giovedì 29 novembre 2018

02-09 - L’amnistia ai Comunardi

L’AMNISTIA AI COMUNARDI


La Comune fu un grande momento di confronto ideologico e sociale. La repressione che l’ha archiviata è stata all'apice delle paure che la Rivoluzione ha suscitato nelle classi dominanti. Preoccupazioni che sconfinarono nell'odio. Ci furono diverse decine di migliaia di morti nelle strade di Parigi, causati dai proiettili dei fucili di Versailles, più di 43.000 arresti, quasi 50.000 decisioni giudiziarie, oltre 80 condanne a morte, migliaia di condanne di espulsione in Nuova Caledonia, quasi 10.000 proscritti. I giudici erano convinti di avere una missione da compiere, che erano lì per sradicare il male dalla società, per dare l'esempio per il futuro, il tutto sulla base di ideali religiosi.
Per loro si trattò prima di tutto di un'espiazione, di una purificazione, di una lustrazione con una vocazione redentiva. Si trattò anche di rimuovere la minaccia socialista, mettere a tacere il popolo e imporre un modello politico e sociale paternalistico e quantomeno gerarchico, in ogni caso molto lontano dalla democrazia, e quindi dalla Repubblica nel cui nome quella repressione venne formalmente condotta. Thiers lo spiegò in modo inequivocabile all'Assemblea nazionale, il 22 maggio, all'inizio della Settimana sanguinate: "Siamo gente onesta; è attraverso i canali regolari che la giustizia sarà fatta. Le sole leggi interverranno, ma saranno eseguite in tutto il loro rigore ... l'espiazione sarà completa, ma sarà, lo ripeto, l'espiazione che le persone oneste devono infliggere quando la giustizia lo richiede, espiazione in nome della legge e per legge".
La Comune è stata repressa con lo spargimento di sangue, con la brutalità della repressione sommaria, con le fosse comuni e i tribunali che vomitavano la loro giustizia, il campo di Satory e l'Orangerie del Castello di Versailles, i pontili e l'inizio delle deportazioni suscitarono un'emozione pubblica per una prima campagna di amnistia. Iniziò con una preghiera, quella di veder cessare la violenza, una preghiera contemporanea degli eventi, portata dai versi scritti da Victor Hugo ne «L’Année terrible»: "Combattenti! Combattenti! Cosa volete? Cosa! Da una parte la Francia e dall'altra la Francia!” Fermatevi! È il dolore che viene fuori dal vostro successo”.
Quello fu un appello urgente per la riconciliazione nazionale. Questa prima campagna di amnistia venne guidata da uomini che erano solo moderatamente comunardi. Lo stesso Victor Hugo aveva sempre detto della Comune che era una "cosa buona fatta male", che era "per la Comune in linea di principio, e contro la Comune nei fatti”.
Quando si realizzò l'ondata di brutalità della Settimana sanguinate, mentre si trovava a Bruxelles per affari di famiglia, aprì la porta agli esuli che il governo belga considerava indesiderabili. Si mise alla testa di un movimento di protesta che prese forma di una Commissione di soccorso per i detenuti guidata dal repubblicano ex quarantottino Louis Greppo e dentro la quale trovò il socialista Louis Blanc. Queste prese di posizione segnarono la solidarietà dell'ex proscritto per le vittime delle nuove repressioni. Da lì, Victor Hugo renderà l'amnistia dei Comunardi la sua ultima grande lotta politica, l’unico punto del suo programma elettorale quando venne eletto al Senato nel 1876. Mentre si dimetteva l'8 marzo 1871 dall'Assemblea di Bordeaux per protestare contro la cancellazione dell'elezione di Garibaldi, accettò di essere candidato di nuovo alle elezioni suppletive a Parigi, a condizione che venisse collocata l’amnistia in testa al programma. Per lui si trattò innanzitutto di fraternità, cioè di umanità. Si trattò di ammorbidire la sorte dei detenuti la cui richiesta era legittima. Ma riguardava anche la politica, per fondare la Repubblica sui suoi veri principi: libertà di espressione, uguaglianza, giustizia.
Léon Gambetta
Per Gambetta, la Comune fu un cattivo esempio. Non era ammissibile né nella sostanza né nella forma. L'amnistia dei Comunardi era impossibile e bisognava insistere sul fatto che era impossibile: la rivoluzione parigina del 1871 era diventata il simbolo dei repubblicani erranti, una rinnovata eco del “terrore”, un'eco che la destra monarchica e i repubblicani moderati usano per farsi sentire. Gli scontri della Rivoluzione venivano intelligentemente riattivati, logicamente riattivati, in quel momento delicato, come lo furono per tutto il 19° secolo.
Non tutti i repubblicani erano sulla linea Gambetta. C’erano, a destra, quelli per i quali la difesa dell'ordine sociale non era lontano dal far prevalere la difesa dell'ideale politico. Vedevano, come i monarchici, la Comune come una grande operazione di rapina. Non si trattava di offrire clemenza agli uomini che avevano messo in discussione l'ordine sociale ma che avevano attaccato la proprietà. C’erano a sinistra, quelli che al contrario pensavano che era necessario essere più "radicali", sia nella forma che nella sostanza, che la democrazia politica doveva essere accompagnata da profonde riforme sociali per la costruzione di una Repubblica che avesse un senso civico, che fosse un modello di tolleranza per la democrazia. La sinistra francese, la sinistra repubblicana, era divisa e questa divisione compromise la causa dell'amnistia, un argomento che viveva in tutti i loro dibattiti tra il 1871 e il 1879 dove si discussero le varie proposte di amnistie parziali presentate all'Assemblea nazionale. È stata una battaglia continua, che ha mobilitato folle di militanti. Ad ogni elezione, i repubblicani candidavano dei Comunardi. Una battaglia condotta anche da uomini di grande autorità morale.
Gli oppositori all’amnistia (monarchici, bonapartisti, o i repubblicani estremamente moderati che sognavano di essere loro alleati) si opposero all’amnistia in nome della giustizia necessaria che doveva fare il suo corso fino in fondo, della punizione esemplare, in ossequio alla giustizia militare che “aveva operato con tanta intelligenza e cuore”, in nome del rifiuto di amnistiare le condanne in contumacia (perché non avevano pagato) o i “detenuti comuni”. Ora quasi tutti i Comunardi erano dei “detenuti comuni”.
Il mercoledì 13 settembre 1871, l’avvocato e giornalista Henri Brisson e 47 co-firmatari (Schoelcher, Scheurer-Kestner, Louis Blanc, E. Quinet, Gambetta ...) presentarono la proposta di legge n° 651 «allo scopo di concedere l'amnistia ai condannati o perseguitati per crimini e reati politici commessi sia a Parigi che nei dipartimenti, da un anno». Lo stesso giorno, la loro proposta venne presenta in seduta pubblica e Brisson ne chiese l'urgenza, ma venne respinta (Journal officiel, pagina 3442 e 3443). Dopo diversi mesi, la commissione parlamentare incaricata di esaminarla ritenne che i 21610 non luoghi a procedere e le 203 assoluzioni erano equivalenti all'amnistia richiesta.
Il 19 dicembre 1871, Edmond Dehault de Pressensé, membro dell’Assemblea nazionale, e molti dei suoi colleghi presentarono una proposta di legge, la n° 730, riguardante l’amnistia «per le persone perseguite o condannate a seguito dell'insurrezione del 18 marzo 1871, che non hanno superato il grado di sottufficiale e che non sono accusati di alcun crimine di diritto comune o di alcun fatto determinato nella suddetta insurrezione». Si rivolgeva principalmente alle guardie nazionali e richiese la loro liberazione. Mercoledì 31 gennaio 1872, Louis Jacques La Caze, membro dell’Assemblea nazionale, a nome dell'8ª commissione di iniziativa parlamentare, presentò una relazione riassuntiva, la n° 868, che concludeva con la presa in considerazione della proposta di legge (Journal officiel, 1 febbraio 1872, pagina 721).
Il 16 luglio 1872, il deputato Dupayre, relatore, presentò all'Ufficio di presidenza dell'Assemblea nazionale un rapporto, il n° 1318 sulla proposta di de Pressensé e di alcuni suoi colleghi (quella del 19 dicembre 1871) sulle misure da prendere nei confronti di varie categorie di persone perseguite o condannate a seguito della rivolta del 18 marzo, e sulla proposta di amnistia presentata da Henri Brisson e 47 dei suoi colleghi, una proposta convertita dai suoi autori (quella del 13 settembre 1871) come emendamento alla proposta dell'onorevole de Pressensé. La commissione concluse che entrambe le proposte dovevano essere respinte. In seguito alla richiesta di una dichiarazione di urgenza presentata da Louis Blanc, iniziò un dibattito in seduta pubblica sulla questione se il momento della clemenza fosse arrivato. Adolphe Thiers, Presidente della Repubblica, rispose: "Quando la giustizia ha svolto il suo lavoro, ed è quasi completato, solo quel giorno è da prendere in considerazione la richiesta sollevata ... ma quel giorno non è ancora arrivato, la giustizia non ha ancora finito". La richiesta di dichiarazione d'urgenza di Louis Blanc è respinta (Journal Officiel, 17 luglio 1872, pagina 4867).
Nell'aprile 1873, le elezioni complementari all'Assemblea nazionale rappresentarono un'opportunità per Parigi di un acceso faccia a faccia tra repubblicani partigiani ed avversari dell'amnistia. Désiré Barodet, il candidato dei radicali e che fece dell'amnistia il suo programma elettorale, sconfisse Charles de Rémusat, il candidato di Thiers. Rémusat aveva ottenuto il sostegno di grandi personaggi del partito repubblicano, Carnot, Grévy, Littré, Arago, che furono commossi dalle dichiarazioni di Barodet in favore dell'amnistia. Eletto Barodet, Thiers venne rovesciato, accusato, di non essere stato in grado di costruire un sufficiente baluardo contro la minaccia sociale. La caduta di Thiers fu dovuta anche al riavvicinamento strategico tra monarchici e repubblicani moderati provocati dall'elezione di Barodet. L'elezione di Barodet mise in evidenza la questione dell'amnistia, che riaccese le paure e fratture sociali e strumentalizzò il dibattito politico, i sostenitori dell'amnistia avevano difficoltà a far sentire la loro voce.
Il 20 maggio 1874, un altro rapporto, il n. 2392 venne presentato dal deputato Emile Carron, sulla proposta di de Pressensé e sei dei suoi colleghi, «sulle misure da prendere nei confronti di varie categorie individui perseguitati o condannati in seguito all'insurrezione del 18 marzo». L'Assemblea nazionale non si pronunciò su questa proposta.
Il 20 dicembre 1875, il deputato dell’estrema sinistra Alfred Naquet e quattro co-firmatari proposero una richiesta di amnistia per gli «autori di tutti i reati politici e reati commessi a partire dal 4 settembre 1870». Lo stesso giorno, presentò la sua proposta nella seduta pubblica e ne chiese l'urgenza. Dopo un vivace dibattito, la proposta fu respinta per alzata di mano da parte dell'Assemblea Nazionale (Journal officiel del 21 dicembre 1875, da pagina 10605 a pagina 10609).
I sostenitori dell’amnistia ai Comunardi non riuscivano a far sentire la loro voce. Poterono farlo solo nel 1876, dopo l'elezione della Camera dei Deputati, avvenuta l'8 marzo, che portò nell'emiciclo del Castello di Versailles una prima maggioranza repubblicana.
Durante la campagna elettorale del 1876, molti candidati repubblicani fecero dell'amnistia, formulata come una politica dell'oblio, uno dei punti salienti del loro programma, e così il 21 marzo 1876, venne depositato un disegno di legge dal senatore Victor Hugo. Successivamente i deputati Raspail, Clemenceau, Naquet, Floquet e Lockroy riproposero nuovamente l’amnistia, nel primo grande dibattito parlamentare della nuova Camera, con cinque proposte. La Camera dei Deputati discusse per 4 giorni, dal 16 al 19 maggio 1876, e il dibattito mostrò ancora posizioni molto marcate. Sempre le stesse. L'amnistia venne richiesta in nome dell'umanità, della realtà della miseria sociale e del patriottismo del popolo parigino, degli eccessi della repressione e del disagio dei deportati, dalla necessità economica per mancanza di manodopera. Gli venne contrapposta la paura di una “minaccia politica e sociale, perché la repressione era giusta e misurata per l'orrore dei crimini della Comune, perché era stata fatta secondo le regole della legge e perché è stata seguita da una vera politica di generoso ringraziamento”. Il rifiuto prevalse e le proposte vennero respinte con una larga maggioranza (377 votanti contro, 99 a favore). Le proposte, comunque erano state sostenuti dal Presidente del Consiglio comunale di Parigi Georges Clemenceau.
Il 16 maggio 1877 segnò la sconfitta definitiva dei monarchici e la rinascita di una vera campagna per l'amnistia. Vennero creati due comitati concorrenti, un comitato di Hugo-Blanc e un comitato di «iniziativa per l'amnistia» più a sinistra. Candidature di operai, spesso qualificate come candidature per l'amnistia, vennero proposte nelle varie elezioni. Non fu raro che proscritti o deportati venissero presentati per il voto popolare. L’estrema sinistra, i socialisti e gli anarchici si rimisero insieme nella memoria della Comune. L'attività del comitato continuò fino a quando non furono approvate le due leggi sull'amnistia.
Nel 1879, mentre le Camere, che risiedevano a Versailles dal 1871, ritornavano a Parigi, mentre veniva istituita la festa nazionale del 14 luglio ed acquisita la Marsigliese come inno nazionale, venne promulgata la prima legge, precisamente il 3 marzo 1879. Il ministro della Giustizia Le Royer, fece approvare un "perdono" parziale invece dell’amnistia grazie ai 345 voti a favore contro i 104 sfavorevoli. Si trattò di una "concessione di amnistia" concessa a «condannati per atti relativi ad insurrezioni del 1871 ... che erano o saranno rilasciati o che sono stati e saranno perdonati dal Presidente della Repubblica entro tre mesi dopo la promulgazione di questa legge». È stata quindi un’amnistia molto parziale in quanto riguardava solo le persone già graziate o che ottennero la grazia presidenziale di tre mesi. Possiamo dire che venne inventata una «grazia amnistiante», una nuova categoria giuridica in una democrazia che tradizionalmente aveva reso l'amnistia una prerogativa parlamentare. I parlamentari si auto-mutilarono mettendo la decisione finale nelle mani dei membri dell'esecutivo. Questa legge lasciò fuori dal beneficio dell'amnistia un migliaio di persone ancora in esilio o deportati.
Venne quindi integrata da una seconda legge datata 11 luglio 1880. Questa seconda legge non era ancora un'amnistia generale, comunque, segno che era necessario che la questione rimanesse sensibile e che dovesse passare attraverso dispositivi legali per portare la clemenza ai fatti. La legge prevedeva solo un’ulteriore grazia amnistiante e un tempo molto breve per l’attuazione del decreto. Il governo si era preparato per questa eventualità e l'elenco delle persone da graziare era pronto, i decreti furono pubblicati ancora prima della promulgazione della legge. In quel momento le rappresentanze nazionali non volevano sentir parlare di un'amnistia generale. La legge fu quindi solo l'ampliamento della precedente, rifiutando nuovamente l'amnistia agli individui "condannati per giudizio contraddittorio alla pena di morte e ai lavori forzati per crimini di incendio o assassinio". In pratica, queste restrizioni non ebbero alcun effetto poiché nessuno era toccato dalle restrizioni impostate, il governo aveva cercato di soddisfare l'ultima delle condizioni stabilite dalla legge: "Questa eccezione, tuttavia, non sarà applicabile ai detenuti [...] che sono state condannati prima della data del 9 luglio 1880 alla deportazione, detenzione o esilio”. Quest’amnistia venne imposta ad un Parlamento riluttante da un governo che a sua volta non era motivato, ed è stata possibile solo con il gesto spettacolare di Gambetta, presidente della Camera dei Deputati, l'uomo che fece e sconfisse i governi, colui che ha guidato i repubblicani al loro trionfo elettorale e il cui lavoro principale ha permesso di superare il principio monarchico. Gambetta capì che per rendere stabile la Repubblica doveva unire i repubblicani, ed era necessario silenziare ciò che separava per fondare la Repubblica delle grandi libertà, della libertà di opinione, della libertà di pensiero, della libertà di stampa. Le elezioni senatorie e presidenziali del 1879 gli hanno sicuramente dato fiducia, e quell’anno capì che solo l'amnistia avrebbe permesso di fondare la Repubblica. Il 16 giugno, convocò -aveva l'autorità per farlo- un incontro importante al ministero degli Esteri che riunì i principali membri del governo. In quell’incontro lui stesso spiegò in che stato d'animo era: "Siamo in disordine; questo gabinetto non conosce né ciò che vuole né ciò che non vuole; altre volte è pronto a chiedere imperativamente l'amnistia al capo dello Stato; a volte si dichiara impotente e inadatto a imporre una politica chiara e forte al Presidente o al Senato. Mi sono preso cura di regolare tutti questi testamenti vacillanti e fatiscenti; fuori, l'opinione pubblica è commossa e amareggiata; la Camera è turbata; è tempo di finire o stiamo andando verso un disastro ... Farò un tentativo supremo di riunirli alla misura immediata dell'amnistia. Se resistono, mi verranno imposte le risoluzioni più serie; se acconsentono, anche solo a parole, possiamo considerare il futuro come sicuro".
Victor Hugo
Il Primo ministro Charles de Freycinet che era molto riluttante a proposito dell'amnistia plenaria, un'amnistia che aveva respinto a febbraio si inchinò, convinto dagli argomenti di Gambetta, ma rimane nella riserva. Con pochissima convinzione difese il disegno di legge in Parlamento. Il dibattito rimase vivo fino al voto della seconda legge dal momento in cui Gambetta si sentì obbligato, durante la seduta del 21 giugno 1880, di abbandonare un istante la sua posizione di presidente per spiegare che era venuto il momento della riappacificazione.
Questa decisione fu coerente con la logica repubblicana e può essere considerata una delle più grandi decisioni della Repubblica francese del tardo 19° secolo. L'amnistia è un gesto simbolico di riconciliazione sociale o, per essere più precisi, di riconciliazione civile. Si trattò di decretare l'oblio del passato per ricostituire l'unità perduta. I condannati furono reintegrati nella società con i diritti civili di cui vennero privati, e la società li ha protetti da una memoria dei fatti che avrebbe potuto mettere a repentaglio il loro reinserimento sociale o minare le vite delle loro famiglie. Ricostituire un'unità persa, questo fu il progetto. Gambetta, nel suo discorso del 21 giugno 1880, spiegò che bisognava dimenticare "Quando ci libereremo di questo cencio di guerra civile? ... Dobbiamo chiudere il libro di questi ultimi dieci anni, e mettere una pietra tombale sull’oblio dei crimini e dei resti della Comune, perché c'è solo una Francia e una Repubblica".
L’11 luglio 1880, il progetto di legge del governo per la piena amnistia fu votato ottenendo 312 voti favorevoli contro 136; gli esuli e i deportati poterono così tornare in Francia.
L'amnistia consentì uguali diritti agli ex detenuti e fece capire che la repressione alla Comune fu fatta da uomini che non erano molto repubblicani. Soprattutto, è stata una grande repressione politica, a prescindere dai giudizi delle corti e dai commenti della stampa di destra; la Comune non è stata quella grande operazione di rapina che i giudici avevano descritto, ma fu una rivoluzione politica.


Victor Hugo e l’amnistia della Comune

Alla riunione del 22 maggio 1876, il duca d’Audiffret-Pasquier, presidente del Senato, diede la parola al più illustre dei suoi colleghi, Victor Hugo, per presentare la sua "sanatoria" di amnistia.
In quel momento, Victor Hugo sapeva che la settimana prima, per 4 giorni - dal 16 al 19 maggio - la Camera dei Deputati, principalmente repubblicana, aveva ampiamente respinto le 5 proposte di amnistia presentate da diversi autori. Conosceva anche la relazione del senatore Auguste Paris sulla sua proposta, che terminava con una richiesta di rigetto del suo testo.
Nel tentativo di convincere i suoi colleghi e ancor più a fissare una data nella storia, Victor Hugo preparò con cura il suo intervento, correggendolo fino all'ultimo momento.
Qui di seguito proponiamo il manoscritto. È uno dei tesori della Biblioteca del Senato che lo ha voluto digitalizzare in modo che fosse accessibile a tutti.
Il documento è composto dal testo del disegno di legge e da quello dell'intervento di Victor Hugo. Quest'ultimo è stato scritto da un’altra persona, ma le numerose correzioni, aggiunte e modifiche sono state apportate dallo stesso Victor Hugo.
Nonostante la sua eloquenza, Victor Hugo convince solo 10 dei suoi colleghi (i co-firmatari - tra cui Victor Schoelcher e Auguste Scheurer-Kestner, Pomel (di Oran) e Lelièvre (di Algeri)). Gli altri senatori votarono contro l'adozione della proposta.