giovedì 29 novembre 2018

02-01 - La giornata del 18 marzo 1871

LA GIORNATA DEL 18 MARZO 1871

Una barricata durante la rivolta del 18 marzo 1871

"La Rivoluzione del 18 marzo serba una virtù di commozione e d'insegnamento che nessun altro avvenimento storico ha potuto raggiungere".
Arturo Labriola
Conferenza sulla Comune di Parigi
Napoli, 30 luglio 1906

La guerra franco-tedesca fu disastrosa per la Francia. Parigi era assediata dalle truppe prussiane dal 18 settembre 1870. Il governo provvisorio, nato al culmine delle sconfitte militari francesi per trattare l’armistizio con i Prussiani e porre fine alla guerra disastrosa di Napoleone III, espresso da un parlamento in cui bonapartisti, orleanisti e monarchici avevano una schiacciante maggioranza, decise di firmare l'armistizio il 28 gennaio. Un mese dopo, il 26 febbraio, l'Assemblea nazionale (rifugiata a Bordeaux) ratificò il trattato di pace e si diede anche il compito di contrastare e sconfiggere la forza crescente dell’antagonismo operaio e proletario e delle sue organizzazioni: proudhoniani[1], in larga maggioranza, anche se divisi tra varie tendenze e correnti; blanquisti[2] dalle forti venature insurrezionaliste e comunisteggianti; anarchici; radicali e neo-giacobini; qualche più raro internazionalista. Furono proprio queste forze che spinsero, con agitazioni sempre più diffuse e tumultuose, perché la guerra, diventata strumento di patriottismo popolare e antiborghese, continuasse. Sono state dunque sempre più numerose, sino al 18 marzo, le occasioni di attrito e di confronto anche duro, le reciproche provocazioni, tra le due opposte fazioni. Ma ora lo scontro giungeva al culmine.
A Parigi operava già un organismo: la Guardia Nazionale. Questa era di fatto il centro dirigente, sia militare che politico, degli insorti, I battaglioni della Guardia Nazionale erano uniti in federazioni, da qui viene il nome di «federati» assegnato ai Comunardi.
Durante l'assedio di Parigi, alcuni elementi della Guardia Nazionale avevano già espresso la loro insoddisfazione per lo svolgimento delle operazioni e la loro sfiducia nei confronti del governo, specialmente durante i giorni del 31 ottobre e del 22 gennaio. L'accordo di armistizio prevedeva l'occupazione parziale di Parigi, ciò infuriò i parigini che tenevano la città contro gli eserciti prussiani e sollevò la tensione. L’occupazione venne ridotta a tre giorni (dal 1° al 3 marzo).
Il 27 febbraio, ci fu una grande agitazione a Parigi. I distretti di Belleville e Ménilmontant dovettero essere evacuati dalle truppe mobili per evitare incidenti con alcuni battaglioni della Guardia Nazionale. La caserma della Guardia repubblicana, in rue Mouffetard, venne attaccata. Allo stesso tempo, la Federazione della Guardia Nazionale si dotò di un comitato esecutivo provvisorio (futuro Comitato centrale) e ricusò il suo capo Aurelle de Paladine, nominato dal governo.
Insediati in place de la Cordérie, il 10 marzo la Federazione della Guardia Nazionale si dichiarò «baluardo contro ogni tentativo di rovesciare la repubblica», una repubblica francese cui sarebbe dovuta succedere la repubblica universale senza «eserciti permanenti, ma con tutto il popolo armato [...] senza oppressione, schiavitù e dittature, ma sovrana la nazione e cittadini liberi che si autogoverneranno (Louise Michel)».
I proletari parigini erano molto decisi a non cedere le armi né a Bismarck né a Thiers. Ottennero, quando ancora il governo francese fingeva di difendere la patria, un reclutamento su vasta scala di guardie nazionali, per lo più di estrazione proletaria, estranee all'esercito. Si impegnarono anche i materassi per contribuire alla colletta per fondere i cannoni necessari alla difesa della città assediata. Quindi non intendevano sentir parlare di pace, perché sapevano benissimo chi avrebbe dovuto, ancora una volta, fare le spese dei «sacrifici» per risarcire il re di Prussia. D'altra parte poterono toccar con mano che i generali repubblicani non solo si dimostrarono incapaci, ma operarono addirittura per il nemico, mandando le guardie nazionali a farsi massacrare solo perché i superstiti si fossero convinti che non ci sarebbe restato altro da fare che arrendersi.
A questo punto Parigi doveva: o deporre le armi al comando di Thiers, e riconoscere che la sua rivoluzione del 4 settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da Luigi Bonaparte ai suoi rivali; oppure affrontare il sacrificio e andare avanti.
La città, stremata da una carestia di cinque mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare tutti i rischi della resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i cannoni prussiani la minacciassero dai suoi stessi forti.
Il governo di Versailles comunque aveva ancora suoi uomini che operavano a Parigi. Thiers dovette convincersi che il predominio delle classi abbienti (grandi proprietari fondiari e capitalisti) era in continuo pericolo finché gli operai di Parigi avevano le armi nelle loro mani. Suo primo atto fu il tentativo di disarmarli.
Il governo aveva già fatto diversi tentativi per recuperare le armi dei parigini: l'8 marzo il governo aveva tentato di smobilitare l'artiglieria piazzata a Montmarte e al Luxembourg; il 16 marzo, cercò di rimuovere con la forza i cannoni installati in place des Vosges, due tentativi falliti per l'opposizione delle guardie nazionali. Diversi sindaci borghesi, Clemenceau, Tirard, Arnaud de l'Ariège, Martin intervennero con il ministro dell'Interno Picard per evitare lo scontro, ma questi rimase inflessibile.


I preparativi

Il governo era determinato a ripristinare la sua autorità a Parigi prima che i deputati, fino a quel momento installati a Bordeaux, si riunissero a Versailles. Allo stesso tempo, l'Assemblea nazionale aveva adottando una serie di misure che alla fine predisporrà la popolazione alla guerra civile: l'eliminazione delle moratorie sugli affitti, la paga giornaliera delle guardie nazionali.
La sera del 17 marzo, si tenne a Versailles un consiglio di guerra, Adolphe Thiers riunì presso il ministero degli Affari Esteri il Consiglio dei Ministri alla presenza del sindaco di Parigi Jules Ferry[3], del prefetto di polizia Valentin e dei generali Aurelle, capo della Guardia Nazionale, e Vinoy, governatore militare di Parigi. Si decise di usare la forza e di rimuovere l’artiglieria che era depositata a Belleville e Montmartre, dove nessuno era stato messo a guardia dei cannoni.
Thiers aveva ormai deciso che Parigi andava trattata come «città infetta» e isolata dal corpo sano della nazione; decise allora di mandare una moltitudine di sergents de ville (guardie della polizia municipale) e di alcuni reggimenti di fanteria, in spedizione notturna contro Montmartre, per impadronirsi di sorpresa dell'artiglieria della Guardia Nazionale e per “finirla una volta per sempre con la «fine fleu de canaille» (il fior fiore della canaglia)”.
Il 18 marzo fu fatto un nuovo tentativo.
Il piano ideato da Thiers fu quello di suddividere a scacchiera Parigi per rendere vana qualsiasi resistenza. Il generale Vinoy stabilì il suo quartier generale al Louvre.
Le brigate dei generali Paturel e Lecomte sotto gli ordini del generale di divisione Susbielle forte di circa 4.000 uomini, composti da reggimenti di linea, guardie repubblicane, guardiani armati della pace, con le mitragliatrici, dovevano marciare su Montmartre. La fanteria, la cavalleria e l’artiglieria dovevano rimanere di riserva.
La divisione del generale Faron, forte di 6.000 uomini, composta anche questa da reggimenti di linea, guardie repubblicane, guardiani armati della pace, con mitragliatrici e artiglieria, dovevano impadronirsi della Buttes-Chaumont[4] per controllare Bellevile e Ménilmontant, occupare le stazioni ferroviarie gare du Nord e gare de l'Est.
La divisione del generale Maud'huy doveva occupare l'Hôtel de Ville, la place de la Bastille, l'Ile de la Cité, il ponte d’Austerlitz e il porto dell'Arsenal.
Il generale Valentin, prefetto di polizia, disponeva delle guardie repubblicane installate nelle caserme di Lobau e nel quartiere la Cité, dei reggimenti di linea e di cavalleria, doveva controllare le Tuileries, la Concorde e gli Champs-Elysees.
Allo stesso tempo, solo tre membri del Comitato centrale della Guardia nazionale erano in servizio presso la scuola di rue Basfroi nell'11° arrondissement.


Lo svolgimento dell'insurrezione

Alle 3 del mattino di quel 18 marzo, truppe regolari comandate dal generale Lecomte occuparono la riva destra della Senna e alcuni distaccamenti salirono la china di Montmartre, dispersero i Federati del 61° battaglione della Guardia e cominciarono a trascinare i cannoni posti sul terrapieno della Butte (collina) di Montmartre.
Il Comitato di vigilanza del 18° arrondissement diede l'allarme facendo suonare a martello le campane e ordinò di alzare barricate nel quartiere.
I parigini non si fecero sorprendere: l’allarme corse per tutta la città, al suono delle campane, dagli ateliers operai e dai faubourg popolari una folla sempre più numerosa accorse a difendere la Butte su cui erano istallate le batterie. Numerosissime le donne: alla loro testa Louise Michel, donna libera, o meglio, libertaria, che in futuro si dichiarò anarchica, che da tempo lavorava alla creazione di una nuova, vera forza politica tra le donne e le operaie parigine, che da sempre erano state comunque alla testa di ogni moto e di ogni rivolta popolare come della grande rivoluzione del 1789.
”Cominciarono a suonare le campane [...] e i tamburi suonarono a raccolta [...] tutte le strade che portavano all'altura si riempirono di una folla fremente. I dimostranti erano in maggioranza donne, ma c'erano anche molti bambini, guardie nazionali isolate uscivano in armi e si dirigevano verso lo Chateau-Rouge. Anche Louise Michel, «con la carabina sotto il mantello», corse sulla collina, dove erano saliti i battaglioni del 18° arrondissement (Edmond Lepelletiere: Histoire de la Commune de 1871).
Il generale Lecomte ordinò più volte di sparare, ma non venne ubbidito. Quelle truppe, che avevano sostenuto, con la Guardia Nazionale e la stessa popolazione, il lungo assedio della città, si rifiutarono di sparare: fu il sergente Verdaguer, dell'88° reggimento, a dare l'ordine di abbassare le armi. Soldati e Federati fraternizzarono, Lecomte, che pretendeva a tutti i costi una strage, fu arrestato dai suoi stessi soldati e condotto allo Château Rouge, la sede del comando di legione del 18° arrondissement.
Era l'alba del 18 Marzo 1871.
Un uomo che stava ispezionando una barricata di rue de Martyr suscitò sospetti. Benché in abiti civili, venne riconosciuto: era il generale Clément-Thomas, uno dei massacratori degli operai parigini nel giugno 1848. Già comandante della Guardia Nazionale, il precedente 14 febbraio ne aveva dato le dimissioni dopo la disastrosa sortita di Buzenval, ma aveva continuato ad agire come spia del governo, informandolo delle disposizioni delle barricate nel quartiere di Montmartre. Venne trascinato dalla folla allo Château Rouge.
Le truppe del generale Paturel si rimossero. Una parte della riserva del generale Subvielle, situata tra place Pigalle, il boulevard e place Clichy fraternizzarono anch’essi col popolo parigino. La permanenza del Comitato Centrale della Guardia Nazionale fu rafforzata dai delegati che arrivarono dai loro quartieri ancora tranquilli.
L'esercito si ammutina e passa dalla parte della rivoluzione in fraternizzare con la Guardia Nazionale
Intorno alle 10 del mattino, la notizia dei fatti raggiunse il governo. Apprese che le truppe del generale Faron stavano fraternizzando e abbandonando le loro armi. C’erano barricate nel faubourg Saint-Antoine, a Ménilmontant. Il governo e il comandante in capo della Guardia Nazionale, il generale d'Aurelle de Paladines, cercarono di organizzare un'offensiva affidandosi alle guardie nazionali dei quartieri borghesi del centro e ad ovest della capitale. Dei 12.000 previsti, solo 600 risposero alla chiamata e si ritirarono quando notarono l’inferiorità della loro forza in campo. Anche il generale Vinoy, governatore di Parigi, decise di evacuare i quartieri della riva sinistra della Senna e di riportare le truppe alla scuola militare.
Verso le 13 il generale Lecomte venne trasferito a Montmartre per ordine di un comitato locale di vigilanza. Fu preso in carico dalla folla in festa e dai suoi stessi soldati. A lui si aggiunse l’altro prigioniero, il generale Clément-Thomas. Verso le 14 il Comitato Centrale della Guardia Nazionale ordinò a tutti i battaglioni di convergere sull’Hôtel de Ville, il Municipio, (una mossa che alcuni di loro avevano già iniziato). In quel tempo, Montmartre, la stazione ferroviaria di Sceaux, il municipio del quattordicesimo arrondissement, la stazione  ferroviaria di Orleans, il Jardin des Plantes, il Palazzo del Luxembourg, il municipio del quinto arrondissement erano nelle mani dei ribelli.
Una colonna proveniente da Montmartre camminava verso place Vendôme, dove si trovava la sede della Guardia Nazionale. Nel primo pomeriggio il Comitato Centrale diede ordine di occupare le caserme, gli edifici governativi.
Intorno alle 3 del pomeriggio il governo, che era tornato dal suo pranzo, si divise sulla condotta da prendere: lasciare Parigi per tornarvi in forze od organizzare la resistenza nei distretti occidentali. Sconvolto dalla visione dalle guardie nazionali che sfilavano davanti al ministero dove erano riuniti i membri del governo, Thiers decise di lasciare Parigi per Versailles e ordinò di preparare la totale evacuazione delle truppe e la partenza di tutti i funzionari.
Verso le quattro del pomeriggio, a Montmartre, la folla scatenata attaccò la postazione di rue des Rosiers[5] dove c’erano i generali Lecomte e Clément-Thomas. I due furono condotti nel giardino di rue des Rosiers. Nessuna voce responsabile si oppose alla folla che urlava: “AI muro, al muro!”. Addossati al muro del cortile, Lecomte e Thomas furono crivellati di pallottole, nonostante l'intervento il Comitato di vigilanza di Montmartre e il sindaco del diciottesimo arrondissement, Clemenceau.
I generali Lecomte e Clément-Thomas davanti al plotone di esecuzione
Iniziò l'insurrezione.
Un po' più tardi, il generale Chanzy sfuggì allo stesso destino. L'Hôtel de Ville, dove Jules Ferry[3] tentò di organizzare la resistenza, venne abbandonato dai soldati.
L'eroe della giornata, il sergente Verdaguer, che aderì alla Comune comandando il 91° battaglione della Guardia Nazionale, fu colpito dalla vendetta della Repubblica di Thiers, venendo condannato a morte e fucilato il 22 febbraio 1872.
Ecco come Louise Michel racconta gli avvenimenti di quella mattina:
Nell'alba che si levava, si sentiva la campana a martello; noi salivamo a passo di carica sapendo che alla sommità vi era un'armata schierata a battaglia. Noi pensavamo di morire per la libertà.
Si era come sollevati da terra. Morti noi, Parigi si sarebbe risollevata. La folla in certe ore è l'avanguardia dell'oceano umano.
L'altura era circondata da una luce bianca, un'alba splendida di liberazione.
Ad un tratto vidi mia madre presso di me e provai un'angoscia spaventosa: inquieta essa era venuta; tutte le donne erano salite nello stesso tempo con noi, non so come. Non era la morte che ci attendeva sulle alture ove già l'armata allineava i cannoni, per unirli a quelli di Batignolles rubati durante la notte, ma la sorpresa di una vittoria popolare.
Fra noi e l'armata, le donne si gettano sui cannoni, sulle mitragliatrici: i soldati rimangono immobili.
Mentre il generale Lecomte comanda il fuoco sulla folla, un sott'ufficiale uscendo dalle file si pone davanti alla sua compagnia e grida più forte di Lecome: calcio in aria! I soldati obbediscono. Era Verdaguer che fu per questo fatto fucilato da Versailles qualche mese dopo.
La rivoluzione era fatta.
Lecomte arrestato nel momento in cui per la terza volta ordinava di far fuoco, venne condotto in rue des Rosiers ove fu raggiunto da Clément-Thomas, riconosciuto mentre sotto abiti civili studiava le barricate di Montmartre.
Secondo le leggi di guerra essi dovevano perire. Condotti da Chateau-Rouge in rue des Rosiers Clément-Thomas e Lecomte furono fucilati verso le quattro in rue des Rosiers (Louise Michel, La Comune)”.
 ebbero sopratutto come avversari i propri soldati.
Il muto accumularsi delle torture permesse dalla disciplina militare è causa anche di risentimenti implacabili.
Quand'anche i rivoluzionari di Montmartre avessero potuto salvare i generali dalla morte che ben meritavano, malgrado la condanna già vecchia di Clément-Thomas per i fatti di giugno, la collera l'avrebbe impedito: un colpo parte, i fucili si scaricano da sè stessi.
Clément-Thomas e Lecomte furono fucilati verso le quattro in rue des Rosiers (Louise Michel, La Comune)”.
Il 128º battaglione della Guardia Nazionale recuperò i cannoni, una carica dei cacciatori a cavallo fu respinta in place Pigalle, le poche centinaia di guardie repubblicane fedeli al governo si dispersero.
Il generale D'Aurelle de Paladines ottimisticamente aveva stampato in anticipo il suo bollettino di vittoria e Thiers aveva pronti i manifesti che dovevano annunciare le sue misure da colpo di stato. Bollettino e manifesti vennero di conseguenza sostituiti dagli appelli in cui Thiers rendeva nota la sua magnanima decisione di lasciare la Guardia Nazionale in possesso delle sue armi, con le quali, diceva, essa si sarebbe sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300.000 guardie nazionali solo 300 risposero a questo appello di raccogliersi, contro se stesse, attorno a Thiers.
Mentre nei sobborghi popolari già si innalzavano barricate, nel centro di Parigi la gente passeggiava ancora come se nulla fosse accaduto, i caffé erano animati come di consueto e le carrozze sfilavano lente lungo i boulevards. Ma Thiers ricavò subito la lezione degli eventi e decise di affrettare il trasferimento dei ministeri da Parigi a Versailles. Disponeva di circa 20.000 soldati non più affidabili (come dimostrò l’ammutinamento della divisione Lecomte) e rimanere a Parigi sarebbe stato un suicidio. Provvide quindi affinché la polizia, le truppe e i funzionari governativi lasciassero al più presto la capitale, ed egli stesso diede l'esempio ordinando al suo cocchiere di far partire i cavalli pancia a terra. Protetto da uno squadrone di ussari, l'occhialuto e grassoccio signor Thiers si sporse continuamente dal finestrino esortando: “Presto, presto! Finché non saremo al ponte di Sèvres, c'è pericolo!”.
Verso le 8 di sera, il quartier generale della Guardia Nazionale, in place Vendôme, il quartier generale della polizia (vuoto) era nelle mani dei ribelli mentre l'Hôtel de Ville era circondato. Gli ordini del Comitato centrale erano puramente difensivi: «Barricate ovunque. Non attaccare».
L’ultimo battaglione che circondava l'Hôtel de Ville si ritirò. Jules Ferry[3] ricevette l'ordine di abbandonare l'Hôtel de Ville. Verso le 23, l'Hôtel de Ville era invaso e il Comitato Centrale della Guardia Nazionale vi s'installò. Alla cima dell’edificio venne issata la bandiera rossa. La bandiera rossa diviene simbolo della Comune, definita «la bandiera della repubblica universale».
Non furono invece occupate la Posta centrale, la Banca di Francia e il forte di Mont-Valérien. Si cominciarono a costruire le barricate.
Molti quartieri, specialmente in Occidente e nel centro della capitale, non erano controllati dagli insorti. Vittorioso a Parigi, il Comitato Centrale rifiutò di marciare su Versailles come alcuni lo consigliarono. Il suo scopo non era la presa del potere, ma la resistenza ad un colpo di forza del governo, le cui intenzioni primitive rimanevano oscure.
Marx scrisse: “Il Comitato Centrale si rese colpevole di un errore fatale col non marciare subito contro Versailles, allora completamente indifesa, e così porre fine ai complotti di Thiers e dei suoi rurali.
Ma come potevano gli ideologi che avevano speso una vita per condannare moralmente le guerre, essere proprio loro a dare il segnale della guerra civile? Il Comitato Centrale sentì innanzitutto il bisogno di giustificarsi con la stesura di un manifesto in cui si leggeva: “Due soli uomini, che si erano resi impopolari con atti che noi oggi qualifichiamo iniqui, sono stati colpiti da un moto di indignazione popolare... Per rendere omaggio alla verità, dichiariamo di essere estranei a queste due esecuzioni. La morte di Lecomte e Clément-Thomas è quindi messa sul conto del governo di Versailles, che ha condotto contro di noi i nostri fratelli dell'esercito per impadronirsi dei cannoni e provocare e i parigini".
“La sera del 18 marzo gli ufficiali che erano stati prigionieri con Lecomte e Clément-Thomas furono messi in libertà da Jaclard e Ferré. Non si volevano né debolezze né crudeltà inutili (Louise Michel, La Comune)”.
Tra l’entusiasmo e la sorpresa per la rapidità degli eventi nacque, venne proclamata la Comune. Quella Comune di Parigi, primo esempio di autogoverno democratico, socialista, libertario nell’Europa del nascente capitalismo, che verrà abbattuta pochi mesi dopo nel sangue ma che diventerà sino a oggi simbolo e mito, nella vittoria come nella sconfitta, di tutte le lotte e le insorgenze operaie e proletarie.
I canoni di Montmartre

L'esercito si ammutina e passa dalla parte della rivoluzione in fraternizzare con la Guardia Nazionale

Barricata del 18 marzo




[1] Per proudhoniani s’intendono definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.
[2] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.
[3] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore di Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a questa sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi. D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.
[4] Colline Chaumont.
[5] Rue des Rosiers è stata rasa al momento della costruzione della Basilica del Sacro Cuore ed è l'attuale rue du Chevalier-de-La-Barre che occupa parte del sito. Non dovrebbe essere confusa con l'attuale rue des Rosiers.