarico di prefetto del dipartimento della Senna dal 23
giugno 1853 al 5 gennaio 1870. Il titolo nobiliare gli fu attribuito da Napoleone
III, per il quale aveva
rinnovato Parigi tra il 1852 e il 1869, predisponendo e attuando un vasto piano
di ristrutturazione.
[17] Giovanni Passannante (Salvia di
Lucania, Potenza, 18 febbraio 1849 - Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910), è
stato un anarchico individualista italiano conosciuto che nel 1878 fu autore di
un attentato fallito contro la vita di re Umberto I. L'atto
di Passannante giunge a breve distanza dai tentativi insurrezionali di Bologna e del Matese, in un'Italia
da poco unificata e attraversata da un'infinità di contraddizioni (una solida
minoranza di privilegiati e la maggioranza di cittadini costretti a vivere in
enormi difficoltà quotidiane), una monarchia non molto amata, e un governo che
rappresenta i soli interessi delle classi dirigenti. Condannato a morte,
la pena gli fu poi commutata in ergastolo che scontò in manicomio, dove passò
il resto della sua vita. Al suo paese d'origine, in segno di penitenza, venne
imposto il cambio del nome in Savoia di Lucania in onore della famiglia reale.
[18] La
seconda guerra dello Schleswig o guerra tedesco-danese, oppure guerra di
successione dello Schleswig-Holstein o guerra dei Ducati (1
febbraio 1864 – 30 ottobre 1864), è stato un conflitto armato svoltosi nel 1864
che vide contrapposti la Confederazione germanica e il Regno di Danimarca.
[19] La battaglia di Mentana fu uno
scontro a fuoco avvenuto presso la cittadina di Mentana, nel Lazio, vicino a
Monterotondo. L'evento bellico si svolse il 3 novembre 1867, quando le truppe
pontificie (coadiuvate da un battaglione francese) si scontrarono con i
volontari di Giuseppe
Garibaldi, diretti a Tivoli per sciogliere la Legione essendo fallita la
presa di Roma per la mancata insurrezione dei romani.
[20] François Achille Bazaine
(Versailles, 13 febbraio 1811 – Madrid, 23 settembre 1888) è stato un generale
francese, maresciallo di Francia dal 1864. Allo scoppio della Guerra
franco-prussiana il maresciallo Bazaine fu posto al comando del III Corpo d'armata dell'Armata del Reno. Prese parte alle prime battaglie,
ma Napoleone III ben presto gli affidò il comando
dell'intera armata.
[21] Nella regione del
Grand Est ed è il capoluogo del dipartimento della Mosella.
[22] Nel dipartimento delle
Ardenne, nella regione del Grand Est.