LE RIVOLUZIONI DEL 1848
All’inizio del 1848 l’Europa entrò in un periodo
burrascoso di rivoluzioni e di moti rivoluzionari, che coinvolsero un vasto
territorio da Parigi a Budapest, da Berlino a Palermo.
Differenti per i fini e compiti, questi avvenimenti
erano caratterizzati da un’attiva partecipazione di larghe masse popolari, che ne furono la forza motrice principale e che
si assunsero il peso fondamentale della lotta.
La rivoluzione francese del
1848 è stata la terza rivoluzione francese dopo quella più famosa del 1789 e
quella del 1830;
si svolse a Parigi dal 22 a 25 febbraio 1848. Sotto la spinta dell'opposizione
liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot, parte del popolo di
Parigi (circa 3.000 su più di un milione di abitanti) si sollevò e riuscì a
prendere il controllo della capitale. Il re Luigi-Filippo, rifiutando di
sparare ai parigini, fu costretto ad abdicare in favore di suo nipote, Filippo
d'Orléans, il 24 febbraio 1848.
Lo stesso giorno, alle ore 15,
la Seconda
Repubblica venne proclamata da Alphonse de Lamartine, circondato da rivoluzionari
parigini. Verso le 20, venne istituito un governo provvisorio, che pose fine
alla monarchia
di luglio. Le forze politiche eterogenee che avevano abbattuto la monarchia
si scontrano sul campo delle riforme sociali: il governo conservatore uscito
dalle elezioni del 23 aprile, e che proclamò la Seconda
Repubblica il 4 maggio 1848, non intese
soddisfare le richieste degli operai parigini, che insorsero il 23 giugno, ma
la loro rivoluzione venne repressa nel sangue dal generale Cavaignac. Il
governo, confermando la sua natura anti-operaia, abolì i laboratori nazionali,
i cosiddetti Ateliers nationaux, innalzó l'orario di lavoro e vietò il
diritto di sciopero e di associazione.
Dalla crisi economica all'opposizione politica
Nel corso degli anni la
monarchia di Filippo d'Orleans, che aveva conquistato il potere nel 1830,
aveva sempre più acuito il suo carattere antioperaio e antidemocratico; ciò era
avvenuto malgrado la politica di compromesso (detta del “giusto mezzo”) attuata
dal ministro Guizot, che finì per scontentare sia l'alta borghesia finanziaria,
corrotta e sfrenatamente affarista, sia la media e piccola borghesia e,
principalmente, i ceti operai. La metà degli anni 1840 fu contrassegnata in
Francia da una forte crisi economica dovuta soprattutto alle carestie degli
anni 1845-1846 in Francia, Irlanda, in una serie di Stati germanici, in Austria
e in molti altri paesi europei (verso la fine del 1847, in Inghilterra, quasi
metà degli altiforni rimase spenta: nell’industria del cotone del Lancashire,
nel novembre del 1847, furono chiuse 200 fabbriche su 920, le rimanenti
lavoravano 3-4 giorni per settimana). Anche in Francia la produzione subì una
forte diminuzione: solo nella prima metà del 1847, nel dipartimento della
Senna, vi furono più di 63 fallimenti.
I cattivi raccolti del 1845 e
del 1846, così come la mancanza di mezzi di trasporto per inviare i soccorsi,
hanno dato luogo ad un aumento dei prezzi dei generi alimentari, con le sue
conseguenti miserie e rivolte. Nel 1847, i prezzi raddoppiarono rispetto due
anni prima. La crisi fu il simbolo dell'evoluzione della Francia, perché fu
l'ultima crisi alimentare di questa portata in Francia, e fu anche una delle prime
crisi capitalistiche di sovrapproduzione che hanno colpito il paese. Il buon
raccolto del 1847 in realtà abbassò i prezzi, il che ostacolò i produttori, che
ebbero difficoltà a vendere i loro prodotti. Le partenze delle campagne verso
le città aumentarono. Inoltre, il mondo rurale (75% della popolazione) ridusse
il consumo di prodotti artigianali e industriali. Una crisi economica ha scosso
questo ultimo settore, che si era fortemente sviluppato dal 1840.
La «monarchia borghese» di Luigi
Filippo
Luigi Filippo nel 1842 |
François Guizot |
Luigi Filippo, sotto una
parvenza di bonomia, fu un uomo autoritario; le sue scelte politiche si
indirizzarono sul generale Soult e poi sul deputato Guizot. Abbattuto il
dominio politico della nobiltà e posto fine ai tentativi di restaurazione di
istituzioni feudali, la sua monarchia prese misure anti-operaie, come il
divieto del diritto di sciopero e di associazione, e si appoggiò essenzialmente
sull'alta borghesia finanziaria: di qui, la sua denominazione di «monarchia
borghese».
Dal 1840 Guizot fu alla testa
del governo e, appartenente a quello che veniva definito il «partito
dell'ordine e della resistenza», si sforzò di sottomettere la Camera dei
deputati alle direttive del governo e cercò di stabilire la «pace sociale» in
Francia. In preparazione della sessione parlamentare del 1847-1848, Luigi
Filippo vietò le riunioni politiche dell'opposizione liberale e democratica,
poiché essi propugnano uno Stato nel quale il Parlamento fosse più autorevole e
il re più equilibrato.
Guizot s'impegnò a mettere in
opera un liberalismo economico nel quale i dibattiti politici sarebbero stati
paralizzati, anche attraverso la corruzione, e il corpo elettorale fosse
fortemente elitario: di qui, la sua opposizione ad abbassare il censo a 100
franchi, come richiesto dall'opposizione. Con la Rivoluzione
di Luglio in Francia, con 36 milioni di abitanti, gli elettori sono passati
dai 100.000 della Restaurazione
a 240.000. Il censo è rimasto alto e ciò garantì che nella Camera dei deputati
sedessero, in grande maggioranza, rappresentanti dell'alta borghesia, ossia i
banchieri, gli speculatori di Borsa, gli azionisti delle Compagnie ferroviarie,
che allora assistevano ad un grande sviluppo, i proprietari delle miniere di
carbone e delle foreste, che erano le uniche risorse energetiche allora
disponibili e necessarie allo sviluppo delle manifatture.
L'alto debito pubblico della
Francia venne finanziato da questa stessa aristocrazia del denaro, che si
arricchì attraverso gli alti interessi della rendita di Stato e le speculazioni
della Borsa, e poiché chi dirigeva lo Stato apparteneva alla stessa classe che
sul debito pubblico speculava, le spese straordinarie della Francia negli anni
quaranta sono state superiori perfino a quelle sostenute dallo Stato
napoleonico.
Gli stessi industriali videro
in questa aristocrazia della finanza un avversario politico, poiché essa
condizionava l'erogazione del credito a loro necessario e che, avendo imposto
per proprio interesse alti dazi sulle importazioni delle materie prime,
danneggiava la loro attività imprenditoriale. Come i legittimisti borbonici, ma
per diversi motivi, la borghesia industriale si pose pertanto all'opposizione
dei governi di Luigi Filippo, insieme con i rappresentanti degli interessi
della piccola borghesia, ossia con i professionisti e con i contadini, questi
ultimi del resto privi di rappresentanza, così come avveniva per la classe
degli artigiani e degli operai. Essa si batté pertanto per ottenere un
ampliamento del corpo elettorale, confidando in questo modo di poter accrescere
la propria influenza politica.
Le agitazioni popolari
Il mondo rurale non fu l'unico
colpito: la crisi economica accentuata dalla concorrenza e dalla speculazione,
ma anche la crisi monetaria portarono le aziende alla bancarotta,
principalmente nei settori della metallurgia e della costruzione di materiale
ferroviario, portando alla disoccupazione quasi 700.000 lavoratori alla fine
del 1847. Negli anni pre-rivoluzionari sommosse popolari scoppiarono in quasi
tutti i paesi europei. In Francia il 1847 fu contrassegnato da numerose
agitazioni popolari scoppiate quasi ovunque, principalmente sotto forma di
agitazioni annonarie: i poveri delle città e delle campagne assalivano i
depositi di grano e le botteghe degli speculatori. Nelle città, i panifici
vennero assaliti e tensioni si manifestarono intorno ai mercati. Sulla base dell’inasprimento
delle contraddizioni di classe si ebbe uno slancio dello spirito rivoluzionario
del proletariato; si ebbe inoltre un ampio movimento di scioperi e il governo
prese duri provvedimenti contro coloro che partecipavano ai moti.
I notabili moltiplicavano le
iniziative di beneficenza per calmare questi movimenti. Il tasso di natalità
diminuì, la mortalità aumentò mentre ci fu un sentimento di paura sociale, che
rafforzava la sfiducia nei confronti del regime; si andava rafforzando
l’opposizione della piccola e della media borghesia ed anche di parte della
grande borghesia industriale, scontenta del dominio dell’aristocrazia
finanziaria e dal regime di Luigi-Filippo che era sempre più discusso e vittima
di scandali. Diversi casi di notabili locali danneggiarono la piccola
borghesia, che perse credibilità e legittimità. Parecchi pari in Francia ed ex
ministri si macchiarono di casi di corruzione e omicidio.
La bomba di Parigi
Durante il regime della monarchia
di luglio, la crisi politica ed economica in Francia si aggravò, il «suolo»
sociale e urbano della capitale era favorevole all'espressione di un
malcontento rimasto latente. Con oltre un milione di abitanti, la Parigi del
1848 era ancora la Parigi dell'Ancien Régime con le sue vecchie case e le sue
strade strette. La città era chiusa dalle mura dei Fermiers généraux[1] con le sue 52 porte
d’ingresso. A Parigi nel 1848, le condizioni di esistenza (durata e durezza del
lavoro, miseria, condizioni igieniche e di salute, criminalità) erano
difficili. La grande industria è stata spostata nei villaggi periferici, La Villette, Les Batignolles. La maggior
parte degli operai erano occupati in atelier (laboratori) che lavorano per il
lusso (metà dei 64.000 laboratori appartenevano ad un solo padrone o avevano un
solo lavoratore). Le specialità erano molto diversificate (più di 325 mestieri
elencati) dove dominavano l'abbigliamento (90.000 lavoratori ) e l'edilizia
(41.000).
Boulevard du Temple, fotografato da Louis Daguerre nel 1838 o 1839 |
Anche dopo i progressi delle Tre
Gloriose, nel 1830, ottenendo una monarchia costituzionale, in quei tempi
di epidemia, colera, carestia, crisi finanziaria, rivalità politiche o litigi a
proposito delle scuole religiose gli antagonismi erano esasperati. Degli
incidenti si verificavano più regolarmente nella capitale che nelle province e
pertanto furono nuovamente erette le barricate. Dal 1830 al 1848 avvenne:
Il saccheggio della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois e
del palazzo arcivescovile in segno di protesta contro la celebrazione di una
messa legittimista, poi l'inizio dell'insurrezione in seguito al verdetto
contro 19 ufficiali della Guardia
Nazionale (1831), la sommossa in occasione della sepoltura del generale
Lamarque col risultato di 800 vittime (circa 160 morti e oltre 600 feriti nel
1832), le battaglie di strada (pesantemente represse da Bugeaud) causate
dall'arresto di 150 attivisti della Società
dei diritti umani e la promulgazione della legge sulle associazioni (1834),
l'attacco contro il re (1835), gli incidenti per respingere gli assalitori del
municipio e della prefettura (1839) furono i fatti significativi del primo decennio.
Le vigorose posizioni assunte
nella Camera parlamentale contro il suffragio universale di Thiers (1840) e Guizot (1842)
che rifiutarono di tenere conto delle aspirazioni democratiche, le
manifestazioni e gli scioperi degli operai tessili, edilizia ed ebanisti che si
trasformano in sommossa a Faubourg
Saint-Antoine (1840), i manifestanti sfilarono con la «bandiera
rossa» scandendo "Lunga vita alla
Repubblica!" (1841), il contraccolpo economico e finanziario del paese
mal preparato per una così rapida evoluzione, la crisi del 1846-47 che causò
una significativa disoccupazione nel 1848 (quasi i due terzi degli operai
nell'arredamento e nella costruzione diventarono disoccupati) furono i
fatti significativi del secondo
decennio.
Dall'allestimento dei banchetti alla
rivoluzione del 1848
È data alla Rivoluzione del
1789 l'uso in Francia dei banchetti civici, pranzi pubblici in comune che
festeggiavano un importante avvenimento o ricordavano un anniversario: ne
scrisse il 18 luglio 1789 il marchese de la Villette su «La Cronique»: «Vorrei
che si istituisse una festa nazionale nel giorno della nostra resurrezione. Per
una rivoluzione che non ha esempi, occorre organizzare qualcosa di nuovo.
Vorrei che tutti i borghesi della buona città di Parigi apparecchino la tavola
in pubblico e prendano il pasto davanti alla loro casa. Il ricco e il povero
sarebbero uniti e tutte le classi confuse insieme. Le strade ornate di tappeti,
disseminate di fiori [...]». E così fu fatto a Parigi, ma in un luogo
prestabilito, il parco della
Muette, il 14 luglio 1790, per la festa del Campo di Marte, o il 26
luglio 1792, sulle rovine della Bastiglia. Con uno spirito diverso, in tono
minore e solo su invito personale, furono tenuti banchetti anche sotto la Restaurazione
e sotto la monarchia
di Luglio: secondo un'usanza inglese, utilizzata dallo stesso Guizot, erano
riunioni a carattere clientelare con le quali i notabili mantenevano il
contatto con i propri elettori.
Due inglesi, Cobden e Bowring,
suggerirono ai repubblicani e ai riformatori di approfittare della miseria del
regno per prendere il potere. La loro idea fu che questi organizzazzassero
anche loro grandi pranzi per riunire l'opposizione riformista bypassando il
divieto di incontri politici sotto forma di banchetti, in questo modo si
potevano fare discorsi di critica della politica governativa. Gli ambienti
repubblicani aderirono completamente a questa idea e cercarono di radunare
tutta l'opposizione, compresa l’opposizione dinastica (i nostalgici della
casata Borbone).
L’editore e politico
repubblicano Laurent-Antoine Pagnerre, entusiasta, convocò
i direttori dei principali giornali liberali. Risposero tutti favorevolmente,
tranne quello de La Réforme, e approvarono l'organizzazione dei
banchetti da parte del comitato repubblicano centrale di Pagnerre; nacque così
la così detta «compagnia dei banchetti» che aveva lo scopo di opporsi
alle decisioni prese dal governo conservatore di François Guizot.
Con il sostegno della stampa e
dei suoi 22.000 abbonati la campagna venne lanciata. Il primo banchetto fu
organizzato il 10 luglio 1847. Si svolse a Château Rouge, a Parigi e riunì 86 deputati e 1.200
ospiti, nel quale si richiese la riforma della legge elettorale con un
allargamento del diritto di voto. Il modello funzionò e seguirono altri 70
banchetti, riunendo 17.000 ospiti. Generalmente, s'iniziava con una sfilata,
accompagnata da un'orchestra, per le strade della città, poi ci si sedeva a
tavola all'aperto, pagando il pranzo organizzato, alla fine del quale gli
oratori tenevano un discorso: così poteva trascorrere un'intera giornata
festiva.
Questi banchetti furono estesi
nelle province: il 7 novembre a Lilla, il 21 novembre a Digione, il 5 dicembre
ad Amiens, il 25 a Rouen, l'opposizione manifestò nei banchetti contro Guizot e
il suo governo; ma anche in località più piccole, generalmente calme, come
Compiègne, Saint-Germain-en-Laye e Châteaudun. Al contrario, città più grandi
come Marsiglia, Bordeaux o Nantes non parteciparono.
A parlare furono i
rappresentanti di una opposizione di diverse origini ma unita contro il
governo: vi erano gli orléanisti Odilon Barrot e Armand Marrast, i socialisti
utopisti Louis
Blanc e Alexandre Martin, i liberali François Arago e Alphonse
de Lamartine, i repubblicani Ledru-Rollin e Louis-Antoine Garnier-Pagès. La
decisione del governo di opporsi a qualunque riforma finì con il radicalizzare
anche l'opposizione, così che anche orléanisti già convinti si convinsero della
necessità di abbattere il regime di Luigi Filippo. Quindi, se i banchetti erano
inizialmente guidati da rappresentanti della "opposizione dinastica",
come Odilon Barrot, che desideravano un'evoluzione della monarchia
di luglio, ma non la sua fine, poco a poco l'espressione delle idee
repubblicane finirono per essere le più espresse.
La rivoluzione di febbraio
Il ponte dell'arcivescovo sorvegliato dalle truppe durante la rivoluzione del 1848 |
Davanti l’ampliamento della compagnia
dei banchetti, il governo Guizot, il 25 dicembre, tre giorni prima
dell'apertura del Parlamento, decise di bandire questi falsi banchetti. Luigi
Filippo, nel suo discorso inaugurale, si dichiarò contrario alla riforma
elettorale, provocando la ripresa della campagna dei banchetti.
Il 14 febbraio, il prefetto
della polizia proibí un banchetto previsto a Parigi per il 19. Al richiamo di
Armand Marrast, sul quotidiano Le National, i parigini furono invitati a
protestare il 22, data in cui il banchetto era stato rinviato. Il raduno doveva
svolgersi in place de la
Madeleine. Il giorno prima, tuttavia, i principali leader
dell'opposizione si ritirarono prima della prova di forza e diedero il
contro-ordine di annullare il banchetto e la manifestazione. Sembrava che il
governo prevalesse; fiducioso, decise di non attuare i previsti accordi
militari in caso di incidenti gravi. Di fatto, il governo e l'opposizione
furono sopraffatti dalla situazione che si sviluppò durante le ore della
"rivoluzione".
La mattina del 22 febbraio,
centinaia di studenti (alcuni dei quali si erano già mobilitati dal 3 gennaio
per denunciare il ritiro delle lezioni di Jules Michelet) si riunirono in place du Panthéon, poi si
recarono alla Madeleine
dove si unirono agli operai. I manifestanti (3.000 persone) si avviarono in
seguito al Palais Bourbon,
sede della Camera dei Deputati, in place de la Concorde, gridando "Lunga vita alla Riforma!
Abbasso Guizot!". Non essendo
riusciti ad arrivare sino al palazzo, i manifestanti si sparsero per le strade
vicine, e cominciarono a rompere il lastricato, a capovolgere gli omnibus e ad
erigere barricate. Gli incidenti provocarono un morto ma le forze dell'ordine
controllavano la situazione. L'occupazione militare di Parigi fu decretata
verso le ore 16. Il re poteva contare su 30.000 soldati, il supporto
dell'artiglieria, la sicurezza dei forti che circondavano la capitale. C'era,
infine, la Guardia Nazionale,
circa 40.000 uomini. Dopo i problemi si spostarono verso la chiesa di Saint-Roch, la
manifestazione si organizzò, la situazione peggiorò perché la crisi non poté
essere risolta, la Camera aveva respinto poche ore prima la richiesta di accusa
del governo Guizot presentata da Odilon Barrot.
La mattina del 23 febbraio, la
lotta armata per le strade di Parigi ricominciò. Mentre si svolgeva
l'insurrezione, le guardie nazionali della seconda legione, Boulevard Montmartre,
gridavano "Viva la Riforma!". In altri distretti, diversi battaglioni
della Guardia Nazionale proteggevano gli operai contro le guardie municipali e persino contro le truppe
nazionali. La Guardia Nazionale si pose come arbitro tra l'esercito e il popolo. Questa
defezione suonò la campana a morto del potere di Guizot. Luigi Filippo comprese
improvvisamente l'impopolarità del suo ministro e decise, nel pomeriggio, di
sostituirlo con il conte Molé, che equivalse a dire che avrebbe accettato la
riforma. Il re tardivamente licenziò il suo ministro Guizot. La protesta si calmò,
il peggio sembrava essere evitato anche se il clima rimaneva teso. La sera
dello stesso 23 febbraio, la folla vagò sotto le lanterne per esprimere la sua
gioia ed aveva intenzione di andare sotto le finestre di Guizot a fischiarlo.
Il malcontento era stato così profondo per mesi e la tensione delle ultime ore
così forte che il minimo incidente poteva ancora mettere in pericolo
l'assestamento "legalistico" e improvvisato della crisi e far
rivivere l'ardore rivoluzionario. Nel quartiere dei Capucines, una strada era bloccata dal 14°
reggimento di fanteria e la provocazione di un dimostrante, che portò una
torcia verso un ufficiale, ebbe conseguenze tragiche. Credendo di essere stato
minacciato, il militare fece aprire il fuoco, lasciando sul marciapiede da 35 a
50 morti, secondo varie fonti, da quelle governative e da quelle della
protesta. Questa fucilata del boulevard
des Capucines, il trasporto dei cadaveri, di notte, alla luce delle
torce, su un carretto per le strade di Parigi, il richiamo delle campane che
annunciavano il massacro, tra le 23:00 e mezzanotte, da Saint-Merri a Saint-Sulpice, rilanciò l'insurrezione. Alla vista
di quei martiri, vennero assalite le armerie ed erette le barricate. Quasi in
1.500 si mobilitarono in tutta la città. La classe operaia si unì con gli
studenti e la piccola borghesia. Mentre i rivoluzionari parigini si
sollevavano, il re alle Tuileries[2]
non aveva più un governo. Molé aveva rinunciato e consigliò di fare appello a Thiers. Quest'ultimo chiese
quindi lo scioglimento della Camera dei Deputati, ma il re rifiutò. Il
maresciallo Bugeaud, nominato comandante supremo dell'esercito e della Guardia Nazionale di Parigi,
era convinto di poter sconfiggere la sommossa, ma il sovrano rifiutò la
soluzione della forza.
La mattina del 24 febbraio
quasi tutti i punti strategici della capitale erano stati occupati dagli
insorti, Luigi Filippo non riuscì a riprendere il controllo della situazione,
nonostante un ultimo tentativo di affidare il governo a Odilon Barrot. Nel
palazzo reale delle Tuileries regnava il panico: il maresciallo Bugeaud, nominato comandante in capo
dell'Esercito e della Guardia Nazionale, era convinto di poter soffocare la sommossa, ma Luigi Filippo
rinunciò alla soluzione di forza. Quando il palazzo cominciò ad essere
attaccato dalla folla, verso mezzogiorno, su consiglio di persone di fiducia,
il re Luigi Filippo abdicò in favore di suo nipote di 9 anni, il conte di
Parigi, affidando la reggenza alla duchessa di Orleans, quindi sotto la
pressione dei rivoluzionari prese la via dell'esilio e rifugiandosi in
Inghilterra con la moglie, dove si era rifugiato anche Guizot. All'inizio del
pomeriggio, la duchessa di Orleans si recò al Palais
Bourbon per far sì che suo figlio venisse
investito e che venisse proclamata ufficialmente la reggenza, nella speranza di
salvare la dinastia. La maggioranza dei deputati, che sperano di formare un
nuovo governo in continuità con il vecchio per mantenere la monarchia a
garanzia dei propri interessi, sembrò favorire una reggenza; ma i repubblicani,
che avevano imparato la lezione del loro fallimento nel 1830,
e i liberali, che volevano un nuovo governo più liberale, forzarono la mano.
La creazione del governo provvisorio
Alphonse de Lamartine |
L’abdicazione del re non
arrestò lo sviluppo della rivoluzione. L’alta borghesia continuava ad
appoggiare la monarchia. Essa era spaventata dalla sola parola “repubblica”,
che le ricordava i tempi della dittatura giacobina e del terrore rivoluzionario
degli anni 1793-1794. Nel corso di una seduta alla Camera dei Deputati i
liberal-borghesi tentarono di mantenere in vita la monarchia. Ma i loro piani
furono sventati dai combattenti delle barricate. Durante quella seduta, i combattimenti
per le strade di Parigi continuarono: reparti rivoluzionari s'impadronirono del
Palazzo delle Tuileries;
il trono del re fu portato in strada e incendiato in piazza della Bastiglia tra le grida esultanti
di migliaia di persone; il Palais-Bourbon
venne invaso dalla folla rivoluzionaria che irruppero nella Sala delle sedute;
gli operai armati e la Guardia Nazionale chiesero che fosse proclamata la repubblica.
Il 25 febbraio venne
costituito un nuovo governo provvisorio: alla cui presidenza fu eletto l’avvocato
Dupont de l’Eure, che nel 1830
aveva partecipato alla rivoluzione. Vecchio e malato, egli non aveva molta
influenza, di fatto capo del governo divenne il ministro degli Esteri, lo
storico, poeta e liberale moderato Alphonse de Lamartine, distintosi per il suo
talento oratorio e i suoi interventi contro la monarchia
di luglio. Nel governo entrarono sette repubblicani borghesi di destra, che
si raggruppavano attorno all’influente giornale d’opposizione “Le National”,
due repubblicani radicali, Ledru-Rollin e Flocon, e due socialisti utopisti, Louis
Blanc[3] e
l’operaio Alexandre Martin detto Albert. In sostanza il governo provvisorio era
un compromesso tra le diverse classi che insieme avevano abbattuto il trono di
luglio, ma i cui interessi erano opposti o comunque ostili. E tuttavia la
supremazia nel governo e l’intero potere appartenevano ai rappresentanti della
borghesia. Nonostante le richieste del popolo, il governo non si affrettava a
proclamare la repubblica. Il governo era stato formato, ma non era stata scelta
ancora la forma istituzionale dello Stato. Il gruppo de «Le National»
non guardava con simpatia alla forma repubblicana, che evocava in loro lo
spettro della Repubblica giacobina.
Una delegazione di operai,
guidata da un vecchio rivoluzionario, scienziato eminente (chimico) e medico,
Raspail[4],
chiese che fosse proclamata senza esitazioni la repubblica. Raspail dichiarò
che se la richiesta non fosse stata accolta entro due ore, egli sarebbe
ritornato con 200.000 dimostranti. La minaccia ebbe il suo effetto: ancora
prima dello scadere del termine stabilito venne abolita la monarchia
di luglio e la Seconda
Repubblica fu proclamata ufficialmente. La breve e drammatica stagione
della Seconda
Repubblica ebbe così inizio.
Gli operai di Parigi
contribuirono in modo determinante a rifondare in Francia, dopo 55 anni, una
nuova Repubblica. Ma come al solito sono i proletari a far la rivoluzione per
le strade, nelle piazze e nelle barricate ma poi è la classe borghese-nobiliare
che prende il potere per mantenere la sua posizione privilegiata. La Seconda
Repubblica, in effetti, fu governata da una coalizione di monarchici,
dichiarati o mascherati, e di borghesi repubblicani che avevano orrore del
socialismo e disgusto del proletariato.
La lotta per la bandiera rossa e per il
diritto al lavoro
Il 25 febbraio, la notizia
della proclamazione si diffuse a Parigi e nelle province. Lo stesso giorno
scoppiarono dissensi tra la maggioranza borghese del governo provvisorio e gli
operai rivoluzionari di Parigi circa il colore della bandiera dello Stato. Gli
operai dimostranti chiedevano che fosse riconosciuta la bandiera rossa, bandiera della rivoluzione e
delle riforme socialiste, come simbolo della Repubblica sociale. Ma a ciò si
opponevano i circoli borghesi, i quali vedevano nella bandiera tricolore il
simbolo del dominio del regime borghese. Grazie all’eloquente abilità del poeta
Alphonse de Lamartine, membro del governo provvisorio, venne respinto il rosso
e la bandiera tricolore restò l’emblema dei Francesi; si fece egualmente
qualche concessione al rosso: una coccarda sull'asta della bandiera fu
applicata come «ricordo di riconoscenza per l’ultimo atto della rivoluzione
popolare».
Ci si accordò nel proclamare
(il 4 maggio 1848) ufficialmente la Repubblica dopo l'elezione dell'Assemblea
costituente: per il momento, la Francia era solo ufficiosamente una Repubblica
sociale.
Il 25 febbraio all'Hôtel de Ville Lamartine respinge la proposta di adottare la bandiera rossa quale simbolo della Repubblica |
Louis Blanc |
L’operaio Alexandre Martin detto Albert |
Quasi contemporaneamente
scoppiò un nuovo conflitto: dinanzi all’edificio dove sedeva il governo provvisorio,
ebbe luogo una dimostrazione di massa di operai che chiedevano
l'«organizzazione del lavoro», un «ministero del lavoro e del progresso» e
l’«abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Una delegazione di
operai chiese che fosse immediatamente emanato un decreto sul “diritto al
lavoro”. La presenza a Parigi di un’enorme massa di disoccupati, aveva reso
questa parola d’ordine molto popolare. Dopo molte obiezioni il governo, su
richiesta di Louis
Blanc, giunse ad una decisione che fu frutto di un
compromesso: creare una commissione per la questione operaia con a capo Louis
Blanc ed un operaio di nome Albert, ed emanò un decreto sul «diritto al
lavoro», col quale s’impegnava a «garantire la vita al lavoratore mediante il
lavoro» e a «garantire il lavoro a tutti i cittadini»: una dichiarazione di
intenti che suonava gradita alla grande massa dei disoccupati parigini. Per le
sedute di questa commissione, di cui facevano parte i rappresentanti delegati
degli operai, imprenditori e alcuni importanti economisti, per studiare il
problema, con Louis
Blanc presidente, l'operaio Albert vicepresidente, fu
scelto il Palazzo
del Luxembourg, così facendo i due vennero allontanati dal governo di cui
facevano parte.
Questa commissione, detta
Commissione del Luxembourg[5],
venne fatta segno alle peggiori calunnie da parte della stampa conservatrice.
Non le fu dato in realtà alcun vero potere né alcun mezzo finanziario. La
commissione venne utilizzata dalla borghesia solo per illudere le masse e,
addormentando la loro vigilanza, guadagnar tempo per acquistare forze. Louis
Blanc ebbe in tutto questo affare una parte di scarsa importanza. Egli esortava
gli operai ad attendere pazientemente la convocazione dell’Assemblea
costituente, che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi sociali; nelle
sedute della commissione e fuori, egli sosteneva il suo progetto di
associazioni operaie di produzione sovvenzionate dallo Stato. L’attività di Louis
Blanc rispondeva in pieno ai piani della borghesia, la quale frattanto
raccoglieva tutte le sue forze per passare all’offensiva contro le conquiste
della rivoluzione. Louis
Blanc si considerava il capo della democrazia del
lavoro o della democrazia socialista, ma in realtà era un’appendice della
borghesia.
Le conquiste democratiche della
rivoluzione di febbraio
Una conquista particolarmente
importante della rivoluzione di febbraio fu il decreto che il governo
provvisorio emanò il 27 aprile del 1848, che aboliva la schiavitù dei negri
nelle colonie francesi.
Una delle poche conquiste della
classe operaia nella rivoluzione di febbraio fu la riduzione della giornata
lavorativa. A Parigi e in provincia la giornata lavorativa superava a quei
tempi le 11-12 ore. Un decreto del 2 marzo 1848 stabilì che la giornata
lavorativa sarebbe stata a Parigi di 10 ore e in provincia di 11. Ma molti
imprenditori non si assoggettarono a questo decreto e costrinsero gli operai a
lavorare un numero maggiore di ore, oppure chiusero le proprie aziende. Il
decreto, d’altra parte, non soddisfaceva nemmeno gli operai, che chiedevano una
giornata lavorativa di 9 ore.
La rivoluzione di febbraio
abolì la pena di morte il 4 marzo, giorno nel quale si proclamò la libertà di
stampa e di riunione e che portò al sorgere di molti circoli politici sia a
Parigi che in provincia. Tra i circoli rivoluzionari del 1848 aveva maggiore
influenza la «Società dei diritti
dell’uomo», nelle cui sezioni si riunivano i gruppi progressisti della
democrazia piccolo-borghese. Vicino ideologicamente a questa organizzazione era
il «Circolo della rivoluzione», il
cui presidente era Armand Barbes, rivoluzionario piccolo-borghese. Tra i
circoli proletari rivoluzionari emergeva per la sua importanza l’«Associazione centrale repubblicana», il
cui fondatore e presidente fu Auguste
Blanqui, che denunciava la tattica della borghesia ed esortava il popolo
a non credere nel governo provvisorio.
Un’altra conquista dei
lavoratori francesi fu l’introduzione del suffragio universale, il 5 marzo, per
gli uomini che avessero raggiunto il ventunesimo anno, così che il corpo
elettorale passò dai precedenti 240.000 elettori a 9 milioni. Questa misura
rese il mondo rurale, che costituiva i tre quarti della popolazione, l'arbitro
delle elezioni politiche, che vennero indette per il 9 aprile (poi spostate al
23 aprile) per eleggere l'Assemblea costituente.
L’abolizione della tassa
obbligatoria sulla stampa favorì l’uscita di un gran numero di giornali di
indirizzo democratico.
All’inizio di marzo l'Associazione centrale repubblicana chiese
che fossero abolite tutte le leggi contro gli scioperi, che fosse consentito
l’armamento generale e che entrassero immediatamente a far parte della Guardia
Nazionale, il cui
accesso era riservato ai soli borghesi, tutti gli operai e i disoccupati.
Gli strati progressisti della
classe operaia e delle altre frazioni democratiche della popolazione si
battevano per una decisa democratizzazione del sistema sociale e statale
francese. Ma il governo provvisorio era contrario a questa democratizzazione:
esso conservava in maniera quasi immutata la polizia e l’apparato burocratico
esistenti prima della rivoluzione di febbraio, mentre nell’esercito erano
rimasti ai posti direttivi i generali monarchici.
La politica interna del governo
provvisorio
Per combattere la
disoccupazione, che poteva provocare nuove agitazioni, il governo provvisorio
creò il 27 febbraio a Parigi, e in seguito in altre città, gli Ateliers
nationaux (opifici nazionali), organizzazioni che avevano il compito di
individuare lavori di pubblica utilità cui destinare i disoccupati, e alle
quali lo Stato interveniva direttamente fornendo, organizzando e pagando il
lavoro. Gli ateliers giunsero ad impiegare quasi 115.000 operai. I
lavoratori degli opifici nazionali erano di diverse professioni, e venivano
impiegati principalmente come sterratori per la costruzione di strade e di
canali, per piantare alberi ecc. Creando questi opifici nazionali i loro
organizzatori, i repubblicani borghesi di destra, contavano di distogliere i
lavoratori dalla lotta rivoluzionaria.
Infatti già nella notte del 25
febbraio, su iniziativa della destra del governo, fu emanato un decreto per
organizzare battaglioni della Guardia mobile con effettivi di circa 24 mila
uomini; essi erano arruolati per la maggior parte tra giovani del
sottoproletariato, instabile sia da un pun,to di vista morale che politico e
facilmente utilizzabili contro le rivendicazioni operaie. Questi battaglioni
vennero posti in una situazione privilegiata: i loro uomini avevano una divisa
particolare e ricevevano uno stipendio maggiorato; il comando era affidato a
ufficiali reazionari.
La situazione economica
divenne presto preoccupante. I risparmiatori ritiravano il loro denaro dalle
casse di risparmio e dalle banche che, in mancanza di liquidità, non potevano
più sostenere le imprese e il commercio. Per guadagnarsi la fiducia della media
e alta borghesia, sospettosa della Repubblica, il governo pagò in anticipo gli
interessi sul debito statale, svuotando così le proprie casse, e per rilanciare
l'economia, il 7 marzo, creò il Comptoir d'escompte (il Banco di sconto)
che aveva il compito di aiutare il commercio a scontare i propri effetti. Il 15
marzo il governo decretò il corso forzoso dei biglietti di banca e il 16, per
far fronte alle difficoltà della Tesoreria dello Stato, istituì l'imposta
addizionale di 45 centesimi per franco alle quattro imposte dirette.
Questa tassa colpiva anzitutto
la classe dei contadini, cioè la grande maggioranza del popolo francese. Essi
dovettero pagare le spese della rivoluzione di febbraio e da essi la controrivoluzione
trasse le sue forze principali. L'imposta dei 45 centesimi era una questione di
vita o di morte per il contadino francese; egli ne fece una questione di vita o
di morte per la repubblica. Da questo momento la repubblica fu per il contadino
francese l'imposta dei 45 centesimi, e nel proletariato parigino egli vide lo
scialacquatore che se la spassava a sue spese.
Le elezioni dell’Assemblea
costituente
Le elezioni dell’Assemblea
costituente furono indette per il 9 aprile. Le organizzazioni democratiche
rivoluzionarie e socialiste chiesero un rinvio delle elezioni per prepararsi
meglio, condurre un lavoro di delucidazione nelle campagne e in tal modo
assicurare la vittoria dei repubblicani di sinistra e dei socialisti. I
repubblicani borghesi di destra invece, e tutti i nemici della democrazia erano
contrari a un rinvio della convocazione dell’Assemblea costituente,
considerando che quanto prima vi fossero state le elezioni, tanto maggiori
sarebbero state le possibilità di vittoria delle forze reazionarie.
Il 17 marzo i circoli
rivoluzionari di Parigi organizzarono una grande dimostrazione popolare,
chiedendo che le elezioni dell’Assemblea costituente fossero rimandate al 31
maggio. Ma il governo respinse questa richiesta e le elezioni si svolsero il 23
aprile.
Sebbene formalmente le
elezioni avvenissero in base al suffragio universale maschile, esse furono in
effetti molto lontane dall’essere tali. Molte persone furono arbitrariamente
private del voto; le autorità esercitarono una brutale pressione sugli elettori
di tendenze democratiche, sciolsero le loro riunioni, distrussero i loro
manifesti elettorali.
I risultati delle elezioni del
23 aprile mandarono all'Assemblea costituente una netta maggioranza di
«repubblicani del giorno dopo», (ossia monarchici e bonapartisti camuffati) e
repubblicani conservatori. Le elezioni furono vinte dai repubblicani borghesi
di destra, che ottennero 500 seggi su 880. I monarchici orléanisti (sostenitori
della dinastia degli Orléans) e i legittimisti (sostenitori dei Borboni) ne
ottennero insieme circa 300. Un numero minimo, due in tutto, fu ottenuto dai
bonapartisti (sostenitori della dinastia dei Bonaparte). I democratici della
piccola-borghesia e i socialisti ottennero 80 seggi. In tutta l’Assemblea vi
erano solo 18 operai. Gran parte della piccola-borghesia e dei contadini era
stata ingannata dalla propaganda antisocialista e ciò aveva determinato l’esito
delle votazioni.
In alcune città industriali,
durante il periodo delle elezioni, c'erano stati accaniti scontri di piazza,
che assunsero un carattere particolarmente burrascoso a Rouen, dove per due
giorni, il 27 e il 28 aprile, gli operai insorti furono impegnati in aspri
combattimenti sulle barricate contro le truppe governative.
L'Assemblea proclamò
solennemente la Repubblica il 4 maggio ma il nuovo governo che ne fu
l'espressione (sostanzialmente eguale al precedente, con l'esclusione dei
socialisti Louis
Blanc e l’operaio Albert) fu contrario alle misure sociali
prese sull'onda della Rivoluzione di febbraio. Il 10 maggio venne rifiutata la
proposta di istituire un ministero del Lavoro e il 12 si proibirono alle
associazioni politiche di inviare petizioni all'Assemblea, una pratica che
risaliva alla Prima Repubblica nata dalla Rivoluzione del 1789.
Storie e analisi
"Il 25
febbraio, verso mezzogiorno, la Repubblica non era ancora stata proclamata, ma,
d'altra parte, tutti i ministeri erano già divisi tra gli elementi borghesi del
governo provvisorio e tra i generali, i banchieri e i sostenitori del National.
Ma questa volta gli operai erano determinati a non tollerare una ritirata
simile a quella del luglio 1830. Erano pronti a combattere ancora e imporre la
Repubblica con la forza delle armi. Fu con questa missione che Raspail andò all’Hôtel
de Ville. Nel
nome del proletariato parigino, ordinò al governo provvisorio di proclamare la
Repubblica, dichiarando che se quest'ordine del popolo non fosse eseguito entro
due ore, sarebbe tornato alla testa di 200.000 uomini. I cadaveri dei
combattenti si erano a malapena raffreddati, le barricate non venivano rimosse,
gli operai non erano disarmati e l'unica forza che potevano opporre era la Guardia
Nazionale. In queste
circostanze le considerazioni politiche e gli scrupoli legali del governo
provvisorio svanirono bruscamente. Le due ore non erano ancora scadute, e già
su tutte le mura di Parigi si poteva leggere in caratteri giganteschi:
«République française! Liberté, Égalité, Fraternité!» (Karl Marx, Le Lotte di
classe in Francia)”.
"La sera prima, lo
spettacolo del carro contenente cinque cadaveri raccolti tra quelli del Boulevard des Capucines aveva
cambiato le intenzioni del popolo; e mentre alle Tuileries gli aiutanti di campo si succedevano,
l'insurrezione, come diretta da un braccio, fu organizzata tremendamente. Uomini
di frenetica eloquenza arringarono la folla agli angoli delle strade; altri
nelle chiese suonavano le campane in piena foga; il piombo fu colato, le
cartucce furono preparate; gli alberi dei viali, i vespasiani, le panchine, le
grate, i lampioni, tutto era stato strappato, rovesciato; Parigi, al mattino,
era piena di barricate. La resistenza non è durata; ovunque la Guardia
Nazionale s’interpose;
Così, alle otto in punto, il popolo, volontariamente o con la forza, possedeva
cinque caserme, quasi tutti i municipi, i punti strategici più sicuri
(Gustave Flaubert l'Éducation sentimentale)”.
Il filosofo, politico e
storico Alexis de Tocqueville, camminando per Parigi il 25 febbraio 1848, fu
colpito dalle iniziative popolari, che spontaneamente spuntavano da tutte le
parti: "Due cose mi hanno colpito in particolare: il primo è stato il
carattere, non dico principalmente, ma solo ed esclusivamente popolare della
rivoluzione che è stata appena compiuta. L'onnipotenza che aveva dato al popolo
propriamente detto, cioè alle classi che lavorano con le loro mani, su tutte le
altre. Il secondo è stata la mancanza di un sentimento di odio, e persino, a
dire il vero, di passioni vivaci, che il popolo, che improvvisamente era
diventato padrone unico di Parigi, mostrava in quel primo momento. (...)
Durante quel giorno, non ho visto a Parigi nessuna delle ex forze dell'ordine,
non un soldato, non un agente, non un poliziotto; la Guardia
Nazionale era sparita. Il popolo da
solo portava armi, controllava luoghi pubblici, sorvegliava, comandava, puniva;
(...) Fin dal 25 febbraio, un migliaio di strani sistemi scaturirono dallo
spirito degli innovatori e si diffusero nella mente turbata della folla. Tutto
era ancora in piedi tranne la famiglia reale e il parlamento, sembrava che la
società stessa sarebbe stata ridotta in polvere, e che una nuova forma doveva
essere data all’edificio che sarebbe stato innalzato al suo posto; ciascuno ha
proposto il suo piano. Si pretendeva di ridurre l'ineguaglianza economica; ci
si impegnava a livellare la più antica delle disuguaglianze, quella dell'uomo e
della donna; si prendevano specifiche misure anti-povertà e dei rimedi per
questa disgrazia legata al lavoro, che tormentava l'umanità da quando esisteva.
Queste teorie erano molto diverse l'una dall'altra, spesso contrarie, a volte
ostili; ma tutti, puntando più in basso del governo e sforzandosi di
raggiungere la società stessa, che funge da base, hanno assunto il nome comune
di socialismo".
Considerazioni
La rivoluzione di febbraio fu
una rivoluzione tanto pacifica da essere considerata letteraria, ma quel
romanticismo fu smentito nei mesi successivi. In realtà l'apparato dello Stato
e le leve del potere economico restavano interamente nelle mani dei borghesi
moderati, ed in questa situazione le rivendicazioni operaie e la Commissione
del Luxembourg apparvero presto come elementi di turbamento. Il 15 maggio la
Costituente, valutando il costo finanziario e il risultato economico dei
laboratori nazionali, li condannò come “un organismo ingombrante e pericoloso”;
il decreto del 21 giugno soppresse i laboratori nazionali; 110.000 operai
furono gettati sul lastrico; i più giovani furono invitati ad arruolarsi
nell’esercito; gli altri vennero inviati in provincia per lavori di sterro.
Cosi si preparó il dramma delle giornate del giugno 1848; Lamartine si dimise
dal governo e la rivoluzione di giugno venne soffocata nel sangue dal generale
Cavaignac; le elezioni presidenziali del 10 dicembre successivo videro il
trionfo di Luigi Bonaparte. Il bello slancio di febbraio fu stroncato nelle
giornate di giugno, che Benoît
Malon consideró come la seconda sconfitta del proletariato francese.
La manifestazione del 15 maggio 1848
La manifestazione popolare
parigina del 15 maggio 1848 ebbe il risultato di decapitare il movimento
repubblicano progressista della Seconda
Repubblica alla vigilia dell'offensiva politica dei conservatori della
Costituente.
Il 4 maggio ebbero inizio le
sedute dell’Assemblea costituente. Le forze reazionarie, che avevano riportato
la vittoria nelle elezioni, cercarono di liberarsi dalla pressione popolare
parigina, scatenando un’aperta offensiva contro le libertà politiche e le
conquiste sociali che i lavoratori avevano ottenuto con la rivoluzione di
febbraio. Al posto del governo provvisorio fu creata una Commissione esecutiva,
della quale non faceva parte nemmeno un socialista, e dove invece avevano un
ruolo decisivo i repubblicani di destra, strettamente legati all’alta
borghesia.
Il 10 maggio, l'Assemblea
rifiutò la proposta del membro del governo Louis
Blanc, che chiedeva la
costituzione di un Ministero del lavoro e del Progresso che si sarebbe
incaricato di migliorare la situazione delle classi lavoratrici. Il 12 maggio
l'Assemblea proibì ai club politici di inviare delegazioni per leggere le petizioni all'Assemblea (ex
pratica dei sans-culottes di Parigi dal 1792 al 1794, ripresa dal febbraio
1848), pronunciandosi contro i circoli rivoluzionari.
Anche in politica estera il
governo si muoveva secondo una linea conservatrice: i repubblicani parigini
furono insoddisfatti della stagnazione del ministero degli Esteri, Jules
Bastide, che rifiutò di aiutare i polacchi schiacciati dalle truppe prussiane a
Posnen. Continuò soltanto la politica estera del governo provvisorio che, sotto
l'impulso di Alphonse de Lamartine, il 4 marzo, aveva escluso ogni intervento
in favore dei popoli in rivolta (italiani, polacchi, tedeschi ...) durante la
primavera dei popoli. Tale atteggiamento fu incomprensibile per i repubblicani
progressisti che vivevano nella memoria della rivoluzione del 1792, quando la
Francia, la "Grande nazione", andò in aiuto dei "popoli oppressi
dai loro principi".
A Parigi c’erano molte guardie
nazionali che erano venute per la cerimonia di consegna delle bandiere in
programma per il 14 maggio. Questa cerimonia venne improvvisamente annullata di
fronte al rifiuto dei delegati operai della Guardia
Nazionale, che risiedevano nel Palazzo
del Luxembourg per
prendere parte alla cerimonia. La Guardia
Nazionale (borghese) della provincia,
inattiva, rimase tuttavia nella capitale. I delegati polacchi di Posen e
Lemberg hanno ottenuto attraverso l'intermediazione di Wolowski, un ex
compatriota eletto deputato della Senna, che l'Assemblea discutesse la
questione polacca il 15 maggio. Questo fu il giorno in cui i club parigini scelsero di
organizzare una manifestazione di sostegno per la causa polacca (nonostante la
mancanza di entusiasmo dei leader repubblicani come Raspail, Barbès o Blanqui).
Caricatura di Cham che rappresenta l'intrusione dei manifestanti nell'Assemblea costituente nazionale |
I circoli rivoluzionari di
Parigi organizzarono una grande dimostrazione popolare cui parteciparono quasi
150 mila persone, prevalentemente operai.
La manifestazione iniziò in Place de la Bastille e doveva
raggiungere Place de la
Concorde attraverso i Boulevards. Erano presenti molte delegazioni
straniere (irlandesi, italiane, polacche). L'azione di alcuni leader
(principalmente quella del vecchio rivoluzionario Aloysius Huber, personaggio
dubbioso forse un informatore della polizia, persino provocatorio ai suoi
ordini) e gli insuccessi del generale de Courtais, comandante della Guardia
Nazionale, fecero
degenerare la manifestazione.
I manifestanti si diressero
verso il Palazzo
Bourbon dove
si trovava l'assemblea. La folla forzò l'ingresso alla sala riunioni. Raspail
dette lettura di una petizione approvata dai circoli, nella quale si chiedeva
che fosse prestato aiuto armato ai rivoluzionari polacchi in Posnania e che
fossero presi decisi provvedimenti per la lotta contro la disoccupazione e la
povertà in Francia. La maggioranza dei deputati abbandonò la sala occupata dai
dimostranti.
Dopo lunghe discussioni
Aloysius Huber dichiarò la Assemblea costituente sciolta. La folla si recò
quindi all'Hôtel
de Ville,
il municipio di Parigi, dove venne proclamato un nuovo governo insurrezionale
di cui facevano parte vari rivoluzionari (Blanqui, Ledru-Rollin, Albert, Louis Blanc, Huber,
Thore, Cabet, Pierre Leroux, Raspail).
Lo scioglimento dell’Assemblea
costituente fu un passo falso, intempestivo e impreparato, e gran pane del
popolo non l'appoggiò. Si era data alle autorità una giustificazione per
perseguitare i rivoluzionari. Tuttavia elementi della Guardia
Nazionale della provincia, riuniti da
Lamartine e Ledru-Rollin, membri del Comitato Esecutivo eletti il 10 maggio a
succedere al governo provvisorio di febbraio, assediarono il municipio e dispersero i
manifestanti disarmati. L'Assemblea e il Comitato Esecutivo presero in mano la
situazione. I leader repubblicani Blanqui, Raspail, Barbes, Albert e alcuni altri autorevoli
rivoluzionari furono arrestati e rinchiusi in carcere (vennero portati davanti
all'Alta Corte di Giustizia di Bourges dal 7 marzo al 3 aprile 1849).
Scartato dal suo incarico, il
capo della polizia Caussidière (si dimise dal suo mandato di deputato), venne
sostituito da un banchiere Manceau Found-Chauvel. Il generale de Courtais,
comandante della Guardia
Nazionale di Parigi,
che aveva mostrato simpatia per i manifestanti, fu arrestato e sostituito dal
generale Clément-Thomas.
Buchez, che non aveva mostrato alcuna reazione ai manifestanti, perse la
presidenza dell'Assemblea, dove gli successe ex procuratore di Rouen, Antoine
Senard.
Le elezioni
suppletive del 4 e 5 giugno: situazione sociale e politica
La crisi economica e sociale,
che aveva causato il malcontento popolare che portò alla rivoluzione del
febbraio 1848, persisteva. L'incertezza sull'orientamento più o meno sociale
della repubblica, proclamata solennemente il 4 maggio, incoraggiò i detentori
del capitale a prelevare i loro fondi dalle banche alle quali mancarono poi di
liquidità per concedere prestiti. Il numero di disoccupati era in aumento.
Da parte loro gli operai
riponevano la loro fiducia verso i radicali, i socialisti e anche verso Louis-Napoléon
Bonaparte che,
oltre che giocare sul ricordo ancora fresco del Primo Impero, in un suo
scritto, l'Extinction du paupérisme (La fine del pauperismo), prometteva
di sostenere molte delle rivendicazioni operaie. Per questo motivo il
"partito bonapartista" stava prendendo piede.
Certi operai si organizzarono
fondando il 20 maggio la Société des corporations réunies che
raggruppava gran parte dei partecipanti ai lavori della Commission du
Luxembourg. Il 28 maggio venne pubblicato il giornale Le travail (il
lavoro), e il 4 giugno anche Le Journal des travailleurs (Il giornale
dei lavoratori), due quotidiani repubblicani portatori entrambi di idee
socialmente avanzate. Gli operai degli Ateliers nazionali e quelli della
Commission du Luxembourg si accordarono per presentare liste comuni alla
elezioni suppletive dell'Assemblea nazionale previste per il 4 e 5 giugno: il
movimento radicale, benché privo dei suoi maggiori capi dopo l'insuccesso della
manifestazione del 15 maggio 1848, faceva progressi a Parigi e Marc Caussidière,
Leroux e Pierre-Joseph
Proudhon vennero eletti.
Parallelamente il partito
bonapartista aumentò i propri consensi grazie al prestigio intatto di Napoleone
Bonaparte e al bluff delle sue teorie populiste del nipote Luigi,
ancora rifugiato a Londra dopo la sua evasione. Gli operai del quartiere La
Villette fecero petizione a favore di Luigi
Napoleone Bonaparte perché fosse nominato Console. La settima legione della
Guardia
Nazionale (quella dei quartieri popolari del Panthéon, Saint-Marcel e Saint-Victor)
stava prendendo in considerazione l'idea di prenderlo come colonnello per
sostituire il repubblicano Armand Barbès che la Commissione Esecutiva, il
governo, aveva appena messo in prigione.
Nelle elezioni, Luigi
Napoleone Bonaparte fu eletto trionfalmente a Parigi ed in altri quattro
dipartimenti. Rinunciò temporaneamente e lasciò il suo esilio a Londra per
venire a Parigi.
Da queste elezioni si rafforzò la maggioranza conservatrice
dell'Assemblea nazionale (i già citati repubblicani del giorno dopo). Adolphe
Thiers, battuto il 23 aprile, venne comodamente eletto a Parigi e in tre
dipartimenti. Insieme a cinque nuovi conservatori parigini eletti, portò il suo
saperci fare politico e la sua animosità contro la Repubblica.
La chiusura degli Ateliers nationaux
Dopo il 15 maggio l’offensiva
della controrivoluzione andò intensificandosi sempre più. Il 16 maggio la
Commissione del Luxembourg venne abolita, Jules
Favre cercò invano di ottenere dall'Assemblea l'incriminazione di Louis
Blanc. Il 22 maggio furono chiusi i circoli di Blanqui e di Raspail, La
maggioranza conservatrice dell'Assemblea Nazionale, liberandosi dei leader
progressisti repubblicani dopo il fallimento della manifestazione del 15 maggio
1848, ebbero quindi le mani libere per guidare l'offensiva contro la loro
bestia nera: gli Ateliers nationaux, i laboratori nazionali simbolo
della politica sociale. Il 18 maggio c’erano circa 115.000 persone registrate
negli ateliers parigini. Ciò per le casse dello Stato comportava una spesa di
quasi 200.000 franchi al giorno e, sia per la propaganda ostile al mantenimento
degli Ateliers e sia per un falso rapporto stilato da Falloux[6]
alla
commissione lavoro dell'Assemblea costituente, i partigiani dell'ordine, i
possidenti e i borghesi in genere si lamentavano esasperati di dover mantenere
(affermavano) un numero crescente di disoccupati. In realtà il costo degli Ateliers
rappresentava soltanto l'1% del bilancio dello Stato, ma anche grazie alla
propaganda di Falloux (che aveva redatto un rapporto con false notizie sulla
commissione del lavoro dell'Assemblea costituente), i partigiani dell'ordine, i
possessori di rendite e titoli e la borghesia erano ostili al mantenimento
degli Ateliers ed esasperati nel dover mantenere un numero crescente di
disoccupati. Alcune belle menti li chiamavano, con un gioco di parole
«râteliers nationaux», rastrelliere nazionali.
Già il 24 maggio, Ulysses
Trelat, ministro dei Lavori pubblici, chiese la soppressione degli Ateliers
nazionali, appoggiato dai conservatori Falloux e Montalembert. Il 30 maggio,
l'Assemblea decise che i lavoratori domiciliati da meno di tre mesi nel
dipartimento della Senna dovevano tornarsene in provincia. L'obiettivo era
diminuire il numero di disoccupati aiutati dallo Stato e ridurre una possibile
resistenza dei lavoratori parigini. Ma il governo, la Commissione esecutiva,
composta da repubblicani moderati, aveva qualche tentennamento a mettere in
discussione una delle conquiste più sociali della nuova repubblica per timore
della reazione popolare. Il decreto del 24 maggio venne sospeso. Per ottenere
simpatia popolare, il Comitato esecutivo pianificò la creazione di un credito
fondiario per aiutare i contadini molto colpiti dalla crisi economica. Si
considerò la riduzione dell'impopolare imposta sul sale.
Per fornire lavoro negli
Ateliers nazionali, la Commissione previde di nazionalizzare la Compagnie
ferroviarie per impiegarvi gli operai nei cantieri. Di fronte a questo
possibilità di nazionalizzare una proprietà privata, la maggioranza
conservatrice dell'Assemblea decise di intensificare la propria azione
respingendo, in maggioranza, la proposta.
Il 7 giugno fu emanata una
severa legge che proibiva i comizi all’aperto. Il 14 e il 15 giugno, Falloux e
Goudchaux vennero eletti rispettivamente come relatore e presidente della
Commissione speciale per gli Ateliers nazionali. La stampa controrivoluzionaria
iniziò ad attaccare violentemente gli Ateliers, affermando che la loro
esistenza impediva la rinascita degli “affari” e costituiva una minaccia per
l’ordine” della capitale.
Il 19 e il 20 giugno,
l'Assemblea votò per sciogliere gli Atelliers nazionali; gli operai con più di
25 anni di età che vi erano impiegati vennero inviati ai lavori di sterro in
provincia e in particolare nella città di Sologne[7]
per scavare il canale del Sauldre; gli operai celibi tra i 18 e i 25 anni
dovevano essere arruolati nell’esercito. Il 21 giugno Il Moniteur, il
giornale ufficiale dell'epoca, pubblicò il decreto. A Parigi vennero
concentrate delle truppe.
Il 22 giugno, l'agitazione si
diffuse. Il 23 giugno, nelle strade di Parigi, vennero erette le prime
barricate.
L'insurrezione del 23 giugno
Barriera dei pesci proseguimento degli insorti, nella chiusa di Saint-Lazare , il 23 giugno 1848 |
Con più di un milione di
abitanti, la Parigi del 1848 era ancora la stessa capitale dell'Ancien régime,
cinta dalle mura della dogana, con le sue 52 «barriere», le vecchie case e le
vie strette. Una sorta di frontiera separava la zona occidentale, con
l’esercito, lla Guardia
Nazionale e la Guardia mobile, da quella orientale dei quartieri popolari
che raggiungevano il quartiere latino, l'Hôtel
de Ville, il Louvre e le
Tuileries. La distinzione tra le classi privilegiate e quelle popolari era
molto netta. Queste ultime, che fornivano gran parte dei contingenti della Guardia
Nazionale, erano escluse dal diritto di voto, che era stabilito attraverso il
censo. Le condizioni di vita, a causa del lavoro occasionale o della
disoccupazione, della miseria, della mancanza di condizioni igieniche adeguate,
della mortalità, della criminalità, erano degradate. Mentre la grande industria
si era sviluppata nei borghi periferici di La Villette e delle Batignolles, il popolo parigino attivo era occupato
nelle 64.000 botteghe artigiane, metà delle quali erano tenute da un singolo
artigiano o insieme con un solo operaio. Le specializzazioni erano molto
diversificate nei 325 mestieri classificati e vi dominava l'attività tessile
con 90.000 operai, quella edile con più di 40.000 operai, e quella degli
oggetti di lusso.
Il 23 giugno il ministro Marie
rispose ad una delegazione operaia: “Se gli operai non vogliono partire per
la provincia, noi li costringeremo con la forza … con la forza, avete capito?”.
La politica di provocazione del governo spinse i lavoratori all’insurrezione:
gli operai di Parigi eressero le barricate. Il socialista Louis Pujol condusse sulla
piazza della Bastiglia 7000 operai che prestarono un temibile giuramento: “La
libertà o la morte!”.
Si issarono immediatamente le
barricate da rue Saint-Denis a rue Saint-Antoine ed intorno al Panthéon, mentre
proletari dei due sessi correvano per la città reclamando: “Pane o piombo!
Piombo o pane!”. La commissione esecutiva diede le dimissioni, il generale
Cavaignac organizzò la dittatura militare e preparò la più spietata delle
repressioni. Questa fu voluta dalla borghesia conservatrice; “Thiers,
disse Proudhon,
è stato visto consigliare l’impiego del cannone per farla finita”. La
principale base d'appoggio dell’insurrezione era il sobborgo di Saint-Antoine;
le barricate erette in questa zona arrivavano al quarto piano delle case ed
erano cinte da profondi fossati. La lotta sulle barricate era guidata per la
maggior parte dai capi dei club
proletari rivoluzionari, dall’operaio comunista Racari, dal socialista Pujol
ecc. I combattimenti degli operai insorti erano condotti secondo un piano
offensivo ideato da un rivoluzionario, l’ex-ufficiale Kersansie presidente del
comitato d’azione della “Società dei diritti dell’uomo”. Amico di
Raspail, ardente rivoluzionario, più di una volta perseguitato giudizialmente,
Kersansie godeva di grande popolarità negli ambienti democratici di Parigi.
Barricate di rue Saint-Maur durante i giorni di giugno, su un dagherrotipo del 1848 |
Sfruttando le esperienze delle
precedenti insurrezioni, Kersansie prevedeva un’offensiva concentrica contro il
palazzo
municipale, il palazzo
Borbone e quello delle Tuileries
con quattro colonne, che avrebbero dovuto appoggiarsi ai sobborghi operai. Ma
non fu possibile realizzare questo piano. Gli insorti non poterono creare un
unico centro direttivo poiché i vari reparti non erano ben collegati fra di
loro.
Da ovest l’esercito, la Guardia
Nazionale e la Guardia mobile si mossero contro le barricate. Venne
attaccato il boulevard Saint-Denis e la rue de Cléry: qui la Guardia
Nazionale premette sul fianco e i difensori della barricata si ritirano.
Restano sette uomini e due donne, due giovani sartine: “una delle sartine,
un'alta e bella ragazza, vestita con gusto, le braccia nude, prende la bandiera
rossa, supera la barricata e si dirige verso la guardia nazionale. Il fuoco
continua e i borghesi della guardia nazionale abbattono la ragazza quando
questa arriva vicino alle loro baionette. Subito, l'altra sartina si getta
avanti, prende la bandiera, solleva la testa della sua compagna e, vedendo che
è morta, furiosa, tira delle pietre contro la guardia nazionale. Cade anche lei
sotto i proiettili dei borghesi (Friedrich Engels, Neue Rheinische
Zeitung», 28 giugno 1848)”.
Le barricate del boulevard Saint-Denis
vennero prese dopo tre ore dall'esercito comandato da Cavaignac in persona e
dalla cavalleria. Nel faubourg Poissonnière, il combattimento tra gli insorti
della barricata di rue Lafayette e il 7º Reggimento di fanteria, la Guardia
Nazionale e quella mobile durò mezzora e costò un centinaio tra morti e
feriti. Caddero anche le barricate davanti al Palazzo di Giustizia, in rue de
Constantine. Dal ponte di Notre-Dame l'artiglieria batté per tutto il
pomeriggio rue Planche-Mybray, rue de la Cité e rue Saint-Jacques che vennero
conquistate a sera.
Nei faubourg de la Villette e di Pantin si continuavano ad erigere
barricate, Place de la Bastille e i suoi dintorni restarono nelle mani degli
insorti, il faubourg Saint-Antoine, il centro dell'insurrezione, era tutto una
barricata: sul boulevard di rue Montmartre fino al Temple, si ammassarono le
forze delle repressione e fino a sera si sentirono le cannonate e gli scambi di
fucileria.Barricata di rue Soufflot 1848, Pittura di Horace Vernet |
Il generale Hippolyte-Marie-Guillaume
de Rosnyvinen de Piré fornì la seguente inaspettata testimonianza
dell'atteggiamento degli insorti della barricata di rue
Nationale-Saint-Martin quel giorno: "Alcuni cittadini, armati di
baionetta, il 23 giugno, erano nella barricata di rue Nationale-Saint-Martin,
mi son trovato pochi attimi da solo in mezzo ai ribelli animati da
un'indescrivibile esasperazione. Abbiamo combattuto ad oltranza da entrambe le
parti; potevano uccidermi, non l'hanno fatto! Ero nei ranghi della Guardia Nazionale,
in uniforme da ufficiale generale; hanno rispettato il veterano di Austerlitz e
Waterloo! Il ricordo della loro generosità non sarà mai cancellato dalla mia
memoria ... Li ho combattuti fino alla morte, li ho visti come francesi
coraggiosi quali erano; ancora una volta, mi hanno risparmiato la vita; erano
vinti, infelici, devo loro la condivisione del mio pane!".
À la Belle Jardinière |
Il 24 giugno
Dopo una pausa notturna, i
combattimenti ripresero all'alba del 24 giugno. Il generale Cavaignac, nominato
«dittatore» di Parigi, era deciso a utilizzare tutti i mezzi: intensificò l'uso
dell'artiglieria, che non sparò più solo a mitraglia, ma utilizzò anche obici e
proiettili incendiari. La 1ª legione della Guardia
Nazionale fu respinta con gravi perdite alla gare du Nord: alle 10 del
mattino l'arrivo dell'artiglieria permise di conquistare le barricate e di
controllare la linea ferroviaria. Anche le barricate di rue Saint-Martin, rue
Rambuteau e rue du Grand-Chantier furono prese a cannonate.
Al quai aux centinaia
d'insorti occuparono il celebre magazzino «À la Belle Jardinière» che
venne completamente demolito dalle cannonate, nel faubourg Saint-Jacques,
vicino al Panthéon, si combatté casa per casa. L'insurrezione faceva progressi,
controllando i faubourgs e la maggior parte della riva sinistra della Senna e
il governo temette che potesse penetrare nel centro. Vennero inviate a Parigi
le guardie nazionali di Pontoise, Rouen, Meulan, Mantes, Amiens, Le Havre,
soldati da Orléans, artiglieri da Arras e da Douai.
Le truppe si concentrarono in tre punti: alla porta Saint-Denis, al
comando del generale Lamoricière, all'Hôtel
de Ville 14 battaglioni
erano al comando del generale Dupvivier, e a place de la Sorbonne il generale Damesme, comandante
della Guardia mobile, era impegnato contro il faubourg Saint-Jacques.
A mezzogiorno, il Pantheon uno dei centri
dell’insurrezione di Parigi dove vi si erano rifugiati più di 1.500 ribelli,
venne preso insieme a place
Maubert; furono sloggiati dal colonnello Henri-Georges Boulay de la
Meurthe a capo di un reggimento della guardia repubblicana.
Avanzando lungo i boulevards,
l'esercito attaccò le barricate delle vie traverse. Si combatté con accanimento
nel faubourg du Temple.
La sera venne preso il faubourg
Saint-Denis e controllata quasi tutta la riva sinistra della Senna. Gli
insorti resistevano al Marais
e al faubourg Saint-Antoine,
ma furono circondati, caddero i faubourgs Saint-Jacques, Saint-Marceau, Poissonnière
e Saint-Denis. Alla
fine della giornata restavano nelle mani degli insorti i faubourg Saint-Antoine, Temple, Saint-Martin e il Marais. Sacche di resistenza
erano a Saint-Lazare e
al Jardin des Plantes.
“Quel che colpisce in
questi combattimenti disperati, è il furore con il quale si battono i
«difensori dell'ordine». Essi, che prima avevano nervi talmente sensibili per
ogni goccia di «sangue borghese», che avevano perfino delle crisi sentimentali
per la morte delle guardie municipali del 24 febbraio, questi borghesi
abbattono gli operai come animali selvaggi. Nelle file della Guardia nazionale,
nell'Assemblea nazionale, nessuna parola di compassione, di conciliazione,
nessun sentimentalismo, ma un odio che esplode con violenza, un furore freddo
contro gli operai insorti. La borghesia conduce con chiara coscienza una guerra
di sterminio (Friedrich Engels, Neue Rheinische Zeitung, 28 giugno 1848)”.
Il 25 giugno
Il 25 giugno apparve chiaro
che le sorti dell'insurrezione erano segnate. Contro i 40.000 insorti, male
armati e senza una direzione, stavano più di 150.000 uomini tra soldati e
guardie nazionali e mobili, appoggiati dall'artiglieria e comandati da
generali. Per tutto il giorno 40 pezzi di artiglieria spararono contro il Clos Saint-Lazare che gli
insorti avevano trasformato in un campo trincerato, che aveva al suo centro la gare du Nord e l'ospedale
Louis-Philippe: nel tardo pomeriggio Sainte-Lazare cadde.
“Si combatteva al Temple, dove l'arcivescovo di
Parigi, Denys Affre, venuto a esortare alla pace, venne raggiunto da una palla
vagante: morirà due giorni dopo. Con una lunga lotta accanita, l'esercito
avanzava lentamente e a notte gran parte del faubourg du Temple venne tolto dal comando degli
insorti, minacciando il faubourg
Saint-Antoine, il cuore della resistenza operaia. Dall'Hôtel
de Ville, il generale
Duvivier avanzava lentamente, liberò place de la Bastille e si presentò sul fianco delle barricate
della rue Saint-Antoine
(Friedrich Engels, Neue Rheinische Zeitung, 29 giugno 1848)”.
Barricata del giugno 1848 – Parigi», Musée Carnavalet |
Il 26 giugno
Giugno 1848 - conquista della barricata di rue de Charenton Litografia di E. Beaumont |
La mattina del 26 giugno
restava in mano degli insorti soltanto il faubourg Saint-Antoine e una parte del Temple, che non erano
costruiti per condurvi battaglie da strada, avendo vie larghe e quasi diritte,
che lasciavano campo all'artiglieria. Ad ovest erano coperti dal canale Saint-Martin, ma da nord
strade ampie scendevano al centro del faubourg Saint-Antoine.
Il generale Cavaignac,
minacciando di bombardare il quartiere, intimò agli insorti la resa che venne
respinta. Il generale Perrot avanzava lungo il faubourg du Temple e Lamoricière da place de la Bastille,
bombardando le barricate. Il resto del Temple venne conquistato rapidamente e le truppe si affacciarono
sul faubourg Saint-Antoine,
mentre dall'altra parte Lamoricière avanzava lentamente.
Quando le prime case
cominciarono ad essere demolite a cannonate, Cavaignac intimò nuovamente la
resa agli insorti, minacciando di radere al suolo l'intero quartiere. A quel
punto i difensori abbandonarono le barricate e la guerra senza quartiere finì,
nonostante la straordinaria resistenza di quegli operai senza capo, i quali
conservarono nondimeno, secondo l’espressione del filosofo Alexis de
Tocqueville, "un insieme meraviglioso”, col ricorso delle guardie
nazionali della provincia, trasportate a Parigi per collaborare con le guardie
mobili, le truppe regolari e la guardia nazionale, alla vittoria sul popolo in
rivolta.
Il governo poté annunciare: «Gli insorti sono battuti. La lotta è finita.
L'ordine ha trionfato sull'anarchia».
La repressione
L’insurrezione di giugno ebbe
un carattere chiaramente proletario. Nei loro manifestini i lavoratori insorti
chiedevano che l'Assemblea costituente fosse sciolta; che i suoi membri fossero
messi sotto processo; che i membri della Commissione esecutiva fossero
arrestati; che le truppe fossero allontanate da Parigi; che fosse concesso al
popolo stesso il diritto di redigere la Costituzione; che fossero mantenuti gli
opifici nazionali e che fosse garantito il diritto al lavoro. Per quattro
giorni, dal 23 al 26 giugno, si combatté accanitamente per le strade. Da una
parte lottavano 40-45 mila operai, dall’altra le truppe governative, la Guardia
mobile e distaccamenti della Guardia
Nazionale, in tutto 250 mila uomini. Dirigevano le operazioni delle forze
governative generali che avevano precedentemente combattuto in Algeria. Essi
mettevano in pratica l’esperienza acquisita nella repressione del movimento di
liberazione del popolo algerino. A capo di tutte le forze governative vi era il
ministro della guerra, generale Cavaignac, al quale erano stati conferiti
poteri dittatoriali.
Nonostante l’eroismo dei lavoratori, l’insurrezione proletaria di Parigi
fu repressa. Iniziò allora uno spietato terrore bianco: a Grenelle, alla Conciargerie,
all’Hôtel
de Ville, le esecuzioni
si prolungarono quarantotto ore dopo la vittoria. I vincitori davano il colpo
di grazia agli insorti feriti. Nei quattro giorni di combattimento, secondo le
cifre ufficiali, i governativi hanno avuto circa 1.600 morti, gli insorti
5.500, tra caduti nelle barricate e fucilati sul posto, 25 mila fu il numero
complessivo degli arrestati[8]. Coloro che avevano
partecipato più attivamente alla rivoluzione furono consegnati al tribunale
militare; circa 4000 persone furono deportati senza processo in Algeria. I
quartieri operai di Parigi, di Lione e di altre città furono disarmati.
Massacri del giugno 1848 |
Repressione a Parigi dopo il giugno 1848 passaggio di una colonna di insorti prigionieri incisione anonima |
Anche la piccola borghesia si
batté in quei giorni di giugno contro gli operai, già loro alleati a febbraio
quando si trattò di rovesciare Luigi Filippo, re amato da banchieri e
speculatori. Timorosi di perdere le loro proprietà e i loro commerci costruiti
con le cambiali, i piccoli borghesi, in divisa di guardie nazionali, spararono
contro le barricate dei quartieri operai, ma non ne ricavarono i vantaggi
sperati, perché il governo non accordò loro alcun favore e l'Assemblea
costituente ristabilì la prigione per debiti e abolì ogni forma di transazione
diretta tra creditori e debitori.
La Chiesa benedì la
lungimiranza del governo. Paul d'Astros, arcivescovo di Tolosa e prossimo
cardinale di Pio IX, l'approvò sostenendo, dall'alto del suo magistero, che “l'ineguaglianza
delle condizioni sociali [...] è la legge fondamentale della società [...]
Questa legge fa parte del disegno di Dio e della sua saggezza, che ha voluto
offrire ai ricchi la possibilità di fare generosi sacrifici per alleviare le
sofferenze dei poveri; e ai poveri un motivo di riconoscenza e d'amore per le
buone azioni dei ricchi”. Anche un cattolico «liberale» come Montalembert
si allineò nelle colonne del Moniteur, con parole appena meno rozze: “Qual
è il problema oggi? È d'ispirare il rispetto della proprietà a chi non è
proprietario. Io conosco una sola ricetta per ispirare questo rispetto, per far
credere alla proprietà chi non è proprietario, quello di farlo credere in Dio,
al Dio del catechismo, il Dio che ha dettato il decalogo e punisce eternamente
i ladri”. Come se quello della «questione sociale», che agitava tutta
l'Europa, fosse un ordinario problema di polizia o di ignoranza del catechismo.
Ma anche un liberale tout
court come Tocqueville, giudicò nei suoi Ricordi «necessarie e funeste» le stragi del
giugno 1848, perché avevano «liberato la
nazione dall'oppressione degli operai di Parigi», considerò le «teorie socialiste una forma di passione
cupida e invidiosa», dichiarandosi sollevato nel vedere «il Partito socialista vinto e impotente».
La barricata, rue de la Mortellerie, giugno 1848, noto anche come Souvenir de guerre civile, dipinto di Meissonier |
Il ministero Cavaignac
Cavaignac |
Il 28 giugno, con un rimpasto
di governo, il generale Cavaignac, cui lo zar Nicola I aveva
inviato le proprie congratulazioni, diventò capo del governo, mentre il
generale Lamoricière, altro repressore dell'insurrezione, si guadagnò il ministero
della Guerra. Venne mantenuto lo stato d'assedio e i battaglioni delle guardie
nazionali provenienti dai quartieri popolari di Parigi vennero sciolti. Il
ministro dell'Istruzione Hippolyte Carnot, considerato troppo democratico,
venne licenziato, in provincia si allontanano i prefetti giudicati non
allineati con il nuovo ordine.
L'Assemblea costituente decise
di perseguire Louis
Blanc.
In nome della libertà
d'impresa, il 3 luglio, il governo soppresse gli odiati Ateliers nazionali (che
per qualche mese servirono ad assicurare un po' di lavoro a decine di migliaia
di disoccupati) innalzò l'orario di lavoro e proibì per legge costituzionale il
diritto di sciopero.
Il 27 luglio: in seguito alla
repressione di giugno, l'Assemblea limitò l'attività dei club e ne vietò la
partecipazione di donne e bambini.
La proclamazione dello stato
d’assedio permise, il 28 luglio, di sciogliere i club politici, e venne limitata la libertà di
stampa, sia considerando reati la critica al governo, all'Assemblea nazionale,
alla religione, alla proprietà e alla famiglia, sia aumentando fortemente le
tasse sugli organi di stampa, così da rendere difficile l'esistenza della
stampa popolare. Viene annullato il decreto che abbassava a 10 ore la giornata
lavorativa, che viene così riportata alle 12 ore dei tempi della monarchia di
Luglio. In ottobre entrarono nel governo esponenti monarchici e nella
Costituzione, approvata il 12 novembre, venne negato il diritto di sciopero.
La politica estera del
ministro Jules Bastide ricercò l'intesa con l'Inghilterra e con l'Austria, in
chiave anti-prussiana: la Prussia si era appena annessa lo Schleswig-Holstein[9]
e perseguì una politica pangermanica, che
la Francia temeva. Così, nessun aiuto fu portato agli italiani e ai polacchi il
cui movimento di liberazione venne represso dagli Austriaci. In particolare,
non solo non venne sostenuta la Repubblica romana, ma nell'aprile del 1849 la
Repubblica francese manderà a Roma le truppe che la soffocheranno nel sangue.
Le cause della sconfitta dell’insurrezione
di giugno
Una delle cause più importanti
della sconfitta della rivoluzione di giugno del 1848 fu l’isolamento degli
operai di Parigi dalla classe operaia del resto della Francia. Contribuirono
molto anche le esitazioni della piccola-borghesia delle città e la passività
dei contadini, ingannati dalla propaganda controrivoluzionaria.
In alcune città della
provincia gli operai progressisti manifestarono la loro solidarietà con gli
insorti di giugno. Ma non fu sufficiente. A Louviers e a Digione gli operai
organizzarono dimostrazioni di solidarietà con i proletari rivoluzionari di
Parigi. A Bordeaux una folla di operai tentò di impadronirsi del palazzo della
prefettura. Operai si arruolarono in distaccamenti di volontari per andare a
Parigi in aiuto degli insorti. Si tentò d'impedire alle truppe chiamate dai
dintorni di entrare nella capitale. Ma questa solidarietà verso gli insorti di
Parigi era troppo debole e non poté perciò influire sul corso degli
avvenimenti.
La controrivoluzione
internazionale approvò la sanguinosa repressione dell’insurrezione di giugno. I
progressisti di molti paesi europei espressero invece la propria solidarietà
con gli operai rivoluzionari di Parigi. Herzen e gli altri democratici
rivoluzionari russi furono dolorosamente impressionati dalle feroci repressioni
contro gli insorti di giugno. Marx definì l’insurrezione del giugno 1848 di Parigi come “la prima grande
battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna, in una lotta
per la conservazione o per la distruzione dell’ordine borghese”.
Le elezioni presidenziali del 10
dicembre 1848
Gli attori della rivoluzione
del febbraio 1848 si dividono in due campi. Il primo, quello della borghesia,
che fu soddisfatta dell'istituzione della Repubblica così com'era. Il secondo,
quello degli operai che non avevano dimenticato la parola d’ordine di
«Repubblica sociale» ed è logico che li ritroviamo a giugno a difenderla di
nuovo.
Questi eventi rinnovarono
l'antica sfiducia delle classi dominanti verso Parigi. Non sorprende quindi
vedere un certo culto della provincia, della classe media contadina come
pilastro della Repubblica, emergere nei discorsi politici borghesi. L'immagine
viene riutilizzata in seguito, durante la Terza
Repubblica.
La conseguenza legale di
questa insurrezione fu quasi immediata: la Costituzione in discussione venne
modificata per rimuovere qualsiasi riferimento sociale utilizzabile. La
repubblica sociale scomparve e, allo stesso tempo, la paura del rosso aumentò
(si fece viva anche tra le forze democratiche) e portò a voti sempre più
conservatori, prima all'interno della stessa Assemblea Costituente (eletta a
suffragio universale con una maggioranza di repubblicani di destra), poi, al
momento della designazione degli organi costituiti. Questi ultimi furono eletti
soprattutto con i voti dei contadini piccolo-proprietari, cui un'abile
propaganda borghese e clericale aveva prospettato il pericolo della perdita
della loro proprietà sulla terra.
Per questi motivi la
Repubblica Sociale venne liquidata dalla Seconda Repubblica, costituita nel
novembre 1848. I socialisti furono, in seguito ad una legge speciale, esclusi
dal governo.
Luigi Napoleone Bonaparte |
Il 12 novembre fu approvata la
Costituzione elaborata dall’Assemblea costituente. Essa ignorava completamente
gli interessi e le necessità delle masse lavoratrici e vietava ai lavoratori di
organizzare scioperi. La nuova Costituzione poneva a capo della repubblica un
presidente eletto per quattro anni con suffragio universale, mentre il potere
legislativo veniva esercitato da un’Assemblea legislativa eletta per un periodo
di tre anni. Il diritto di voto era stato negato a molti gruppi di lavoratori.
Al presidente furono concessi poteri straordinariamente ampi: la nomina e la
destituzione di tutti i funzionari e i giudici, il comando dell’esercito, la
direzione della politica estera. In questa maniera i repubblicani borghesi
contavano di creare un forte potere esecutivo capace di soffocare in breve
tempo il movimento rivoluzionario.
Ma, d’altra parte, il fatto
che il presidente avesse poteri così ampi rendeva inevitabili i conflitti tra
quest’ultimo e l’Assemblea legislativa.
Il 10 dicembre 1848 ebbero
luogo le elezioni del Presidente della repubblica. I candidati erano sei. Gli
operai progressisti avanzarono la candidature di Raspail, che a quel tempo si
trovava in prigione; il candidato dei repubblicani piccolo-borghesi era
l’ex-ministro degli interni Ledru-Rollin. I repubblicani borghesi appoggiavano
la candidatura del capo del governo, Cavaignac. Fu eletto invece il candidato
dei bonapartisti, il principe Luigi
Bonaparte, nipote di Napoleone I, che ottenne alle elezioni la
schiacciante maggioranza dei voti. Le elezioni presidenziali e legislative
portarono quindi al potere un Bonaparte e una maggioranza monarchica, uno
strano miscuglio per una Repubblica.
Luigi
Bonaparte (1808-73), uomo di mediocri capacità e molto ambizioso, aveva già
tentato due volte d'impadronirsi del potere in Francia (nel 1836 e nel 1840),
ma entrambe le volte il suo tentativo era fallito. Nel 1844, in prigione, egli
scrisse un opuscolo La liquidazione della povertà, nel quale
demagogicamente si fingeva “amico” dei lavoratori. In realtà egli era
strettamente legato ai grandi banchieri, i quali pagavano generosamente i suoi
sostenitori e i suoi agenti.
Nel periodo della monarchia di
luglio, la cricca bonapartista era formata da un gruppo di avventurieri e non
aveva alcuna influenza nel paese. Ora, dopo la sconfitta dell’insurrezione di
giugno, la situazione era cambiata. Le forze democratiche si erano indebolite,
e i bonapartisti avevano condotto un’intensa campagna propagandistica a favore
di Luigi
Bonaparte;
questa campagna esercitò una grande influenza sui contadini, i quali speravano
ch'egli avrebbe migliorato la loro situazione, e che in particolare avrebbe
abolito l’odiata tassa del 45%.
Il successo dei bonapartisti
fu favorito anche dall’aureola di Napoleone I e dal ricordo delle sue vittorie
militari.
Il 20 dicembre Luigi
Bonaparte prestò
giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana. Il giorno successivo fu formato
un nuovo governo, a capo del quale fu posto il monarchico Odilon Barrot. Il suo
primo passo fu quello di espellere dall’apparato statale tutti i repubblicani.
La Repubblica francese
imboccava così la strada dell'involuzione autoritaria che avrebbe portato per
la seconda volta in Francia all'affermazione del potere personale di un capo.
Una delle conseguenze dei
giorni del giugno 1848 è stata, pochi anni dopo, la distruzione simbolica dei
quartieri centrali di Parigi. Luigi
Napoleone, diventato successivamente Napoleone
III,
diede l’incarico di rinnovare Parigi, con un vasto piano di ristrutturazione,
all’urbanista Georges Eugène Haussmann, le cui innovazioni urbane fatte
(soprattutto il boulevard de Sébastopol) tagliarono il cuore dell'insurrezione,
dove furono erette molte barricate, ma anche da dove provenivano molti insorti,
operai e artigiani.
[1] Le
mur des Fermiers généraux erano le mura di Parigi,
costruite poco prima della Rivoluzione dal 1784 al 1790. Lo scopo delle mura
era di consentire alla società
finanziaria Ferme générale, responsabile
della riscossione delle tasse, di riscuotere una tassa
sulle merci che entravano in città attraverso le porte delle mura.
[3] Louis Jean Joseph Charles Blanc
(Madrid, 29 ottobre 1811 – Cannes, 6 dicembre 1882) è stato uno storico e
politico francese.
[4] François Vincent Raspail (Carpentras,
29 gennaio 1794 – Arcueil, 7 gennaio 1878) è stato un politico e scienziato
francese. Partecipò alla Rivoluzione del 1848 guidando, il 24 febbraio
l'occupazione dell'Hôtel de Ville e proclamandovi la Repubblica. Il 27 febbraio
fondò il quotidiano L'Ami du peuple e prese parte all'insurrezione del
15 maggio contro il governo conservatore. Arrestato, durante la detenzione
risultò eletto, il 17 settembre, all'Assemblea Costituente, e non poté farne
parte. Condannato il 2 aprile 1849 a sei anni di carcere, fu liberato nel 1855
ma, esiliato, si stabilì in Belgio. Amnistiato nel 1859, tornò in Francia,
stabilendosi ad Arcueil, presso Parigi. Si presentò candidato alle elezioni del
24 maggio 1869 come candidato radicale e fu eletto al Corpo legislativo. L'11
gennaio 1870 denunciò le manovre della Corte per mandare impunito il principe Pierre Napoléon Bonaparte, responsabile
della morte di Victor
Noir, che fu infatti assolto in marzo dai giudici compiacenti. Fu a Parigi
durante l'assedio
e la Comune,
mantenendo un atteggiamento neutrale, ma per aver commemorato il Comunardo Louis
Charles Delescluze nel
suo Almanach et calendrier météorologique de 1874, fu condannato, lui
ottantenne, a un anno di prigione.
[5] La Commissione del Lussemburgo, che si trovava nel Palais
du Luxembourg a Parigi
nella primavera del 1848, fu incaricata di riflettere e proporre una nuova
organizzazione del lavoro per migliorare la quantità di lavoratori. Sotto la presidenza del
membro del governo provvisorio, Louis
Blanc, ha implementato per alcuni mesi il
suo piano per l'organizzazione del lavoro, di cui l'esempio più
eclatante è stato l’atelier sociale.
Un vero parlamento del lavoro, questa assemblea,
democratica e rappresentativa nella sua composizione, era all'origine di un
progetto di legge sul lavoro.
[6] Alfred de Falloux (1811 – 1886)
membro dell'Assemblea nazionale nel febbraio 1848, come "repubblicano del
giorno dopo", fu il feroce oppositore dei Laboratori Nazionali.
[7] Nel
dipartimento della Loir-et-Cher nella regione del Centro-Valle della Loira.
[8] Cifre indicate da Michel
Mourre, Juin 1848, in «Dictionnaire encyclopédique d'histoire», Paris,
Bordas 1978.
[9] Lo Schleswig-Holstein è il più
settentrionale dei 16 stati federati dell’attuale Germania, e confina con la Danimarca.