LA
REPRESSIONE
Mentre nei giardini del Luxembourg
e nella prigione
della Roquette si continuava a fucilare, gli scrittori alla moda erano
tutti per la reazione, come Flaubert e Alexandre Dumas figlio, il quale fin da
aprile si augurava «che si stermini una
buona volta le canaglie e gli imbecilli», e in giugno dello stesso anno
questo cantore delle cortigiane aveva espresso la sua ricetta per risolvere le
questioni sociali, scrivendo che «bisogna
che coloro che lavorano facciano lavorare quelli che non lavorano oppure li
sterminino senza pietà», ricevendo le congratulazioni, dalla sua lussuosa
villa di Nohant, della pseudo-progressista George Sand, per la quale i Comunardi
erano «stupidi banditi». Giudizio
condiviso dall'«illustre» critico Paul de Saint-Victor, mentre per lo scrittore
e poeta Théophile Gautier la Comune fu «una
galera e un manicomio», e il drammaturgo Georges Feydeau, sentenziò: «quel che mi occorre e subito, è un buon
bastone, una frusta solida e tagliente, maneggiata da una mano ferma, che
faccia a brandelli, senza respiro e pietà, tutti i furfanti che pretendono,
come i socialisti di ogni colore, di voler fare il bene dell'umanità».
L'eccezione fu Victor
Hugo, che pur senza aver appoggiato esplicitamente la Comune, offrì la sua
casa di Bruxelles ai fuggiaschi, attirandosi l'odio dei reazionari e venendo
espulso dal Belgio.
Se questi sono i commenti degli «intellettuali», quelli dei
giornalisti non furono da meno. Le Figaro scriveva a giugno che «i parigini devono subire le leggi di guerra,
per quanto terribili possano essere. Oggi la clemenza sarebbe demenza», e
poiché «i repubblicani sono belve»,
bisogna finirla «con questo putridume
democratico internazionale». Naturalmente Thiers
e soci non avevano bisogno di consigli: i fucilieri di marina, ascoltati in place
Voltaire il 28
maggio, riferivano di avere «l'ordine
di non fare prigionieri», e questi «erano
ordini tassativi». Thiers
nel '48
espresse il suo più vivo sdegno per il bombardamento di Palermo da parte di
Ferdinando II di Napoli, durante la
Comune aveva come ministro degli esteri un uomo «di sinistra», Jules
Favre al quale disse: “Bisogna sterminarli [i Comunardi]. Bisogna sbattere
sul selciato quei musi mal lavati, in nome della cultura. La nostra civiltà si
basa sulla proprietà: bisogna proteggerla a ogni costo”.
La repressione seguita all'insurrezione di Parigi del 18
marzo fu ben organizzata dal governo di Thiers.
Già durante la Settimana
sanguinante si istituirono commissioni militari che in fretta, identificati
e derubati i prigionieri, li mandarono a morte ovunque ci fosse stato uno
spazio disponibile a contenerli: nelle caserme, nelle prigioni, nei cimiteri,
nelle stazioni, nelle piazze e nei giardini, dove vennero poi «sotterrati sotto un leggero strato di terra,
in trincee e, se c'era tempo, i cadaveri venivano riesumati e caricati su
furgoni». Anche la Senna servì allo scopo: il 28 maggio «si poteva vedere una lunga scia di sangue
che seguiva il filo dell'acqua [...] quella scia di sangue non s'interrompe mai».
Alle Buttes-Chaumont ci sono dei laghetti dove furono gettati 300 cadaveri,
mentre i suoi boschetti, dove furono cremati centinaia di assassinati, «furono coperti per giorni da un fumo denso e
nauseabondo». Persino i pozzi furono riempiti di cadaveri e le trincee
scavate intorno a Parigi durante l'assedio costituirono delle comode fosse
comuni.
A Parigi venne decretato lo stato dell'assedio e la città fu
divisa in quattro settori militari.
Se i soldati della prima linea vennero incaricati di sparare contro i Comunardi,
i soldati della seconda linea furono incaricati di braccare quelli che non si
arresero. Potevano perquisire case, parchi e perfino le catacombe.
I «brassardiers», parigini che
erano partigiani del governo di Versailles muniti di un brassard, bracciale di riconoscimento, che
conoscevano bene il loro quartiere, li aiutavano[1].
Con l’intento di liberare Parigi dalla “marmaglia”, senza sapere e senza
rendersi conto che Parigi era libera e, col senno di poi, che non sarà mai
stata più libera come in quei settantadue giorni, i partigiani versagliesi
fecero molte denunce, quasi 400.000 di cui solo il cinque per cento erano
firmate.
Mentre nei giardini del Luxembourg
e nella prigione
della Roquette si continuava a fucilare, gli scrittori alla moda erano
tutti per la reazione, come Flaubert e Alexandre Dumas figlio, il quale fin da
aprile si augurava «che si stermini una
buona volta le canaglie e gli imbecilli», e in giugno dello stesso anno
questo cantore delle cortigiane aveva espresso la sua ricetta per risolvere le
questioni sociali, scrivendo che «bisogna
che coloro che lavorano facciano lavorare quelli che non lavorano oppure li
sterminino senza pietà», ricevendo le congratulazioni, dalla sua lussuosa
villa di Nohant, della pseudo-progressista George Sand, per la quale i Comunardi
erano «stupidi banditi». Giudizio
condiviso dall'«illustre» critico Paul de Saint-Victor, mentre per lo scrittore
e poeta Théophile Gautier la Comune fu «una
galera e un manicomio», e il drammaturgo Georges Feydeau, sentenziò: «quel che mi occorre e subito, è un buon
bastone, una frusta solida e tagliente, maneggiata da una mano ferma, che
faccia a brandelli, senza respiro e pietà, tutti i furfanti che pretendono,
come i socialisti di ogni colore, di voler fare il bene dell'umanità».
L'eccezione fu Victor
Hugo, che pur senza aver appoggiato esplicitamente la Comune, offrì la sua
casa di Bruxelles ai fuggiaschi, attirandosi l'odio dei reazionari e venendo
espulso dal Belgio.
Se questi sono i commenti degli «intellettuali», quelli dei
giornalisti non furono da meno. Le Figaro scriveva a giugno che «i parigini devono subire le leggi di guerra,
per quanto terribili possano essere. Oggi la clemenza sarebbe demenza», e
poiché «i repubblicani sono belve»,
bisogna finirla «con questo putridume
democratico internazionale». Naturalmente Thiers
e soci non avevano bisogno di consigli: i fucilieri di marina, ascoltati in place
Voltaire il 28
maggio, riferivano di avere «l'ordine
di non fare prigionieri», e questi «erano
ordini tassativi». Thiers
nel '48
espresse il suo più vivo sdegno per il bombardamento di Palermo da parte di
Ferdinando II di Napoli, durante la
Comune aveva come ministro degli esteri un uomo «di sinistra», Jules
Favre al quale disse: “Bisogna sterminarli [i Comunardi]. Bisogna sbattere
sul selciato quei musi mal lavati, in nome della cultura. La nostra civiltà si
basa sulla proprietà: bisogna proteggerla a ogni costo”.
La repressione seguita all'insurrezione di Parigi del 18
marzo fu ben organizzata dal governo di Thiers.
Già durante la Settimana
sanguinante si istituirono commissioni militari che in fretta, identificati
e derubati i prigionieri, li mandarono a morte ovunque ci fosse stato uno
spazio disponibile a contenerli: nelle caserme, nelle prigioni, nei cimiteri,
nelle stazioni, nelle piazze e nei giardini, dove vennero poi «sotterrati sotto un leggero strato di terra,
in trincee e, se c'era tempo, i cadaveri venivano riesumati e caricati su
furgoni». Anche la Senna servì allo scopo: il 28 maggio «si poteva vedere una lunga scia di sangue
che seguiva il filo dell'acqua [...] quella scia di sangue non s'interrompe mai».
Alle Buttes-Chaumont ci sono dei laghetti dove furono gettati 300 cadaveri,
mentre i suoi boschetti, dove furono cremati centinaia di assassinati, «furono coperti per giorni da un fumo denso e
nauseabondo». Persino i pozzi furono riempiti di cadaveri e le trincee
scavate intorno a Parigi durante l'assedio costituirono delle comode fosse
comuni.
A Parigi venne decretato lo stato dell'assedio e la città fu
divisa in quattro settori militari.
Se i soldati della prima linea vennero incaricati di sparare contro i Comunardi,
i soldati della seconda linea furono incaricati di braccare quelli che non si
arresero. Potevano perquisire case, parchi e perfino le catacombe.Cadaveri di comunardi |
Nella prigione
della Roquette in un solo giorno furono uccisi 1.900 federati, in quella di
Mazas
oltre 400 che vennero gettati in un pozzo del cimitero di Bercy. Colonne di
prigionieri e di sospetti furono avviate a Versailles.
Lungo il percorso, il generale
Galliffet li ispezionava. Fatti uscire dalle fila i più anziani, disse
loro: "voi avete visto il giugno
1848, perciò siete ancora più colpevoli degli altri" e li fece
fucilare. Caddero 83 uomini e 12 donne. Nella caserma Lobau le mitragliatrici
uccisero altri 3.000 parigini: i cadaveri furono scaricati nella square
Saint-Jacques, dove una parte venne sommariamente sepolta, un'altra parte
bruciata e il resto prelevato dalle carrette funerarie. Al Père
Lachaise i prigionieri furono condotti a gruppi di centinaia e allineati a
ridosso di una lunga e profonda fossa scavata davanti al muro che aveva visto
cadere gli ultimi difensori della Comune. Le mitragliatrici aprirono il fuoco
e, morti o feriti, i Federati rotolarono nella fossa e vennero ricoperti di
calce viva. Poi, l'esercito di Thiers
«ripulì» la capitale fermando ogni cittadino che aveva l'aspetto di operaio o
che recava sulle mani una traccia di polvere da sparo.
“Mentre gli insorti terrorizzati
errano in un'agonia disperata nel labirinto delle tombe del Père
Lachaise -scrive il corrispondente di un giornale londinese- e dei poveretti sono cacciati nelle strade
per essere abbattuti in massa dai fucili, è cosa rivoltante vedere i caffè
zeppi di fedeli dell'alcol, del biliardo e del domino; vedere la sfrontatezza
femminile farsi largo dai boulevards, e il chiasso delle orge proveniente dai
salotti riservati dei ristoranti di lusso turbare la quiete notturna. La
colonna di prigionieri si fermò nell'avenue Ulrich e fu disposta in quattro o
cinque file, sul marciapiede, col fronte verso la strada. Il generale marchese
di Galliffet e il suo
stato maggiore scesero da cavallo e passarono in rivista la fila a cominciare
da sinistra. Avanzando lentamente ed esaminando le file, il generale si
arrestava qua e là, dando a uno dei prigionieri un colpo sulle spalle o
facendogli segno di uscire dalle ultime file. Nella maggior parte dei casi
l'individuo designato a questo modo veniva senz'altro spinto nel centro della
via, dove si formò così subito una piccola colonna supplementare... Era
evidente che ciò doveva dare luogo a più di un errore. Un ufficiale a cavallo
indicò al generale Galliffet
un uomo e una donna per qualche delitto particolare. La donna, lanciandosi
fuori dalle file, si gettò in ginocchio e con le braccia tese protestò la sua
innocenza in termini appassionati. Il generale aspettò un momento e poi col
viso del tutto impassibile e in atteggiamento del tutto indifferente disse:
"Signora, ho frequentato tutti i teatri di Parigi, la vostra scena non
avrà nessun effetto su di me"... Non era consigliabile, quel giorno, farsi
notare per essere più alto, più sporco, più pulito, più vecchio o più brutto
dei propri vicini. Un individuo particolarmente mi colpì, perché probabilmente
dovette il suo rapido congedo da questa valle di lacrime al fatto di avere il
naso rotto... Scelti così più che
un centinaio di prigionieri, e comandato un plotone di esecuzione, la colonna
riprese la sua marcia, lasciandoli indietro. Pochi minuti dopo, alle nostre
spalle, incominciò un fuoco intermittente, che continuò per più di un quarto d'ora.
Era l'esecuzione di quei disgraziati condannati in modo così sommario"[2].Il Muro dei Federati al Père Lachaise. Targa commemorativa piazzata nel 1908 |
Il Temps, giornale prudente e
non incline alle notizie sensazionali, raccontò una storia spaventosa di
persone non finite dalle fucilate e sepolte ancora vive. "Un gran numero ne furono sotterrate sulla piazza
attorno a St. Jacques-la-Boucherie; e alcuni molto superficialmente. Di giorno,
il rumore delle strade affollate impedì di accorgersi di qualche cosa; ma nella
quiete della notte gli abitanti delle case vicine furono svegliati da gemiti
lontani, e la mattina si vide una mano contratta uscire dalla terra. Si diede
l'ordine, in conseguenza di ciò, di fare delle esumazioni... Non ho il minimo
dubbio che molti dei feriti siano stati sepolti vivi. Di un fatto posso fare
testimonianza. Quando Brunel
venne fucilato con la sua amante il 24
maggio scorso, nel cortile di una casa di place
Vendome, i corpi restarono sul posto fino a
mezzogiorno del 27.
Quando i becchini vennero a rimuovere le salme trovarono che la donna era
ancora in vita e la portarono a un'ambulanza. Benché avesse ricevuto quattro
pallottole è ora fuori pericolo"[3].
Il foglio
conservatore francese «Le Figaro» si
compiacque invece della soluzione finale: “I nostri
soldati –scrisse-
hanno semplificato il compito delle corti marziali,
fucilando la gente sul posto“.
Nella Gare de l'Est, nello Châtelet e nel Luxembourg,
i tribunali improvvisati furono istituiti per dare una parvenza di legittimità
alle esecuzioni sommarie. I plotoni di esecuzione lavoravano con il sistema
delle "infornate", nel giardino Montholon, al parco Monceau,
alll'École militaire, al cimitero di Montparnasse e in particolare alla caserma
di Lobau. Nel 1897, nel quartiere di Charonne, è stata scoperta una fossa
comune, un carnaio di 800 Comunardi.
Per risparmiare tempo, furono usate le mitragliatrici.
Non esiste un calcolo preciso delle vittime della repressione. Nel 1876,
il giornalista socialista e storico Prosper-Olivier
Lissagaray, ex Comunardo,
riferì che il consiglio comunale della città di Parigi pagò l’inumazione di
17.000 cadaveri, tenendo conto degli uccisi/e fuori Parigi, ha stimato a 20.000
il numero dei fucilati della Settimana
sanguinante, non contando i 3.000 Federate/i uccise/i o ferite/i in
combattimento. Nel 1880, il giornalista e politico Camille Pelletan, membro del
Partito Radical-Socialista, ha stimato a 30.000 il numero delle vittime, per lo
storico Georges Bourgin furono 25.000, per il socialista e storico Alexandre
Zévaès furono 35.000. Per lo storico conservatore Jacques Rougerie,
specializzato nella storia della Comune di Parigi, probabilmente 3.000-4.000
Federate/i morirono in battaglia, il numero totale di vittime della Settimana
sanguinante non può essere conosciuto con precisione, secondo lui è di "almeno
10.000, probabilmente 20.000, Forse più".Andre Disderi - Comunardi uccisi nel 1871 nelle loro bare |
Fu il massacro più sanguinoso
della storia della Francia: la strage della notte di San Bartolomeo[4]
fece alcune migliaia di vittime, durante tutta la Rivoluzione francese, tra il
1789 e il 1799, furono giustiziate a Parigi circa 4.000 persone e in tutta la
Francia non più di 12.000. “Ventimila uomini, donne e ragazzi
uccisi durante la battaglia e dopo la resistenza a Parigi e in provincia;
almeno tremila morti nelle carceri preventive, sui galleggianti, in fortezza,
in prigione, nella Nuova
Caledonia, in esilio o a seguito di malattie contratte in prigionia;
tredicimilasettecento condannati a pene durate per molti di essi nove anni;
settantamila donne, ragazzi, vecchi privati dei loro sostegni o buttati fuori
dalla Francia; centosettemila vittime circa: ecco il bilancio della vendetta
che si prese l'alta borghesia contro la rivoluzione di due mesi del 18
marzo (Prosper
Olivier Lissagaray - La
storia della Comune di Parigi del 1871)”.
Il timore di epidemie, la stanchezza dei soldati, il rischio di
disgustare anche l'opinione pubblica favorevole alla repressione e la necessità
di darle una parvenza di legittimità convinsero infine il governo ad arrestare
il massacro indiscriminato dei prigionieri. Per evitare epidemie, i defunti
furono smistati in parte a Versailles,
in parte su grandi zattere galleggianti, in parte sulle isole atlantiche: 1.709
Comunardi
morirono durante la detenzione.
I principali generali dell’esercito di Versailles
responsabili delle uccisioni furono Ernest Courtot de Cissey, Joseph
Vinoy e Gaston
de Galliffet, che furono “coperti" da Adolphe
Thiers e Patrice
de Mac-Mahon.
I prigionieri, che ammontavano a 38.578, di cui 1.054 donne e 615
minorenni, furono avviati a Versailles
e ammassati nell'Orangerie
del castello, nelle cantine delle scuderie, nel campo militare di Satory e
nei maneggi di Saint-Cyr. Durante il loro trasporto ci furono delle esecuzioni:
il 31 maggio, il giornalista corrispondente del Times, disse che davanti
a lui, il generale
de Galliffet, ha abbattuto 83 uomini e 12 donne. Numerose testimonianze
raccontano che durante il trasporto i detenuti furono insultati e picchiati
dagli abitanti di Versailles,
senza che i soldati di scorta intervenissero.
Il rapporto ufficiale, riferito dal generale Appert all'Assemblea
Nazionale nel 1875, riferiva di 43.522 arresti, di cui 819 donne e 538 bambini,
tra i quali circa 7.700 erano stati arrestati per errore. Nel campo di Satory,
il calvario continuò: nessuna igiene, poca cura per i feriti, ciò causò lo
sviluppo di epidemie. 300 prigionieri vennero abbattuti per un tentativo di
fuga durante la notte del 27-28 maggio.
I prigionieri Federati furono trasferiti ai pontili e ai porti della
Francia occidentale; a Brest, Lorient, Cherbourg e Rochefort, dove furono
sistemati nelle stive di
galleggianti; questi trasferimenti avvenivano in
vagoni da bestiame e a condizioni sanitarie deliberatamente deplorevoli. Circa
20.000 sono stati detenuti per diversi mesi in quelle località e, tra questi,
in pochi mesi ne morirono 967 di stenti e di violenze.
Al contrario, l'esercito di Versailles
contò ufficialmente 877 uccisi, 6.454 feriti e 183 dispersi tra i quali possono
essere aggiunti i cinquanta ostaggi fucilati dai Comunardi,
centinaia secondo Jacques Rougerie.
Alla fine della Settimana
sanguinante molti Comunardi,
la cui maggioranza era formata da operai, riuscirono a fuggire da Parigi,
soprattutto Belgio, Inghilterra e Svizzera furono i luoghi del loro esilio e
del loro lavoro. Il socialista belga Louis Bertrand scrisse dei rifugiati, “ottimi
operai che sanno guadagnarsi da vivere e che hanno impiantato a Bruxelles
un'infinità di piccole industrie”. Tra le più note figure di emigrati in
Belgio, vi furono Prosper
Olivier Lissagaray, che vi iniziò a
scrivere la sua Storia
della Comune; Ernest
Vaughan, che vi fondò il settimanale La Bombe e successivamente il
quotidiano L'Aurore, protagonista della denuncia del complotto
reazionario e antisemita contro Alfred Dreyfus; il blanquista[1]
Gustave
Tridon, il musicista Jean-Baptiste
Clément, lo scrittore Georges
Cavalier. Migliaia di Comunardi
raggiunsero l'Inghilterra e si ritrovarono nella «Società dei rifugiati»,
mentre i blanquisti Eudes,
Granger
e Vaillant
vi fondarono il gruppo della «Comune rivoluzionaria».
Sugli avvenimenti Karl Marx
scrisse «La
guerra civile in Francia», che contiene il manifesto approvato dall'Internazionale
in favore della Comune. Tale manifesto non fu però sottoscritto da due delegati
inglesi, George Odger e Benjamin Lucraft, per i quali la Comune era stata
un'esperienza «troppo» rivoluzionaria. Diedero così le dimissioni dal Consiglio
dell'Internazionale
e provocarono una scissione nella sezione inglese. Nell'Internazionale
seguirà poi, per diversi motivi, la scissione dei seguaci di Bakunin.
L'Internazionale
fu particolarmente presa di mira subito dopo i fatti della Comune e il 14 marzo
1872, la legge Dufaure mise fuorilegge all'Associazione
Internazionale dei Lavoratori. Per Thiers,
«la sua stessa esistenza è un crimine,
dal momento che il suo obbiettivo è di associare malfattori stranieri e
malfattori francesi» e il ministro Jules
Favre si appellò ai governi europei affinché la sopprimessero,
guadagnandosi l'approvazione del papa e di Bismarck.
Poi, con legge presentata dal ministro della Giustizia Armand Dufaure e
approvata dall'Assemblea reazionaria il 14 marzo1872, il governo francese ne
vietò la costituzione: «Qualunque
associazione internazionale che, sotto qualsivoglia denominazione e soprattutto
sotto quella di Associazione
internazionale dei lavoratori, si proponga di provocare la sospensione del
lavoro, l'abolizione del diritto di proprietà, della famiglia, della patria,
della religione o del libero esercizio dei culti, costituisce, per la sua
esistenza e per le sue ramificazioni sul territorio francese, un attentato alla
pace pubblica».
Il 24 luglio 1873 fu decretata la costruzione a Montmartre
di una basilica (la basilica del Sacro Cuore) in «espiazione dei crimini della Comune».
In effetti la decisione venne presa all'indomani della sconfitta francese nella
guerra franco-prussiana, per donare alla nazione la fiducia e l'ottimismo
necessari ad una nuova rinascita. La costruzione, fu sollecitata dal deputato
della destra Anatole de Melun, il quale sostenne che «la Comune è la conseguenza di aver dimenticato Dio per troppo tempo»,
ed anche dall'arcivescovo di Parigi, Joseph Hippolyte Guibert, con l'appoggio del papa Pio IX che definì i Comunardi
«uomini sfuggiti dall'inferno».
Lo stato d'assedio a Parigi venne mantenuto fino al 4 aprile 1876,
anno nel quale venne respinta a larga maggioranza la prima proposta di amnistia
per i Comunardi. Un congresso operaio internazionale voluto da Jules
Guesde fu vietato e i suoi 38 organizzatori condannati il 24 ottobre 1878.
Tuttavia il clima politico stava mutando. Morto ormai Thiers
e dimissionato Mac
Mahon, dal 1879 la Francia ebbe un'Assemblea Nazionale a maggioranza
repubblicana. Il 3 marzo 1879 fu approvata un'amnistia
parziale, in ottobre poté tenersi a Marsiglia il congresso che portò alla
costituzione del Partito Operaio Francese, il 3 aprile 1880 fu pubblicamente
commemorato Gustave
Flourens, il 23 maggio una grande manifestazione davanti al Muro
dei Federati del Père-Lachaise
ricordò la Comune
e l'11 luglio l'Assemblea Nazionale promulgò l'amnistia
per tutti i Comunardi.
“Una carneficina per la civiltà” di Platone Michajlovič Kergentsev
Platon Keržencev |
Parigi era coperta di cadaveri ammucchiati sulle piazze, sulle vie, nei crocicchi e nei cortili; cadaveri erano gettati sulle chiatte e galleggiavano sul fiume. Il loro fetore si diffondeva sulla città. I marciapiedi e le strade erano insanguinati. Nei giardinetti, negli spiazzi incolti vennero scavate in fretta delle piccole fosse per seppellire provvisoriamente i morti e vi si svolgevano scene tragiche. Alcuni testimoni affermarono: « ... Si poteva sentire un orribile rumore sordo e dei gemiti soffocati... Si affrettavano a scaricare al più presto i carri che portavano i cadaveri e in quelle tombe comuni c'erano molti vivi che gemevano ancora». Nel silenzio della notte si sentivano dei sordi lamenti che provenivano da quelle tombe: i feriti, confusi in un sol mucchio con i morti, morivano senza aiuto, in un'orrenda agonia.
Il governo di Versailles tentò poi di dimostrare che il numero dei fucilati non era stato tanto grande come si diceva. Per esempio, lo storico reazionario Du Camp calcolò che il numero dei Comunardi fucilati fu di 6.667. Bisogna ritenere più esatti i calcoli di C. Pelletan, che raccolse accuratamente i dati sul numero dei sepolti in quei giorni nei cimiteri, nelle fortificazioni, nei giardini pubblici e altrove, e che fissa il numero dei Comunardi fucilati a 30.000.
La storia della Francia non aveva mai conosciuto un terrore così sanguinoso. Nella notte di San Bartolomeo erano stati uccisi alcune migliaia di uomini; durante tutta la rivoluzione borghese nella Francia della fine del XVIII secolo erano stati giustiziati a Parigi da 3.500 a 4.000 uomini, e in tutto il paese da 10 a 12.000, e non di più.
La borghesia si vendicava così della classe operaia per il suo tentativo di costituire lo stato proletario.
30.000 Comunardi, uomini, donne e bambini, furono uccisi dal governo di Versailles: gli arrestati arrivarono a 50.000. Così, comprendendo anche i Comunardi che riuscirono a fuggire, gli abitanti di Parigi, in prevalenza operai, che mancarono alla città furono da 90 a 100.000. Interi palazzi e intere vie divennero deserti. Molte categorie di mestieri operai sparirono completamente da Parigi per molti anni.
Le perquisizioni e gli arresti che cominciarono a Parigi durante la settimana di sangue continuarono a lungo: spesso venivano arrestati gli abitanti di un intero fabbricato, di un'intera via e intere famiglie. Legati con funi, a due a due, i prigionieri marciavano alla volta di Versailles: Il generale Galliffet osservava il gruppo degli arrestati, passava lentamente da. una colonna all'altra e si cercava le vittime. Ora sceglieva dei vecchi, dichiarando che essi «avevano già visto una rivoluzione e perciò erano più colpevoli degli altri», ora faceva uscire dalle file un operaio, il cui sguardo ardito non piaceva al generale bonapartista. Così, in una colonna scelse 111 vecchi, in un'altra 60 vigili del fuoco, in una terza 12 donne di oltre 70 anni; un'altra volta scelse tutti feriti. Tutti coloro che erano scelti da Galliffet venivano fucilati. Dopo il controllo di Galliffet gli arrestati venivano, condotti a Versailles. Uno degli arrestati raccontò che tra Parigí e Versailles, lungo le vie per cui passavano i gruppi di Comunardi «la popolazione della campagna... in generale dimostrava più simpatia che ostilità verso i prigionieri» (Ed. Monteil). Ma a Versailles lo stato d'animo verso i prigionieri era completamente diverso e la borghesia vi organizzò delle scene selvagge di dileggio. La via per cui dovevano passare gli arrestati divenne un luogo di diporto. Gli arrestati erano costretti a mettersi in ginocchio nella polvere e a baciare la cancellata del palazzo di Versailles, a inchinarsi davanti alle chiese, mentre la folla borghese urlava e gridava, sputava sul viso degli arrestati, strappava loro cappelli e fazzoletti, li percuoteva con ombrelli e bastoni.Esecuzione di Comunardi |
Ecco come L. Dupont, un testimone simpatizzante per Versailles, descrive la processione dei Comunardi prigionieri a Versailles: «Era un gregge umano, esaurito, coperto di stracci, macchiato di sangue. C'erano persone forti e vecchi ancora vegeti e insieme a loro dei miseri storpi piegati in due o che si appoggiavano faticosamente ai loro vicini. Alcuni avevano gli zoccoli, altri le pantofole, altri ancora erano a piedi nudi; alcuni avevano il képì, altri dei cappelli calpestati e sciupati, altri ancora andavano a testa nuda, con i capelli al vento, con gli occhi ardenti». Un altro testimone, Ludovic Halévy, racconta: «Ecco un'altra schiera di arrestati. Davanti, un gruppo di donne: portamento sicuro, sguardo fermo, aspetto ardito e fiero... Dietro, a due a due, gli uomini, divisi da una lunga corda a cui si tengono aggrappati; li incalza una doppia fila di soldati a cavallo con le rivoltelle spianate... Ancora altre donne. Una tiene in braccio un bambino... molto piccolo... che piange... ». Il «Times», nel numero del 29 maggio; descrisse la seguente scena: una donna colpì con l'ombrello uno degli arrestati che rispose fieramente alla folla: “Siete coraggiosi perché sono prigioniero; se fossi libero, nessuno di voi oserebbe guardarmi apertamente in faccia”.
I prigionieri diretti alla volta di Versailles erano messi dove capitava. Una delle prigioni era la Satory, dove una parte degli arrestati veniva messa nelle cantine dei tre edifici; altri direttamente nel cortile, nel fango e nella polvere, e se qualcuno voleva sollevarsi da terra gli sparavano contro. Nei muri intorno erano state praticate delle feritoie attraverso le quali si protendevano le mitragliatrici e i fucili dei soldati. Il 24 maggio alla Satory prese fuoco la paglia dei sacconi e i carnefici di Versailles mandarono i soldati, che fucilarono sul posto 300 uomini. Gli arrestati venivano messi anche nelle scuderie, nell'Orangerie, nel maneggio della scuola di Sains-Cyr, nelle fattorie vicine e in altri luoghi ancora. Anche qui vennero fatte le fucilazioni.
Il governo organizzò alcune decine di tribunali militari e 1.500 militari furono designati in qualità di giudici. I processi giudiziari contro i Comunardi durarono vari anni; il 1° maggio 1875 erano stati giudicati dai tribunali militari 46.835 fautori della Comune: condannate 13.450 persone, comprese quelle in contumacia, assolte 2.445; in 23.727 casi fu dichiarato il non luogo a procedere; degli altri non si hanno testimonianze. Furono condannate a morte 270 persone, all'ergastolo 410, alla deportazione 7.495, al carcere 3.393, alla fortezza 1.267 ecc.
Quelli che furono assolti e liberati rimasero sotto la sorveglianza della polizia.
Decine dà migliaia di arrestati rimasero in carcere per molti mesi. Dal dicembre 1871 funzionarono 23 tribunali militari, che emisero rispettivamente 300 sentenze al mese. AI 1° febbraio 1872 erano state pubblicate 2.591 sentenze: dal 1° marzo 1872 i tribunali incominciarono a emettere 2.000 sentenze al mese. Per l'anniversario della disfatta della Comune erano state pronunciate 10.500 sentenze e in 1.150 casi era stato dichiarato il non luogo a procedere. Al 1° luglio 1872 restavano ancora 19.280 cause non giudicate; poi il numero aumentò ancora.
I dati ufficiali sugli arrestati, nonostante i calcoli molto approssimativi e la classificazione poco soddisfacente, ci portano a delle interessanti conclusioni.
Nel rapporto del generale Appert i dati sugli arrestati riguardano 36.309 persone delle quali 16.835, cioè quasi la metà, erano operai. In base a questi dati non si può stabilire il numero degli impiegati; ma, per esempio, i dipendenti del commercio erano quasi tremila (2.938), gli intellettuali 1.725. Un altro documento sulla composizione sociale dei Comunardi è dato dal livello culturale: gli analfabeti erano 4.008, gli elementi dotati di istruzione elementare e media 21.004, quelli dotati di istruzione superiore 746. Quindi anche in base a questi dati tre quarti degli arrestati appartenevano alla classe operaia, al ceto impiegatizio e alla piccola borghesia. Il numero degli intellettuali era insignificante: circa il 5%.
(Platone Michajlovič Kergentsev, La Comune di Parigi, Milano 1951, pp. 590-93)
La repressione fu feroce. Sin dai primi giorni di giugno, la
giustizia "regolare" sostituì i massacri dei Comunardi
fatti dai versagliesi e le massicce esecuzioni sommarie con l'istituzione di
consigli di guerra, che si tennero per quattro anni consecutivi.
La legge del 7 agosto 1871 stabilì a 15 il numero dei consigli di
guerra incaricati di giudicare i prigionieri della Comune. Oltre a questi
consigli di guerra, una commissione di grazie fu istituita dalla legge del 17
giugno 1871 al fine di stabilire il destino delle persone condannate per atti
relativi all'insurrezione del 18
marzo 1871. Composto da quindici membri, principalmente monarchici, e
presieduto da Louis Martel, deputato del Passo di Calais, si riunì per la prima
volta il 16 ottobre a Versailles.
Il 22 marzo è
stata votata una legge sul trasporto in Nuova
Caledonia dei Comunardi
condannati ai lavori forzati o alla deportazione, integrato da decreti di 31
maggio 1872, del 25 marzo 1873 e del 10 marzo 1877.
Questa legge definì più precisamente il luogo della deportazione:
la penisola Ducos
fu destinata alla deportazione in un recinto fortificato, l'Isola
dei Pini alla semplice deportazione e all'Isola
di Nou per i condannati ai lavoratori forzati, tutti situati in Nuova
Caledonia.
Il primo convoglio di deportati partì a bordo della fregata La Danae
da Brest, in Bretagna, il 3 maggio 1872 ed arrivò a Noumea
il 29 settembre. Venti convogli si susseguirono tra il 1872 e il 1878,
trasportando poco più di 3.800 persone in condizioni molto difficili. I
prigionieri erano rinchiusi in grandi gabbie da cui ne uscivano solo per trenta
minuti al giorno per prendere un po’ d'aria sul ponte, con scarse razioni
alimentari e di pessima qualità e frequenti punizioni. Tenuto conto delle
morti, delle fughe, delle sparizioni, delle grazie, delle pene commutate e dei
rimpatri, senza contare i detenuti dell'Isola
di Nou, ci sarebbero stati da 3.350 a 3.630 deportati in Nuova
Caledonia fino al 31 dicembre 1876, dopo i primi decreti di grazia
dell'ottobre 1876.
La repressione fu feroce. Sin dai primi giorni di giugno, la
giustizia "regolare" sostituì i massacri dei Comunardi
fatti dai versagliesi e le massicce esecuzioni sommarie con l'istituzione di
consigli di guerra, che si tennero per quattro anni consecutivi.
La legge del 7 agosto 1871 stabilì a 15 il numero dei consigli di
guerra incaricati di giudicare i prigionieri della Comune. Oltre a questi
consigli di guerra, una commissione di grazie fu istituita dalla legge del 17
giugno 1871 al fine di stabilire il destino delle persone condannate per atti
relativi all'insurrezione del 18
marzo 1871. Composto da quindici membri, principalmente monarchici, e
presieduto da Louis Martel, deputato del Passo di Calais, si riunì per la prima
volta il 16 ottobre a Versailles.
Il 22 marzo è
stata votata una legge sul trasporto in Nuova
Caledonia dei Comunardi
condannati ai lavori forzati o alla deportazione, integrato da decreti di 31
maggio 1872, del 25 marzo 1873 e del 10 marzo 1877.
Questa legge definì più precisamente il luogo della deportazione:
la penisola Ducos
fu destinata alla deportazione in un recinto fortificato, l'Isola
dei Pini alla semplice deportazione e all'Isola
di Nou per i condannati ai lavoratori forzati, tutti situati in Nuova
Caledonia.
Il primo convoglio di deportati partì a bordo della fregata La Danae
da Brest, in Bretagna, il 3 maggio 1872 ed arrivò a Noumea
il 29 settembre. Venti convogli si susseguirono tra il 1872 e il 1878,
trasportando poco più di 3.800 persone in condizioni molto difficili. I
prigionieri erano rinchiusi in grandi gabbie da cui ne uscivano solo per trenta
minuti al giorno per prendere un po’ d'aria sul ponte, con scarse razioni
alimentari e di pessima qualità e frequenti punizioni. Tenuto conto delle
morti, delle fughe, delle sparizioni, delle grazie, delle pene commutate e dei
rimpatri, senza contare i detenuti dell'Isola
di Nou, ci sarebbero stati da Comunardi condannati a morte da tribunali militari |
Il 20 luglio 1875, nella sua relazione all'Assemblea Nazionale,
che non teneva conto delle sentenze pronunciate nelle province, il generale
Appert ha enumerato ad occhio e croce 46.835 sentenze, di cui 23.727 non-luoghi
a procedere, 10.137 condanne pronunciate in contraddittorio 3.313 condanne
pronunciate in contumacia, 2.445 assoluzioni e 7.213 rifiuti di informazione.
Prigionieri comunardi inquadrati dai versagliesi |
In contumacia, ci furono 175 condanne
a morte, 159 ai lavori forzati, 2 910 alla deportazione e 46 alla prigione.
Gli arrestati erano ripartiti come segue: il 75% di "operai"
(lavoratori salariati e piccoli artigiani), l'8% di dipendenti, il 7% dei
lavoratori domestici, il 10% i piccoli commercianti, liberi professionisti o
anche i piccoli proprietari.
Gli arresti in massa
Alla collera selvaggia della repressione immediata, a
quello che Malon
ha definito “il terrore tricolore”, tennero dietro le durezze meditate delle
inchieste giudiziarie. Secondo il generale Appert, dal 3 aprile al 20 maggio,
3.500 insorti erano caduti nelle mani di Versailles.
Dal 21 al 28 maggio furono operati 26.000 arresti. Poi, dal 1° giugno alla fine
di luglio, vennero presi all’incirca altri 5000 sospetti Infine, a partire
dall’agosto 1871 sino al maggio 1872, le autorità civili di Parigi, sostituite
alle autorità militari e a quelli dei dipartimenti, pro dettero ad un certo
numero di arresti; ma il trasferimento a Versailles
di questi ultimi prigionieri avvenne con lentezza per causa dell’affollamento
delle prigioni di questa città. In totale, le inchieste giudiziarie si svolsero
su un totale di più di 35.000 persone.
Il capitano Guichard è arrivato ad un totale preciso:
38.568 prigionieri, tra i quali 1.858 donne e 651 bambini; di questi ultimi 47
di 15 anni, 21 di 12, 4 di 10 e uno di 7. Il totale offertoci dal rapporto del
generale - Appert è meno elevato: 36.309.
Convoglio di donne in prigione. Una di esse in uniforme federata |
Che cosa siano stati i primi convogli di prigionieri
portati a Versailles,
lo vediamo negli articoli dei giornali d’oltre manica: «Dopo questa purga, i
convogli entrarono sulla rotta per Versailles,
premuti tra due linee di cavalleria. Sembrava la popolazione di una città
trascinata via da feroci orde. Ragazzi, uomini con la barba grigia, soldati,
ragazzi ben vesiti, tutte le condizioni, il più delicato e il più maleducato
confusi nello stesso vortice. C'erano molte donne, alcune ammanettate; una con
il suo bambino che premeva il collo della madre con le sue piccole mani
spaventate; un’altra con il braccio rotto, la camicetta macchiata di sangue;
un'altra depressa, aggrappata al braccio del suo vicino più vigoroso; un altra
in un atteggiamento statuario, sfidando il dolore e gli insulti; sempre quella
donna del popolo, che, dopo aver portato il pane in trincea e aver consolato le
persone morenti, senza speranza - "stanca di dare alla luce anime
infelici" - desiderava liberare la morte. Ho osservato una figura snella che camminava da sola,
nel costume della Guardia
Nazionale, con lunghi capelli biondi che fluttuavano sulle spalle, un
occhio azzurro brillante e un bel viso giovane e audace, che sembrava non
conoscere né vergogna né paura. Quando gli spettatori scoprirono a colpo d'occhio che questa
apparente giovane guardia nazionale era una donna, la loro indignazione trovò
sfogo in un linguaggio forte; ma l'unica
risposta della vittima era di fissare il bagliore a destra e a sinistra con un
colore più intenso e occhi scintillanti. Se la
nazione francese fosse composta solo da donne francesi, che nazione terribile
sarebbe! The Times, 29 maggio 1871».
Tutt’altra cosa veniva scritta dai giornali dei
vincitori, i giornali francesi.
«Nel vedere i convogli di donne ribelli», scriveva il
Figaro, «ci si sente malgrado una sorta di pietà; ma si è rassicurati
pensando che tutti i bordelli della capitale siano stati aperti dalle Guardie
Nazionali, che li hanno patrocinati, e che la maggior parte di queste donne
erano abitanti di questi stabilimenti».
02-08 - 09 - Convoglio di Federati prigionieri |
Le Soir parlava di «questi briganti, di queste
femmine dalle mammelle pendule». Paris-Soir stampava: «La stupidaggine,
il vizio e il delitto erano ancora dipinti in modo sanguinoso e ardente su quei
volti ... Taluni tentavano di ridere bestialmente; altri si sforzavano di
spremere una lagrima assente dai loro occhi arrossati dalla dissolutezza e
dall’orgia. Tutti d’altronde univano alla laidezza dell’anima quella del viso e
a queste la deformità del corpo.
Le Bien public pubblicava una lunga lettera
datata 8 giugno, firmata da Alexandre Dumas figlio, che, se biasimava,
ammirandoli, gli insulti ai prigionieri, stigmatizzava, in frasi corrosivamente
studiate, la “zoologia dei rivoluzionari”, e, dopo aver parlato spaventosamente
dei “comunastri”, terminava con questa terribile frase: «Non diremo niente delle
loro femmine, per rispetto delle donne alle quali esse somigliano quando sono
morte».
“Comunastri” e “petroliere”, ragazzini dai 12 ai 16
anni, riuniti in lunghe file, ora liberi, ora legati con corde, inquadrati da
soldati a cavallo e da fanti che li punzecchiavano con le baionette e le
sciabole, talvolta attaccati alla corda di un cavallo, costretti ad
inginocchiarsi davanti alle chiese dei quartieri ricchi, formavano convogli che
furono, i primi giorni, “epurati” in condizioni terribili dal generale
Gallifet, che li attendeva alla Muette.
Ansimanti, coperti di sudiciume, col capo scoperto
sotto un soe ardente, sconvolti dalla stanchezza, dalla fame e dalla sete,
bruciati dal sole, i convogli dei prigionieri si trascinavano per ore nella
polvere bruciante delle strade, molestati, tormentati dalle urla, dai colpi
della scorta versagliese. I prussiani non avevano trattato così crudelmente
questi soldati quando, alcuni prigionieri stessi alcuni mesi prima, erano stati
condotti via da Sedan o da Metz. I prigionieri che cadevano venivano a volte
sparati, a volte venivano gettati solo nei carri che seguivano.
All'ingresso a Versailles
la folla li attendeva, era l'élite della società francese, deputati,
funzionari, preti, ufficiali, donne di tutte le categorie. I viali di Parigi e
di Saint-Cloud erano fiancheggiati da selvaggi, che seguivano i convogli dei
prigionieri con vociferazioni, colpi, li coprivano di immondizie, di cocci di
bottiglie rotte. «Per la via», aveva scritto il giornale liberal-conservatore,
il Siècle, del 30 maggio, «donne, non prostitute, ma donne eleganti,
insultano i prigionieri nel loro passaggio e addirittura li colpiscono con i
loro ombrelli». Chi non insultava i vinti, chi aveva accennato ad un movimento
di commiserazione veniva subito preso e costretto ad entrare nel convoglio dei
prigionieri. Qualcuna di quelle mani inguantate raccoglieva la polvere e la
gettava sul volto ai prigionieri. I primi convogli furono fatti girare per
offrirli in spettacolo nelle vie di Versailles; altri fermi per ore nella
torrida Place d'Armes, a pochi passi dai grandi alberi, la cui ombra veniva
loro rifiutata. Coperti di infamie, i prigionieri sognavano il rifugio dei
depositi.
02-08 - 10 - Convoglio di prigionieri federati in cammino per Versailles |
Quei depositi furono installati nelle cantine delle Grandes-Ecurics,
all'Orangerie,
nei docks di Satory,
nel maneggio della Scuola di Saint-Cyr, i primi giorni senza paglia, nei giorni
seguenti forniti di uno strato di paglia che divenne ben presto letame; nutriti
in modo spaventoso, i feriti, gli ammalati erano appena curati; i ribelli venivano
gettati nella Fossa dei Leoni, sorto la grande scalinata rosa della terrazza.
Il campo di Satory
“divenne una delle escursioni favorite della buona società versagliese”, anche se
le migliaia di prigionieri, coperti di sudiciume e di insetti, parevano offerti
a tutte la più pericolose epidemie.
La deportazione
I condannati ai lavori forzati a tempo o a vita
furono circa 400, i 696 condannati alla deportazione in un luogo fortificato (6
dei quali membri della Comune, 6 funzionari superiori, 7 donne, il resto
composto da ufficiali, sottufficiali e guardie nazionali), e i 2.879 condannati
alla deportazione semplice (3 dei quali membri della Comune,
11 funzionari superiori, 13 donne e il resto, ancora una volta proveniente
dalla Guardia
Nazionale), furono inviati a 6.000 chilometri da Parigi.
Vennero raggruppati in diversi depositi sulle coste
dell’ovest (forte Bayard, Saint-Martin-de-Ré, isola d’Oléron, isola d’Aix, il
forte Quélern, i Saumonards, ecc.), e l’amministrazione penitenziaria preparò i
convogli, il primo dei quali, sulla nave Danaé, partì il 3 maggio 1872.
Le liste venivano fissate dopo visite sanitarie superficiali, che lasciavano
partire più di un pietoso rottame della vita, come il giornalista Gustave
Maroteau, che morì al bagno penale a 25 anni. Rapporti ufficiali degli
ufficiali comandanti i trasporti delle navi (la Guerrière, la Garonne,
la Corrèz, il Var, la Loire, la Sybille, l’Orne,
il Colorado, il Rhòne, la Virginie) provano che i viaggi
dei condannati furono abitualmente penosi.
Alla partenza, raramente erano ammessi parenti e
amici per salutarli. Tuttavia si può notare una manifestazione della
popolazione di Tolone alla partenza del Var, a proposito della quale
sembra che i deportati poterono esprimere la loro gratitudine. Durante la
traversata, la peggiore miseria. Lissagaray
scrive “la nave dei deportati è il pontone in navigazione”. Quei condannati –
dai circa 550 a bordo della Danaé, agli 80 a bordo della Guerrière-
erano chiusi dentro gabbie separate da un passaggio mediano, male areate nei
ponti alti, e per niente areate in quelli bassi. Veniva concessa loro mezz’ora
di passeggiata sul ponte, tra reti distese, sotto gli occhi degli ufficiali,
dei funzionari, sotto gli occhi di un equipaggio sempre in guardia. La
sorveglianza era portata al massimo: si temevano le conversazioni, i complotti,
le ribellioni. Punizioni selvagge colpivano chi si ribellava, come Amilcare
Cipriani, messo ai ferri in fondo alla stiva, a pane e acqua. I convogli
femminili erano accompagnate da due suore. Il viaggio durava cinque mesi e
mezzo in media, i corridoi erano pieni, il cibo era mediocre e le malattie
infierivano crudelmente a bordo. Quando l’Orne gettò l’ancora nella rada
di Melbourne, c,erano 300 malati di scorbuto su 588 trasportati. Gli abitanti
di Melbourne vollero soccorrerli, raccolsero in poche ore una somma di 40.000
franchi; il comandante dell’Orne rifiutò di darla ai prigionieri, anche
se trasformata in viveri, abiti, utensili, oggetti di prima necessità.
Soltanto i morti, o pressappoco, sfuggivano al
martirio del viaggio: non si ricorda, infatti, che due sole evasioni fortunate.
Ce ne furono ancora, ma non molte, dalla colonia stessa, come quella di Henri
Rochefort.
[1] E qui vendono in mente le selvagge
milizie sanfediste del cardinale Ruffo che nel 1799 dalla Calabria risalirono
la Penisola saccheggiando, stuprando e squartando, al grido di “Viva Maria!”,
per ripristinare il Regno di Napoli, dopo che il popolo napoletano, con l’aiuto
dei francesi, aveva cacciato i Borboni proclamando la Repubblica e innalzando l’albero
della libertà (simbolo della Rivoluzione francese).
[Nota] L'albero della libertà rimase un simbolo della ideologia liberale
repubblicana, e come tale venne talvolta impiantato anche negli anni
successivi, in occasione di eventi repubblicani. Per esempio a Ravenna il 15
febbraio 1849, in piazza del Popolo, per festeggiare la nascita della
Repubblica romana, avvenuta pochi giorni prima, venne impiantato un nuovo
albero della libertà nel medesimo posto di quello eretto nel 1797 durante il
periodo napoleonico. A Conselice, nella bassa romagnola, il 14 giugno 1914, nel
corso della settimana rossa venne piantato un acero del Canada come albero
della libertà, con la scritta "Evviva la Rivoluzione sociale", altri
alberi furono piantati a Sant'Agata sul Santerno e a Massa Lombarda con le
bandiere nere anarchiche e il berretto frigio della rivoluzione francese.
[2] Corrispondenza da Parigi del Daily News, 8 giugno.
[3] Corrispondenza da Parigi dell'Evening Standard dell'8 giugno.
[4] La notte di San Bartolomeo è il
nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il
23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a
Parigi in un clima di rivincita indotto dalla battaglia di Lepanto e dal
crescente prestigio della Spagna.
[5] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.
[5] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.