VICTOR HUGO
Victor Hugo ritratto da
Étienne Carjat 1876 |
Victor Hugo da giovane |
Victor, Marie Hugo è nato il 26 febbraio 1802 a
Besançon[1].
È stato uno scrittore; poeta, drammaturgo e deputato francese; esiliato dopo il
colpo
di Stato del 2 dicembre 1851; realista in gioventù, sensibile alle
questioni sociali, patriota e repubblicano del 1870-1871 che chiedeva giustizia
per i Comunardi,
espulso dal Belgio per aver scritto che la sua casa sarebbe stata un luogo di
accoglienza per loro e per aver realmente dato asilo a dei communard
ricercati nella capitale francese, patriarca della democrazia francese degli
anni '80.
Lo scrittore, al di fuori delle sue qualità di poeta
nazionale, alle quali gli operai sono sempre stati sensibili, divenne un
cantore delle lotte operaie e popolari con I
Miserabili (1862), al punto che è difficile immaginare alcuni eventi della
storia rivoluzionaria della monarchia
di luglio che Victor Hugo non li abbia descritti e resi popolari. È
considerato il padre del Romanticismo in Francia.
Tra i principali teorici ed esponenti principali del
movimento letterario romantico, seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e
solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le
vicissitudini non sempre felici della sua vita (dei quattro figli che giunsero
all'età adulta, tre moriranno prima di lui, mentre la figlia Adèle finirà
ricoverata in manicomio) per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori
e le sfumature dell'animo umano.
I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satira politica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa.
A sei anni, nel 1808, raggiunse il
padre in Italia, ad Avellino. Nel 1813 i suoi genitori si separano e la madre
si stabilì a Parigi insieme al generale Victor Fanneau de la Horie. Qui Hugo
frequentò il Politecnico dal 1815 al 1818 per volere del padre, ma ben presto
abbandonò gli studi tecnici per dedicarsi alla letteratura.
Il 12 ottobre 1822 sposó, nella chiesa di
Saint-Sulpice di Parigi, Adèle Foucher, una sua amica d'infanzia; nasceranno
cinque figli:
Léopold (16 luglio – 10 ottobre 1823), morto tre mesi
dopo la nascita;
Léopoldine (28 agosto 1824 – 4
settembre 1843), annegò durante una gita in barca;
Charles (4 novembre 1826 – 13 marzo 1871),
collaboratore del padre, gli darà due nipoti (più uno morto poco dopo la
nascita), che staranno al fianco del nonno durante la sua vecchiaia; Charles
morì di ictus a 44 anni;
François–Victor (28 ottobre 1828 – 26 dicembre 1873),
traduttore, morì a 45 anni, di tubercolosi;
Victor Hugo nel 1854 |
Adèle (24 agosto 1830 – 21 aprile
1915), l'unica a sopravvivere al padre ma che trascorrerà molti anni in un manicomio
a causa del suo stato mentale alterato. Impazzirà infatti per amore e morirà in
tarda età.
La scoperta, dopo qualche anno dal matrimonio, del
tradimento della moglie con l'amico di famiglia Sainte-Beuve lo porterà a
condurre una vita di libertinaggio; sua amante per circa cinquant'anni sarà
Juliette Drouet, attrice teatrale conosciuta durante le prove di Lucrezia
Borgia, nel 1833. Juliette Drouet gli restò sempre vicina (salvandolo anche
dalla prigione in occasione del colpo
di Stato di Napoleone III) nonostante le continue
infedeltà dell'amante: lui per lei scrisse molti poemi.
Nel 1843 morirono tragicamente, annegati nel corso di una gita in nave, la figlia Léopoldine e il genero Charles Vacquerie; Hugo apprese la notizia al rientro da una vacanza, dal giornale Le Siècle. La tragedia, unita all'insuccesso del suo lavoro teatrale I Burgravi del 1845, gli causò una grave depressione che lo tenne lontano dal mondo letterario per dieci anni. Intanto venne nominato Pari di Francia dal re Luigi Filippo d'Orléans.
Alla fine dell'estate 1848, Hugo intervenne in favore dei prigionieri delle Giornate di Giugno.
La sua carriera letterale non fu indifferente al
movimento operaio: sempre nel 1848,
entrò a far parte come deputato montagnardo[2]
dell'Assemblea Costituente, ma il colpo
di Stato che nel 1851 portò al potere Napoleone
III
e segnò l'inizio del suo declino politico: dapprima Hugo appoggiò l'elezione
del giovane Luigi-Napoleone
Bonaparte alle presidenziali, poi — quando il nuovo presidente, futuro
imperatore, iniziò a prendere provvedimenti anti-liberali quali l'abrogazione
della legge elettorale del 1850, riducendo di un terzo gli aventi diritto al
voto — ne prese le distanze; inutile fu il tentativo del Comitato di resistenza
repubblicana, di cui fece parte insieme a Schœlcher[3],
per sollevare la popolazione parigina: a Hugo, strenuo difensore di un regime
liberale, non restò che attaccarlo con scritti e discorsi contro la miseria e
le repressioni, che diventarono nel frattempo sempre più intolleranti "Quando
la conoscenza si trova in un solo uomo, la monarchia s'impone. Quando si trova
in un gruppo d'uomini, questa deve far posto all'aristocrazia. Ma quando tutti
hanno accesso ai lumi del sapere, è venuto il tempo della democrazia".
Dopo il 2
dicembre 1851, Hugo dovette partire per l'esilio. Si recò inizialmente a
Bruxelles, poi si trasferì nell'isola di Jersey e infine a Guernesey,
rifiutando l'amnistia proclamata dall'imperatore.
Iniziò qui a prendere forma la sua mitica figura
poetica e ideale di «Padre della patria in esilio»; gli anni trascorsi a
Guernesey lo resero così famoso che gli arrivavano lettere indirizzate a «Victor
Hugo — Oceano». Riprese la sua attività letteraria nel segno della satira
politica, prendendo di mira il Secondo
Impero con la satira diretta contro l'imperatore,
in Napoleone il piccolo.
Questi furono anche gli anni dell'impegno su un piano
politico più alto, idealizzato, che diede vita a La leggenda dei secoli
(pubblicata in tre parti tra 1859, 1877 e 1883), che ripercorre la storia
dell'umanità dalla Genesi al 19o secolo, così come a I miserabili,
romanzo del 1862, I lavoratori del mare del 1866 e L'uomo che ride
del 1869.
La vita non gli risparmiò i dolori: nel 1855 muore il
fratello Abel, nel 1863 la figlia Adèle impazzisce scappando in Canada, nel
1868 muoiono anche la moglie e alcuni nipoti (il figlio primogenito, appena
nato, di Charles, e uno del fratello); in tutte queste disgrazie ebbe però
sempre accanto la fedele Juliette e successivamente, i nipoti Jeanne e Georges,
figli di Charles.
A partire dagli anni sessanta viaggiò per tutto il
Lussemburgo e percorse il Reno.
Il
ritorno di Victor Hugo, caricatura di André Gill. |
Il 2 settembre 1870: Napoleone
III
capitolò; il 4
settembre 1870: viene proclamata la Repubblica; il 5 settembre 1870: Victor
Hugo tornò a Parigi. I parigini gli fecero un'accoglienza trionfale; la sua
casa diventò nuovamente luogo di incontro tra letterati; fino alla sua morte
rimarrà nume tutelare della repubblica restaurata.
Al suo arrivo, Victor Hugo
scrisse un «Appello ai prussiani» in cui ricordava che "le due nazioni
hanno fatto l'Europa ... Questa guerra, viene da noi? È stato l'Impero
a farlo, è morto ... Non abbiamo nulla in comune con questo cadavere".
Quando vide la morsa
chiudersi a Parigi, annunciò che la città si sarebbe difesa.
Partecipò attivamente alla
difesa della città
assediata. Si distinse da quelli che volevano fare la Comune (Blanqui,
Ledru-Rollin[4] ...).
Il 31
ottobre, quando si voleva rovesciare il governo
provvisorio, rifiutò di unirsi al movimento e incolpò quel tentativo. Anche
se disprezzava il generale Trochu,
il presidente del governo, considerava ancora più pericoloso avere una rivolta
in presenza del nemico.
Il 13 gennaio Victor Hugo
lasciò Parigi per Bordeaux,
sede dell'Assemblea nazionale, per partecipare, vincendole, come rappresentante
della Senna. Quell'assemblea che venne. eletta, il 16 gennaio 1871, con la
missione di firmare la pace.
I repubblicani patriottici (Gambetta,
Louis
Blanc, Brisson[5], Clemenceau),
di cui Victor Hugo era vicino, erano molto in minoranza in quell'assemblea che
elesse Thiers
a capo del potere esecutivo.
Quando il 17 gennaio 1871, Louis
Blanc gli chiese nuovamente di intervenire per esercitare una pressione sul
generale, rispose: "Vedo più
pericolo nel rovesciare il governo che nel mantenerlo". Il 26 febbraio
1871, Victor Hugo rifiutò di votare il trattato di pace presentato da Thiers.
Protestò quando l'Assemblea, che nel frattempo risiedeva a Parigi, decise di stabilirsi a Versailles.
In commissione, rifiutò il
sacrificio dell'Alsazia e della Lorena. In seduta pubblica, il 1° marzo,
celebrò la resistenza di Parigi: "Parigi
si rassegna alla sua morte, ma non al nostro disonore". Hugo scriveva il 6 marzo: «Hanno
paura di Parigi». «Loro»: quei borghesi che conosceva bene, e il loro odio per
il popolo. L'8 marzo 1871, l'Assemblea
dibatté sull'annullamento dell'elezione di Garibaldi.
Victor Hugo, che lo difese, venne portato agli estremi; impeditogli di parlare,
si dimise.
Nel marzo 1871, si trovava a
Bruxelles per regolare la successione di suo figlio Charles appena deceduto per
un'apoplessia fulminea. Tornò a Parigi per il funerale, che si svolse proprio il
18
marzo 1871, il giorno della nascita
della Comune, della rivolta contro il tentativo di rapimento dei cannoni di
Montmartre:
Al funerale notò: «Nel
cimitero (di Père-Lachaise
N.d.A.), nella folla, ho riconosciuto Millière
(che venne poi fucilato dai versagliesi N.d.A.), molto pallido e molto
commosso, che mi ha salutato (...) Una larga mano si è rivolta verso di
me e mi ha detto: "Io sono Courbet"
(...) Ho visto un volto energico e cordiale, che mi sorrideva con una
lacrima negli occhi (...). È la prima volta che vedo Courbet
(...).» E Courbet
ritornò più volte nelle sue note; il 28 maggio: «Gustave
Courbet, prigioniero, si è avvelenato. È morto (...). Mi dispiace Courbet»;
oppure, il 14 giugno: «Buone notizie. Courbet
non è morto». Appreso della morte (questa volta vera) di Flourens,
scrisse: «Flourens
è stato ucciso (...) Me ne rammarico. Era il cavaliere rosso». E,
all'indomani della Settimana
sanguinante, constatò: «La reazione commette a Parigi tutti i crimini.
Siamo in pieno terrore bianco» (31 maggio) o: «Cissey,
generale, ha fucilato da solo più di seimila insorti prigionieri» (5
giugno).
Quale altro grande scrittore,
all'epoca, ha osato esprimersi in questo modo? Nessuno (tranne Rimbaud
- di cui si discute ancora la presenza a Parigi in quel momento - o Verlaine
che onora Louise
Michel: che furono anche dei poeti).
Hugo non partecipò alla Comune, lasciò
rapidamente la città per Bruxelles. Fu da quella città che seguì gli eventi.
Non approvò i metodi della Comune ma
implorò il governo di Versailles
di non rispondere ai "crimini commessi con i crimini": in risposta
all'esecuzione di 64 ostaggi da parte della Comune, il
governo di Versailles
fucilò 6000 insorti.
Dopo la caduta della Comune,
Hugo annunciò che la sua porta era aperta agli esuli. Scrisse un omaggio ai
vinti ("Viro
Major" dedicato a Louise
Michel che ammirava, ...). La sua posizione non venne compresa e nella
notte tra il 27 e il 28 maggio la sua casa fu lapidata. Venne poi espulso dal
Belgio, nonostante le violente proteste al Senato e alla Camera dei Deputati.
Trovò rifugio per tre mesi e mezzo nel Granducato (1º giugno-23 settembre). Si
rifugiò successivamente in Lussemburgo,
a Vianden (due mesi e mezzo), a Diekirch e a Mondorf, dove seguì una cura
termale. Nel Granducato, scrisse il suo poema «L'année terrible (L'anno terribile)».
Il 1 ottobre 1871, tornò a Parigi. Il 2 luglio fu ampiamente battuto alle elezioni. Diversi comitati repubblicani lo avevano sollecitato, accettò di candidarsi all'elezione complementare del 7 gennaio 1872. Apparendo come «radicale» a causa della sua indulgenza verso i Comunardi, fu sconfitto dal repubblicano moderato Joseph Vautrain[6]. Nel gennaio 1876, su proposta di Clemenceau, venne candidato al Senato ed eletto nel secondo turno. Il Senato funse da forum per continuare la sua lotta per l'amnistia dei Comunardi.
Hugo sul letto di morte, fotografato da Nadar |
Riprese in quegli anni la produzione letteraria con il romanzo Novantatré (1874); scrisse anche poesie, alcune riguardanti la sua vita familiare (in memoria dei figli morti di recente, François-Victor e Charles), come I miei figli (1874), altre satirico-politiche, come Il Papa (1878) e Torquemada (1882), un'opera sul fanatismo dell'inquisizione. Nel 1876 tornò a far parte del Senato.
La
tomba di Victor Hugo al Panthéon |
Nel 1878 venne colpito da congestione
cerebrale, mentre i festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno — pubblicamente
celebrati — vengono offuscati dalla morte di Juliette Drouet. Morì a Parigi il
22 maggio 1885, e la sua salma venne esposta per una notte sotto l'Arco di
Trionfo e vegliata da dodici poeti. Il 1º giugno, venne portato al Pantheon di
Parigi appena inaugurato. È stato calcolato che tre milioni di persone vennero
a rendergli omaggio in quell'occasione.
La sua tomba si trova tuttora nello stesso luogo, proprio accanto a quella di altri due scrittori francesi del 19o secolo, Alexandre Dumas ed Émile Zola.
Nel 1849, Hugo decise di
dedicare un terzo della sua opera alla politica, un terzo alla religione e un
terzo alla filosofia. Il suo pensiero risultò severo nei confronti del suo
tempo e della società in cui viveva, rifiutando tuttavia qualunque condanna arbitraria
e qualsiasi posizione meramente manichea.
Era un riformista e avrebbe
voluto cambiare la società: in questo senso, egli denunciò l'ineguaglianza
sociale, e in particolare i ricchi che capitalizzavano i loro possedimenti
senza riammetterli nella produzione. Allo stesso modo, si oppose alla violenza
se praticata contro un governo democratico, ma la giustificava per abbattere un
potere illegittimo: per questo nel 1851 lanciò una chiamata alle armi contro Napoleone
III
che però non venne raccolta.
Riguardo alla pena di morte, Hugo era un abolizionista irriducibile. Ha assistito durante la sua infanzia a delle esecuzioni e per tutta la vita lottò contro di essa: numerose sono le allusioni nei suoi romanzi (da Notre-Dame de Paris a I miserabili), ma due in particolare sono dedicati a questo tema: L'ultimo giorno di un condannato a morte (1829) e Claude Gueux (1834) mettono l'accento sulla crudeltà, sull'ingiustizia e sull'inefficacia del procedimento. Anche in numerosi discorsi alla Camera dei Pari, all'Assemblea Costituente e al Senato egli si è eretto contro di essa: "La pena di morte è il segno caratteristico ed eterno della barbarie (Discorso all'Assemblea Costituente, 15 settembre 1848)".
Statua di Hugo a Guernesey |
Più in generale, i discorsi pronunciati da Hugo sui grandi temi dell'attualità sono numerosi; la maggior parte di essi è raggruppata in Atti e parole, una raccolta di discorsi, dichiarazioni e testi politici pubblicata tra il 1875 e il 1876. Di essi citiamo:
contro il lavoro infantile
(discorso alla Chambre des pairs, 1847);
contro la miseria (9 luglio
1849);
sulla condizione della donna
(in occasione dei funerali di George Sand[7],
10 giugno 1876);
contro l'insegnamento
religioso e a favore della scuola laica e gratuita (Discorso a proposito della
legge sull'insegnamento, 15 gennaio 1850);
a favore della pace e
dell'unità federale d'Europa (in occasione dell'apertura del Congresso della
pace, 21 agosto 1849);
a favore del suffragio
universale.
Hugo si batté anche per i
diritti civili delle prostitute sfruttate, costrette dalla povertà a questo
lavoro, e da lui raffigurate nella figura di Fantine de I miserabili, la
quale diventa "schiava della società" a causa della fame e per
mantenere la figlia. A vegliare Hugo, sotto l'Arco di Trionfo dopo la morte, vi
erano anche molte prostitute parigine e «per l'occasione le prostitute di
strada decisero di offrire gratuitamente i propri servizi ai clienti, una sorta
di tributo allo scrittore che era stato il loro paladino e difensore».
Victor Hugo si è espresso
anche - sebbene in misura ridotta - sulla colonizzazione dell'Algeria,
principale avventura coloniale della Francia in quegli anni. Se era sensibile
al discorso della colonizzazione come civilizzazione, rimase comunque scettico
riguardo alle capacità civilizzatrici della pacificazione militare, e individuò
nell'Algeria conquistata un luogo sfruttato per deportarvi coloro che si
opponevano al colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte. Si noti che,
riguardo alla schiavitù, già presente nel precoce romanzo Bug-Jargal
(scritto nel 1818) — dove tuttavia sembra condividere i pregiudizi dei suoi
contemporanei a proposito dei neri —, egli mantenne un silenzio sorprendente
quando essa venne abolita nelle colonie francesi, nel 1848,
intervenendo solo per richiedere la grazia dell'abolizionista statunitense John
Brown[8]
nel 1859.
Illustrazione di Cosette per “I miserabili”, da Émile Bayard. |
Hugo non era un nazionalista
come altri romantici, ma anzi sostenne l'europeismo (e un certo cosmopolitismo)
in maniera decisa. Il termine Stati Uniti d'Europa ("États-Unis
d'Europe"), già usato da George Washington e da Napoleone, fu usato da
Hugo durante il suo discorso al Congresso Internazionale della Pace tenutosi a
Parigi nel 1849. Hugo sognava un'unione di stati federati e indipendenti
all'interno di una grande confederazione, come auspicato da altri contemporanei
come Mazzini o, in passato, da Voltaire o Immanuel Kant. Egli privilegiava la
creazione di un senato sovrano supremo, che sarebbe stato per l'Europa quello
che è il parlamento per l'Inghilterra e disse «Verrà un giorno in cui tutte
le nazioni del nostro continente formeranno una fratellanza europea... Verrà un
giorno in cui dovremo vedere... Gli Stati Uniti d'America e gli Stati Uniti
d'Europa faccia a faccia, allungarsi tra di loro attraverso il mare».
Victor Hugo piantò un albero nella sua residenza a Guernsey, commentando il suo
gesto con le parole "Quando quest'albero sarà maturo, esisteranno gli Stati
Uniti d'Europa". L'albero al giorno d'oggi cresce ancora nel giardino
della casa d'Altavilla a Saint Peter Port nell'isola di Guernsey, dove visse
Victor Hugo, durante il suo esilio dalla Francia.
La visione religiosa di Hugo
subì cambiamenti durante la sua vita. In gioventù si identificava come un
cattolico, professando rispetto per la Chiesa e la gerarchia ecclesiastica.
Successivamente divenne un cattolico non praticante e incrementò le sue
opinioni anti-cattoliche e anticlericali. Durante il censimento del 1872 alla
domanda se fosse un cattolico, replicò "No. Un libero pensatore".
Tra le sue numerose opere citiamo:
L'ultimo giorno di un
condannato a morte (Le Dernier Jour d'un condamné,
romanzo, 1829);
Hernani
(dramma, 1830);
Notre-Dame de Paris
(romanzo, 1831);
I miserabili (Les
Misérables, romanzo, 1862);
L'anno terribile (L'Année
terrible, poesia, 1872);
Novantatré (Quatrevingt-treize,
romanzo, 1874);
e la poesia Viro
major, scritta in omaggio a Louise
Michel.
Mettiamo a disposizione: Victor
Hugo, 'Le Rappel' et la Commune. di Franck Laurent
[1] Capoluogo del dipartimento del Doubs e fino al 2015
della regione della Franca Contea.
[2] La Montagne
(Montagna) i cui membri si chiamavano montagnards (montagnardi)
era un gruppo politico della Rivoluzione Francese, alla Convenzione Nazionale,
favorevole alla Repubblica e contraria ai Girondini. Non si può escludere, da
una corrente politica imbevuta della sua filosofia, che il nome fosse un
omaggio alle Lettere scritte dalla montagna di Jean-Jacques Rousseau.
Durante il diciannovesimo secolo, il riferimento ai montagnardi venne usato dai
sostenitori della Repubblica per rivendicare la loro affiliazione con i
redattori della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino e
per mobilitarsi attorno a questi principi. Nell'atmosfera rivoluzionaria del
1830, fu glorificata la figura della Montagna designata come "l'opposto,
l'antagonista, il nemico giurato della Gironda, per chi ama la virtù deve
aborrire il crimine. La Montagna è l'uomo semplice, naturale, che coltiva i
suoi sentimenti e la ragione, che si occupa sempre della felicità degli altri,
che fa la guerra agli oppressori di ogni genere, mai compromesso con la sua
coscienza, che allevia lo sfortunato, che riconosce nell'amore del paese solo
l'amore dell'umanità e lo serve con tutta la sua potenza; in breve, è colui che
fa agli altri tutto ciò che vuole che sia fatto a lui. Ecco il Montagnard, il
repubblicano, il democratico". Sotto la Seconda Repubblica, gli eredi
membri repubblicani della rivoluzione francese, quindi posizionati alla
sinistra dell'emiciclo, ripresero il nome della Montagna per il loro gruppo
politico, e nell'Assemblea costituente nazionale del 1848
e nell'assemblea legislativa del 1849 cercando di difendere dagli attacchi del
partito dell'Ordine e dei repubblicani moderati, le conquiste politiche e di
certi vantaggi sociali della rivoluzione
del febbraio 1848. La Montagna venne soppressa dalla repressione dopo il
fallimento della giornata del 13
giugno 1849: 34 dei suoi deputati vennero privati del loro mandato e
processati davanti all'Alta Corte di Giustizia (la maggior parte fu anche
costretta a fuggire). Nonostante la repressione il gruppo parlamentare
sopravvisse fino al novembre 1851. Dopo il Secondo
Impero, una grande parte dei membri della Montagna fornirà diventarono i
politici dell'inizio Terza
Repubblica.
[3] Victor Schœlcher (Parigi, 22 luglio
1804 – Houilles, 25 dicembre 1893) è stato un politico e imprenditore francese.
Alla Rivoluzione del 1848 fu sottosegretario alla Marina e Colonie, e contribuì
a far adottare il decreto sull'abolizione della schiavitù, entrato in vigore il
5 marzo. La Francia aveva già abolito la schiavitù nelle sue colonie il 4
febbraio 1794 su iniziativa di Henri Grégoire, il famoso abbé Grégoire, ma era
stata ripristinata da Napoleone I il 20 maggio 1802. Tuttavia Schoelcher rimase per tutta la
vita favorevole alle imprese coloniali. Candidato della Martinica e della
Guadalupa, fu eletto deputato all'Assemblea Nazionale dal 1848
e nel 1849. Repubblicano, massone e oppositore di Luigi
Bonaparte, fu proscritto con il colpo
di Stato del 2 dicembre 1851 e si esiliò in Inghilterra.
[4] Alexandre-Auguste
Ledru-Rollin (Parigi, 2 febbraio 1807 – Fontenay-aux-Roses, 31 dicembre 1874) è
stato un avvocato e politico
francese, di parte democratica e repubblicana. Dopo la caduta
di Luigi Filippo, con la rivoluzione di febbraio, Ledru-Rollin assunse
l'importante carica di ministro degli Interni del governo provvisorio. Venne
escluso dal potere dal generale Cavaignac. Si candidò, allora, alla presidenza
della Repubblica, ottenendo solo 370 119 voti. Da
deputato, si oppose con veemenza alla politica del principe-presidente Luigi
Napoleone. Nel giugno
1849 tentò infatti di organizzare una sollevazione, il fallimento della
quale lo costrinse a fuggire in Inghilterra.
Rientrò in Francia solo nel 1871, dopo la cattura di Luigi
Napoleone (nel frattempo
divenuto Napoleone
III, sovrano del Secondo
Impero). Fu rieletto deputato, nel 1871 e poi ancora nel '74, ma non esercitò più nessuna influenza.
[5] Henri Brisson (Bourges 31 luglio
1835 - Parigi 13 aprile 1912) era un avvocato, giornalista e statista francese.
Eletto all'Assemblea nazionale in rappresentanza della Senna l'8 febbraio 1871,
sedeva all'estrema sinistra. Sebbene non avesse approvato la Comune, fu il
primo a proporre un'amnistia per i detenuti (13 settembre 1871).
[6] Eugène Joseph Vautrain (Nancy 15
novembre 1818 - Parigi 20 dicembre 1881) era un politico francese del
diciannovesimo secolo. Repubblicano moderato, fu sindaco del 4°
arrondissement di Parigi (1848-1851, 1870-1871), presidente del consiglio
comunale di Parigi (1871-1874) e, a seguito di un'elezione che lo mise contro
Victor Hugo, deputato della Senna (1872-1876).
[7] George Sand, pseudonimo di Amantine
(o Amandine) Aurore Lucile Dupin (Parigi, 1º luglio 1804 – Nohant-Vic, 8 giugno
1876), è stata una scrittrice e drammaturga francese. Considerata tra le
autrici più prolifiche della storia della letteratura, è autrice di numerosi
romanzi, novelle e drammi teatrali. Femminista molto moderata, fu attiva nel
dibattito politico e partecipò, senza assumere una posizione di primo piano, al
governo provvisorio del 1848, esprimendo posizioni vicine al socialismo, che
abbandonò alla fine della sua vita per un moderato repubblicanesimo.[2] La sua
opposizione alla politica temporalistica e illiberale del papato le costò la
messa all'Indice di tutti i suoi scritti nel dicembre del 1863. Sand è inoltre
ricordata anche per il suo anticonformismo.
[8] John
Brown (Torrington, 9 maggio 1800 – Charles Town, 2 dicembre 1859) è stato un
attivista statunitense, fautore dell'abolizionismo e dedito alla causa
dell'Underground Railroad, che sosteneva l'insurrezione armata come l'unico
modo per rovesciare l'istituzione della schiavitù.