martedì 1 ottobre 2019

04-18-13 - La chiesa di Saint-Ambroise

CHIESA DI SAINT-AMBROISE

  


La chiesa di Saint-Ambroise è situata nell'11° arrondissement. Da lei prende il nome il quartiere Saint-Ambroise in cui la chiesa si trova.

Nel 1656, venne costruita a cura delle monache dell'Ordine della Vergine Maria, che risiedevano dal 1639 in rue Popincourt, una cappella nell'area della piazza antistante l'attuale chiesa di Saint-Ambroise; il piccolo luogo di culto, dedicato a Notre-Dame de la Procession, dopo la rivoluzione francese, nel 1802 divenne una chiesa sussidiaria della parrocchia di Santa Margherita e venne restaurato e ampliato su progetto di Étienne-Hippolyte Godde nel 1818.

Il 24 gennaio 1863, il Consiglio di Stato deliberò la costruzione di una nuova e più grande chiesa; individuata una collocazione adatta nell'area alla sinistra dell'edificio secentesco, lungo il boulevard du Prince-Eugène (oggi boulevard Voltaire), la costruzione iniziò lo stesso anno su progetto di Théodore Ballu e terminò nel 1869. La chiesa venne aperta definitivamente al culto l'11 novembre dopo che era stata utilizzata per le celebrazioni della settimana santa; nel medesimo anno, Notre-Dame de la Procession venne demolita. La chiesa di Saint-Ambroise venne consacrata soltanto il 7 dicembre 1910 dal cardinale arcivescovo metropolita di Parigi Léon-Adolphe Amette.

Durante la Comune del 1871, pur rimanendo utilizzata per il culto cattolico, la chiesa divenne sede del club ambroise detto club des prolétaires di cui facevano parte anche delle donne ed alcune di loro erano anche delle seguite oratrici. Questo club pubblicava il giornale «Le prolétaire».

Dal 23 maggio 1871, divenne una polveriera:con la complicità del parroco dell'epoca, alcuni Comunardi vi nascosero delle armi e munizioni.

Il 2 giugno 1978, la chiesa venne dichiarata monumento storico di Francia.

Il 18 marzo1996 la chiesa fu occupata da circa 300 immigrati africani che chiedevano la regolarizzazione[1] (data fatidica). Il parroco richiese l'evacuazione dei locali. Le forze dell'ordine evacuarono la chiesa nelle prime ore del 22 marzo. La forte copertura mediatica di questa occupazione e l'espulsione che ne seguì è all'origine del «mouvement des sans-papiers, movimento di migranti privi di documenti». Queste sono le stesse persone, che occuparono successivamente la chiesa di Saint-Bernard.



Evacuazione dei sans papiers

[1] Ci scusiamo in anticipo se ci dilunghiamo con questa nota, ma lo facciamo per rendere omaggio alla lotta dei sans papiers.

18 marzo - 23 agosto 1996: la Francia fu attraversata da un nuovo scossone sociale del tutto inatteso. La questione immigrazione, per anni oggetto di legislazioni sempre più restrittive, diventò protagonista in carne ed ossa, attraverso la mobilitazione dei sans papiers, i senza documenti, immigrati africani diventati clandestini grazie alle leggi Pasqua dopo anni di soggiorno legale in Francia. costrinsero la società a schierarsi e a spaccarsi trasversalmente tra chi difendeva i diritti di cittadinanza di tutti e chi voleva chiudere le frontiere e le proprie coscienze. Costrinsero lo Stato a mostrare la sua faccia violenta, svelando l'ipocrisia del suo impianto legislativo.

Dentro la chiesa durante l'occupazione 

Sei mesi di lotta che determinarono uno spartiacque tra un prima e un dopo. Perché un altro soggetto sociale prese la parola. La lotta dei sans papiers di Saint-Ambroise (poi in quella di Saint-Bernard), immigrati irregolari che in Francia dal 18 marzo (guarda caso anniversario della Comune di Parigi) hanno deciso di uscire dalla clandestinità per assumere una visibilità assumendo una dimensione pubblica, è stata una lotta esemplare per molti versi. Innanzitutto è stata una lotta autonoma, completamente auto organizzata, rincorsa a posteriori dalle associazioni umanitarie, religiose e del volontariato, dai vari gruppi che difendono i diritti civili. In questo modo questa lotta ha aperto tensioni e lacerazioni proprio per il suo carattere dirompente, per l'efficacia di quel gesto, l'occupazione di chiese nel pieno cuore di Parigi da parte di circa quattrocento africani, tra i quali centosedici bambini. Una lotta che rivendicò il diritto all'esistenza legale, ad una vita dignitosa e non sotterranea, che sfidò la paura e l'arroganza del potere e per questa sfida era pronta a pagare anche caro. Fu una lotta esemplare per la sua estensione, per la determinazione nel rimanere uniti, nella consapevolezza che solo una mobilitazione unitaria e collettiva può aprire spazi di libertà, che non sono permesse scorciatoie individuali. Fu una lotta ad alta densità mediatica che ruppe uno squarcio di luce nel tetro clima determinato da un governo di destra che giocava la carta della criminalizzazione dell'immigrato per coprire il degrado sociale che le politiche neoliberiste (giscardiane o socialiste) lasciavano alle proprie spalle.

Una manifestazione di solidarietà

La Francia ha una lunga storia che la lega ai suoi immigrati e un rapporto del tutto particolare con questi: tradizionalmente terra d'asilo, un passato coloniale che pesa ancora oggi, un legame stretto con l'Algeria, un'immigrazione di seconda generazione, una destra che ha fatto dell'identità nazionale, della francesità, una battaglia politica. E ancora basta ricordare la Marche pour l'égalité et contre le racisme del 1983 che seguivano due anni di rivolte nelle banlieues, le periferie urbane degradate delle metropoli francesi, l'esproprio mediatico dell'autonomia di queste lotte attraverso lo sviluppo di SOS Racisme, un'organizzazione spettacolare controllata dai partiti che si muove a suon di megaconcerti e che riesce a dislocare una lotta per l'égalité des droits su un piano di un antirazzismo puramente morale. La rivolta nelle periferie guidate dai beurs costellarono gli anni '80 e '90 fino alla rivolta del marzo 1994 contro i salari d'ingresso (il CIP) voluto dal governo Balladur. E ancora il piano Vigipirate contro il terrorismo di marca islamica e il panico che si diffuse nelle città francesi nell'estate del 1995 preparò una nuova ondata di leggi anti immigrati, peggiorative di quelle leggi Pasqua, che presero il nome dal famigerato ministro degli interni del governo di destra, che già minavano il dettato costituzionale. Leggi e decreti che nacquero da un bisogno interno di individuare un caprio espiatorio per le crisi sociali e la delegittimazione politica dei governi che si succedono, e per adeguare il proprio armamentario legislativo all'appuntamento dell'Europa di Schengen, gli accordi del 1990 che determinano i vincoli della costruzione della "fortezza Europa", un'entità sovranazionale con frontiere aperte all'interno ma chiuse all'esterno.

«Con umanità e cuore ...»

la prima pagina di Liberation

il giorno dopo l'evacuazione, il 24 agosto 1996.

La lotta dei sans papiers di Saint-Bernard nasce da questo groviglio e contro tutto questo. Contro l'arroganza di leggi che non rinnovano un permesso di soggiorno a genitori con figli che hanno la nazionalità francese, leggi discriminatorie, ingiuste, incivili. Leggi che cercano di arrestare il flusso della vita bloccando la libera circolazione delle persone. Ma il significato della lotta dei sans papiers va oltre . Un nuovo paradigma si apre con l'apparire di un nuovo soggetto frutto della dialettica inclusione/esclusione che domina la società di oggi: il soggetto dei "senza", i senza documenti, i senza fissa dimora, i senza lavoro, i senza assistenza. I sans papiers sono diventati il simbolo di tutto questo, dei soggetti che non si riconoscono per l'appartenenza ad un settore produttivo, a un luogo, o perché hanno in comune competenze o comportamenti, ma che legano la produzione della propria identità sulla mancanza di qualcosa, sull'essere "sans". E per noi, quell'essere senza ci regala il sogno di una speranza. La speranza che arrivi il giorno in cui si possa vivere senza documenti, senza lavoro, senza miseria, un giorno in cui Stato e mercato inizino a invertire la loro corsa, per ritirarsi fino a sparire dalle nostre vite.