giovedì 29 novembre 2018

02-02 - La Comune

LA COMUNE


Già il successivo 19 marzo il Comitato Centrale si qualificò «nuovo governo della Repubblica»; con un proclama indisse le elezioni comunali per il 22 marzo e stabilì i primi provvedimenti di urgenza: libertà di stampa, scarcerazione immediata di tutti i detenuti politici, abolizione dei Consigli di guerra (i tribunali militari), proroga di un mese per le scadenze dei pagamenti, divieto di sfratto, abolizione della prefettura di polizia e dell'esercito permanente, mantenimento dell'ordine affidato alla Guardia Nazionale e stabilì l'armamento di tutto il popolo: «non possono essere costituite a Parigi o esservi introdotte altre forze armate oltre la Guardia Nazionale [...] tutti i cittadini validi fanno parte della Guardia Nazionale». Il Comitato prese possesso dei vari organismi politici e amministrativi, nominando Eugène Varlin e François Jourde alle Finanze, Antoine Arnaud, Victor Grêlier ed Edouard Vaillant agli Interni, Èmile Eudes alla Guerra, Lucien Combatz alle Poste, Èmile Duval e Raoul Rigault alla prefettura, Edouard Moreau al Poligrafico dello Stato, mentre Adolphe Assi assunse l'incarico di comandante militare dell'Hôtel de Ville.
Per evitare la bancarotta della città, il Comitato accettò un prestito di mezzo milione di franchi dal banchiere Rothschild e di due milioni dalla Banca di Francia, le chiavi delle cui casseforti furono portate a Versailles. Commettendo un grave errore, il Comitato Centrale non prese possesso della Banca di Francia, non rendendosi conto che essa non era istituzione autonoma, ma era al servizio del governo. Probabilmente, se vogliamo tornare a quanto detto da Marx, un altro errore commesso in quei giorni fu quello di non attaccare immediatamente Versailles, mettendo in fuga il governo e l'Assemblea nazionale, permettendogli di guadagnare così nuove adesioni nelle forze armate e nella provincia. Un errore causato dall'illusione di poter trattare con il governo di Thiers, illusione presente in seno ad una parte del Comitato e ai sindaci degli arrondissement: a parte coloro che erano in malafede, gli altri erano borghesi che in una situazione rivoluzionaria ritenevano di poter ragionare secondo i principi di una «legalità» che era di fatto contro-rivoluzionaria.
Del resto, l'ipotesi di trattative venne respinta dallo stesso governo di Versailles, che intanto raccoglieva nuove truppe contro Parigi, mentre i reazionari di Parigi scendevano armati in piazza il 21 marzo: ci furono decine di morti, che indussero il Comitato a rinviare le elezioni al 26 marzo e ad incorporare nella Guardia le residue forze armate regolari presenti a Parigi.
Lo stesso 21 marzo, con le poche truppe fedeli a disposizione, Thiers fece occupare l'altura del Mont Valérien che domina Parigi da una posizione chiave. Tra guardie nazionali, corpi franchi e volontari, gli armati di Parigi assommavano a circa 300.000 uomini dei quali, però, solo alcune decine di migliaia avevano la voglia e la capacità di combattere. Posto al bando il militarismo e il sistema degli eserciti permanenti, la Guardia Nazionale elesse i- suoi ufficiali, col risultato che i comandanti inesperti, indulgenti all'indisciplina, vennero spesso preferiti ai comandanti di polso. Militarmente, la presa del Mont Valérien da parte dei versagliesi non suscitò quindi alcuna reazione.
Il Comitato Centrale continuò a fronteggiare Thiers con manifesti e dichiarazioni di principio, una delle quali suonava così: «I proletari della capitale, tra le manchevolezze e i tradimenti delle classi governative, hanno capito che è giunta l'ora di salvare la situazione prendendo in mano la direzione degli affari pubblici... I lavoratori, che producono tutto e non godono di nulla, che soffrono per la miseria in mezzo ai prodotti accumulati, frutto del loro lavoro e del loro sudore, dovranno essere incessantemente fatti segno all'oltraggio? La borghesia, loro sorella maggiore, che ha raggiunto la propria emancipazione... che li ha preceduti sulla strada della rivoluzione, non capisce che oggi è arrivato il turno dell'emancipazione del proletariato?».
Ci volevano altro che le parole per smuovere il signor Thiers: In un primo tempo, questi sperava che i parigini dei quartieri borghesi impugnassero le armi contro i popolani, che le «redingotes (soprabiti)» si opponessero alle «blouses (camici)» (terminologia di allora per distinguere i borghesi dagli operai) ma quando uno scontro a fuoco, il 22 marzo, si risolse in una scaramuccia di poco conto, Thiers decise una volta per tutte di affidarsi ad altre forze.
Proclamazione della Comune
Il 23 marzo i membri parigini dell'Internazionale enunciarono in un manifesto le riforme sociali da attuare: eliminare l'antagonismo delle classi e di assicurare l'uguaglianza sociale attraverso l'organizzazione del credito, dello scambio e della società, al fine di assicurare al lavoratore il frutto completo del loro lavoro; l'istruzione gratuita, laica e integrale; il diritto di riunione e di associazione; libertà assoluta di stampa e del cittadino; l'organizzazione per ogni municipio di un servizio di polizia, di forze armate, di strutture igieniche, di dati statistici. Analoghe vaghe formulazioni erano contenute in un appello del Comitato centrale dei venti arrondissement, firmato da Arnaud e Vaillant, in cui si diceva che «la Repubblica doveva instaurare l'armonia degli interessi e non sacrificare gli uni per gli altri», e si proponeva l'organizzazione di un sistema creditizio che prima liberasse l'operaio dalla povertà e poi lo portasse rapidamente alla liberazione.
Il Comitato Centrale, intanto, indisse le elezioni municipali per domenica 26 marzo, allo scopo di sanzionare legalmente il nuovo statuto amministrativo di Parigi e, per estensione, di tutta la Francia. Poi trasmise i poteri militari a tre generali di tendenza blanquista[1]. Brunel, Eudes e Duval (quest’ultimo operaio delle fonderie, addestrato alla guerriglia urbana), in attesa dell'arrivo di Garibaldi, nominato per acclamazione comandante in capo della Guardia Nazionale. Malandato in salute, Garibaldi era a Caprera e declinerà l'incarico con una lettera.
Le elezioni si svolsero senza incidenti e, il 28 marzo, i nomi dei 93 eletti complessivamente dai venti arrondissement vennero resi noti in place Hôtel de Ville.
Due membri del Comitato Centrale della Guardia Nazionale parlarono dal palco eretto di fronte al municipio. Léopold Boursier lesse la lista degli eletti, di fronte a 200.000 parigini che cantavano la Marsigliese, e Gabriel Ranvier annunciò che «la Comune è proclamata in nome del popolo»; dichiarò che il Comitato Centrale trasferiva da quel momento i suoi poteri al Consiglio della Comune, il solo potere riconosciuto.
Verso le tre dopo mezzodì più di 60 mila guardie nazionali erano sotto le armi e sfilavano fieramente e dignitosamente, con ordine ammirabile, nelle strade e sui baluardi, che menano all’Hôtel de Ville; sfilavano al suono strepitoso delle trombe e dei tamburi. I battaglioni dei sobborghi avevano un aspetto marziale austero. Si sarebbe detto che il lastrico trasaliva sotto i loro passi. Le loro bandiere erano sormontate da un berretto frigio, simbolo d’indipendenza e di libertà, e le loro baionette avevano una frangia rossa in ricordo del sangue versato dal popolo per la sua emancipazione (Andrea Costa: Il 18 marzo e la Comune di Parigi). Da quel momento, quindi, il Comitato Centrale trasferì le sue prerogative nelle mani degli eletti, che costituivano il Consiglio della Comune, e tornò a occuparsi dell'organizzazione della Guardia Nazionale.
Ecco la dichiarazione fatta alla prima seduta della Comune:

Cittadini,
La nostra Comune è costituita.
Il voto del 26 Marzo sanziona la repubblica vittoriosa.
Un potere vigliaccamente oppressore vi aveva preso alla gola: voi dovevate, nella vostra legittima difesa, respingere questo governo che voleva disonorarvi imponendovi un re.
Oggi, i delinquenti, che voi non avete voluto nemmeno perseguitare abusano della vostra magnanimità per organizzare alle porte della città un focolare di cospi­razione monarchica. Invocano la guerra civile, mettendo in opera tutte le corruzioni; accettando tutte le complicità osando mendicare persino l'appoggio dello straniero.
Noi ci appelliamo contro questi raggiri al giudizio della Francia e del mondo.
Cittadini,
Voi ci avete dato delle istruzioni che sfidano tutti i tentativi.
Voi siete padroni del vostro destino. Forte del vostro appoggio, la rappresentanza che avete eletta riparerà ai disastri causati dal potere caduto: l'industria compromessa, il lavoro sospeso, i trattati di commercio paralizzati, stanno ora per riavere nuovo vigoroso impulso.
Fin da oggi è stabilita l'attesa deliberazione sugli affitti;
Domani avrete quella sulle scadenze;
Tutti i servizi pubblici ristabiliti e riformati;
La Guardia Nazionale, sarà d’ora in poi la sola forza armata della città, riorganizzata senza indugio.
Questi saranno i nostri primi atti.
Gli eletti del Popolo altro non domandano, per il trionfo della repubblica, che di essere sostenuti dalla vostra fiducia.
Quanto ad essi, faranno il proprio dovere.

Aggiunge Louise Michel: “Fecero infatti il loro dovere, occupandosi di tutto quanto poteva assicurare la vita della folla, ma la prima sicurezza avrebbe dovuto essere quella di vincere la reazione”.
Poiché la Comune era stata proclamata anche a Lione, a Marsiglia, a Tolosa, a Saint-Étienne, a Limoges e a Narbonne, la Comune di Parigi, «unita alle altre libere Comuni della Francia», avrebbe discusso «i punti fondamentali del patto che dovrà legarle al resto della nazione», dovendo rimanere assicurati i diritti e l'autonomia di ciascuna città. L'idea era quella di una nazione di città federate, ognuna delle quali amministrata, senza alcuna ingerenza del governo centrale e dell'Assemblea nazionale, da un'assemblea «che si chiamerà municipale o comunale o Comune» nella quale avrebbero operato le varie commissioni per le finanze, il lavoro, l'istruzione, l'ordine pubblico e così via, essendo tutti i membri del consiglio revocabili e dovendo «rendere conto delle loro azioni ed essere completamente responsabili» di fronte alla popolazione.
Ma le Comuni delle altre città durarono poco, la pronta reazione della polizia e di reparti dell'esercito regolare ristabilirono l'”ordine”. Il binomio borghesia-ceti rurali tenne saldamente in pugno il resto della Francia: Parigi rimase sola nella sua lotta contro il potere tradizionale.
 
La Comune di Parigi - Proclamazione del 29 marzo 1871

La dichiarazione della Comune 29 marzo 1871

Tra gli eletti al Consiglio vi erano naturalmente anche una ventina di borghesi benestanti e liberi professionisti, persone politicamente moderate (tra le quali coloro che avevano cercato la «conciliazione» con il governo di Versailles) e persino reazionarie: non accettando il prevalente indirizzo politico scaturito dalle elezioni, si dimisero tutti spontaneamente e furono rimpiazzati in una successiva elezione tenutasi il 16 aprile. La grande maggioranza dei membri del Consiglio era così formata da piccoli borghesi, «impiegati contabili, medici, maestri di scuola, uomini di legge, pubblicisti», mentre 25 erano operai e artigiani, una minoranza, ma pur sempre un numero impensabile in una elezione di un qualunque paese a democrazia borghese.
Il Consiglio era formato da: una dozzina di blanquisti[1] (mancava però il vecchio Blanqui il quale, fatto arrestare il 17 marzo dal governo di Thiers, era detenuto nella fortezza di Taureau, a Morlaix, nella lontana Bretagna); un altro gruppo era formato da neo-giacobini, ossia repubblicani socialisteggianti; la frazione più consistente del Consiglio era formata da «radicali» o «rivoluzionari indipendenti», come essi stessi si definivano. La minoranza era formata da proudhoniani[2] e da socialisti internazionalisti. I primi concepivano la Comune di Parigi come una delle tante Comuni che avrebbero dovuto costituirsi in tutta la Francia e poi unirsi in una federazione, tendevano allo spontaneismo, diffidavano dell'organizzazione e «negavano allo Stato, anche se di tipo nuovo, il diritto di intervenire nei problemi sociali». I secondi, una piccola frazione, erano vicini al marxismo.
Tra i membri del Consiglio vi era un suddito austriaco, l'ungherese Leó Frankel. A questo proposito la Comune, nell'adottare la bandiera rossa e nel sancire l'eleggibilità dei cittadini stranieri e il loro diritto di assumere incarichi di responsabilità politica, dichiarò che “la bandiera della Comune era la bandiera della Repubblica mondiale” e l'appellativo di membro della Comune era un segno di fiducia più importante dell'appellativo di cittadino”.
Il programma della Comune fu pubblicato in una Dichiarazione al popolo francese, che uscì il 19 di aprile. Dopo aver detto che Parigi richiedeva il riconoscimento e il consolidamento della repubblica, ma della repubblica come il popolo la intendeva, non come l’accettava la borghesia, la dichiarazione continuava così:

Parigi vuole:
L’autonomia assoluta del Comune estesa a tutte le località della Francia, autonomia che assicuri a ciascuno l’interezza dei suoi diritti e ad ogni Francese il pieno esercizio delle sue facoltà e delle sue attitudini come uomo, come cittadino, come lavoratore.
L’autonomia del Comune non avrà per limite che il diritto d’autonomia eguale per tutti gli altri Comuni aderenti al contratto, l’associazione dei quali deve assicurare l’unità francese.
I diritti del Comune sono:
Il voto del bilancio comunale, entrate e spese, la fissazione e la ripartizione delle tasse, la direzione dei servizi locali, l’organizzazione della sua magistratura, della polizia interna e dell’insegnamento, l’amministrazione dei beni appartenenti al Comune.
La scelta, per elezione  o per concorso, con la responsabilità e il diritto permanente di controllo e di revoca, dei magistrati ed ufficiali comunali d’ogni ordine.
La garanzia assoluta della libertà individuale, della libertà di coscienza e la libertà del lavoro.
L’intervento permanente dei cittadini negli affari comunali mediante la libera manifestazione delle loro idee, la libera difesa dei loro interessi, garantite, tali manifestazioni e difese, dalla Comune, sola incaricata di sorvegliare e d’assicurare il libero e giusto esercizio del diritto di riunione e di pubblicità.
L’organizzazione della difesa della città, nonché l’organizzazione della Guardia Nazionale, che elegge i suoi capi e veglia essa sola al mantenimento dell’ordine nella città.
Parigi non vuole altre garanzie locali, a condizione, ben inteso, di trovare nella grande amministrazione centrale (rappresentanza dei Comuni confederati) l’attuazione e la pratica degli stessi principi.
A favore della sua autonomia, e approfittando della sua libertà d’azione, Parigi si riserba di operare, come esso vorrà, in casa sua, le riforme amministrative ed economiche, che reclama la sua popolazione, di creare delle istituzioni proprie a svolgere e a propagare la istruzione, la produzione, il cambio, il credito; a rendere di tutti il potere e la proprietà secondo la necessità del momento, il voto degli interessati e i suggerimenti dell’esperienza.
I nostri nemici s’ingannano, o ingannano il paese, quando accusano Parigi di voler imporre la sua volontà o la sua supremazia sul resto della nazione e di attentare alla sovranità ed alla indipendenza degli altri Comuni.
Essi s’ingannano od ingannano il paese quando accusano Parigi di volere la distruzione dell’unità francese, unità voluta dalla rivoluzione.
L’unità politica, come la vuole Parigi, è l’associazione volontaria di tutte le iniziative locali, il concorso spontaneo e libero di tutte le energie individuali in vista di un bene comune: il benessere, la libertà, la sicurezza di tutti.
La rivoluzione comunale, cominciata dall’iniziativa popolare del 18 di marzo, segna la fine del vecchio mondo governativo e clericale, del militarismo, della burocrazia, dello sfruttamento, dell’usura, dei monopoli, dei privilegi, a cui le classi che lavorano, a cui i proletari, devono la loro servitù, e la patria le sue sventure e i suoi disastri.
Noi abbiamo la missione, conchiudeva la Comune, di compiere la rivoluzione moderna, la più larga e la più feconda di tutte quelle che illuminarono la storia.
Noi abbiamo il dovere di lottare e di vincere.





[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.
[2] Per proudhoniani s’intendono definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.