mercoledì 21 novembre 2018

01-03-E - Le rivoluzioni del 1848

LE RIVOLUZIONI DEL 1848


All’inizio del 1848 l’Europa entrò in un periodo burrascoso di rivoluzioni e di moti rivoluzionari, che coinvolsero un vasto territorio da Parigi a Budapest, da Berlino a Palermo.
Differenti per i fini e compiti, questi avvenimenti erano caratterizzati da un’attiva partecipazione di larghe masse popolari, che ne furono la forza motrice principale e che si assunsero il peso fondamentale della lotta.
La rivoluzione francese del 1848 è stata la terza rivoluzione francese dopo quella più famosa del 1789 e quella del 1830; si svolse a Parigi dal 22 a 25 febbraio 1848. Sotto la spinta dell'opposizione liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot, parte del popolo di Parigi (circa 3.000 su più di un milione di abitanti) si sollevò e riuscì a prendere il controllo della capitale. Il re Luigi-Filippo, rifiutando di sparare ai parigini, fu costretto ad abdicare in favore di suo nipote, Filippo d'Orléans, il 24 febbraio 1848.
Lo stesso giorno, alle ore 15, la Seconda Repubblica venne proclamata da Alphonse de Lamartine, circondato da rivoluzionari parigini. Verso le 20, venne istituito un governo provvisorio, che pose fine alla monarchia di luglio. Le forze politiche eterogenee che avevano abbattuto la monarchia si scontrano sul campo delle riforme sociali: il governo conservatore uscito dalle elezioni del 23 aprile, e che proclamò la Seconda Repubblica il 4 maggio 1848, non intese soddisfare le richieste degli operai parigini, che insorsero il 23 giugno, ma la loro rivoluzione venne repressa nel sangue dal generale Cavaignac. Il governo, confermando la sua natura anti-operaia, abolì i laboratori nazionali, i cosiddetti Ateliers nationaux, innalzó l'orario di lavoro e vietò il diritto di sciopero e di associazione.


Dalla crisi economica all'opposizione politica

Nel corso degli anni la monarchia di Filippo d'Orleans, che aveva conquistato il potere nel 1830, aveva sempre più acuito il suo carattere antioperaio e antidemocratico; ciò era avvenuto malgrado la politica di compromesso (detta del “giusto mezzo”) attuata dal ministro Guizot, che finì per scontentare sia l'alta borghesia finanziaria, corrotta e sfrenatamente affarista, sia la media e piccola borghesia e, principalmente, i ceti operai. La metà degli anni 1840 fu contrassegnata in Francia da una forte crisi economica dovuta soprattutto alle carestie degli anni 1845-1846 in Francia, Irlanda, in una serie di Stati germanici, in Austria e in molti altri paesi europei (verso la fine del 1847, in Inghilterra, quasi metà degli altiforni rimase spenta: nell’industria del cotone del Lancashire, nel novembre del 1847, furono chiuse 200 fabbriche su 920, le rimanenti lavoravano 3-4 giorni per settimana). Anche in Francia la produzione subì una forte diminuzione: solo nella prima metà del 1847, nel dipartimento della Senna, vi furono più di 63 fallimenti.
I cattivi raccolti del 1845 e del 1846, così come la mancanza di mezzi di trasporto per inviare i soccorsi, hanno dato luogo ad un aumento dei prezzi dei generi alimentari, con le sue conseguenti miserie e rivolte. Nel 1847, i prezzi raddoppiarono rispetto due anni prima. La crisi fu il simbolo dell'evoluzione della Francia, perché fu l'ultima crisi alimentare di questa portata in Francia, e fu anche una delle prime crisi capitalistiche di sovrapproduzione che hanno colpito il paese. Il buon raccolto del 1847 in realtà abbassò i prezzi, il che ostacolò i produttori, che ebbero difficoltà a vendere i loro prodotti. Le partenze delle campagne verso le città aumentarono. Inoltre, il mondo rurale (75% della popolazione) ridusse il consumo di prodotti artigianali e industriali. Una crisi economica ha scosso questo ultimo settore, che si era fortemente sviluppato dal 1840.


La «monarchia borghese» di Luigi Filippo

Luigi Filippo nel 1842
François Guizot
Luigi Filippo, sotto una parvenza di bonomia, fu un uomo autoritario; le sue scelte politiche si indirizzarono sul generale Soult e poi sul deputato Guizot. Abbattuto il dominio politico della nobiltà e posto fine ai tentativi di restaurazione di istituzioni feudali, la sua monarchia prese misure anti-operaie, come il divieto del diritto di sciopero e di associazione, e si appoggiò essenzialmente sull'alta borghesia finanziaria: di qui, la sua denominazione di «monarchia borghese».
Dal 1840 Guizot fu alla testa del governo e, appartenente a quello che veniva definito il «partito dell'ordine e della resistenza», si sforzò di sottomettere la Camera dei deputati alle direttive del governo e cercò di stabilire la «pace sociale» in Francia. In preparazione della sessione parlamentare del 1847-1848, Luigi Filippo vietò le riunioni politiche dell'opposizione liberale e democratica, poiché essi propugnano uno Stato nel quale il Parlamento fosse più autorevole e il re più equilibrato.
Guizot s'impegnò a mettere in opera un liberalismo economico nel quale i dibattiti politici sarebbero stati paralizzati, anche attraverso la corruzione, e il corpo elettorale fosse fortemente elitario: di qui, la sua opposizione ad abbassare il censo a 100 franchi, come richiesto dall'opposizione. Con la Rivoluzione di Luglio in Francia, con 36 milioni di abitanti, gli elettori sono passati dai 100.000 della Restaurazione a 240.000. Il censo è rimasto alto e ciò garantì che nella Camera dei deputati sedessero, in grande maggioranza, rappresentanti dell'alta borghesia, ossia i banchieri, gli speculatori di Borsa, gli azionisti delle Compagnie ferroviarie, che allora assistevano ad un grande sviluppo, i proprietari delle miniere di carbone e delle foreste, che erano le uniche risorse energetiche allora disponibili e necessarie allo sviluppo delle manifatture.
L'alto debito pubblico della Francia venne finanziato da questa stessa aristocrazia del denaro, che si arricchì attraverso gli alti interessi della rendita di Stato e le speculazioni della Borsa, e poiché chi dirigeva lo Stato apparteneva alla stessa classe che sul debito pubblico speculava, le spese straordinarie della Francia negli anni quaranta sono state superiori perfino a quelle sostenute dallo Stato napoleonico.
Gli stessi industriali videro in questa aristocrazia della finanza un avversario politico, poiché essa condizionava l'erogazione del credito a loro necessario e che, avendo imposto per proprio interesse alti dazi sulle importazioni delle materie prime, danneggiava la loro attività imprenditoriale. Come i legittimisti borbonici, ma per diversi motivi, la borghesia industriale si pose pertanto all'opposizione dei governi di Luigi Filippo, insieme con i rappresentanti degli interessi della piccola borghesia, ossia con i professionisti e con i contadini, questi ultimi del resto privi di rappresentanza, così come avveniva per la classe degli artigiani e degli operai. Essa si batté pertanto per ottenere un ampliamento del corpo elettorale, confidando in questo modo di poter accrescere la propria influenza politica.


Le agitazioni popolari

Il mondo rurale non fu l'unico colpito: la crisi economica accentuata dalla concorrenza e dalla speculazione, ma anche la crisi monetaria portarono le aziende alla bancarotta, principalmente nei settori della metallurgia e della costruzione di materiale ferroviario, portando alla disoccupazione quasi 700.000 lavoratori alla fine del 1847. Negli anni pre-rivoluzionari sommosse popolari scoppiarono in quasi tutti i paesi europei. In Francia il 1847 fu contrassegnato da numerose agitazioni popolari scoppiate quasi ovunque, principalmente sotto forma di agitazioni annonarie: i poveri delle città e delle campagne assalivano i depositi di grano e le botteghe degli speculatori. Nelle città, i panifici vennero assaliti e tensioni si manifestarono intorno ai mercati. Sulla base dell’inasprimento delle contraddizioni di classe si ebbe uno slancio dello spirito rivoluzionario del proletariato; si ebbe inoltre un ampio movimento di scioperi e il governo prese duri provvedimenti contro coloro che partecipavano ai moti.
I notabili moltiplicavano le iniziative di beneficenza per calmare questi movimenti. Il tasso di natalità diminuì, la mortalità aumentò mentre ci fu un sentimento di paura sociale, che rafforzava la sfiducia nei confronti del regime; si andava rafforzando l’opposizione della piccola e della media borghesia ed anche di parte della grande borghesia industriale, scontenta del dominio dell’aristocrazia finanziaria e dal regime di Luigi-Filippo che era sempre più discusso e vittima di scandali. Diversi casi di notabili locali danneggiarono la piccola borghesia, che perse credibilità e legittimità. Parecchi pari in Francia ed ex ministri si macchiarono di casi di corruzione e omicidio.


La bomba di Parigi

Durante il regime della monarchia di luglio, la crisi politica ed economica in Francia si aggravò, il «suolo» sociale e urbano della capitale era favorevole all'espressione di un malcontento rimasto latente. Con oltre un milione di abitanti, la Parigi del 1848 era ancora la Parigi dell'Ancien Régime con le sue vecchie case e le sue strade strette. La città era chiusa dalle mura dei Fermiers généraux[1] con le sue 52 porte d’ingresso. A Parigi nel 1848, le condizioni di esistenza (durata e durezza del lavoro, miseria, condizioni igieniche e di salute, criminalità) erano difficili. La grande industria è stata spostata nei villaggi periferici, La Villette, Les Batignolles. La maggior parte degli operai erano occupati in atelier (laboratori) che lavorano per il lusso (metà dei 64.000 laboratori appartenevano ad un solo padrone o avevano un solo lavoratore). Le specialità erano molto diversificate (più di 325 mestieri elencati) dove dominavano l'abbigliamento (90.000 lavoratori ) e l'edilizia (41.000).
Boulevard du Temple, fotografato da Louis Daguerre nel 1838 o 1839
Anche dopo i progressi delle Tre Gloriose, nel 1830, ottenendo una monarchia costituzionale, in quei tempi di epidemia, colera, carestia, crisi finanziaria, rivalità politiche o litigi a proposito delle scuole religiose gli antagonismi erano esasperati. Degli incidenti si verificavano più regolarmente nella capitale che nelle province e pertanto furono nuovamente erette le barricate. Dal 1830 al 1848 avvenne:
Il saccheggio della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois e del palazzo arcivescovile in segno di protesta contro la celebrazione di una messa legittimista, poi l'inizio dell'insurrezione in seguito al verdetto contro 19 ufficiali della Guardia Nazionale (1831), la sommossa in occasione della sepoltura del generale Lamarque col risultato di 800 vittime (circa 160 morti e oltre 600 feriti nel 1832), le battaglie di strada (pesantemente represse da Bugeaud) causate dall'arresto di 150 attivisti della Società dei diritti umani e la promulgazione della legge sulle associazioni (1834), l'attacco contro il re (1835), gli incidenti per respingere gli assalitori del municipio e della prefettura (1839) furono i fatti  significativi del primo decennio.
Le vigorose posizioni assunte nella Camera parlamentale contro il suffragio universale di Thiers (1840) e Guizot (1842) che rifiutarono di tenere conto delle aspirazioni democratiche, le manifestazioni e gli scioperi degli operai tessili, edilizia ed ebanisti che si trasformano in sommossa a Faubourg Saint-Antoine (1840), i manifestanti sfilarono con la «bandiera rossa» scandendo "Lunga vita alla Repubblica!" (1841), il contraccolpo economico e finanziario del paese mal preparato per una così rapida evoluzione, la crisi del 1846-47 che causò una significativa disoccupazione nel 1848 (quasi i due terzi degli operai nell'arredamento e nella costruzione diventarono disoccupati) furono i fatti  significativi del secondo decennio.


Dall'allestimento dei banchetti alla rivoluzione del 1848

È data alla Rivoluzione del 1789 l'uso in Francia dei banchetti civici, pranzi pubblici in comune che festeggiavano un importante avvenimento o ricordavano un anniversario: ne scrisse il 18 luglio 1789 il marchese de la Villette su «La Cronique»: «Vorrei che si istituisse una festa nazionale nel giorno della nostra resurrezione. Per una rivoluzione che non ha esempi, occorre organizzare qualcosa di nuovo. Vorrei che tutti i borghesi della buona città di Parigi apparecchino la tavola in pubblico e prendano il pasto davanti alla loro casa. Il ricco e il povero sarebbero uniti e tutte le classi confuse insieme. Le strade ornate di tappeti, disseminate di fiori [...]». E così fu fatto a Parigi, ma in un luogo prestabilito, il parco della Muette, il 14 luglio 1790, per la festa del Campo di Marte, o il 26 luglio 1792, sulle rovine della Bastiglia. Con uno spirito diverso, in tono minore e solo su invito personale, furono tenuti banchetti anche sotto la Restaurazione e sotto la monarchia di Luglio: secondo un'usanza inglese, utilizzata dallo stesso Guizot, erano riunioni a carattere clientelare con le quali i notabili mantenevano il contatto con i propri elettori.
Due inglesi, Cobden e Bowring, suggerirono ai repubblicani e ai riformatori di approfittare della miseria del regno per prendere il potere. La loro idea fu che questi organizzazzassero anche loro grandi pranzi per riunire l'opposizione riformista bypassando il divieto di incontri politici sotto forma di banchetti, in questo modo si potevano fare discorsi di critica della politica governativa. Gli ambienti repubblicani aderirono completamente a questa idea e cercarono di radunare tutta l'opposizione, compresa l’opposizione dinastica (i nostalgici della casata Borbone).
L’editore e politico repubblicano Laurent-Antoine Pagnerre, entusiasta, convocò i direttori dei principali giornali liberali. Risposero tutti favorevolmente, tranne quello de La Réforme, e approvarono l'organizzazione dei banchetti da parte del comitato repubblicano centrale di Pagnerre; nacque così la così detta «compagnia dei banchetti» che aveva lo scopo di opporsi alle decisioni prese dal governo conservatore di François Guizot.
Con il sostegno della stampa e dei suoi 22.000 abbonati la campagna venne lanciata. Il primo banchetto fu organizzato il 10 luglio 1847. Si svolse a Château Rouge, a Parigi e riunì 86 deputati e 1.200 ospiti, nel quale si richiese la riforma della legge elettorale con un allargamento del diritto di voto. Il modello funzionò e seguirono altri 70 banchetti, riunendo 17.000 ospiti. Generalmente, s'iniziava con una sfilata, accompagnata da un'orchestra, per le strade della città, poi ci si sedeva a tavola all'aperto, pagando il pranzo organizzato, alla fine del quale gli oratori tenevano un discorso: così poteva trascorrere un'intera giornata festiva.
Questi banchetti furono estesi nelle province: il 7 novembre a Lilla, il 21 novembre a Digione, il 5 dicembre ad Amiens, il 25 a Rouen, l'opposizione manifestò nei banchetti contro Guizot e il suo governo; ma anche in località più piccole, generalmente calme, come Compiègne, Saint-Germain-en-Laye e Châteaudun. Al contrario, città più grandi come Marsiglia, Bordeaux o Nantes non parteciparono.
A parlare furono i rappresentanti di una opposizione di diverse origini ma unita contro il governo: vi erano gli orléanisti Odilon Barrot e Armand Marrast, i socialisti utopisti Louis Blanc e Alexandre Martin, i liberali François Arago e Alphonse de Lamartine, i repubblicani Ledru-Rollin e Louis-Antoine Garnier-Pagès. La decisione del governo di opporsi a qualunque riforma finì con il radicalizzare anche l'opposizione, così che anche orléanisti già convinti si convinsero della necessità di abbattere il regime di Luigi Filippo. Quindi, se i banchetti erano inizialmente guidati da rappresentanti della "opposizione dinastica", come Odilon Barrot, che desideravano un'evoluzione della monarchia di luglio, ma non la sua fine, poco a poco l'espressione delle idee repubblicane finirono per essere le più espresse.


La rivoluzione di febbraio

Il ponte dell'arcivescovo sorvegliato dalle truppe
durante la rivoluzione del 1848
Davanti l’ampliamento della compagnia dei banchetti, il governo Guizot, il 25 dicembre, tre giorni prima dell'apertura del Parlamento, decise di bandire questi falsi banchetti. Luigi Filippo, nel suo discorso inaugurale, si dichiarò contrario alla riforma elettorale, provocando la ripresa della campagna dei banchetti.
Il 14 febbraio, il prefetto della polizia proibí un banchetto previsto a Parigi per il 19. Al richiamo di Armand Marrast, sul quotidiano Le National, i parigini furono invitati a protestare il 22, data in cui il banchetto era stato rinviato. Il raduno doveva svolgersi in place de la Madeleine. Il giorno prima, tuttavia, i principali leader dell'opposizione si ritirarono prima della prova di forza e diedero il contro-ordine di annullare il banchetto e la manifestazione. Sembrava che il governo prevalesse; fiducioso, decise di non attuare i previsti accordi militari in caso di incidenti gravi. Di fatto, il governo e l'opposizione furono sopraffatti dalla situazione che si sviluppò durante le ore della "rivoluzione".
La mattina del 22 febbraio, centinaia di studenti (alcuni dei quali si erano già mobilitati dal 3 gennaio per denunciare il ritiro delle lezioni di Jules Michelet) si riunirono in place du Panthéon, poi si recarono alla Madeleine dove si unirono agli operai. I manifestanti (3.000 persone) si avviarono in seguito al Palais Bourbon, sede della Camera dei Deputati, in place de la Concorde, gridando "Lunga vita alla Riforma! Abbasso Guizot!".  Non essendo riusciti ad arrivare sino al palazzo, i manifestanti si sparsero per le strade vicine, e cominciarono a rompere il lastricato, a capovolgere gli omnibus e ad erigere barricate. Gli incidenti provocarono un morto ma le forze dell'ordine controllavano la situazione. L'occupazione militare di Parigi fu decretata verso le ore 16. Il re poteva contare su 30.000 soldati, il supporto dell'artiglieria, la sicurezza dei forti che circondavano la capitale. C'era, infine, la Guardia Nazionale, circa 40.000 uomini. Dopo i problemi si spostarono verso la chiesa di Saint-Roch, la manifestazione si organizzò, la situazione peggiorò perché la crisi non poté essere risolta, la Camera aveva respinto poche ore prima la richiesta di accusa del governo Guizot presentata da Odilon Barrot.
La mattina del 23 febbraio, la lotta armata per le strade di Parigi ricominciò. Mentre si svolgeva l'insurrezione, le guardie nazionali della seconda legione, Boulevard Montmartre, gridavano "Viva la Riforma!". In altri distretti, diversi battaglioni della Guardia Nazionale proteggevano gli operai contro le guardie municipali e persino contro le truppe nazionali. La Guardia Nazionale si pose come arbitro tra l'esercito e il popolo. Questa defezione suonò la campana a morto del potere di Guizot. Luigi Filippo comprese improvvisamente l'impopolarità del suo ministro e decise, nel pomeriggio, di sostituirlo con il conte Molé, che equivalse a dire che avrebbe accettato la riforma. Il re tardivamente licenziò il suo ministro Guizot. La protesta si calmò, il peggio sembrava essere evitato anche se il clima rimaneva teso. La sera dello stesso 23 febbraio, la folla vagò sotto le lanterne per esprimere la sua gioia ed aveva intenzione di andare sotto le finestre di Guizot a fischiarlo. Il malcontento era stato così profondo per mesi e la tensione delle ultime ore così forte che il minimo incidente poteva ancora mettere in pericolo l'assestamento "legalistico" e improvvisato della crisi e far rivivere l'ardore rivoluzionario. Nel quartiere dei Capucines, una strada era bloccata dal 14° reggimento di fanteria e la provocazione di un dimostrante, che portò una torcia verso un ufficiale, ebbe conseguenze tragiche. Credendo di essere stato minacciato, il militare fece aprire il fuoco, lasciando sul marciapiede da 35 a 50 morti, secondo varie fonti, da quelle governative e da quelle della protesta. Questa fucilata del boulevard des Capucines, il trasporto dei cadaveri, di notte, alla luce delle torce, su un carretto per le strade di Parigi, il richiamo delle campane che annunciavano il massacro, tra le 23:00 e mezzanotte, da Saint-Merri a Saint-Sulpice, rilanciò l'insurrezione. Alla vista di quei martiri, vennero assalite le armerie ed erette le barricate. Quasi in 1.500 si mobilitarono in tutta la città. La classe operaia si unì con gli studenti e la piccola borghesia. Mentre i rivoluzionari parigini si sollevavano, il re alle Tuileries[2] non aveva più un governo. Molé aveva rinunciato e consigliò di fare appello a Thiers. Quest'ultimo chiese quindi lo scioglimento della Camera dei Deputati, ma il re rifiutò. Il maresciallo Bugeaud, nominato comandante supremo dell'esercito e della Guardia Nazionale di Parigi, era convinto di poter sconfiggere la sommossa, ma il sovrano rifiutò la soluzione della forza.
La mattina del 24 febbraio quasi tutti i punti strategici della capitale erano stati occupati dagli insorti, Luigi Filippo non riuscì a riprendere il controllo della situazione, nonostante un ultimo tentativo di affidare il governo a Odilon Barrot. Nel palazzo reale delle Tuileries regnava il panico: il maresciallo Bugeaud, nominato comandante in capo dell'Esercito e della Guardia Nazionale, era convinto di poter soffocare la sommossa, ma Luigi Filippo rinunciò alla soluzione di forza. Quando il palazzo cominciò ad essere attaccato dalla folla, verso mezzogiorno, su consiglio di persone di fiducia, il re Luigi Filippo abdicò in favore di suo nipote di 9 anni, il conte di Parigi, affidando la reggenza alla duchessa di Orleans, quindi sotto la pressione dei rivoluzionari prese la via dell'esilio e rifugiandosi in Inghilterra con la moglie, dove si era rifugiato anche Guizot. All'inizio del pomeriggio, la duchessa di Orleans si recò al Palais Bourbon per far sì che suo figlio venisse investito e che venisse proclamata ufficialmente la reggenza, nella speranza di salvare la dinastia. La maggioranza dei deputati, che sperano di formare un nuovo governo in continuità con il vecchio per mantenere la monarchia a garanzia dei propri interessi, sembrò favorire una reggenza; ma i repubblicani, che avevano imparato la lezione del loro fallimento nel 1830, e i liberali, che volevano un nuovo governo più liberale, forzarono la mano.


La creazione del governo provvisorio

Alphonse de Lamartine
L’abdicazione del re non arrestò lo sviluppo della rivoluzione. L’alta borghesia continuava ad appoggiare la monarchia. Essa era spaventata dalla sola parola “repubblica”, che le ricordava i tempi della dittatura giacobina e del terrore rivoluzionario degli anni 1793-1794. Nel corso di una seduta alla Camera dei Deputati i liberal-borghesi tentarono di mantenere in vita la monarchia. Ma i loro piani furono sventati dai combattenti delle barricate. Durante quella seduta, i combattimenti per le strade di Parigi continuarono: reparti rivoluzionari s'impadronirono del Palazzo delle Tuileries; il trono del re fu portato in strada e incendiato in piazza della Bastiglia tra le grida esultanti di migliaia di persone; il Palais-Bourbon venne invaso dalla folla rivoluzionaria che irruppero nella Sala delle sedute; gli operai armati e la Guardia Nazionale chiesero che fosse proclamata la repubblica.
Il 25 febbraio venne costituito un nuovo governo provvisorio: alla cui presidenza fu eletto l’avvocato Dupont de l’Eure, che nel 1830 aveva partecipato alla rivoluzione. Vecchio e malato, egli non aveva molta influenza, di fatto capo del governo divenne il ministro degli Esteri, lo storico, poeta e liberale moderato Alphonse de Lamartine, distintosi per il suo talento oratorio e i suoi interventi contro la monarchia di luglio. Nel governo entrarono sette repubblicani borghesi di destra, che si raggruppavano attorno all’influente giornale d’opposizione “Le National”, due repubblicani radicali, Ledru-Rollin e Flocon, e due socialisti utopisti, Louis Blanc[3] e l’operaio Alexandre Martin detto Albert. In sostanza il governo provvisorio era un compromesso tra le diverse classi che insieme avevano abbattuto il trono di luglio, ma i cui interessi erano opposti o comunque ostili. E tuttavia la supremazia nel governo e l’intero potere appartenevano ai rappresentanti della borghesia. Nonostante le richieste del popolo, il governo non si affrettava a proclamare la repubblica. Il governo era stato formato, ma non era stata scelta ancora la forma istituzionale dello Stato. Il gruppo de «Le National» non guardava con simpatia alla forma repubblicana, che evocava in loro lo spettro della Repubblica giacobina.
Una delegazione di operai, guidata da un vecchio rivoluzionario, scienziato eminente (chimico) e medico, Raspail[4], chiese che fosse proclamata senza esitazioni la repubblica. Raspail dichiarò che se la richiesta non fosse stata accolta entro due ore, egli sarebbe ritornato con 200.000 dimostranti. La minaccia ebbe il suo effetto: ancora prima dello scadere del termine stabilito venne abolita la monarchia di luglio e la Seconda Repubblica fu proclamata ufficialmente. La breve e drammatica stagione della Seconda Repubblica ebbe così inizio.
Gli operai di Parigi contribuirono in modo determinante a rifondare in Francia, dopo 55 anni, una nuova Repubblica. Ma come al solito sono i proletari a far la rivoluzione per le strade, nelle piazze e nelle barricate ma poi è la classe borghese-nobiliare che prende il potere per mantenere la sua posizione privilegiata. La Seconda Repubblica, in effetti, fu governata da una coalizione di monarchici, dichiarati o mascherati, e di borghesi repubblicani che avevano orrore del socialismo e disgusto del proletariato.


La lotta per la bandiera rossa e per il diritto al lavoro

Il 25 febbraio, la notizia della proclamazione si diffuse a Parigi e nelle province. Lo stesso giorno scoppiarono dissensi tra la maggioranza borghese del governo provvisorio e gli operai rivoluzionari di Parigi circa il colore della bandiera dello Stato. Gli operai dimostranti chiedevano che fosse riconosciuta la bandiera rossa, bandiera della rivoluzione e delle riforme socialiste, come simbolo della Repubblica sociale. Ma a ciò si opponevano i circoli borghesi, i quali vedevano nella bandiera tricolore il simbolo del dominio del regime borghese. Grazie all’eloquente abilità del poeta Alphonse de Lamartine, membro del governo provvisorio, venne respinto il rosso e la bandiera tricolore restò l’emblema dei Francesi; si fece egualmente qualche concessione al rosso: una coccarda sull'asta della bandiera fu applicata come «ricordo di riconoscenza per l’ultimo atto della rivoluzione popolare».
Ci si accordò nel proclamare (il 4 maggio 1848) ufficialmente la Repubblica dopo l'elezione dell'Assemblea costituente: per il momento, la Francia era solo ufficiosamente una Repubblica sociale.
Il 25 febbraio all'Hôtel de Ville Lamartine respinge la proposta di adottare la bandiera rossa quale simbolo della Repubblica
Louis Blanc
L’operaio Alexandre Martin detto Albert
Quasi contemporaneamente scoppiò un nuovo conflitto: dinanzi all’edificio dove sedeva il governo provvisorio, ebbe luogo una dimostrazione di massa di operai che chiedevano l'«organizzazione del lavoro», un «ministero del lavoro e del progresso» e l’«abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Una delegazione di operai chiese che fosse immediatamente emanato un decreto sul “diritto al lavoro”. La presenza a Parigi di un’enorme massa di disoccupati, aveva reso questa parola d’ordine molto popolare. Dopo molte obiezioni il governo, su richiesta di Louis Blanc, giunse ad una decisione che fu frutto di un compromesso: creare una commissione per la questione operaia con a capo Louis Blanc ed un operaio di nome Albert, ed emanò un decreto sul «diritto al lavoro», col quale s’impegnava a «garantire la vita al lavoratore mediante il lavoro» e a «garantire il lavoro a tutti i cittadini»: una dichiarazione di intenti che suonava gradita alla grande massa dei disoccupati parigini. Per le sedute di questa commissione, di cui facevano parte i rappresentanti delegati degli operai, imprenditori e alcuni importanti economisti, per studiare il problema, con Louis Blanc presidente, l'operaio Albert vicepresidente, fu scelto il Palazzo del Luxembourg, così facendo i due vennero allontanati dal governo di cui facevano parte.
Questa commissione, detta Commissione del Luxembourg[5], venne fatta segno alle peggiori calunnie da parte della stampa conservatrice. Non le fu dato in realtà alcun vero potere né alcun mezzo finanziario. La commissione venne utilizzata dalla borghesia solo per illudere le masse e, addormentando la loro vigilanza, guadagnar tempo per acquistare forze. Louis Blanc ebbe in tutto questo affare una parte di scarsa importanza. Egli esortava gli operai ad attendere pazientemente la convocazione dell’Assemblea costituente, che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi sociali; nelle sedute della commissione e fuori, egli sosteneva il suo progetto di associazioni operaie di produzione sovvenzionate dallo Stato. L’attività di Louis Blanc rispondeva in pieno ai piani della borghesia, la quale frattanto raccoglieva tutte le sue forze per passare all’offensiva contro le conquiste della rivoluzione. Louis Blanc si considerava il capo della democrazia del lavoro o della democrazia socialista, ma in realtà era un’appendice della borghesia.


Le conquiste democratiche della rivoluzione di febbraio

Una conquista particolarmente importante della rivoluzione di febbraio fu il decreto che il governo provvisorio emanò il 27 aprile del 1848, che aboliva la schiavitù dei negri nelle colonie francesi.
Una delle poche conquiste della classe operaia nella rivoluzione di febbraio fu la riduzione della giornata lavorativa. A Parigi e in provincia la giornata lavorativa superava a quei tempi le 11-12 ore. Un decreto del 2 marzo 1848 stabilì che la giornata lavorativa sarebbe stata a Parigi di 10 ore e in provincia di 11. Ma molti imprenditori non si assoggettarono a questo decreto e costrinsero gli operai a lavorare un numero maggiore di ore, oppure chiusero le proprie aziende. Il decreto, d’altra parte, non soddisfaceva nemmeno gli operai, che chiedevano una giornata lavorativa di 9 ore.
La rivoluzione di febbraio abolì la pena di morte il 4 marzo, giorno nel quale si proclamò la libertà di stampa e di riunione e che portò al sorgere di molti circoli politici sia a Parigi che in provincia. Tra i circoli rivoluzionari del 1848 aveva maggiore influenza la «Società dei diritti dell’uomo», nelle cui sezioni si riunivano i gruppi progressisti della democrazia piccolo-borghese. Vicino ideologicamente a questa organizzazione era il «Circolo della rivoluzione», il cui presidente era Armand Barbes, rivoluzionario piccolo-borghese. Tra i circoli proletari rivoluzionari emergeva per la sua importanza l’«Associazione centrale repubblicana», il cui fondatore e presidente fu Auguste Blanqui, che denunciava la tattica della borghesia ed esortava il popolo a non credere nel governo provvisorio.
Un’altra conquista dei lavoratori francesi fu l’introduzione del suffragio universale, il 5 marzo, per gli uomini che avessero raggiunto il ventunesimo anno, così che il corpo elettorale passò dai precedenti 240.000 elettori a 9 milioni. Questa misura rese il mondo rurale, che costituiva i tre quarti della popolazione, l'arbitro delle elezioni politiche, che vennero indette per il 9 aprile (poi spostate al 23 aprile) per eleggere l'Assemblea costituente.
L’abolizione della tassa obbligatoria sulla stampa favorì l’uscita di un gran numero di giornali di indirizzo democratico.
All’inizio di marzo l'Associazione centrale repubblicana chiese che fossero abolite tutte le leggi contro gli scioperi, che fosse consentito l’armamento generale e che entrassero immediatamente a far parte della Guardia Nazionale, il cui accesso era riservato ai soli borghesi, tutti gli operai e i disoccupati.
Gli strati progressisti della classe operaia e delle altre frazioni democratiche della popolazione si battevano per una decisa democratizzazione del sistema sociale e statale francese. Ma il governo provvisorio era contrario a questa democratizzazione: esso conservava in maniera quasi immutata la polizia e l’apparato burocratico esistenti prima della rivoluzione di febbraio, mentre nell’esercito erano rimasti ai posti direttivi i generali monarchici.


La politica interna del governo provvisorio

Per combattere la disoccupazione, che poteva provocare nuove agitazioni, il governo provvisorio creò il 27 febbraio a Parigi, e in seguito in altre città, gli Ateliers nationaux (opifici nazionali), organizzazioni che avevano il compito di individuare lavori di pubblica utilità cui destinare i disoccupati, e alle quali lo Stato interveniva direttamente fornendo, organizzando e pagando il lavoro. Gli ateliers giunsero ad impiegare quasi 115.000 operai. I lavoratori degli opifici nazionali erano di diverse professioni, e venivano impiegati principalmente come sterratori per la costruzione di strade e di canali, per piantare alberi ecc. Creando questi opifici nazionali i loro organizzatori, i repubblicani borghesi di destra, contavano di distogliere i lavoratori dalla lotta rivoluzionaria.
Infatti già nella notte del 25 febbraio, su iniziativa della destra del governo, fu emanato un decreto per organizzare battaglioni della Guardia mobile con effettivi di circa 24 mila uomini; essi erano arruolati per la maggior parte tra giovani del sottoproletariato, instabile sia da un pun,to di vista morale che politico e facilmente utilizzabili contro le rivendicazioni operaie. Questi battaglioni vennero posti in una situazione privilegiata: i loro uomini avevano una divisa particolare e ricevevano uno stipendio maggiorato; il comando era affidato a ufficiali reazionari.
La situazione economica divenne presto preoccupante. I risparmiatori ritiravano il loro denaro dalle casse di risparmio e dalle banche che, in mancanza di liquidità, non potevano più sostenere le imprese e il commercio. Per guadagnarsi la fiducia della media e alta borghesia, sospettosa della Repubblica, il governo pagò in anticipo gli interessi sul debito statale, svuotando così le proprie casse, e per rilanciare l'economia, il 7 marzo, creò il Comptoir d'escompte (il Banco di sconto) che aveva il compito di aiutare il commercio a scontare i propri effetti. Il 15 marzo il governo decretò il corso forzoso dei biglietti di banca e il 16, per far fronte alle difficoltà della Tesoreria dello Stato, istituì l'imposta addizionale di 45 centesimi per franco alle quattro imposte dirette.
Questa tassa colpiva anzitutto la classe dei contadini, cioè la grande maggioranza del popolo francese. Essi dovettero pagare le spese della rivoluzione di febbraio e da essi la controrivoluzione trasse le sue forze principali. L'imposta dei 45 centesimi era una questione di vita o di morte per il contadino francese; egli ne fece una questione di vita o di morte per la repubblica. Da questo momento la repubblica fu per il contadino francese l'imposta dei 45 centesimi, e nel proletariato parigino egli vide lo scialacquatore che se la spassava a sue spese.


Le elezioni dell’Assemblea costituente

Le elezioni dell’Assemblea costituente furono indette per il 9 aprile. Le organizzazioni democratiche rivoluzionarie e socialiste chiesero un rinvio delle elezioni per prepararsi meglio, condurre un lavoro di delucidazione nelle campagne e in tal modo assicurare la vittoria dei repubblicani di sinistra e dei socialisti. I repubblicani borghesi di destra invece, e tutti i nemici della democrazia erano contrari a un rinvio della convocazione dell’Assemblea costituente, considerando che quanto prima vi fossero state le elezioni, tanto maggiori sarebbero state le possibilità di vittoria delle forze reazionarie.
Il 17 marzo i circoli rivoluzionari di Parigi organizzarono una grande dimostrazione popolare, chiedendo che le elezioni dell’Assemblea costituente fossero rimandate al 31 maggio. Ma il governo respinse questa richiesta e le elezioni si svolsero il 23 aprile.
Sebbene formalmente le elezioni avvenissero in base al suffragio universale maschile, esse furono in effetti molto lontane dall’essere tali. Molte persone furono arbitrariamente private del voto; le autorità esercitarono una brutale pressione sugli elettori di tendenze democratiche, sciolsero le loro riunioni, distrussero i loro manifesti elettorali.
I risultati delle elezioni del 23 aprile mandarono all'Assemblea costituente una netta maggioranza di «repubblicani del giorno dopo», (ossia monarchici e bonapartisti camuffati) e repubblicani conservatori. Le elezioni furono vinte dai repubblicani borghesi di destra, che ottennero 500 seggi su 880. I monarchici orléanisti (sostenitori della dinastia degli Orléans) e i legittimisti (sostenitori dei Borboni) ne ottennero insieme circa 300. Un numero minimo, due in tutto, fu ottenuto dai bonapartisti (sostenitori della dinastia dei Bonaparte). I democratici della piccola-borghesia e i socialisti ottennero 80 seggi. In tutta l’Assemblea vi erano solo 18 operai. Gran parte della piccola-borghesia e dei contadini era stata ingannata dalla propaganda antisocialista e ciò aveva determinato l’esito delle votazioni.
In alcune città industriali, durante il periodo delle elezioni, c'erano stati accaniti scontri di piazza, che assunsero un carattere particolarmente burrascoso a Rouen, dove per due giorni, il 27 e il 28 aprile, gli operai insorti furono impegnati in aspri combattimenti sulle barricate contro le truppe governative.
L'Assemblea proclamò solennemente la Repubblica il 4 maggio ma il nuovo governo che ne fu l'espressione (sostanzialmente eguale al precedente, con l'esclusione dei socialisti Louis Blanc e l’operaio Albert) fu contrario alle misure sociali prese sull'onda della Rivoluzione di febbraio. Il 10 maggio venne rifiutata la proposta di istituire un ministero del Lavoro e il 12 si proibirono alle associazioni politiche di inviare petizioni all'Assemblea, una pratica che risaliva alla Prima Repubblica nata dalla Rivoluzione del 1789.


Storie e analisi

"Il 25 febbraio, verso mezzogiorno, la Repubblica non era ancora stata proclamata, ma, d'altra parte, tutti i ministeri erano già divisi tra gli elementi borghesi del governo provvisorio e tra i generali, i banchieri e i sostenitori del National. Ma questa volta gli operai erano determinati a non tollerare una ritirata simile a quella del luglio 1830. Erano pronti a combattere ancora e imporre la Repubblica con la forza delle armi. Fu con questa missione che Raspail andò all’Hôtel de Ville. Nel nome del proletariato parigino, ordinò al governo provvisorio di proclamare la Repubblica, dichiarando che se quest'ordine del popolo non fosse eseguito entro due ore, sarebbe tornato alla testa di 200.000 uomini. I cadaveri dei combattenti si erano a malapena raffreddati, le barricate non venivano rimosse, gli operai non erano disarmati e l'unica forza che potevano opporre era la Guardia Nazionale. In queste circostanze le considerazioni politiche e gli scrupoli legali del governo provvisorio svanirono bruscamente. Le due ore non erano ancora scadute, e già su tutte le mura di Parigi si poteva leggere in caratteri giganteschi: «République française! Liberté, Égalité, Fraternité!» (Karl Marx, Le Lotte di classe in Francia)”.
"La sera prima, lo spettacolo del carro contenente cinque cadaveri raccolti tra quelli del Boulevard des Capucines aveva cambiato le intenzioni del popolo; e mentre alle Tuileries gli aiutanti di campo si succedevano, l'insurrezione, come diretta da un braccio, fu organizzata tremendamente. Uomini di frenetica eloquenza arringarono la folla agli angoli delle strade; altri nelle chiese suonavano le campane in piena foga; il piombo fu colato, le cartucce furono preparate; gli alberi dei viali, i vespasiani, le panchine, le grate, i lampioni, tutto era stato strappato, rovesciato; Parigi, al mattino, era piena di barricate. La resistenza non è durata; ovunque la Guardia Nazionale s’interpose; Così, alle otto in punto, il popolo, volontariamente o con la forza, possedeva cinque caserme, quasi tutti i municipi, i punti strategici più sicuri (Gustave Flaubert l'Éducation sentimentale)”.
Il filosofo, politico e storico Alexis de Tocqueville, camminando per Parigi il 25 febbraio 1848, fu colpito dalle iniziative popolari, che spontaneamente spuntavano da tutte le parti: "Due cose mi hanno colpito in particolare: il primo è stato il carattere, non dico principalmente, ma solo ed esclusivamente popolare della rivoluzione che è stata appena compiuta. L'onnipotenza che aveva dato al popolo propriamente detto, cioè alle classi che lavorano con le loro mani, su tutte le altre. Il secondo è stata la mancanza di un sentimento di odio, e persino, a dire il vero, di passioni vivaci, che il popolo, che improvvisamente era diventato padrone unico di Parigi, mostrava in quel primo momento. (...) Durante quel giorno, non ho visto a Parigi nessuna delle ex forze dell'ordine, non un soldato, non un agente, non un poliziotto; la Guardia Nazionale era sparita. Il popolo da solo portava armi, controllava luoghi pubblici, sorvegliava, comandava, puniva; (...) Fin dal 25 febbraio, un migliaio di strani sistemi scaturirono dallo spirito degli innovatori e si diffusero nella mente turbata della folla. Tutto era ancora in piedi tranne la famiglia reale e il parlamento, sembrava che la società stessa sarebbe stata ridotta in polvere, e che una nuova forma doveva essere data all’edificio che sarebbe stato innalzato al suo posto; ciascuno ha proposto il suo piano. Si pretendeva di ridurre l'ineguaglianza economica; ci si impegnava a livellare la più antica delle disuguaglianze, quella dell'uomo e della donna; si prendevano specifiche misure anti-povertà e dei rimedi per questa disgrazia legata al lavoro, che tormentava l'umanità da quando esisteva. Queste teorie erano molto diverse l'una dall'altra, spesso contrarie, a volte ostili; ma tutti, puntando più in basso del governo e sforzandosi di raggiungere la società stessa, che funge da base, hanno assunto il nome comune di socialismo".


Considerazioni

La rivoluzione di febbraio fu una rivoluzione tanto pacifica da essere considerata letteraria, ma quel romanticismo fu smentito nei mesi successivi. In realtà l'apparato dello Stato e le leve del potere economico restavano interamente nelle mani dei borghesi moderati, ed in questa situazione le rivendicazioni operaie e la Commissione del Luxembourg apparvero presto come elementi di turbamento. Il 15 maggio la Costituente, valutando il costo finanziario e il risultato economico dei laboratori nazionali, li condannò come “un organismo ingombrante e pericoloso”; il decreto del 21 giugno soppresse i laboratori nazionali; 110.000 operai furono gettati sul lastrico; i più giovani furono invitati ad arruolarsi nell’esercito; gli altri vennero inviati in provincia per lavori di sterro. Cosi si preparó il dramma delle giornate del giugno 1848; Lamartine si dimise dal governo e la rivoluzione di giugno venne soffocata nel sangue dal generale Cavaignac; le elezioni presidenziali del 10 dicembre successivo videro il trionfo di Luigi Bonaparte. Il bello slancio di febbraio fu stroncato nelle giornate di giugno, che Benoît Malon consideró come la seconda sconfitta del proletariato francese.


La manifestazione del 15 maggio 1848

La manifestazione popolare parigina del 15 maggio 1848 ebbe il risultato di decapitare il movimento repubblicano progressista della Seconda Repubblica alla vigilia dell'offensiva politica dei conservatori della Costituente.
Il 4 maggio ebbero inizio le sedute dell’Assemblea costituente. Le forze reazionarie, che avevano riportato la vittoria nelle elezioni, cercarono di liberarsi dalla pressione popolare parigina, scatenando un’aperta offensiva contro le libertà politiche e le conquiste sociali che i lavoratori avevano ottenuto con la rivoluzione di febbraio. Al posto del governo provvisorio fu creata una Commissione esecutiva, della quale non faceva parte nemmeno un socialista, e dove invece avevano un ruolo decisivo i repubblicani di destra, strettamente legati all’alta borghesia.
Il 10 maggio, l'Assemblea rifiutò la proposta del membro del governo Louis Blanc, che chiedeva la costituzione di un Ministero del lavoro e del Progresso che si sarebbe incaricato di migliorare la situazione delle classi lavoratrici. Il 12 maggio l'Assemblea proibì ai club politici di inviare delegazioni per leggere le petizioni all'Assemblea (ex pratica dei sans-culottes di Parigi dal 1792 al 1794, ripresa dal febbraio 1848), pronunciandosi contro i circoli rivoluzionari.
Anche in politica estera il governo si muoveva secondo una linea conservatrice: i repubblicani parigini furono insoddisfatti della stagnazione del ministero degli Esteri, Jules Bastide, che rifiutò di aiutare i polacchi schiacciati dalle truppe prussiane a Posnen. Continuò soltanto la politica estera del governo provvisorio che, sotto l'impulso di Alphonse de Lamartine, il 4 marzo, aveva escluso ogni intervento in favore dei popoli in rivolta (italiani, polacchi, tedeschi ...) durante la primavera dei popoli. Tale atteggiamento fu incomprensibile per i repubblicani progressisti che vivevano nella memoria della rivoluzione del 1792, quando la Francia, la "Grande nazione", andò in aiuto dei "popoli oppressi dai loro principi".
A Parigi c’erano molte guardie nazionali che erano venute per la cerimonia di consegna delle bandiere in programma per il 14 maggio. Questa cerimonia venne improvvisamente annullata di fronte al rifiuto dei delegati operai della Guardia Nazionale, che risiedevano nel Palazzo del Luxembourg per prendere parte alla cerimonia. La Guardia Nazionale (borghese) della provincia, inattiva, rimase tuttavia nella capitale. I delegati polacchi di Posen e Lemberg hanno ottenuto attraverso l'intermediazione di Wolowski, un ex compatriota eletto deputato della Senna, che l'Assemblea discutesse la questione polacca il 15 maggio. Questo fu il giorno in cui i club parigini scelsero di organizzare una manifestazione di sostegno per la causa polacca (nonostante la mancanza di entusiasmo dei leader repubblicani come Raspail, Barbès o Blanqui).
Caricatura di Cham che rappresenta l'intrusione dei
manifestanti nell'Assemblea costituente nazionale
I circoli rivoluzionari di Parigi organizzarono una grande dimostrazione popolare cui parteciparono quasi 150 mila persone, prevalentemente operai.
La manifestazione iniziò in Place de la Bastille e doveva raggiungere Place de la Concorde attraverso i Boulevards. Erano presenti molte delegazioni straniere (irlandesi, italiane, polacche). L'azione di alcuni leader (principalmente quella del vecchio rivoluzionario Aloysius Huber, personaggio dubbioso forse un informatore della polizia, persino provocatorio ai suoi ordini) e gli insuccessi del generale de Courtais, comandante della Guardia Nazionale, fecero degenerare la manifestazione.
I manifestanti si diressero verso il Palazzo Bourbon dove si trovava l'assemblea. La folla forzò l'ingresso alla sala riunioni. Raspail dette lettura di una petizione approvata dai circoli, nella quale si chiedeva che fosse prestato aiuto armato ai rivoluzionari polacchi in Posnania e che fossero presi decisi provvedimenti per la lotta contro la disoccupazione e la povertà in Francia. La maggioranza dei deputati abbandonò la sala occupata dai dimostranti.
Dopo lunghe discussioni Aloysius Huber dichiarò la Assemblea costituente sciolta. La folla si recò quindi all'Hôtel de Ville, il municipio di Parigi, dove venne proclamato un nuovo governo insurrezionale di cui facevano parte vari rivoluzionari (Blanqui, Ledru-Rollin, Albert, Louis Blanc, Huber, Thore, Cabet, Pierre Leroux, Raspail).
Lo scioglimento dell’Assemblea costituente fu un passo falso, intempestivo e impreparato, e gran pane del popolo non l'appoggiò. Si era data alle autorità una giustificazione per perseguitare i rivoluzionari. Tuttavia elementi della Guardia Nazionale della provincia, riuniti da Lamartine e Ledru-Rollin, membri del Comitato Esecutivo eletti il 10 maggio a succedere al governo provvisorio di febbraio, assediarono il municipio e dispersero i manifestanti disarmati. L'Assemblea e il Comitato Esecutivo presero in mano la situazione. I leader repubblicani Blanqui, Raspail, Barbes, Albert e alcuni altri autorevoli rivoluzionari furono arrestati e rinchiusi in carcere (vennero portati davanti all'Alta Corte di Giustizia di Bourges dal 7 marzo al 3 aprile 1849).
Scartato dal suo incarico, il capo della polizia Caussidière (si dimise dal suo mandato di deputato), venne sostituito da un banchiere Manceau Found-Chauvel. Il generale de Courtais, comandante della Guardia Nazionale di Parigi, che aveva mostrato simpatia per i manifestanti, fu arrestato e sostituito dal generale Clément-Thomas. Buchez, che non aveva mostrato alcuna reazione ai manifestanti, perse la presidenza dell'Assemblea, dove gli successe ex procuratore di Rouen, Antoine Senard.


Le elezioni suppletive del 4 e 5 giugno: situazione sociale e politica

La crisi economica e sociale, che aveva causato il malcontento popolare che portò alla rivoluzione del febbraio 1848, persisteva. L'incertezza sull'orientamento più o meno sociale della repubblica, proclamata solennemente il 4 maggio, incoraggiò i detentori del capitale a prelevare i loro fondi dalle banche alle quali mancarono poi di liquidità per concedere prestiti. Il numero di disoccupati era in aumento.
Da parte loro gli operai riponevano la loro fiducia verso i radicali, i socialisti e anche verso Louis-Napoléon Bonaparte che, oltre che giocare sul ricordo ancora fresco del Primo Impero, in un suo scritto, l'Extinction du paupérisme (La fine del pauperismo), prometteva di sostenere molte delle rivendicazioni operaie. Per questo motivo il "partito bonapartista" stava prendendo piede.
Certi operai si organizzarono fondando il 20 maggio la Société des corporations réunies che raggruppava gran parte dei partecipanti ai lavori della Commission du Luxembourg. Il 28 maggio venne pubblicato il giornale Le travail (il lavoro), e il 4 giugno anche Le Journal des travailleurs (Il giornale dei lavoratori), due quotidiani repubblicani portatori entrambi di idee socialmente avanzate. Gli operai degli Ateliers nazionali e quelli della Commission du Luxembourg si accordarono per presentare liste comuni alla elezioni suppletive dell'Assemblea nazionale previste per il 4 e 5 giugno: il movimento radicale, benché privo dei suoi maggiori capi dopo l'insuccesso della manifestazione del 15 maggio 1848, faceva progressi a Parigi e Marc Caussidière, Leroux e Pierre-Joseph Proudhon vennero eletti.
Parallelamente il partito bonapartista aumentò i propri consensi grazie al prestigio intatto di Napoleone Bonaparte e al bluff delle sue teorie populiste del nipote Luigi, ancora rifugiato a Londra dopo la sua evasione. Gli operai del quartiere La Villette fecero petizione a favore di Luigi Napoleone Bonaparte perché fosse nominato Console. La settima legione della Guardia Nazionale (quella dei quartieri popolari del Panthéon, Saint-Marcel e Saint-Victor) stava prendendo in considerazione l'idea di prenderlo come colonnello per sostituire il repubblicano Armand Barbès che la Commissione Esecutiva, il governo, aveva appena messo in prigione.
Nelle elezioni, Luigi Napoleone Bonaparte fu eletto trionfalmente a Parigi ed in altri quattro dipartimenti. Rinunciò temporaneamente e lasciò il suo esilio a Londra per venire a Parigi.
Da queste elezioni si rafforzò la maggioranza conservatrice dell'Assemblea nazionale (i già citati repubblicani del giorno dopo). Adolphe Thiers, battuto il 23 aprile, venne comodamente eletto a Parigi e in tre dipartimenti. Insieme a cinque nuovi conservatori parigini eletti, portò il suo saperci fare politico e la sua animosità contro la Repubblica.


La chiusura degli Ateliers nationaux

Dopo il 15 maggio l’offensiva della controrivoluzione andò intensificandosi sempre più. Il 16 maggio la Commissione del Luxembourg venne abolita, Jules Favre cercò invano di ottenere dall'Assemblea l'incriminazione di Louis Blanc. Il 22 maggio furono chiusi i circoli di Blanqui e di Raspail, La maggioranza conservatrice dell'Assemblea Nazionale, liberandosi dei leader progressisti repubblicani dopo il fallimento della manifestazione del 15 maggio 1848, ebbero quindi le mani libere per guidare l'offensiva contro la loro bestia nera: gli Ateliers nationaux, i laboratori nazionali simbolo della politica sociale. Il 18 maggio c’erano circa 115.000 persone registrate negli ateliers parigini. Ciò per le casse dello Stato comportava una spesa di quasi 200.000 franchi al giorno e, sia per la propaganda ostile al mantenimento degli Ateliers e sia per un falso rapporto stilato da Falloux[6] alla commissione lavoro dell'Assemblea costituente, i partigiani dell'ordine, i possidenti e i borghesi in genere si lamentavano esasperati di dover mantenere (affermavano) un numero crescente di disoccupati. In realtà il costo degli Ateliers rappresentava soltanto l'1% del bilancio dello Stato, ma anche grazie alla propaganda di Falloux (che aveva redatto un rapporto con false notizie sulla commissione del lavoro dell'Assemblea costituente), i partigiani dell'ordine, i possessori di rendite e titoli e la borghesia erano ostili al mantenimento degli Ateliers ed esasperati nel dover mantenere un numero crescente di disoccupati. Alcune belle menti li chiamavano, con un gioco di parole «râteliers nationaux», rastrelliere nazionali.
Già il 24 maggio, Ulysses Trelat, ministro dei Lavori pubblici, chiese la soppressione degli Ateliers nazionali, appoggiato dai conservatori Falloux e Montalembert. Il 30 maggio, l'Assemblea decise che i lavoratori domiciliati da meno di tre mesi nel dipartimento della Senna dovevano tornarsene in provincia. L'obiettivo era diminuire il numero di disoccupati aiutati dallo Stato e ridurre una possibile resistenza dei lavoratori parigini. Ma il governo, la Commissione esecutiva, composta da repubblicani moderati, aveva qualche tentennamento a mettere in discussione una delle conquiste più sociali della nuova repubblica per timore della reazione popolare. Il decreto del 24 maggio venne sospeso. Per ottenere simpatia popolare, il Comitato esecutivo pianificò la creazione di un credito fondiario per aiutare i contadini molto colpiti dalla crisi economica. Si considerò la riduzione dell'impopolare imposta sul sale.
Per fornire lavoro negli Ateliers nazionali, la Commissione previde di nazionalizzare la Compagnie ferroviarie per impiegarvi gli operai nei cantieri. Di fronte a questo possibilità di nazionalizzare una proprietà privata, la maggioranza conservatrice dell'Assemblea decise di intensificare la propria azione respingendo, in maggioranza, la proposta.
Il 7 giugno fu emanata una severa legge che proibiva i comizi all’aperto. Il 14 e il 15 giugno, Falloux e Goudchaux vennero eletti rispettivamente come relatore e presidente della Commissione speciale per gli Ateliers nazionali. La stampa controrivoluzionaria iniziò ad attaccare violentemente gli Ateliers, affermando che la loro esistenza impediva la rinascita degli “affari” e costituiva una minaccia per l’ordine” della capitale.
Il 19 e il 20 giugno, l'Assemblea votò per sciogliere gli Atelliers nazionali; gli operai con più di 25 anni di età che vi erano impiegati vennero inviati ai lavori di sterro in provincia e in particolare nella città di Sologne[7] per scavare il canale del Sauldre; gli operai celibi tra i 18 e i 25 anni dovevano essere arruolati nell’esercito. Il 21 giugno Il Moniteur, il giornale ufficiale dell'epoca, pubblicò il decreto. A Parigi vennero concentrate delle truppe.
Il 22 giugno, l'agitazione si diffuse. Il 23 giugno, nelle strade di Parigi, vennero erette le prime barricate.


L'insurrezione del 23 giugno

Barriera dei pesci proseguimento degli insorti, nella chiusa di Saint-Lazare , il 23 giugno 1848
Con più di un milione di abitanti, la Parigi del 1848 era ancora la stessa capitale dell'Ancien régime, cinta dalle mura della dogana, con le sue 52 «barriere», le vecchie case e le vie strette. Una sorta di frontiera separava la zona occidentale, con l’esercito, lla Guardia Nazionale e la Guardia mobile, da quella orientale dei quartieri popolari che raggiungevano il quartiere latino, l'Hôtel de Ville, il Louvre e le Tuileries. La distinzione tra le classi privilegiate e quelle popolari era molto netta. Queste ultime, che fornivano gran parte dei contingenti della Guardia Nazionale, erano escluse dal diritto di voto, che era stabilito attraverso il censo. Le condizioni di vita, a causa del lavoro occasionale o della disoccupazione, della miseria, della mancanza di condizioni igieniche adeguate, della mortalità, della criminalità, erano degradate. Mentre la grande industria si era sviluppata nei borghi periferici di La Villette e delle Batignolles, il popolo parigino attivo era occupato nelle 64.000 botteghe artigiane, metà delle quali erano tenute da un singolo artigiano o insieme con un solo operaio. Le specializzazioni erano molto diversificate nei 325 mestieri classificati e vi dominava l'attività tessile con 90.000 operai, quella edile con più di 40.000 operai, e quella degli oggetti di lusso.
Il 23 giugno il ministro Marie rispose ad una delegazione operaia: “Se gli operai non vogliono partire per la provincia, noi li costringeremo con la forza … con la forza, avete capito?”. La politica di provocazione del governo spinse i lavoratori all’insurrezione: gli operai di Parigi eressero le barricate. Il socialista Louis Pujol condusse sulla piazza della Bastiglia 7000 operai che prestarono un temibile giuramento: “La libertà o la morte!”.

Si issarono immediatamente le barricate da rue Saint-Denis a rue Saint-Antoine ed intorno al Panthéon, mentre proletari dei due sessi correvano per la città reclamando: “Pane o piombo! Piombo o pane!”. La commissione esecutiva diede le dimissioni, il generale Cavaignac organizzò la dittatura militare e preparò la più spietata delle repressioni. Questa fu voluta dalla borghesia conservatrice; “Thiers, disse Proudhon, è stato visto consigliare l’impiego del cannone per farla finita”. La principale base d'appoggio dell’insurrezione era il sobborgo di Saint-Antoine; le barricate erette in questa zona arrivavano al quarto piano delle case ed erano cinte da profondi fossati. La lotta sulle barricate era guidata per la maggior parte dai capi dei club proletari rivoluzionari, dall’operaio comunista Racari, dal socialista Pujol ecc. I combattimenti degli operai insorti erano condotti secondo un piano offensivo ideato da un rivoluzionario, l’ex-ufficiale Kersansie presidente del comitato d’azione della “Società dei diritti dell’uomo”. Amico di Raspail, ardente rivoluzionario, più di una volta perseguitato giudizialmente, Kersansie godeva di grande popolarità negli ambienti democratici di Parigi.
Barricate di rue Saint-Maur durante i giorni di giugno, su un dagherrotipo del 1848
Sfruttando le esperienze delle precedenti insurrezioni, Kersansie prevedeva un’offensiva concentrica contro il palazzo municipale, il palazzo Borbone e quello delle Tuileries con quattro colonne, che avrebbero dovuto appoggiarsi ai sobborghi operai. Ma non fu possibile realizzare questo piano. Gli insorti non poterono creare un unico centro direttivo poiché i vari reparti non erano ben collegati fra di loro.
Da ovest l’esercito, la Guardia Nazionale e la Guardia mobile si mossero contro le barricate. Venne attaccato il boulevard Saint-Denis e la rue de Cléry: qui la Guardia Nazionale premette sul fianco e i difensori della barricata si ritirano. Restano sette uomini e due donne, due giovani sartine: “una delle sartine, un'alta e bella ragazza, vestita con gusto, le braccia nude, prende la bandiera rossa, supera la barricata e si dirige verso la guardia nazionale. Il fuoco continua e i borghesi della guardia nazionale abbattono la ragazza quando questa arriva vicino alle loro baionette. Subito, l'altra sartina si getta avanti, prende la bandiera, solleva la testa della sua compagna e, vedendo che è morta, furiosa, tira delle pietre contro la guardia nazionale. Cade anche lei sotto i proiettili dei borghesi (Friedrich Engels, Neue Rheinische Zeitung», 28 giugno 1848)”.
Le barricate del boulevard Saint-Denis vennero prese dopo tre ore dall'esercito comandato da Cavaignac in persona e dalla cavalleria. Nel faubourg Poissonnière, il combattimento tra gli insorti della barricata di rue Lafayette e il 7º Reggimento di fanteria, la Guardia Nazionale e quella mobile durò mezzora e costò un centinaio tra morti e feriti. Caddero anche le barricate davanti al Palazzo di Giustizia, in rue de Constantine. Dal ponte di Notre-Dame l'artiglieria batté per tutto il pomeriggio rue Planche-Mybray, rue de la Cité e rue Saint-Jacques che vennero conquistate a sera.
Nei faubourg de la Villette e di Pantin si continuavano ad erigere barricate, Place de la Bastille e i suoi dintorni restarono nelle mani degli insorti, il faubourg Saint-Antoine, il centro dell'insurrezione, era tutto una barricata: sul boulevard di rue Montmartre fino al Temple, si ammassarono le forze delle repressione e fino a sera si sentirono le cannonate e gli scambi di fucileria.
Barricata di rue Soufflot 1848, Pittura di Horace Vernet
Il generale Hippolyte-Marie-Guillaume de Rosnyvinen de Piré fornì la seguente inaspettata testimonianza dell'atteggiamento degli insorti della barricata di rue Nationale-Saint-Martin quel giorno: "Alcuni cittadini, armati di baionetta, il 23 giugno, erano nella barricata di rue Nationale-Saint-Martin, mi son trovato pochi attimi da solo in mezzo ai ribelli animati da un'indescrivibile esasperazione. Abbiamo combattuto ad oltranza da entrambe le parti; potevano uccidermi, non l'hanno fatto! Ero nei ranghi della Guardia Nazionale, in uniforme da ufficiale generale; hanno rispettato il veterano di Austerlitz e Waterloo! Il ricordo della loro generosità non sarà mai cancellato dalla mia memoria ... Li ho combattuti fino alla morte, li ho visti come francesi coraggiosi quali erano; ancora una volta, mi hanno risparmiato la vita; erano vinti, infelici, devo loro la condivisione del mio pane!".


À la Belle Jardinière
Il 24 giugno

Dopo una pausa notturna, i combattimenti ripresero all'alba del 24 giugno. Il generale Cavaignac, nominato «dittatore» di Parigi, era deciso a utilizzare tutti i mezzi: intensificò l'uso dell'artiglieria, che non sparò più solo a mitraglia, ma utilizzò anche obici e proiettili incendiari. La 1ª legione della Guardia Nazionale fu respinta con gravi perdite alla gare du Nord: alle 10 del mattino l'arrivo dell'artiglieria permise di conquistare le barricate e di controllare la linea ferroviaria. Anche le barricate di rue Saint-Martin, rue Rambuteau e rue du Grand-Chantier furono prese a cannonate.
Al quai aux centinaia d'insorti occuparono il celebre magazzino «À la Belle Jardinière» che venne completamente demolito dalle cannonate, nel faubourg Saint-Jacques, vicino al Panthéon, si combatté casa per casa. L'insurrezione faceva progressi, controllando i faubourgs e la maggior parte della riva sinistra della Senna e il governo temette che potesse penetrare nel centro. Vennero inviate a Parigi le guardie nazionali di Pontoise, Rouen, Meulan, Mantes, Amiens, Le Havre, soldati da Orléans, artiglieri da Arras e da Douai.
Le truppe si concentrarono in tre punti: alla porta Saint-Denis, al comando del generale Lamoricière, all'Hôtel de Ville 14 battaglioni erano al comando del generale Dupvivier, e a place de la Sorbonne il generale Damesme, comandante della Guardia mobile, era impegnato contro il faubourg Saint-Jacques.
A mezzogiorno, il Pantheon uno dei centri dell’insurrezione di Parigi dove vi si erano rifugiati più di 1.500 ribelli, venne preso insieme a place Maubert; furono sloggiati dal colonnello Henri-Georges Boulay de la Meurthe a capo di un reggimento della guardia repubblicana.
Avanzando lungo i boulevards, l'esercito attaccò le barricate delle vie traverse. Si combatté con accanimento nel faubourg du Temple. La sera venne preso il faubourg Saint-Denis e controllata quasi tutta la riva sinistra della Senna. Gli insorti resistevano al Marais e al faubourg Saint-Antoine, ma furono circondati, caddero i faubourgs Saint-Jacques, Saint-Marceau, Poissonnière e Saint-Denis. Alla fine della giornata restavano nelle mani degli insorti i faubourg Saint-Antoine, Temple, Saint-Martin e il Marais. Sacche di resistenza erano a Saint-Lazare e al Jardin des Plantes.
Quel che colpisce in questi combattimenti disperati, è il furore con il quale si battono i «difensori dell'ordine». Essi, che prima avevano nervi talmente sensibili per ogni goccia di «sangue borghese», che avevano perfino delle crisi sentimentali per la morte delle guardie municipali del 24 febbraio, questi borghesi abbattono gli operai come animali selvaggi. Nelle file della Guardia nazionale, nell'Assemblea nazionale, nessuna parola di compassione, di conciliazione, nessun sentimentalismo, ma un odio che esplode con violenza, un furore freddo contro gli operai insorti. La borghesia conduce con chiara coscienza una guerra di sterminio (Friedrich Engels, Neue Rheinische Zeitung, 28 giugno 1848)”.


Il 25 giugno

Il 25 giugno apparve chiaro che le sorti dell'insurrezione erano segnate. Contro i 40.000 insorti, male armati e senza una direzione, stavano più di 150.000 uomini tra soldati e guardie nazionali e mobili, appoggiati dall'artiglieria e comandati da generali. Per tutto il giorno 40 pezzi di artiglieria spararono contro il Clos Saint-Lazare che gli insorti avevano trasformato in un campo trincerato, che aveva al suo centro la gare du Nord e l'ospedale Louis-Philippe: nel tardo pomeriggio Sainte-Lazare cadde.
Si combatteva al Temple, dove l'arcivescovo di Parigi, Denys Affre, venuto a esortare alla pace, venne raggiunto da una palla vagante: morirà due giorni dopo. Con una lunga lotta accanita, l'esercito avanzava lentamente e a notte gran parte del faubourg du Temple venne tolto dal comando degli insorti, minacciando il faubourg Saint-Antoine, il cuore della resistenza operaia. Dall'Hôtel de Ville, il generale Duvivier avanzava lentamente, liberò place de la Bastille e si presentò sul fianco delle barricate della rue Saint-Antoine (Friedrich Engels, Neue Rheinische Zeitung, 29 giugno 1848)”.
Barricata del giugno 1848 – Parigi», Musée Carnavalet



Il 26 giugno

Giugno 1848 - conquista della barricata di rue de Charenton
Litografia di E. Beaumont
La mattina del 26 giugno restava in mano degli insorti soltanto il faubourg Saint-Antoine e una parte del Temple, che non erano costruiti per condurvi battaglie da strada, avendo vie larghe e quasi diritte, che lasciavano campo all'artiglieria. Ad ovest erano coperti dal canale Saint-Martin, ma da nord strade ampie scendevano al centro del faubourg Saint-Antoine.
Il generale Cavaignac, minacciando di bombardare il quartiere, intimò agli insorti la resa che venne respinta. Il generale Perrot avanzava lungo il faubourg du Temple e Lamoricière da place de la Bastille, bombardando le barricate. Il resto del Temple venne conquistato rapidamente e le truppe si affacciarono sul faubourg Saint-Antoine, mentre dall'altra parte Lamoricière avanzava lentamente.
Quando le prime case cominciarono ad essere demolite a cannonate, Cavaignac intimò nuovamente la resa agli insorti, minacciando di radere al suolo l'intero quartiere. A quel punto i difensori abbandonarono le barricate e la guerra senza quartiere finì, nonostante la straordinaria resistenza di quegli operai senza capo, i quali conservarono nondimeno, secondo l’espressione del filosofo Alexis de Tocqueville, "un insieme meraviglioso”, col ricorso delle guardie nazionali della provincia, trasportate a Parigi per collaborare con le guardie mobili, le truppe regolari e la guardia nazionale, alla vittoria sul popolo in rivolta.
Il governo poté annunciare: «Gli insorti sono battuti. La lotta è finita. L'ordine ha trionfato sull'anarchia».


La repressione

L’insurrezione di giugno ebbe un carattere chiaramente proletario. Nei loro manifestini i lavoratori insorti chiedevano che l'Assemblea costituente fosse sciolta; che i suoi membri fossero messi sotto processo; che i membri della Commissione esecutiva fossero arrestati; che le truppe fossero allontanate da Parigi; che fosse concesso al popolo stesso il diritto di redigere la Costituzione; che fossero mantenuti gli opifici nazionali e che fosse garantito il diritto al lavoro. Per quattro giorni, dal 23 al 26 giugno, si combatté accanitamente per le strade. Da una parte lottavano 40-45 mila operai, dall’altra le truppe governative, la Guardia mobile e distaccamenti della Guardia Nazionale, in tutto 250 mila uomini. Dirigevano le operazioni delle forze governative generali che avevano precedentemente combattuto in Algeria. Essi mettevano in pratica l’esperienza acquisita nella repressione del movimento di liberazione del popolo algerino. A capo di tutte le forze governative vi era il ministro della guerra, generale Cavaignac, al quale erano stati conferiti poteri dittatoriali.
Nonostante l’eroismo dei lavoratori, l’insurrezione proletaria di Parigi fu repressa. Iniziò allora uno spietato terrore bianco: a Grenelle, alla Conciargerie, all’Hôtel de Ville, le esecuzioni si prolungarono quarantotto ore dopo la vittoria. I vincitori davano il colpo di grazia agli insorti feriti. Nei quattro giorni di combattimento, secondo le cifre ufficiali, i governativi hanno avuto circa 1.600 morti, gli insorti 5.500, tra caduti nelle barricate e fucilati sul posto, 25 mila fu il numero complessivo degli arrestati[8]. Coloro che avevano partecipato più attivamente alla rivoluzione furono consegnati al tribunale militare; circa 4000 persone furono deportati senza processo in Algeria. I quartieri operai di Parigi, di Lione e di altre città furono disarmati.
Massacri del giugno 1848
Repressione a Parigi dopo il giugno 1848
passaggio di una colonna di insorti prigionieri
incisione anonima
Anche la piccola borghesia si batté in quei giorni di giugno contro gli operai, già loro alleati a febbraio quando si trattò di rovesciare Luigi Filippo, re amato da banchieri e speculatori. Timorosi di perdere le loro proprietà e i loro commerci costruiti con le cambiali, i piccoli borghesi, in divisa di guardie nazionali, spararono contro le barricate dei quartieri operai, ma non ne ricavarono i vantaggi sperati, perché il governo non accordò loro alcun favore e l'Assemblea costituente ristabilì la prigione per debiti e abolì ogni forma di transazione diretta tra creditori e debitori.
La Chiesa benedì la lungimiranza del governo. Paul d'Astros, arcivescovo di Tolosa e prossimo cardinale di Pio IX, l'approvò sostenendo, dall'alto del suo magistero, che “l'ineguaglianza delle condizioni sociali [...] è la legge fondamentale della società [...] Questa legge fa parte del disegno di Dio e della sua saggezza, che ha voluto offrire ai ricchi la possibilità di fare generosi sacrifici per alleviare le sofferenze dei poveri; e ai poveri un motivo di riconoscenza e d'amore per le buone azioni dei ricchi”. Anche un cattolico «liberale» come Montalembert si allineò nelle colonne del Moniteur, con parole appena meno rozze: “Qual è il problema oggi? È d'ispirare il rispetto della proprietà a chi non è proprietario. Io conosco una sola ricetta per ispirare questo rispetto, per far credere alla proprietà chi non è proprietario, quello di farlo credere in Dio, al Dio del catechismo, il Dio che ha dettato il decalogo e punisce eternamente i ladri”. Come se quello della «questione sociale», che agitava tutta l'Europa, fosse un ordinario problema di polizia o di ignoranza del catechismo.
Ma anche un liberale tout court come Tocqueville, giudicò nei suoi Ricordi «necessarie e funeste» le stragi del giugno 1848, perché avevano «liberato la nazione dall'oppressione degli operai di Parigi», considerò le «teorie socialiste una forma di passione cupida e invidiosa», dichiarandosi sollevato nel vedere «il Partito socialista vinto e impotente».
La barricata, rue de la Mortellerie, giugno 1848, noto anche come Souvenir de guerre civile, dipinto di Meissonier


Il ministero Cavaignac

Cavaignac
Il 28 giugno, con un rimpasto di governo, il generale Cavaignac, cui lo zar Nicola I aveva inviato le proprie congratulazioni, diventò capo del governo, mentre il generale Lamoricière, altro repressore dell'insurrezione, si guadagnò il ministero della Guerra. Venne mantenuto lo stato d'assedio e i battaglioni delle guardie nazionali provenienti dai quartieri popolari di Parigi vennero sciolti. Il ministro dell'Istruzione Hippolyte Carnot, considerato troppo democratico, venne licenziato, in provincia si allontanano i prefetti giudicati non allineati con il nuovo ordine.
L'Assemblea costituente decise di perseguire Louis Blanc.
In nome della libertà d'impresa, il 3 luglio, il governo soppresse gli odiati Ateliers nazionali (che per qualche mese servirono ad assicurare un po' di lavoro a decine di migliaia di disoccupati) innalzò l'orario di lavoro e proibì per legge costituzionale il diritto di sciopero.
Il 27 luglio: in seguito alla repressione di giugno, l'Assemblea limitò l'attività dei club e ne vietò la partecipazione di donne e bambini.
La proclamazione dello stato d’assedio permise, il 28 luglio, di sciogliere i club politici, e venne limitata la libertà di stampa, sia considerando reati la critica al governo, all'Assemblea nazionale, alla religione, alla proprietà e alla famiglia, sia aumentando fortemente le tasse sugli organi di stampa, così da rendere difficile l'esistenza della stampa popolare. Viene annullato il decreto che abbassava a 10 ore la giornata lavorativa, che viene così riportata alle 12 ore dei tempi della monarchia di Luglio. In ottobre entrarono nel governo esponenti monarchici e nella Costituzione, approvata il 12 novembre, venne negato il diritto di sciopero.
La politica estera del ministro Jules Bastide ricercò l'intesa con l'Inghilterra e con l'Austria, in chiave anti-prussiana: la Prussia si era appena annessa lo Schleswig-Holstein[9] e perseguì una politica pangermanica, che la Francia temeva. Così, nessun aiuto fu portato agli italiani e ai polacchi il cui movimento di liberazione venne represso dagli Austriaci. In particolare, non solo non venne sostenuta la Repubblica romana, ma nell'aprile del 1849 la Repubblica francese manderà a Roma le truppe che la soffocheranno nel sangue.


Le cause della sconfitta dell’insurrezione di giugno

Una delle cause più importanti della sconfitta della rivoluzione di giugno del 1848 fu l’isolamento degli operai di Parigi dalla classe operaia del resto della Francia. Contribuirono molto anche le esitazioni della piccola-borghesia delle città e la passività dei contadini, ingannati dalla propaganda controrivoluzionaria.
In alcune città della provincia gli operai progressisti manifestarono la loro solidarietà con gli insorti di giugno. Ma non fu sufficiente. A Louviers e a Digione gli operai organizzarono dimostrazioni di solidarietà con i proletari rivoluzionari di Parigi. A Bordeaux una folla di operai tentò di impadronirsi del palazzo della prefettura. Operai si arruolarono in distaccamenti di volontari per andare a Parigi in aiuto degli insorti. Si tentò d'impedire alle truppe chiamate dai dintorni di entrare nella capitale. Ma questa solidarietà verso gli insorti di Parigi era troppo debole e non poté perciò influire sul corso degli avvenimenti.
La controrivoluzione internazionale approvò la sanguinosa repressione dell’insurrezione di giugno. I progressisti di molti paesi europei espressero invece la propria solidarietà con gli operai rivoluzionari di Parigi. Herzen e gli altri democratici rivoluzionari russi furono dolorosamente impressionati dalle feroci repressioni contro gli insorti di giugno. Marx definì l’insurrezione del giugno 1848 di Parigi come “la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna, in una lotta per la conservazione o per la distruzione dell’ordine borghese”.


Le elezioni presidenziali del 10 dicembre 1848

Gli attori della rivoluzione del febbraio 1848 si dividono in due campi. Il primo, quello della borghesia, che fu soddisfatta dell'istituzione della Repubblica così com'era. Il secondo, quello degli operai che non avevano dimenticato la parola d’ordine di «Repubblica sociale» ed è logico che li ritroviamo a giugno a difenderla di nuovo.
Questi eventi rinnovarono l'antica sfiducia delle classi dominanti verso Parigi. Non sorprende quindi vedere un certo culto della provincia, della classe media contadina come pilastro della Repubblica, emergere nei discorsi politici borghesi. L'immagine viene riutilizzata in seguito, durante la Terza Repubblica.
La conseguenza legale di questa insurrezione fu quasi immediata: la Costituzione in discussione venne modificata per rimuovere qualsiasi riferimento sociale utilizzabile. La repubblica sociale scomparve e, allo stesso tempo, la paura del rosso aumentò (si fece viva anche tra le forze democratiche) e portò a voti sempre più conservatori, prima all'interno della stessa Assemblea Costituente (eletta a suffragio universale con una maggioranza di repubblicani di destra), poi, al momento della designazione degli organi costituiti. Questi ultimi furono eletti soprattutto con i voti dei contadini piccolo-proprietari, cui un'abile propaganda borghese e clericale aveva prospettato il pericolo della perdita della loro proprietà sulla terra.
Per questi motivi la Repubblica Sociale venne liquidata dalla Seconda Repubblica, costituita nel novembre 1848. I socialisti furono, in seguito ad una legge speciale, esclusi dal governo.
Luigi Napoleone Bonaparte
Il 12 novembre fu approvata la Costituzione elaborata dall’Assemblea costituente. Essa ignorava completamente gli interessi e le necessità delle masse lavoratrici e vietava ai lavoratori di organizzare scioperi. La nuova Costituzione poneva a capo della repubblica un presidente eletto per quattro anni con suffragio universale, mentre il potere legislativo veniva esercitato da un’Assemblea legislativa eletta per un periodo di tre anni. Il diritto di voto era stato negato a molti gruppi di lavoratori. Al presidente furono concessi poteri straordinariamente ampi: la nomina e la destituzione di tutti i funzionari e i giudici, il comando dell’esercito, la direzione della politica estera. In questa maniera i repubblicani borghesi contavano di creare un forte potere esecutivo capace di soffocare in breve tempo il movimento rivoluzionario.
Ma, d’altra parte, il fatto che il presidente avesse poteri così ampi rendeva inevitabili i conflitti tra quest’ultimo e l’Assemblea legislativa.
Il 10 dicembre 1848 ebbero luogo le elezioni del Presidente della repubblica. I candidati erano sei. Gli operai progressisti avanzarono la candidature di Raspail, che a quel tempo si trovava in prigione; il candidato dei repubblicani piccolo-borghesi era l’ex-ministro degli interni Ledru-Rollin. I repubblicani borghesi appoggiavano la candidatura del capo del governo, Cavaignac. Fu eletto invece il candidato dei bonapartisti, il principe Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone I, che ottenne alle elezioni la schiacciante maggioranza dei voti. Le elezioni presidenziali e legislative portarono quindi al potere un Bonaparte e una maggioranza monarchica, uno strano miscuglio per una Repubblica.
Luigi Bonaparte (1808-73), uomo di mediocri capacità e molto ambizioso, aveva già tentato due volte d'impadronirsi del potere in Francia (nel 1836 e nel 1840), ma entrambe le volte il suo tentativo era fallito. Nel 1844, in prigione, egli scrisse un opuscolo La liquidazione della povertà, nel quale demagogicamente si fingeva “amico” dei lavoratori. In realtà egli era strettamente legato ai grandi banchieri, i quali pagavano generosamente i suoi sostenitori e i suoi agenti.
Nel periodo della monarchia di luglio, la cricca bonapartista era formata da un gruppo di avventurieri e non aveva alcuna influenza nel paese. Ora, dopo la sconfitta dell’insurrezione di giugno, la situazione era cambiata. Le forze democratiche si erano indebolite, e i bonapartisti avevano condotto un’intensa campagna propagandistica a favore di Luigi Bonaparte; questa campagna esercitò una grande influenza sui contadini, i quali speravano ch'egli avrebbe migliorato la loro situazione, e che in particolare avrebbe abolito l’odiata tassa del 45%.
Il successo dei bonapartisti fu favorito anche dall’aureola di Napoleone I e dal ricordo delle sue vittorie militari.
Il 20 dicembre Luigi Bonaparte prestò giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana. Il giorno successivo fu formato un nuovo governo, a capo del quale fu posto il monarchico Odilon Barrot. Il suo primo passo fu quello di espellere dall’apparato statale tutti i repubblicani.
La Repubblica francese imboccava così la strada dell'involuzione autoritaria che avrebbe portato per la seconda volta in Francia all'affermazione del potere personale di un capo.
Una delle conseguenze dei giorni del giugno 1848 è stata, pochi anni dopo, la distruzione simbolica dei quartieri centrali di Parigi. Luigi Napoleone, diventato successivamente Napoleone III, diede l’incarico di rinnovare Parigi, con un vasto piano di ristrutturazione, all’urbanista Georges Eugène Haussmann, le cui innovazioni urbane fatte (soprattutto il boulevard de Sébastopol) tagliarono il cuore dell'insurrezione, dove furono erette molte barricate, ma anche da dove provenivano molti insorti, operai e artigiani.




[1] Le mur des Fermiers généraux erano le mura di Parigi, costruite poco prima della Rivoluzione dal 1784 al 1790. Lo scopo delle mura era di consentire alla società finanziaria Ferme générale, responsabile della riscossione delle tasse, di riscuotere una tassa sulle merci che entravano in città attraverso le porte delle mura.
[2] Il Palazzo delle Tuileries servì come residenza reale fino al 1848.
[3] Louis Jean Joseph Charles Blanc (Madrid, 29 ottobre 1811 – Cannes, 6 dicembre 1882) è stato uno storico e politico francese.
[4] François Vincent Raspail (Carpentras, 29 gennaio 1794 – Arcueil, 7 gennaio 1878) è stato un politico e scienziato francese. Partecipò alla Rivoluzione del 1848 guidando, il 24 febbraio l'occupazione dell'Hôtel de Ville e proclamandovi la Repubblica. Il 27 febbraio fondò il quotidiano L'Ami du peuple e prese parte all'insurrezione del 15 maggio contro il governo conservatore. Arrestato, durante la detenzione risultò eletto, il 17 settembre, all'Assemblea Costituente, e non poté farne parte. Condannato il 2 aprile 1849 a sei anni di carcere, fu liberato nel 1855 ma, esiliato, si stabilì in Belgio. Amnistiato nel 1859, tornò in Francia, stabilendosi ad Arcueil, presso Parigi. Si presentò candidato alle elezioni del 24 maggio 1869 come candidato radicale e fu eletto al Corpo legislativo. L'11 gennaio 1870 denunciò le manovre della Corte per mandare impunito il principe Pierre Napoléon Bonaparte, responsabile della morte di Victor Noir, che fu infatti assolto in marzo dai giudici compiacenti. Fu a Parigi durante l'assedio e la Comune, mantenendo un atteggiamento neutrale, ma per aver commemorato il Comunardo Louis Charles Delescluze nel suo Almanach et calendrier météorologique de 1874, fu condannato, lui ottantenne, a un anno di prigione.
[5] La Commissione del Lussemburgo, che si trovava nel Palais du Luxembourg a Parigi nella primavera del 1848, fu incaricata di riflettere e proporre una nuova organizzazione del lavoro per migliorare la quantità di lavoratori. Sotto la presidenza del membro del governo provvisorio, Louis Blanc, ha implementato per alcuni mesi il suo piano per l'organizzazione del lavoro, di cui l'esempio più eclatante è stato l’atelier sociale. Un vero parlamento del lavoro, questa assemblea, democratica e rappresentativa nella sua composizione, era all'origine di un progetto di legge sul lavoro.
[6] Alfred de Falloux (1811 – 1886) membro dell'Assemblea nazionale nel febbraio 1848, come "repubblicano del giorno dopo", fu il feroce oppositore dei Laboratori Nazionali.
[7] Nel dipartimento della Loir-et-Cher nella regione del Centro-Valle della Loira.
[8] Cifre indicate da Michel Mourre, Juin 1848, in «Dictionnaire encyclopédique d'histoire», Paris, Bordas 1978.
[9] Lo Schleswig-Holstein è il più settentrionale dei 16 stati federati dell’attuale Germania, e confina con la Danimarca.