L’AMNISTIA
AI COMUNARDI
La Comune fu un grande momento
di confronto ideologico e sociale. La repressione che l’ha archiviata è stata
all'apice delle paure che la Rivoluzione ha suscitato nelle classi dominanti.
Preoccupazioni che sconfinarono nell'odio. Ci furono diverse decine di migliaia
di morti nelle strade di Parigi, causati dai proiettili dei fucili di Versailles,
più di 43.000 arresti, quasi 50.000 decisioni giudiziarie, oltre 80 condanne a
morte, migliaia di condanne di espulsione in Nuova
Caledonia, quasi 10.000 proscritti. I giudici erano convinti di avere una
missione da compiere, che erano lì per sradicare il male dalla società, per
dare l'esempio per il futuro, il tutto sulla base di ideali religiosi.
Per loro si trattò prima di
tutto di un'espiazione, di una purificazione, di una lustrazione con una
vocazione redentiva. Si trattò anche di rimuovere la minaccia socialista,
mettere a tacere il popolo e imporre un modello politico e sociale
paternalistico e quantomeno gerarchico, in ogni caso molto lontano dalla
democrazia, e quindi dalla Repubblica nel cui nome quella repressione venne formalmente
condotta. Thiers
lo spiegò in modo inequivocabile all'Assemblea nazionale, il 22 maggio,
all'inizio della Settimana
sanguinate: "Siamo gente onesta; è attraverso i canali regolari che
la giustizia sarà fatta. Le sole leggi interverranno, ma saranno eseguite in
tutto il loro rigore ... l'espiazione sarà completa, ma sarà, lo ripeto,
l'espiazione che le persone oneste devono infliggere quando la giustizia lo
richiede, espiazione in nome della legge e per legge".
La Comune è stata repressa con
lo spargimento di sangue, con la brutalità della repressione sommaria, con le
fosse comuni e i tribunali che vomitavano la loro giustizia, il campo di Satory
e l'Orangerie
del Castello di Versailles, i pontili e l'inizio delle deportazioni
suscitarono un'emozione pubblica per una prima campagna di amnistia. Iniziò con
una preghiera, quella di veder cessare la violenza, una preghiera contemporanea
degli eventi, portata dai versi scritti da Victor
Hugo ne «L’Année
terrible»: "Combattenti! Combattenti! Cosa volete? Cosa! Da una
parte la Francia e dall'altra la Francia!” Fermatevi! È il
dolore che viene fuori dal vostro successo”.
Quello fu un appello urgente
per la riconciliazione nazionale. Questa prima campagna di amnistia venne
guidata da uomini che erano solo moderatamente comunardi. Lo stesso Victor
Hugo aveva sempre detto della Comune che era una "cosa buona fatta
male", che era "per la Comune in linea di principio, e contro
la Comune nei fatti”.
Quando si realizzò l'ondata di
brutalità della Settimana
sanguinate, mentre si trovava a Bruxelles per affari di famiglia, aprì la
porta agli esuli che il governo belga considerava indesiderabili. Si mise alla
testa di un movimento di protesta che prese forma di una Commissione di
soccorso per i detenuti guidata dal repubblicano ex quarantottino Louis Greppo
e dentro la quale trovò il socialista Louis Blanc. Queste prese di posizione
segnarono la solidarietà dell'ex proscritto per le vittime delle nuove
repressioni. Da lì, Victor
Hugo renderà l'amnistia dei Comunardi
la sua ultima grande lotta politica, l’unico punto del suo programma elettorale
quando venne eletto al Senato nel 1876. Mentre si dimetteva l'8 marzo 1871
dall'Assemblea di Bordeaux per protestare contro la cancellazione dell'elezione
di Garibaldi,
accettò di essere candidato di nuovo alle elezioni suppletive a Parigi, a
condizione che venisse collocata l’amnistia in testa al programma. Per lui si
trattò innanzitutto di fraternità, cioè di umanità. Si trattò di ammorbidire la
sorte dei detenuti la cui richiesta era legittima. Ma riguardava anche la
politica, per fondare la Repubblica sui suoi veri principi: libertà di
espressione, uguaglianza, giustizia.
Léon Gambetta |
Per Gambetta,
la Comune fu un cattivo esempio. Non era ammissibile né nella sostanza né nella
forma. L'amnistia dei Comunardi
era impossibile e bisognava insistere sul fatto che era impossibile: la rivoluzione
parigina del 1871 era diventata il simbolo dei repubblicani erranti, una
rinnovata eco del “terrore”, un'eco che la destra monarchica e i repubblicani
moderati usano per farsi sentire. Gli scontri della Rivoluzione venivano
intelligentemente riattivati, logicamente riattivati, in quel momento delicato,
come lo furono per tutto il 19°
secolo.
Non
tutti i repubblicani erano sulla linea Gambetta.
C’erano, a destra, quelli per i quali la difesa dell'ordine sociale non era
lontano dal far prevalere la difesa dell'ideale politico. Vedevano, come i
monarchici, la Comune come una grande operazione di rapina. Non si trattava di
offrire clemenza agli uomini che avevano messo in discussione l'ordine sociale
ma che avevano attaccato la proprietà. C’erano a sinistra, quelli che al
contrario pensavano che era necessario essere più "radicali", sia
nella forma che nella sostanza, che la democrazia politica doveva essere
accompagnata da profonde riforme sociali per la costruzione di una Repubblica
che avesse un senso civico, che fosse un modello di tolleranza per la democrazia.
La sinistra francese, la sinistra repubblicana, era divisa e questa divisione
compromise la causa dell'amnistia, un argomento che viveva in tutti i loro
dibattiti tra il 1871 e il 1879 dove si discussero le varie proposte di
amnistie parziali presentate all'Assemblea nazionale. È stata una battaglia
continua, che ha mobilitato folle di militanti. Ad ogni elezione, i
repubblicani candidavano dei Comunardi.
Una battaglia condotta anche da uomini di grande autorità morale.
Gli oppositori all’amnistia (monarchici,
bonapartisti, o i repubblicani estremamente moderati che sognavano di essere
loro alleati) si opposero all’amnistia in nome della giustizia necessaria che
doveva fare il suo corso fino in fondo, della punizione esemplare, in ossequio
alla giustizia militare che “aveva operato con tanta intelligenza e cuore”, in
nome del rifiuto di amnistiare le condanne in contumacia (perché non avevano
pagato) o i “detenuti comuni”. Ora quasi tutti i Comunardi
erano dei “detenuti comuni”.
Il mercoledì 13 settembre
1871, l’avvocato e giornalista Henri Brisson e 47 co-firmatari (Schoelcher,
Scheurer-Kestner, Louis Blanc, E. Quinet, Gambetta
...) presentarono la proposta di legge n° 651 «allo scopo di concedere
l'amnistia ai condannati o perseguitati per crimini e reati politici commessi
sia a Parigi che nei dipartimenti, da un anno». Lo stesso giorno, la loro
proposta venne presenta in seduta pubblica e Brisson ne chiese l'urgenza, ma
venne respinta (Journal officiel, pagina 3442 e 3443). Dopo diversi mesi, la commissione
parlamentare incaricata di esaminarla ritenne che i 21610 non luoghi a
procedere e le 203 assoluzioni erano equivalenti all'amnistia richiesta.
Il 19 dicembre 1871, Edmond
Dehault de Pressensé, membro dell’Assemblea nazionale, e molti dei suoi colleghi
presentarono una proposta di legge, la n° 730, riguardante l’amnistia «per
le persone perseguite o condannate a seguito dell'insurrezione
del 18 marzo 1871, che non hanno superato il grado di sottufficiale e che
non sono accusati di alcun crimine di diritto comune o di alcun fatto
determinato nella suddetta insurrezione». Si rivolgeva principalmente alle
guardie nazionali e richiese la loro liberazione. Mercoledì 31 gennaio 1872,
Louis Jacques La Caze, membro dell’Assemblea nazionale, a nome dell'8ª
commissione di iniziativa parlamentare, presentò una relazione riassuntiva, la
n° 868, che concludeva con la presa in considerazione della proposta di legge (Journal officiel, 1 febbraio 1872, pagina
721).
Il 16 luglio 1872, il deputato
Dupayre, relatore, presentò all'Ufficio di presidenza dell'Assemblea nazionale
un rapporto, il n° 1318 sulla proposta di de Pressensé e di alcuni suoi
colleghi (quella del 19 dicembre 1871) sulle misure da prendere nei confronti
di varie categorie di persone perseguite o condannate a seguito della rivolta
del 18 marzo, e sulla proposta di amnistia presentata da Henri Brisson e 47
dei suoi colleghi, una proposta convertita dai suoi autori (quella del 13
settembre 1871) come emendamento alla proposta dell'onorevole de Pressensé. La
commissione concluse che entrambe le proposte dovevano essere respinte. In
seguito alla richiesta di una dichiarazione di urgenza presentata da Louis
Blanc, iniziò un dibattito in seduta pubblica sulla questione se il momento
della clemenza fosse arrivato. Adolphe
Thiers, Presidente della Repubblica, rispose: "Quando la giustizia
ha svolto il suo lavoro, ed è quasi completato, solo quel giorno è da prendere
in considerazione la richiesta sollevata ... ma quel giorno non è ancora arrivato,
la giustizia non ha ancora finito". La richiesta di dichiarazione
d'urgenza di Louis Blanc è respinta (Journal
Officiel, 17 luglio 1872, pagina 4867).
Nell'aprile 1873, le elezioni
complementari all'Assemblea nazionale rappresentarono un'opportunità per Parigi
di un acceso faccia a faccia tra repubblicani partigiani ed avversari
dell'amnistia. Désiré Barodet, il candidato dei radicali e che fece
dell'amnistia il suo programma elettorale, sconfisse Charles de Rémusat, il
candidato di Thiers.
Rémusat aveva ottenuto il sostegno di grandi personaggi del partito
repubblicano, Carnot, Grévy, Littré, Arago, che furono commossi dalle
dichiarazioni di Barodet in favore dell'amnistia. Eletto Barodet, Thiers
venne rovesciato, accusato, di non essere stato in grado di costruire un
sufficiente baluardo contro la minaccia sociale. La caduta di Thiers
fu dovuta anche al riavvicinamento strategico tra monarchici e repubblicani
moderati provocati dall'elezione di Barodet. L'elezione di Barodet mise in
evidenza la questione dell'amnistia, che riaccese le paure e fratture sociali e
strumentalizzò il dibattito politico, i sostenitori dell'amnistia avevano
difficoltà a far sentire la loro voce.
Il 20 maggio 1874, un altro
rapporto, il n. 2392 venne presentato dal deputato Emile Carron, sulla proposta
di de Pressensé e sei dei suoi colleghi, «sulle misure da prendere nei
confronti di varie categorie individui perseguitati o condannati in seguito
all'insurrezione
del 18 marzo». L'Assemblea nazionale non si pronunciò su questa
proposta.
Il 20 dicembre 1875, il
deputato dell’estrema sinistra Alfred Naquet e quattro co-firmatari proposero
una richiesta di amnistia per gli «autori di tutti i reati politici e reati
commessi a partire dal 4 settembre 1870». Lo stesso giorno, presentò la sua
proposta nella seduta pubblica e ne chiese l'urgenza. Dopo un vivace dibattito,
la proposta fu respinta per alzata di mano da parte dell'Assemblea Nazionale (Journal officiel del 21 dicembre 1875, da
pagina 10605 a pagina 10609).
I sostenitori dell’amnistia ai
Comunardi
non riuscivano a far sentire la loro voce. Poterono farlo solo nel 1876, dopo
l'elezione della Camera dei Deputati, avvenuta l'8 marzo, che portò
nell'emiciclo del Castello di Versailles
una prima maggioranza repubblicana.
Durante la campagna elettorale
del 1876, molti candidati repubblicani fecero dell'amnistia, formulata come una
politica dell'oblio, uno dei punti salienti del loro programma, e così il 21
marzo 1876, venne depositato un disegno di legge dal senatore Victor
Hugo. Successivamente i deputati Raspail, Clemenceau,
Naquet, Floquet e Lockroy riproposero nuovamente l’amnistia, nel primo grande
dibattito parlamentare della nuova Camera, con cinque proposte. La Camera dei
Deputati discusse per 4 giorni, dal 16 al 19 maggio 1876, e il dibattito mostrò
ancora posizioni molto marcate. Sempre le stesse. L'amnistia venne richiesta in
nome dell'umanità, della realtà della miseria sociale e del patriottismo del
popolo parigino, degli eccessi della repressione e del disagio dei deportati, dalla
necessità economica per mancanza di manodopera. Gli venne contrapposta la paura
di una “minaccia politica e sociale, perché la repressione era giusta e
misurata per l'orrore dei crimini della Comune, perché era stata fatta secondo
le regole della legge e perché è stata seguita da una vera politica di generoso
ringraziamento”. Il rifiuto prevalse e le proposte vennero respinte con una
larga maggioranza (377 votanti contro, 99 a favore). Le proposte, comunque
erano state sostenuti dal Presidente del Consiglio comunale di Parigi Georges
Clemenceau.
Il 16 maggio 1877 segnò la
sconfitta definitiva dei monarchici e la rinascita di una vera campagna per
l'amnistia. Vennero creati due comitati concorrenti, un comitato di Hugo-Blanc
e un comitato di «iniziativa per l'amnistia» più a sinistra. Candidature di
operai, spesso qualificate come candidature per l'amnistia, vennero proposte
nelle varie elezioni. Non fu raro che proscritti o deportati venissero
presentati per il voto popolare. L’estrema sinistra, i socialisti e gli
anarchici si rimisero insieme nella memoria della Comune. L'attività del
comitato continuò fino a quando non furono approvate le due leggi
sull'amnistia.
Nel 1879, mentre le Camere,
che risiedevano a Versailles
dal 1871, ritornavano a Parigi, mentre veniva istituita la festa nazionale del
14 luglio ed acquisita la Marsigliese come
inno nazionale, venne promulgata la prima legge, precisamente il 3 marzo 1879.
Il ministro della Giustizia Le Royer, fece approvare un "perdono"
parziale invece dell’amnistia grazie ai 345 voti a favore contro i 104
sfavorevoli. Si trattò di una "concessione di amnistia" concessa a «condannati
per atti relativi ad insurrezioni del 1871 ... che erano o saranno rilasciati o
che sono stati e saranno perdonati dal Presidente della Repubblica entro tre
mesi dopo la promulgazione di questa legge». È stata quindi un’amnistia molto
parziale in quanto riguardava solo le persone già graziate o che ottennero la
grazia presidenziale di tre mesi. Possiamo dire che venne inventata una «grazia
amnistiante», una nuova categoria giuridica in una democrazia che
tradizionalmente aveva reso l'amnistia una prerogativa parlamentare. I
parlamentari si auto-mutilarono mettendo la decisione finale nelle mani dei
membri dell'esecutivo. Questa legge lasciò fuori dal beneficio dell'amnistia un
migliaio di persone ancora in esilio o deportati.
Venne quindi integrata da una
seconda legge datata 11 luglio 1880. Questa seconda legge non era ancora
un'amnistia generale, comunque, segno che era necessario che la questione
rimanesse sensibile e che dovesse passare attraverso dispositivi legali per
portare la clemenza ai fatti. La legge prevedeva solo un’ulteriore grazia
amnistiante e un tempo molto breve per l’attuazione del decreto. Il governo si
era preparato per questa eventualità e l'elenco delle persone da graziare era
pronto, i decreti furono pubblicati ancora prima della promulgazione della
legge. In quel momento le rappresentanze nazionali non volevano sentir parlare
di un'amnistia generale. La legge fu quindi solo l'ampliamento della
precedente, rifiutando nuovamente l'amnistia agli individui "condannati
per giudizio contraddittorio alla pena di morte e ai lavori forzati per crimini
di incendio o assassinio". In pratica, queste restrizioni non ebbero
alcun effetto poiché nessuno era toccato dalle restrizioni impostate, il
governo aveva cercato di soddisfare l'ultima delle condizioni stabilite dalla
legge: "Questa eccezione, tuttavia, non sarà applicabile ai detenuti
[...] che sono state condannati prima della data del 9 luglio 1880 alla
deportazione, detenzione o esilio”. Quest’amnistia venne imposta ad un
Parlamento riluttante da un governo che a sua volta non era motivato, ed è
stata possibile solo con il gesto spettacolare di Gambetta,
presidente della Camera dei Deputati, l'uomo che fece e sconfisse i governi,
colui che ha guidato i repubblicani al loro trionfo elettorale e il cui lavoro
principale ha permesso di superare il principio monarchico. Gambetta
capì che per rendere stabile la Repubblica doveva unire i repubblicani, ed era
necessario silenziare ciò che separava per fondare la Repubblica delle grandi
libertà, della libertà di opinione, della libertà di pensiero, della libertà di
stampa. Le elezioni senatorie e presidenziali del 1879 gli hanno sicuramente
dato fiducia, e quell’anno capì che solo l'amnistia avrebbe permesso di fondare
la Repubblica. Il 16 giugno, convocò -aveva l'autorità per farlo- un incontro
importante al ministero degli Esteri che riunì i principali membri del governo.
In quell’incontro lui stesso spiegò in che stato d'animo era: "Siamo in
disordine; questo gabinetto non conosce né ciò che vuole né ciò che non
vuole; altre volte è pronto a chiedere imperativamente l'amnistia al
capo dello Stato; a volte si dichiara impotente e inadatto a imporre una
politica chiara e forte al Presidente o al Senato. Mi sono preso cura di
regolare tutti questi testamenti vacillanti e fatiscenti; fuori,
l'opinione pubblica è commossa e amareggiata; la Camera è turbata; è
tempo di finire o stiamo andando verso un disastro ... Farò un tentativo
supremo di riunirli alla misura immediata dell'amnistia. Se resistono,
mi verranno imposte le risoluzioni più serie; se acconsentono, anche
solo a parole, possiamo considerare il futuro come sicuro".
Victor Hugo |
Il Primo ministro Charles de
Freycinet che era molto riluttante a proposito dell'amnistia plenaria,
un'amnistia che aveva respinto a febbraio si inchinò, convinto dagli argomenti
di Gambetta,
ma rimane nella riserva. Con pochissima convinzione difese il disegno di legge
in Parlamento. Il dibattito rimase vivo fino al voto della seconda legge dal
momento in cui Gambetta
si sentì obbligato, durante la seduta del 21 giugno 1880, di abbandonare un
istante la sua posizione di presidente per spiegare che era venuto il momento
della riappacificazione.
Questa decisione fu coerente
con la logica repubblicana e può essere considerata una delle più grandi
decisioni della Repubblica francese del tardo 19°
secolo. L'amnistia è un gesto simbolico di riconciliazione sociale o, per
essere più precisi, di riconciliazione civile. Si trattò di decretare l'oblio
del passato per ricostituire l'unità perduta. I condannati furono reintegrati
nella società con i diritti civili di cui vennero privati, e la società li ha
protetti da una memoria dei fatti che avrebbe potuto mettere a repentaglio il
loro reinserimento sociale o minare le vite delle loro famiglie. Ricostituire
un'unità persa, questo fu il progetto. Gambetta,
nel suo discorso del 21 giugno 1880, spiegò che bisognava dimenticare "Quando
ci libereremo di questo cencio di guerra civile? ... Dobbiamo chiudere il libro
di questi ultimi dieci anni, e mettere una pietra tombale sull’oblio dei
crimini e dei resti della Comune, perché c'è solo una Francia e una Repubblica".
L’11 luglio 1880, il progetto
di legge del governo per la piena amnistia fu votato ottenendo 312 voti
favorevoli contro 136; gli esuli e i deportati poterono così tornare in
Francia.
L'amnistia consentì uguali
diritti agli ex detenuti e fece capire che la repressione alla Comune fu fatta
da uomini che non erano molto repubblicani. Soprattutto, è stata una grande
repressione politica, a prescindere dai giudizi delle corti e dai commenti
della stampa di destra; la Comune non è stata quella grande operazione di
rapina che i giudici avevano descritto, ma fu una rivoluzione politica.
Victor
Hugo e l’amnistia della Comune
Alla riunione del 22 maggio
1876, il duca d’Audiffret-Pasquier, presidente del Senato, diede la parola al
più illustre dei suoi colleghi, Victor
Hugo, per presentare la sua "sanatoria" di amnistia.
In quel momento, Victor
Hugo sapeva che la settimana prima, per 4 giorni - dal 16 al 19 maggio - la
Camera dei Deputati, principalmente repubblicana, aveva ampiamente respinto le
5 proposte di amnistia presentate da diversi autori. Conosceva anche la
relazione del senatore Auguste Paris sulla sua proposta, che terminava con una
richiesta di rigetto del suo testo.
Nel tentativo di convincere i
suoi colleghi e ancor più a fissare una data nella storia, Victor
Hugo preparò con cura il suo intervento, correggendolo fino all'ultimo
momento.
Qui di seguito proponiamo il
manoscritto. È uno dei tesori della Biblioteca del Senato che lo ha voluto
digitalizzare in modo che fosse accessibile a tutti.
Il documento è composto dal
testo del disegno di legge e da quello dell'intervento di Victor
Hugo. Quest'ultimo è stato scritto da un’altra persona, ma le numerose
correzioni, aggiunte e modifiche sono state apportate dallo stesso Victor
Hugo.
Nonostante la sua eloquenza, Victor
Hugo convince solo 10 dei suoi colleghi (i co-firmatari - tra cui Victor
Schoelcher e Auguste Scheurer-Kestner, Pomel (di Oran) e Lelièvre (di Algeri)).
Gli altri senatori votarono contro l'adozione della proposta.