LA
COMUNE
Già il successivo 19
marzo il Comitato
Centrale si qualificò «nuovo governo della Repubblica»; con un proclama
indisse le elezioni comunali per il 22
marzo e stabilì i primi provvedimenti di urgenza: libertà di stampa, scarcerazione
immediata di tutti i detenuti politici, abolizione dei Consigli di guerra (i
tribunali militari), proroga di un mese per le scadenze dei pagamenti, divieto
di sfratto, abolizione della prefettura di polizia e dell'esercito permanente,
mantenimento dell'ordine affidato alla Guardia
Nazionale e stabilì l'armamento di tutto il popolo: «non possono essere
costituite a Parigi o esservi introdotte altre forze armate oltre la Guardia
Nazionale [...] tutti i cittadini validi fanno parte
della Guardia
Nazionale». Il Comitato
prese possesso dei vari organismi politici e amministrativi, nominando Eugène
Varlin e François
Jourde alle Finanze, Antoine
Arnaud, Victor
Grêlier ed Edouard
Vaillant agli Interni, Èmile
Eudes alla Guerra, Lucien
Combatz alle Poste, Èmile
Duval e Raoul
Rigault alla prefettura, Edouard
Moreau al Poligrafico dello Stato, mentre Adolphe
Assi assunse l'incarico di comandante militare dell'Hôtel
de Ville.
Per evitare la bancarotta
della città, il Comitato
accettò un prestito di mezzo milione di franchi dal banchiere Rothschild e di
due milioni dalla Banca di Francia, le chiavi delle cui casseforti furono
portate a Versailles.
Commettendo un grave errore, il Comitato
Centrale non prese possesso della Banca di Francia, non rendendosi conto
che essa non era istituzione autonoma, ma era al servizio del governo.
Probabilmente, se vogliamo tornare a quanto detto da Marx,
un altro errore commesso in quei giorni fu quello di non attaccare
immediatamente Versailles,
mettendo in fuga il governo e l'Assemblea nazionale, permettendogli di
guadagnare così nuove adesioni nelle forze armate e nella provincia. Un errore
causato dall'illusione di poter trattare con il governo di Thiers,
illusione presente in seno ad una parte del Comitato
e ai sindaci degli arrondissement:
a parte coloro che erano in malafede, gli altri erano borghesi che in una
situazione rivoluzionaria ritenevano di poter ragionare secondo i principi di
una «legalità» che era di fatto contro-rivoluzionaria.
Del resto, l'ipotesi di
trattative venne respinta dallo stesso governo di Versailles,
che intanto raccoglieva nuove truppe contro Parigi, mentre i reazionari di
Parigi scendevano armati in piazza il 21
marzo: ci furono decine di morti, che indussero il Comitato
a rinviare le elezioni
al 26
marzo e ad incorporare nella Guardia
le residue forze armate regolari presenti a Parigi.
Lo stesso 21
marzo, con le poche truppe fedeli a
disposizione, Thiers
fece occupare l'altura del Mont Valérien che domina Parigi da una posizione
chiave. Tra guardie nazionali, corpi franchi e volontari, gli armati di Parigi
assommavano a circa 300.000 uomini dei quali, però, solo alcune decine di migliaia
avevano la voglia e la capacità di combattere. Posto al bando il militarismo e il
sistema degli eserciti permanenti, la Guardia
Nazionale elesse i- suoi ufficiali, col risultato che i
comandanti inesperti, indulgenti all'indisciplina, vennero spesso preferiti ai
comandanti di polso. Militarmente, la presa del Mont Valérien da parte dei
versagliesi non suscitò quindi alcuna reazione.
Il Comitato
Centrale continuò a fronteggiare Thiers
con manifesti e dichiarazioni di principio, una delle quali suonava così: «I proletari della capitale, tra
le manchevolezze e i tradimenti delle classi governative, hanno capito che è
giunta l'ora di salvare la situazione prendendo in mano la direzione degli
affari pubblici... I lavoratori, che producono tutto e non godono di nulla, che
soffrono per la miseria in mezzo ai prodotti accumulati, frutto del loro lavoro
e del loro sudore, dovranno essere incessantemente fatti segno all'oltraggio?
La borghesia, loro sorella maggiore, che ha raggiunto la propria emancipazione...
che li ha preceduti sulla strada della rivoluzione, non capisce che oggi è
arrivato il turno dell'emancipazione del proletariato?».
Ci
volevano altro che le parole per smuovere il signor Thiers:
In un primo tempo, questi sperava che i parigini dei quartieri borghesi
impugnassero le armi contro i popolani, che le «redingotes (soprabiti)» si opponessero alle «blouses (camici)» (terminologia di allora per distinguere i borghesi
dagli operai) ma quando uno scontro a fuoco,
il 22
marzo, si risolse in una scaramuccia di poco conto,
Thiers
decise una volta per tutte di affidarsi ad altre forze.
Proclamazione della Comune
Il 23
marzo i membri parigini dell'Internazionale
enunciarono in un manifesto le riforme sociali da attuare: eliminare
l'antagonismo delle classi e di assicurare l'uguaglianza sociale attraverso
l'organizzazione del credito, dello scambio e della società, al fine di
assicurare al lavoratore il frutto completo del loro lavoro; l'istruzione
gratuita, laica e integrale; il diritto di riunione e di associazione; libertà
assoluta di stampa e del cittadino; l'organizzazione per ogni municipio di un
servizio di polizia, di forze armate, di strutture igieniche, di dati
statistici. Analoghe vaghe formulazioni erano contenute in un appello del Comitato
centrale dei venti arrondissement, firmato da Arnaud
e Vaillant,
in cui si diceva che «la Repubblica doveva instaurare l'armonia degli interessi
e non sacrificare gli uni per gli altri», e si proponeva l'organizzazione di un
sistema creditizio che prima liberasse l'operaio dalla povertà e poi lo
portasse rapidamente alla liberazione.
Il Comitato
Centrale, intanto, indisse le elezioni
municipali per domenica
26 marzo, allo scopo di sanzionare legalmente il nuovo statuto
amministrativo di Parigi e, per estensione, di tutta la Francia. Poi trasmise i
poteri militari a tre generali di tendenza blanquista[1]. Brunel,
Eudes
e Duval
(quest’ultimo operaio delle fonderie, addestrato alla guerriglia
urbana), in attesa dell'arrivo di Garibaldi,
nominato per acclamazione comandante in capo della Guardia
Nazionale. Malandato in salute, Garibaldi
era a Caprera e declinerà l'incarico con una lettera.
Le elezioni
si svolsero senza incidenti e, il 28
marzo, i nomi dei 93
eletti complessivamente dai venti arrondissement
vennero resi noti in place Hôtel
de Ville.
Due membri del Comitato
Centrale della Guardia Nazionale
parlarono dal palco eretto di fronte al municipio. Léopold
Boursier lesse la lista degli eletti, di fronte a 200.000 parigini che
cantavano la Marsigliese, e Gabriel
Ranvier annunciò che «la Comune è proclamata in nome del popolo»;
dichiarò che il Comitato
Centrale trasferiva da quel momento i suoi poteri al Consiglio
della Comune, il solo potere riconosciuto.
“Verso le tre dopo mezzodì più di 60 mila
guardie nazionali
erano sotto le armi e sfilavano fieramente e dignitosamente,
con ordine ammirabile, nelle strade e sui baluardi, che menano all’Hôtel
de Ville; sfilavano al suono strepitoso delle trombe e dei tamburi.
I battaglioni dei sobborghi avevano un aspetto marziale austero. Si sarebbe detto che il lastrico trasaliva sotto i loro
passi. Le loro bandiere erano
sormontate da un berretto frigio, simbolo d’indipendenza e di libertà, e
le loro baionette avevano una frangia rossa in ricordo del sangue versato dal
popolo per la sua emancipazione (Andrea Costa: Il 18 marzo e la Comune di Parigi).
Da quel momento, quindi, il Comitato
Centrale trasferì le sue prerogative nelle mani degli eletti,
che costituivano il Consiglio
della Comune, e tornò a occuparsi dell'organizzazione della Guardia
Nazionale.
Ecco la dichiarazione fatta
alla prima seduta della Comune:
Cittadini,
La nostra Comune è costituita.
Il voto del 26 Marzo sanziona la
repubblica vittoriosa.
Un potere vigliaccamente oppressore vi
aveva preso alla gola: voi dovevate, nella vostra legittima difesa, respingere
questo governo che voleva disonorarvi imponendovi un re.
Oggi, i delinquenti, che voi non avete
voluto nemmeno perseguitare abusano della vostra magnanimità per organizzare
alle porte della città un focolare di cospirazione monarchica. Invocano la
guerra civile, mettendo in opera tutte le corruzioni; accettando tutte le
complicità osando mendicare persino l'appoggio dello straniero.
Noi ci appelliamo contro questi
raggiri al giudizio della Francia e del mondo.
Cittadini,
Voi ci avete dato delle istruzioni che
sfidano tutti i tentativi.
Voi siete padroni del vostro destino.
Forte del vostro appoggio, la rappresentanza che avete eletta riparerà ai disastri
causati dal potere caduto: l'industria compromessa, il lavoro sospeso, i
trattati di commercio paralizzati, stanno ora per riavere nuovo vigoroso
impulso.
Fin da oggi è stabilita l'attesa
deliberazione sugli affitti;
Domani avrete quella sulle scadenze;
Tutti i servizi pubblici ristabiliti e
riformati;
La Guardia Nazionale, sarà d’ora in
poi la sola forza armata della città, riorganizzata senza indugio.
Questi saranno i nostri primi atti.
Gli eletti del Popolo altro non
domandano, per il trionfo della repubblica, che di essere sostenuti dalla
vostra fiducia.
Quanto ad essi, faranno il proprio
dovere.
Aggiunge Louise
Michel: “Fecero infatti il loro dovere, occupandosi di tutto
quanto poteva assicurare la vita della folla, ma la prima sicurezza avrebbe
dovuto essere quella di vincere la reazione”.
Poiché la Comune era stata
proclamata anche a Lione,
a Marsiglia,
a Tolosa,
a Saint-Étienne,
a Limoges
e a Narbonne,
la Comune di Parigi, «unita alle altre libere Comuni della Francia», avrebbe
discusso «i punti fondamentali del patto che dovrà legarle al resto della
nazione», dovendo rimanere assicurati i diritti e l'autonomia di ciascuna
città. L'idea era quella di una nazione di città federate, ognuna delle quali
amministrata, senza alcuna ingerenza del governo centrale e dell'Assemblea
nazionale, da un'assemblea «che si chiamerà municipale o comunale o Comune»
nella quale avrebbero operato le varie commissioni per le finanze, il lavoro,
l'istruzione, l'ordine pubblico e così via, essendo tutti i membri del
consiglio revocabili e dovendo «rendere conto delle loro azioni ed essere
completamente responsabili» di fronte alla popolazione.
Ma le Comuni delle altre città
durarono poco, la pronta reazione della
polizia e di reparti dell'esercito regolare ristabilirono l'”ordine”. Il
binomio borghesia-ceti rurali tenne saldamente in pugno il resto della Francia:
Parigi rimase sola nella sua lotta contro il potere tradizionale.
La dichiarazione della Comune 29
marzo 1871
Tra gli eletti al Consiglio vi
erano naturalmente anche una ventina di borghesi benestanti e liberi
professionisti, persone politicamente moderate (tra le quali coloro che avevano
cercato la «conciliazione» con il governo di Versailles)
e persino reazionarie: non accettando il prevalente indirizzo politico
scaturito dalle elezioni, si dimisero tutti spontaneamente e furono rimpiazzati
in una successiva elezione tenutasi il 16
aprile. La grande maggioranza dei membri del Consiglio era così formata da
piccoli borghesi, «impiegati contabili, medici, maestri di scuola, uomini di
legge, pubblicisti», mentre 25 erano operai e artigiani, una minoranza, ma pur
sempre un numero impensabile in una elezione di un qualunque paese a democrazia
borghese.
Il Consiglio
era formato da: una dozzina di blanquisti[1]
(mancava però il vecchio Blanqui
il quale, fatto arrestare il 17 marzo dal governo di Thiers,
era detenuto nella fortezza di Taureau, a Morlaix, nella lontana Bretagna); un
altro gruppo era formato da neo-giacobini, ossia repubblicani
socialisteggianti; la frazione più consistente del Consiglio
era formata da «radicali» o «rivoluzionari indipendenti», come essi stessi si
definivano. La minoranza era formata da proudhoniani[2]
e da socialisti internazionalisti.
I primi concepivano la Comune di Parigi come una delle tante Comuni che
avrebbero dovuto costituirsi in tutta la Francia e poi unirsi in una
federazione, tendevano allo spontaneismo, diffidavano dell'organizzazione e
«negavano allo Stato, anche se di tipo nuovo, il diritto di intervenire nei
problemi sociali». I secondi, una piccola frazione, erano vicini al marxismo.
Tra i membri
del Consiglio vi era un suddito austriaco, l'ungherese Leó
Frankel. A questo proposito la Comune, nell'adottare la bandiera
rossa e nel sancire l'eleggibilità dei cittadini stranieri e il loro
diritto di assumere incarichi di responsabilità politica, dichiarò che “la
bandiera della Comune era la bandiera della Repubblica mondiale” e
l'appellativo di membro della Comune “era un segno di fiducia più importante
dell'appellativo di cittadino”.
Il programma della Comune fu
pubblicato in una Dichiarazione al popolo francese, che uscì il 19
di aprile. Dopo aver detto che Parigi richiedeva il
riconoscimento e il consolidamento della repubblica, ma della repubblica come
il popolo la intendeva, non come l’accettava la borghesia, la dichiarazione
continuava così:
Parigi vuole:
L’autonomia assoluta del Comune estesa
a tutte le località della Francia, autonomia che assicuri a ciascuno
l’interezza dei suoi diritti e ad ogni Francese il pieno esercizio delle sue
facoltà e delle sue attitudini come uomo, come cittadino, come lavoratore.
L’autonomia del Comune non avrà per
limite che il diritto d’autonomia eguale per tutti gli altri Comuni aderenti al
contratto, l’associazione dei quali deve assicurare l’unità francese.
I diritti del Comune sono:
Il voto del bilancio comunale, entrate
e spese, la fissazione e la ripartizione delle tasse, la direzione dei servizi
locali, l’organizzazione della sua magistratura, della polizia interna e
dell’insegnamento, l’amministrazione dei beni appartenenti al Comune.
La scelta, per elezione o per concorso, con la responsabilità e il
diritto permanente di controllo e di revoca, dei magistrati ed ufficiali
comunali d’ogni ordine.
La garanzia assoluta della libertà
individuale, della libertà di coscienza e la libertà del lavoro.
L’intervento permanente dei cittadini
negli affari comunali mediante la libera manifestazione delle loro idee, la
libera difesa dei loro interessi, garantite, tali manifestazioni e difese,
dalla Comune, sola incaricata di sorvegliare e d’assicurare il libero e giusto
esercizio del diritto di riunione e di pubblicità.
L’organizzazione della difesa della
città, nonché l’organizzazione della Guardia Nazionale, che elegge i suoi capi
e veglia essa sola al mantenimento dell’ordine nella città.
Parigi non vuole altre garanzie
locali, a condizione, ben inteso, di trovare nella grande amministrazione
centrale (rappresentanza dei Comuni confederati) l’attuazione e la pratica
degli stessi principi.
A favore della sua autonomia, e
approfittando della sua libertà d’azione, Parigi si riserba di operare, come
esso vorrà, in casa sua, le riforme amministrative ed economiche, che reclama
la sua popolazione, di creare delle istituzioni proprie a svolgere e a
propagare la istruzione, la produzione, il cambio, il credito; a rendere di
tutti il potere e la proprietà secondo la necessità del momento, il voto degli
interessati e i suggerimenti dell’esperienza.
I nostri nemici s’ingannano, o
ingannano il paese, quando accusano Parigi di voler imporre la sua volontà o la
sua supremazia sul resto della nazione e di attentare alla sovranità ed alla
indipendenza degli altri Comuni.
Essi s’ingannano od ingannano il paese
quando accusano Parigi di volere la distruzione dell’unità francese, unità
voluta dalla rivoluzione.
L’unità politica, come la vuole
Parigi, è l’associazione volontaria di tutte le iniziative locali, il concorso
spontaneo e libero di tutte le energie individuali in vista di un bene comune:
il benessere, la libertà, la sicurezza di tutti.
La rivoluzione comunale, cominciata
dall’iniziativa popolare del 18 di marzo, segna la fine del vecchio mondo
governativo e clericale, del militarismo, della burocrazia, dello sfruttamento,
dell’usura, dei monopoli, dei privilegi, a cui le classi che lavorano, a cui i
proletari, devono la loro servitù, e la patria le sue sventure e i suoi
disastri.
Noi abbiamo la missione, conchiudeva
la Comune, di compiere la rivoluzione moderna, la più larga e la più feconda di
tutte quelle che illuminarono la storia.
Noi abbiamo il dovere di lottare e di
vincere.
[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e
attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta,
del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria
combattiva. Deve il suo nome allo
scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[2] Per proudhoniani s’intendono
definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph
Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti
studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì
socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società
libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i
problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi
basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il
controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non
del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli
insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.
Già il successivo 19
marzo il Comitato
Centrale si qualificò «nuovo governo della Repubblica»; con un proclama
indisse le elezioni comunali per il 22
marzo e stabilì i primi provvedimenti di urgenza: libertà di stampa, scarcerazione
immediata di tutti i detenuti politici, abolizione dei Consigli di guerra (i
tribunali militari), proroga di un mese per le scadenze dei pagamenti, divieto
di sfratto, abolizione della prefettura di polizia e dell'esercito permanente,
mantenimento dell'ordine affidato alla Guardia
Nazionale e stabilì l'armamento di tutto il popolo: «non possono essere
costituite a Parigi o esservi introdotte altre forze armate oltre la Guardia
Nazionale [...] tutti i cittadini validi fanno parte
della Guardia
Nazionale». Il Comitato
prese possesso dei vari organismi politici e amministrativi, nominando Eugène
Varlin e François
Jourde alle Finanze, Antoine
Arnaud, Victor
Grêlier ed Edouard
Vaillant agli Interni, Èmile
Eudes alla Guerra, Lucien
Combatz alle Poste, Èmile
Duval e Raoul
Rigault alla prefettura, Edouard
Moreau al Poligrafico dello Stato, mentre Adolphe
Assi assunse l'incarico di comandante militare dell'Hôtel
de Ville.
Per evitare la bancarotta
della città, il Comitato
accettò un prestito di mezzo milione di franchi dal banchiere Rothschild e di
due milioni dalla Banca di Francia, le chiavi delle cui casseforti furono
portate a Versailles.
Commettendo un grave errore, il Comitato
Centrale non prese possesso della Banca di Francia, non rendendosi conto
che essa non era istituzione autonoma, ma era al servizio del governo.
Probabilmente, se vogliamo tornare a quanto detto da Marx,
un altro errore commesso in quei giorni fu quello di non attaccare
immediatamente Versailles,
mettendo in fuga il governo e l'Assemblea nazionale, permettendogli di
guadagnare così nuove adesioni nelle forze armate e nella provincia. Un errore
causato dall'illusione di poter trattare con il governo di Thiers,
illusione presente in seno ad una parte del Comitato
e ai sindaci degli arrondissement:
a parte coloro che erano in malafede, gli altri erano borghesi che in una
situazione rivoluzionaria ritenevano di poter ragionare secondo i principi di
una «legalità» che era di fatto contro-rivoluzionaria.
Del resto, l'ipotesi di
trattative venne respinta dallo stesso governo di Versailles,
che intanto raccoglieva nuove truppe contro Parigi, mentre i reazionari di
Parigi scendevano armati in piazza il 21
marzo: ci furono decine di morti, che indussero il Comitato
a rinviare le elezioni
al 26
marzo e ad incorporare nella Guardia
le residue forze armate regolari presenti a Parigi.
Lo stesso 21
marzo, con le poche truppe fedeli a
disposizione, Thiers
fece occupare l'altura del Mont Valérien che domina Parigi da una posizione
chiave. Tra guardie nazionali, corpi franchi e volontari, gli armati di Parigi
assommavano a circa 300.000 uomini dei quali, però, solo alcune decine di migliaia
avevano la voglia e la capacità di combattere. Posto al bando il militarismo e il
sistema degli eserciti permanenti, la Guardia
Nazionale elesse i- suoi ufficiali, col risultato che i
comandanti inesperti, indulgenti all'indisciplina, vennero spesso preferiti ai
comandanti di polso. Militarmente, la presa del Mont Valérien da parte dei
versagliesi non suscitò quindi alcuna reazione.
Il Comitato
Centrale continuò a fronteggiare Thiers
con manifesti e dichiarazioni di principio, una delle quali suonava così: «I proletari della capitale, tra
le manchevolezze e i tradimenti delle classi governative, hanno capito che è
giunta l'ora di salvare la situazione prendendo in mano la direzione degli
affari pubblici... I lavoratori, che producono tutto e non godono di nulla, che
soffrono per la miseria in mezzo ai prodotti accumulati, frutto del loro lavoro
e del loro sudore, dovranno essere incessantemente fatti segno all'oltraggio?
La borghesia, loro sorella maggiore, che ha raggiunto la propria emancipazione...
che li ha preceduti sulla strada della rivoluzione, non capisce che oggi è
arrivato il turno dell'emancipazione del proletariato?».
Ci
volevano altro che le parole per smuovere il signor Thiers:
In un primo tempo, questi sperava che i parigini dei quartieri borghesi
impugnassero le armi contro i popolani, che le «redingotes (soprabiti)» si opponessero alle «blouses (camici)» (terminologia di allora per distinguere i borghesi
dagli operai) ma quando uno scontro a fuoco,
il 22
marzo, si risolse in una scaramuccia di poco conto,
Thiers
decise una volta per tutte di affidarsi ad altre forze.
Proclamazione della Comune |
Il Comitato
Centrale, intanto, indisse le elezioni
municipali per domenica
26 marzo, allo scopo di sanzionare legalmente il nuovo statuto
amministrativo di Parigi e, per estensione, di tutta la Francia. Poi trasmise i
poteri militari a tre generali di tendenza blanquista[1]. Brunel,
Eudes
e Duval
(quest’ultimo operaio delle fonderie, addestrato alla guerriglia
urbana), in attesa dell'arrivo di Garibaldi,
nominato per acclamazione comandante in capo della Guardia
Nazionale. Malandato in salute, Garibaldi
era a Caprera e declinerà l'incarico con una lettera.
Le elezioni
si svolsero senza incidenti e, il 28
marzo, i nomi dei 93
eletti complessivamente dai venti arrondissement
vennero resi noti in place Hôtel
de Ville.
Due membri del Comitato
Centrale della Guardia Nazionale
parlarono dal palco eretto di fronte al municipio. Léopold
Boursier lesse la lista degli eletti, di fronte a 200.000 parigini che
cantavano la Marsigliese, e Gabriel
Ranvier annunciò che «la Comune è proclamata in nome del popolo»;
dichiarò che il Comitato
Centrale trasferiva da quel momento i suoi poteri al Consiglio
della Comune, il solo potere riconosciuto.
“Verso le tre dopo mezzodì più di 60 mila
guardie nazionali
erano sotto le armi e sfilavano fieramente e dignitosamente,
con ordine ammirabile, nelle strade e sui baluardi, che menano all’Hôtel
de Ville; sfilavano al suono strepitoso delle trombe e dei tamburi.
I battaglioni dei sobborghi avevano un aspetto marziale austero. Si sarebbe detto che il lastrico trasaliva sotto i loro
passi. Le loro bandiere erano
sormontate da un berretto frigio, simbolo d’indipendenza e di libertà, e
le loro baionette avevano una frangia rossa in ricordo del sangue versato dal
popolo per la sua emancipazione (Andrea Costa: Il 18 marzo e la Comune di Parigi).
Da quel momento, quindi, il Comitato
Centrale trasferì le sue prerogative nelle mani degli eletti,
che costituivano il Consiglio
della Comune, e tornò a occuparsi dell'organizzazione della Guardia
Nazionale.
Ecco la dichiarazione fatta
alla prima seduta della Comune:
Cittadini,
La nostra Comune è costituita.
Il voto del 26 Marzo sanziona la
repubblica vittoriosa.
Un potere vigliaccamente oppressore vi
aveva preso alla gola: voi dovevate, nella vostra legittima difesa, respingere
questo governo che voleva disonorarvi imponendovi un re.
Oggi, i delinquenti, che voi non avete
voluto nemmeno perseguitare abusano della vostra magnanimità per organizzare
alle porte della città un focolare di cospirazione monarchica. Invocano la
guerra civile, mettendo in opera tutte le corruzioni; accettando tutte le
complicità osando mendicare persino l'appoggio dello straniero.
Noi ci appelliamo contro questi
raggiri al giudizio della Francia e del mondo.
Cittadini,
Voi ci avete dato delle istruzioni che
sfidano tutti i tentativi.
Voi siete padroni del vostro destino.
Forte del vostro appoggio, la rappresentanza che avete eletta riparerà ai disastri
causati dal potere caduto: l'industria compromessa, il lavoro sospeso, i
trattati di commercio paralizzati, stanno ora per riavere nuovo vigoroso
impulso.
Fin da oggi è stabilita l'attesa
deliberazione sugli affitti;
Domani avrete quella sulle scadenze;
Tutti i servizi pubblici ristabiliti e
riformati;
La Guardia Nazionale, sarà d’ora in
poi la sola forza armata della città, riorganizzata senza indugio.
Questi saranno i nostri primi atti.
Gli eletti del Popolo altro non
domandano, per il trionfo della repubblica, che di essere sostenuti dalla
vostra fiducia.
Quanto ad essi, faranno il proprio
dovere.
Aggiunge Louise
Michel: “Fecero infatti il loro dovere, occupandosi di tutto
quanto poteva assicurare la vita della folla, ma la prima sicurezza avrebbe
dovuto essere quella di vincere la reazione”.
Poiché la Comune era stata
proclamata anche a Lione,
a Marsiglia,
a Tolosa,
a Saint-Étienne,
a Limoges
e a Narbonne,
la Comune di Parigi, «unita alle altre libere Comuni della Francia», avrebbe
discusso «i punti fondamentali del patto che dovrà legarle al resto della
nazione», dovendo rimanere assicurati i diritti e l'autonomia di ciascuna
città. L'idea era quella di una nazione di città federate, ognuna delle quali
amministrata, senza alcuna ingerenza del governo centrale e dell'Assemblea
nazionale, da un'assemblea «che si chiamerà municipale o comunale o Comune»
nella quale avrebbero operato le varie commissioni per le finanze, il lavoro,
l'istruzione, l'ordine pubblico e così via, essendo tutti i membri del
consiglio revocabili e dovendo «rendere conto delle loro azioni ed essere
completamente responsabili» di fronte alla popolazione.
Ma le Comuni delle altre città
durarono poco, la pronta reazione della
polizia e di reparti dell'esercito regolare ristabilirono l'”ordine”. Il
binomio borghesia-ceti rurali tenne saldamente in pugno il resto della Francia:
Parigi rimase sola nella sua lotta contro il potere tradizionale.
La dichiarazione della Comune 29
marzo 1871
Tra gli eletti al Consiglio vi
erano naturalmente anche una ventina di borghesi benestanti e liberi
professionisti, persone politicamente moderate (tra le quali coloro che avevano
cercato la «conciliazione» con il governo di Versailles)
e persino reazionarie: non accettando il prevalente indirizzo politico
scaturito dalle elezioni, si dimisero tutti spontaneamente e furono rimpiazzati
in una successiva elezione tenutasi il 16
aprile. La grande maggioranza dei membri del Consiglio era così formata da
piccoli borghesi, «impiegati contabili, medici, maestri di scuola, uomini di
legge, pubblicisti», mentre 25 erano operai e artigiani, una minoranza, ma pur
sempre un numero impensabile in una elezione di un qualunque paese a democrazia
borghese.
Il Consiglio
era formato da: una dozzina di blanquisti[1]
(mancava però il vecchio Blanqui
il quale, fatto arrestare il 17 marzo dal governo di Thiers,
era detenuto nella fortezza di Taureau, a Morlaix, nella lontana Bretagna); un
altro gruppo era formato da neo-giacobini, ossia repubblicani
socialisteggianti; la frazione più consistente del Consiglio
era formata da «radicali» o «rivoluzionari indipendenti», come essi stessi si
definivano. La minoranza era formata da proudhoniani[2]
e da socialisti internazionalisti.
I primi concepivano la Comune di Parigi come una delle tante Comuni che
avrebbero dovuto costituirsi in tutta la Francia e poi unirsi in una
federazione, tendevano allo spontaneismo, diffidavano dell'organizzazione e
«negavano allo Stato, anche se di tipo nuovo, il diritto di intervenire nei
problemi sociali». I secondi, una piccola frazione, erano vicini al marxismo.
Tra i membri
del Consiglio vi era un suddito austriaco, l'ungherese Leó
Frankel. A questo proposito la Comune, nell'adottare la bandiera
rossa e nel sancire l'eleggibilità dei cittadini stranieri e il loro
diritto di assumere incarichi di responsabilità politica, dichiarò che “la
bandiera della Comune era la bandiera della Repubblica mondiale” e
l'appellativo di membro della Comune “era un segno di fiducia più importante
dell'appellativo di cittadino”.
Il programma della Comune fu
pubblicato in una Dichiarazione al popolo francese, che uscì il 19
di aprile. Dopo aver detto che Parigi richiedeva il
riconoscimento e il consolidamento della repubblica, ma della repubblica come
il popolo la intendeva, non come l’accettava la borghesia, la dichiarazione
continuava così:
Parigi vuole:
L’autonomia assoluta del Comune estesa
a tutte le località della Francia, autonomia che assicuri a ciascuno
l’interezza dei suoi diritti e ad ogni Francese il pieno esercizio delle sue
facoltà e delle sue attitudini come uomo, come cittadino, come lavoratore.
L’autonomia del Comune non avrà per
limite che il diritto d’autonomia eguale per tutti gli altri Comuni aderenti al
contratto, l’associazione dei quali deve assicurare l’unità francese.
I diritti del Comune sono:
Il voto del bilancio comunale, entrate
e spese, la fissazione e la ripartizione delle tasse, la direzione dei servizi
locali, l’organizzazione della sua magistratura, della polizia interna e
dell’insegnamento, l’amministrazione dei beni appartenenti al Comune.
La scelta, per elezione o per concorso, con la responsabilità e il
diritto permanente di controllo e di revoca, dei magistrati ed ufficiali
comunali d’ogni ordine.
La garanzia assoluta della libertà
individuale, della libertà di coscienza e la libertà del lavoro.
L’intervento permanente dei cittadini
negli affari comunali mediante la libera manifestazione delle loro idee, la
libera difesa dei loro interessi, garantite, tali manifestazioni e difese,
dalla Comune, sola incaricata di sorvegliare e d’assicurare il libero e giusto
esercizio del diritto di riunione e di pubblicità.
L’organizzazione della difesa della
città, nonché l’organizzazione della Guardia Nazionale, che elegge i suoi capi
e veglia essa sola al mantenimento dell’ordine nella città.
Parigi non vuole altre garanzie
locali, a condizione, ben inteso, di trovare nella grande amministrazione
centrale (rappresentanza dei Comuni confederati) l’attuazione e la pratica
degli stessi principi.
A favore della sua autonomia, e
approfittando della sua libertà d’azione, Parigi si riserba di operare, come
esso vorrà, in casa sua, le riforme amministrative ed economiche, che reclama
la sua popolazione, di creare delle istituzioni proprie a svolgere e a
propagare la istruzione, la produzione, il cambio, il credito; a rendere di
tutti il potere e la proprietà secondo la necessità del momento, il voto degli
interessati e i suggerimenti dell’esperienza.
I nostri nemici s’ingannano, o
ingannano il paese, quando accusano Parigi di voler imporre la sua volontà o la
sua supremazia sul resto della nazione e di attentare alla sovranità ed alla
indipendenza degli altri Comuni.
Essi s’ingannano od ingannano il paese
quando accusano Parigi di volere la distruzione dell’unità francese, unità
voluta dalla rivoluzione.
L’unità politica, come la vuole
Parigi, è l’associazione volontaria di tutte le iniziative locali, il concorso
spontaneo e libero di tutte le energie individuali in vista di un bene comune:
il benessere, la libertà, la sicurezza di tutti.
La rivoluzione comunale, cominciata
dall’iniziativa popolare del 18 di marzo, segna la fine del vecchio mondo
governativo e clericale, del militarismo, della burocrazia, dello sfruttamento,
dell’usura, dei monopoli, dei privilegi, a cui le classi che lavorano, a cui i
proletari, devono la loro servitù, e la patria le sue sventure e i suoi
disastri.
Noi abbiamo la missione, conchiudeva
la Comune, di compiere la rivoluzione moderna, la più larga e la più feconda di
tutte quelle che illuminarono la storia.
Noi abbiamo il dovere di lottare e di
vincere.
[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e
attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta,
del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria
combattiva. Deve il suo nome allo
scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[2] Per proudhoniani s’intendono
definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph
Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti
studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì
socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società
libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i
problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi
basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il
controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non
del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli
insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.