LA GIORNATA DEL 18 MARZO 1871
Una barricata durante la rivolta del 18 marzo 1871 |
"La
Rivoluzione del 18 marzo serba una virtù di commozione e d'insegnamento che
nessun altro avvenimento storico ha potuto raggiungere".
Arturo Labriola
Conferenza sulla Comune di Parigi
Napoli, 30 luglio 1906
La guerra franco-tedesca fu
disastrosa per la Francia. Parigi era assediata dalle truppe prussiane dal 18
settembre 1870. Il governo
provvisorio, nato al culmine delle sconfitte militari francesi per trattare
l’armistizio con i Prussiani e porre fine alla guerra disastrosa di Napoleone
III,
espresso da un parlamento in cui bonapartisti, orleanisti e monarchici avevano
una schiacciante maggioranza, decise di firmare l'armistizio il 28 gennaio. Un
mese dopo, il 26 febbraio, l'Assemblea nazionale (rifugiata a Bordeaux)
ratificò il trattato di pace e si diede anche il compito di contrastare e
sconfiggere la forza crescente dell’antagonismo operaio e proletario e delle
sue organizzazioni: proudhoniani[1],
in larga maggioranza, anche se divisi tra varie tendenze e correnti; blanquisti[2]
dalle forti venature insurrezionaliste e comunisteggianti; anarchici; radicali
e neo-giacobini; qualche più raro internazionalista.
Furono proprio queste forze che spinsero, con agitazioni sempre più diffuse e tumultuose,
perché la guerra, diventata strumento di patriottismo popolare e antiborghese,
continuasse. Sono state dunque sempre più numerose, sino al 18 marzo, le
occasioni di attrito e di confronto anche duro, le reciproche provocazioni, tra
le due opposte fazioni. Ma ora lo scontro giungeva al culmine.
A Parigi operava già un
organismo: la Guardia
Nazionale. Questa era di fatto il centro dirigente, sia militare che politico,
degli insorti, I battaglioni della Guardia
Nazionale erano uniti in federazioni, da qui viene il nome di «federati»
assegnato ai Comunardi.
Durante l'assedio di Parigi,
alcuni elementi della Guardia
Nazionale avevano già espresso la loro insoddisfazione per lo svolgimento
delle operazioni e la loro sfiducia nei confronti del governo, specialmente
durante i giorni del 31
ottobre e del 22
gennaio. L'accordo di armistizio prevedeva l'occupazione parziale di
Parigi, ciò infuriò i parigini che tenevano la città contro gli eserciti
prussiani e sollevò la tensione. L’occupazione venne ridotta a tre giorni (dal
1° al 3 marzo).
Il 27 febbraio, ci fu una
grande agitazione a Parigi. I distretti di Belleville
e Ménilmontant dovettero essere evacuati dalle truppe mobili per evitare
incidenti con alcuni battaglioni della Guardia
Nazionale. La caserma della Guardia repubblicana, in rue Mouffetard, venne
attaccata. Allo stesso tempo, la Federazione della Guardia
Nazionale si dotò di un comitato esecutivo provvisorio (futuro Comitato
centrale) e ricusò il suo capo Aurelle de Paladine, nominato dal governo.
Insediati in place de la
Cordérie, il 10 marzo la Federazione della Guardia
Nazionale si dichiarò «baluardo contro ogni tentativo di rovesciare la
repubblica», una repubblica francese cui sarebbe dovuta succedere la repubblica
universale senza «eserciti permanenti, ma
con tutto il popolo armato [...] senza oppressione, schiavitù e dittature, ma
sovrana la nazione e cittadini liberi che si autogoverneranno (Louise
Michel)».
I proletari parigini erano
molto decisi a non cedere le armi né a Bismarck
né a Thiers.
Ottennero, quando ancora il governo francese fingeva di difendere la patria, un
reclutamento su vasta scala di guardie nazionali, per lo più di estrazione
proletaria, estranee all'esercito. Si impegnarono anche i materassi per
contribuire alla colletta per fondere i cannoni necessari alla difesa della
città assediata. Quindi non intendevano sentir parlare di pace, perché sapevano
benissimo chi avrebbe dovuto, ancora una volta, fare le spese dei «sacrifici»
per risarcire il re di Prussia. D'altra parte poterono toccar con mano che i
generali repubblicani non solo si dimostrarono incapaci, ma operarono
addirittura per il nemico, mandando le guardie nazionali a farsi massacrare
solo perché i superstiti si fossero convinti che non ci sarebbe restato altro
da fare che arrendersi.
A questo punto Parigi doveva:
o deporre le armi al comando di Thiers,
e riconoscere che la sua rivoluzione del 4
settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da Luigi
Bonaparte ai suoi rivali; oppure affrontare il sacrificio e andare avanti.
La città, stremata da una
carestia di cinque mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare
tutti i rischi della resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i
cannoni prussiani la minacciassero dai suoi stessi forti.
Il governo di Versailles
comunque aveva ancora suoi uomini che operavano a Parigi. Thiers
dovette convincersi che il predominio delle classi abbienti (grandi proprietari
fondiari e capitalisti) era in continuo pericolo finché gli operai di Parigi
avevano le armi nelle loro mani. Suo primo atto fu il tentativo di disarmarli.
Il governo aveva già fatto
diversi tentativi per recuperare le armi dei parigini: l'8 marzo il governo
aveva tentato di smobilitare l'artiglieria piazzata a Montmarte
e al Luxembourg; il 16 marzo, cercò di rimuovere con la forza i cannoni
installati in place des Vosges, due tentativi falliti per l'opposizione delle
guardie nazionali. Diversi sindaci borghesi, Clemenceau,
Tirard, Arnaud de l'Ariège, Martin intervennero con il ministro dell'Interno
Picard per evitare lo scontro, ma questi rimase inflessibile.
Il governo era determinato a
ripristinare la sua autorità a Parigi prima che i deputati, fino a quel momento
installati a Bordeaux, si riunissero a Versailles.
Allo stesso tempo, l'Assemblea nazionale aveva adottando una serie di misure
che alla fine predisporrà la popolazione alla guerra civile: l'eliminazione
delle moratorie sugli affitti, la paga giornaliera delle guardie nazionali.
La sera del 17 marzo, si tenne
a Versailles
un consiglio di guerra, Adolphe
Thiers riunì presso il ministero degli Affari Esteri il Consiglio dei
Ministri alla presenza del sindaco di Parigi Jules Ferry[3],
del prefetto di polizia Valentin e dei generali Aurelle, capo della Guardia
Nazionale, e Vinoy, governatore militare di Parigi. Si decise di usare la
forza e di rimuovere l’artiglieria che era depositata a Belleville
e Montmartre,
dove nessuno era stato messo a guardia dei cannoni.
Thiers
aveva ormai deciso che Parigi andava trattata come
«città infetta» e isolata dal corpo sano della nazione; decise allora di mandare una
moltitudine di sergents de ville
(guardie della polizia municipale) e di alcuni reggimenti di fanteria, in
spedizione notturna contro Montmartre,
per impadronirsi di sorpresa dell'artiglieria della Guardia
Nazionale e per “finirla una volta
per sempre con la «fine fleu de canaille» (il fior fiore della canaglia)”.
Il 18 marzo fu fatto un nuovo
tentativo.
Il piano ideato da Thiers
fu quello di suddividere a scacchiera Parigi per rendere vana qualsiasi
resistenza. Il generale Vinoy stabilì il suo quartier generale al Louvre.
Le brigate dei generali
Paturel e Lecomte
sotto gli ordini del generale di divisione Susbielle forte di circa 4.000
uomini, composti da reggimenti di linea, guardie repubblicane, guardiani armati
della pace, con le mitragliatrici, dovevano marciare su Montmartre.
La fanteria, la cavalleria e l’artiglieria dovevano rimanere di riserva.
La divisione del generale
Faron, forte di 6.000 uomini, composta anche questa da reggimenti di linea,
guardie repubblicane, guardiani armati della pace, con mitragliatrici e
artiglieria, dovevano impadronirsi della Buttes-Chaumont[4]
per controllare Bellevile
e Ménilmontant, occupare le stazioni ferroviarie gare du Nord e gare de l'Est.
La divisione del generale
Maud'huy doveva occupare l'Hôtel
de Ville, la place de la Bastille, l'Ile de la Cité, il ponte d’Austerlitz
e il porto dell'Arsenal.
Il generale Valentin, prefetto
di polizia, disponeva delle guardie repubblicane installate nelle caserme di
Lobau e nel quartiere la Cité, dei reggimenti di linea e di cavalleria, doveva
controllare le Tuileries, la Concorde e gli Champs-Elysees.
Allo stesso tempo, solo tre
membri del Comitato
centrale della Guardia nazionale erano in servizio presso la scuola di rue
Basfroi nell'11°
arrondissement.
Alle 3 del mattino di quel 18
marzo, truppe regolari comandate dal generale
Lecomte occuparono la riva destra della Senna e alcuni distaccamenti
salirono la china di Montmartre,
dispersero i Federati del 61° battaglione della Guardia
e cominciarono a trascinare i cannoni posti sul terrapieno della Butte
(collina) di Montmartre.
Il Comitato
di vigilanza del 18° arrondissement
diede l'allarme facendo suonare a martello le campane e ordinò di alzare
barricate nel quartiere.
I parigini non si fecero
sorprendere: l’allarme corse per tutta la città, al suono delle campane, dagli
ateliers operai e dai faubourg popolari una folla sempre più numerosa accorse a
difendere la Butte
su cui erano istallate le batterie. Numerosissime le donne: alla loro testa Louise
Michel, donna libera, o meglio, libertaria, che in futuro si dichiarò
anarchica, che da tempo lavorava alla creazione di una nuova, vera forza
politica tra le donne e le operaie parigine, che da sempre erano state comunque
alla testa di ogni moto e di ogni rivolta popolare come della grande
rivoluzione del 1789.
”Cominciarono
a suonare le campane [...] e i tamburi suonarono a raccolta [...] tutte le
strade che portavano all'altura si riempirono di una folla fremente. I
dimostranti erano in maggioranza donne, ma c'erano anche molti bambini, guardie
nazionali isolate uscivano in armi e si dirigevano verso lo Chateau-Rouge. Anche
Louise Michel, «con la carabina sotto il mantello», corse sulla collina, dove
erano saliti i battaglioni del 18° arrondissement (Edmond Lepelletiere: Histoire de la Commune de 1871)”.
Il generale
Lecomte ordinò più volte di sparare, ma non venne ubbidito. Quelle truppe,
che avevano sostenuto, con la Guardia
Nazionale e la stessa popolazione, il lungo assedio della città, si
rifiutarono di sparare: fu il sergente Verdaguer,
dell'88° reggimento, a dare l'ordine di abbassare le armi. Soldati e Federati
fraternizzarono, Lecomte,
che pretendeva a tutti i costi una strage, fu arrestato dai suoi stessi soldati
e condotto allo Château Rouge, la sede del comando di legione del 18°
arrondissement.
Era l'alba del 18 Marzo 1871.
Un uomo che stava ispezionando
una barricata di rue de
Martyr suscitò sospetti. Benché in abiti
civili, venne riconosciuto: era il generale
Clément-Thomas, uno dei massacratori degli operai parigini nel giugno
1848. Già comandante della Guardia
Nazionale, il precedente 14 febbraio ne aveva dato le dimissioni dopo la
disastrosa sortita di Buzenval, ma aveva continuato ad agire come spia del
governo, informandolo delle disposizioni delle barricate nel quartiere di Montmartre.
Venne trascinato dalla folla allo Château Rouge.
Le truppe del generale Paturel
si rimossero. Una parte della riserva del generale Subvielle, situata tra place
Pigalle, il boulevard e place Clichy fraternizzarono anch’essi col popolo parigino.
La permanenza del Comitato
Centrale della Guardia Nazionale fu rafforzata dai delegati che arrivarono
dai loro quartieri ancora tranquilli.
L'esercito si ammutina e passa dalla parte della rivoluzione in fraternizzare con la Guardia Nazionale |
Intorno alle 10 del mattino,
la notizia dei fatti raggiunse il governo. Apprese che le truppe del generale
Faron stavano fraternizzando e abbandonando le loro armi. C’erano barricate nel
faubourg Saint-Antoine, a Ménilmontant. Il governo e il comandante in capo
della Guardia
Nazionale, il generale d'Aurelle de Paladines, cercarono di organizzare
un'offensiva affidandosi alle guardie nazionali dei quartieri borghesi del
centro e ad ovest della capitale. Dei 12.000 previsti, solo 600 risposero alla
chiamata e si ritirarono quando notarono l’inferiorità della loro forza in
campo. Anche il generale
Vinoy, governatore di Parigi, decise di evacuare i quartieri della riva
sinistra della Senna e di riportare le truppe alla scuola militare.
Verso le 13 il generale
Lecomte venne trasferito a Montmartre
per ordine di un comitato
locale di vigilanza. Fu preso in carico dalla folla in festa e dai suoi
stessi soldati. A lui si aggiunse l’altro prigioniero, il generale Clément-Thomas.
Verso le 14 il Comitato
Centrale della Guardia Nazionale ordinò a tutti i battaglioni di convergere
sull’Hôtel
de Ville, il Municipio, (una mossa che alcuni di loro avevano già
iniziato). In quel tempo, Montmartre,
la stazione ferroviaria di Sceaux, il municipio del quattordicesimo
arrondissement, la stazione
ferroviaria di Orleans, il Jardin des Plantes, il Palazzo
del Luxembourg, il municipio del quinto
arrondissement erano nelle mani dei ribelli.
Una colonna proveniente da Montmartre
camminava verso place Vendôme, dove si trovava la sede della Guardia
Nazionale. Nel primo pomeriggio il Comitato
Centrale diede ordine di occupare le caserme, gli edifici governativi.
Intorno alle 3 del pomeriggio
il governo, che era tornato dal suo pranzo, si divise sulla condotta da
prendere: lasciare Parigi per tornarvi in forze od organizzare la resistenza
nei distretti occidentali. Sconvolto dalla visione dalle guardie nazionali che
sfilavano davanti al ministero dove erano riuniti i membri del governo, Thiers
decise di lasciare Parigi per Versailles
e ordinò di preparare la totale evacuazione delle truppe e la partenza di tutti
i funzionari.
Verso le quattro del
pomeriggio, a Montmartre,
la folla scatenata attaccò la postazione di rue
des Rosiers[5] dove c’erano
i generali Lecomte
e Clément-Thomas.
I due furono condotti nel giardino di rue
des Rosiers. Nessuna voce responsabile si
oppose alla folla che urlava: “AI muro, al muro!”. Addossati al muro del
cortile, Lecomte
e Thomas
furono crivellati di pallottole, nonostante l'intervento il Comitato
di vigilanza di Montmartre e il sindaco del diciottesimo
arrondissement, Clemenceau.
I generali Lecomte e Clément-Thomas davanti al plotone di esecuzione |
Iniziò
l'insurrezione.
Un po' più tardi, il generale
Chanzy sfuggì allo stesso destino. L'Hôtel
de Ville, dove Jules Ferry[3] tentò di organizzare la resistenza, venne
abbandonato dai soldati.
L'eroe della giornata, il
sergente Verdaguer,
che aderì alla Comune comandando il 91° battaglione della Guardia
Nazionale, fu colpito dalla vendetta della Repubblica di Thiers,
venendo condannato a morte e fucilato il 22 febbraio 1872.
Ecco come Louise
Michel racconta gli avvenimenti di quella mattina:
“Nell'alba che si levava, si sentiva la campana a martello; noi salivamo
a passo di carica sapendo che alla sommità vi era un'armata schierata a
battaglia. Noi pensavamo di morire per la libertà.
Si
era come sollevati da terra. Morti noi, Parigi si sarebbe risollevata. La folla
in certe ore è l'avanguardia dell'oceano umano.
L'altura
era circondata da una luce bianca, un'alba splendida di liberazione.
Ad
un tratto vidi mia madre presso di me e provai un'angoscia spaventosa: inquieta
essa era venuta; tutte le donne erano salite nello stesso tempo con noi, non so
come. Non era la morte che ci attendeva sulle alture ove già l'armata allineava
i cannoni, per unirli a quelli di Batignolles rubati durante la notte, ma la
sorpresa di una vittoria popolare.
Fra
noi e l'armata, le donne si gettano sui cannoni, sulle mitragliatrici: i
soldati rimangono immobili.
Mentre
il generale Lecomte
comanda il fuoco sulla folla, un sott'ufficiale uscendo dalle file si pone
davanti alla sua compagnia e grida più forte di Lecome:
calcio in aria! I soldati obbediscono. Era Verdaguer
che fu per questo fatto fucilato da Versailles
qualche mese dopo.
La
rivoluzione era fatta.
Lecomte
arrestato nel momento in cui per la terza volta ordinava di far fuoco, venne
condotto in rue
des Rosiers ove fu raggiunto da Clément-Thomas,
riconosciuto mentre sotto abiti civili studiava le barricate di Montmartre.
Secondo
le leggi di guerra essi dovevano perire. Condotti da Chateau-Rouge in rue
des Rosiers Clément-Thomas
e Lecomte
furono fucilati verso le quattro in rue
des Rosiers (Louise
Michel, La
Comune)”.
ebbero sopratutto come avversari i propri
soldati.
Il
muto accumularsi delle torture permesse dalla disciplina militare è causa anche
di risentimenti implacabili.
Quand'anche
i rivoluzionari di Montmartre
avessero potuto salvare i generali dalla morte che ben meritavano, malgrado la
condanna già vecchia di Clément-Thomas
per i fatti di giugno, la collera l'avrebbe impedito: un colpo parte, i fucili
si scaricano da sè stessi.
Clément-Thomas
e Lecomte
furono fucilati verso le quattro in rue
des Rosiers (Louise
Michel, La
Comune)”.
Il 128º battaglione della Guardia
Nazionale recuperò i cannoni, una carica dei cacciatori a cavallo fu
respinta in place Pigalle, le poche centinaia di guardie repubblicane fedeli al
governo si dispersero.
Il generale D'Aurelle de
Paladines ottimisticamente aveva stampato in anticipo il suo bollettino di
vittoria e Thiers
aveva pronti i manifesti che dovevano annunciare le sue misure da colpo di
stato. Bollettino e manifesti vennero di conseguenza sostituiti dagli appelli
in cui Thiers
rendeva nota la sua magnanima decisione di lasciare la Guardia
Nazionale in possesso delle sue armi, con le quali, diceva, essa si sarebbe
sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300.000 guardie
nazionali solo 300 risposero a questo appello di raccogliersi, contro se
stesse, attorno a Thiers.
Mentre nei
sobborghi popolari già si innalzavano barricate, nel centro di Parigi la gente
passeggiava ancora come se nulla fosse accaduto, i caffé erano animati come di
consueto e le carrozze sfilavano lente lungo i boulevards. Ma Thiers ricavò subito la lezione degli eventi e decise di
affrettare il trasferimento dei ministeri da Parigi a Versailles. Disponeva di circa 20.000 soldati non più
affidabili (come dimostrò l’ammutinamento della divisione Lecomte) e rimanere
a Parigi sarebbe stato un suicidio. Provvide quindi affinché la polizia, le
truppe e i funzionari governativi lasciassero al più presto la capitale, ed
egli stesso diede l'esempio ordinando al suo cocchiere di far partire i
cavalli pancia a terra. Protetto da uno squadrone di ussari, l'occhialuto e
grassoccio signor Thiers si sporse continuamente dal finestrino esortando:
“Presto, presto! Finché non saremo al ponte di Sèvres, c'è pericolo!”.
Verso le 8 di sera, il
quartier generale della Guardia
Nazionale, in place Vendôme, il quartier generale della polizia (vuoto) era
nelle mani dei ribelli mentre l'Hôtel
de Ville era circondato. Gli ordini del Comitato
centrale erano puramente difensivi: «Barricate
ovunque. Non attaccare».
L’ultimo battaglione che
circondava l'Hôtel
de Ville si ritirò. Jules Ferry[3] ricevette l'ordine di abbandonare l'Hôtel
de Ville. Verso le 23, l'Hôtel
de Ville era invaso e il Comitato
Centrale della Guardia Nazionale vi s'installò. Alla cima dell’edificio
venne issata la bandiera
rossa. La bandiera
rossa diviene simbolo della Comune,
definita «la bandiera della repubblica universale».
Non furono invece occupate la
Posta centrale, la Banca di Francia e il forte di Mont-Valérien. Si
cominciarono a costruire le barricate.
Molti quartieri, specialmente
in Occidente e nel centro della capitale, non erano controllati dagli insorti.
Vittorioso a Parigi, il Comitato
Centrale rifiutò di marciare su Versailles
come alcuni lo consigliarono. Il suo scopo non era la presa del potere, ma la
resistenza ad un colpo di forza del governo, le cui intenzioni primitive
rimanevano oscure.
Marx
scrisse: “Il Comitato
Centrale si rese colpevole di un errore fatale col non marciare
subito contro Versailles, allora completamente indifesa, e così porre fine
ai complotti di Thiers e dei suoi rurali”.
Ma come
potevano gli ideologi che avevano speso una vita per condannare moralmente le
guerre, essere proprio loro a dare il segnale della guerra civile? Il Comitato
Centrale sentì innanzitutto il bisogno di giustificarsi con la stesura di
un manifesto in cui si leggeva: “Due soli uomini,
che si erano resi impopolari con atti che noi oggi qualifichiamo iniqui, sono
stati colpiti da un moto di indignazione popolare... Per rendere omaggio alla
verità, dichiariamo di essere estranei a queste due esecuzioni. La
morte di Lecomte
e Clément-Thomas è quindi messa sul
conto del governo di Versailles, che ha
condotto contro di noi i nostri fratelli dell'esercito per impadronirsi dei cannoni e provocare e
i parigini".
“La
sera del 18 marzo gli ufficiali che erano stati prigionieri con Lecomte
e Clément-Thomas
furono messi in libertà da Jaclard
e Ferré.
Non si volevano né debolezze né crudeltà inutili (Louise
Michel, La
Comune)”.
Tra l’entusiasmo e la sorpresa
per la rapidità degli eventi nacque, venne proclamata la Comune. Quella Comune
di Parigi, primo esempio di autogoverno democratico, socialista, libertario
nell’Europa del nascente capitalismo, che verrà abbattuta pochi mesi dopo nel
sangue ma che diventerà sino a oggi simbolo e mito, nella vittoria come nella
sconfitta, di tutte le lotte e le insorgenze operaie e proletarie.
I canoni di Montmartre |
L'esercito si ammutina e passa dalla parte della rivoluzione in fraternizzare con la Guardia Nazionale |
Barricata del 18 marzo |
[1] Per proudhoniani s’intendono
definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph
Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti
studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì
socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società
libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i
problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi
basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il
controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non
del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli
insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.
[2] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e
attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta,
del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria
combattiva. Deve il suo nome allo
scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[3] Jules François Camille Ferry
(Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un
politico francese, oppositore di Napoleone III e tra le più eminenti
personalità del partito repubblicano nella Terza Repubblica francese. Attraverso
una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie operate dal barone
Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a questa sua
iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi.
D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi
alla proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un
patrimonio dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.
[4] Colline Chaumont.
[5] Rue des Rosiers è stata rasa al momento
della costruzione della Basilica del Sacro Cuore ed è l'attuale rue du
Chevalier-de-La-Barre che occupa parte del sito. Non dovrebbe essere confusa
con l'attuale rue des Rosiers.