domenica 15 marzo 2020

04-17 - La Commune révolutionnaire

LA COMUNIONE RIVOLUZIONARIA

 

 

Dopo il fallimento dell'Internazionale, l'idea fu di ricostituire un partito rivoluzionario in ogni paese. I blanquisti[1] (Ernest Granger, Frédéric Cournet, Gabriel Ranvier ...) fondarono quindi a Londra, attorno ad Émile Eudes, una sezione rivoluzionaria strettamente socialista. Sotto il nome di Commune révolutionnaire, formano, con il gruppo costituito a New York, l'unico gruppo omogeneo dei proscritti Comunardi. Nel giugno del 1874, il manifesto ateo, comunista e rivoluzionario, Aux Communeux destò clamore. Scritto da Vaillant e sostenuto da trentatré nomi, rivendicò la violenza della Comune.

 

 

Ai comunardi

La Comune rivoluzionaria

Acta, non verba. (Amilcare Cipriani.)

Dopo tre anni di compressione, di massacri, la reazione vede il terrore cessare di essere un mezzo di governo nelle sue mani indebolite.

Dopo tre anni di potere assoluto, i vincitori della Comune vedono la Nazione, riprendere poco a poco vita e coscienza, sfuggire al loro abbraccio.

Uniti contro la rivoluzione, ma divisi tra loro, usano la loro violenza e riducono con il loro dissenso questo potere combattivo, unica speranza per mantenere i loro privilegi.

In una società in cui ogni giorno scompaiono le condizioni che hanno portato il suo impero, la borghesia cerca invano di perpetuarlo; sognando l'opera impossibile di fermare il corso del tempo, vuole immobilizzare nel presente, o far retrocedere nel passato, una nazione che la Rivoluzione porta con sé.

I mandatari di questa borghesia, questo stato maggiore della reazione installata a Versailles, sembrano non avere altra missione che manifestarne la decadenza per la loro incapacità politica, e precipitarne la caduta per la loro impotenza. Gli uni chiamano un re, un imperatore, gli altri mascherano col nome di Repubblica la forma perfezionata di asservimento che vogliono imporre al popolo.

Ma qualunque sia l'esito dei tentativi di Versailles, monarchia o Repubblica borghese, il risultato sarà lo stesso: la caduta di Versailles, la rivincita della Comune.

Perché arriviamo a uno di quei grandi momenti storici, a una di quelle grandi crisi, in cui il popolo, mentre sembra rovinarsi nelle sue miserie e fermarsi nella morte, riprende con nuovo vigore il suo cammino rivoluzionario.

La vittoria non sarà il premio di un solo giorno di lotta, ma la lotta ricomincerà, i vincitori dovranno contare con i vinti.

Questa situazione crea nuovi doveri per i proscritti. Di fronte alla crescente dissoluzione delle forze reazionarie, di fronte alla possibilità di un'azione più efficace, non basta mantenere l'integrità della proscrizione difendendola dagli attacchi della polizia, ma si tratta di unire i nostri sforzi a quelli dei comuni di Francia, per liberare i nostri caduti nelle mani del nemico e preparare la vendetta.

Ci sembra dunque giunto il momento di affermare, di dichiarare, ciò che è vivo nella proscrizione.

È quello che viene a fare oggi il gruppo: LA COMUNE RIVOLUZIONARIA.

Perché è tempo che essi si riconoscano che atei, comunisti, rivoluzionari, progettando la Rivoluzione allo stesso modo nel suo scopo e nei suoi mezzi, vogliono riprendere la lotta e per questa lotta decisiva ricostituire il partito della Rivoluzione, il partito della Comune.

Noi siamo Atei, perché l'uomo non sarà mai libero, finché non avrà scacciato Dio dalla sua intelligenza e ragione.

Prodotto della visione dell'ignoto, creata dall'ignoranza, sfruttata dalla trama e subita dall'imbecillità, questa nozione mostruosa di un essere, di un principio al di fuori del mondo e dell'uomo, forma la trama di tutte le miserie in cui si è dibattuta l'umanità, e costituisce l'ostacolo principale alla sua emancipazione. Finché la visione mistica della divinità oscurerà il mondo, l'uomo non potrà né conoscerlo né possederlo; invece della scienza e della felicità, non vi troverà che la schiavitù della miseria e dell'ignoranza.

È in virtù di questa idea di un essere al di fuori del mondo e il governante, che si sono verificate tutte le forme di schiavitù morale e sociale: religioni, dispotismi, proprietà, classi, sotto le quali geme e sanguina l'umanità.

Espellere Dio dal campo della conoscenza, espellerlo dalla società, è la legge per l'uomo se vuole arrivare alla scienza, se vuole realizzare lo scopo della rivoluzione.

Bisogna negare questo errore generatore di tutti gli altri, perché è attraverso di esso che da secoli l'uomo è piegato, incatenato, spogliato, martirizzato.

Che la Comune liberi per sempre l'umanità da questo spettro delle sue miserie passate, da questa causa delle sue miserie presenti.

Nella Comune non c'è posto per il sacerdote: ogni manifestazione, ogni organizzazione religiosa deve essere bandita.

Siamo comunisti perché vogliamo che la terra, che le ricchezze naturali non siano più appropriate da alcuni, ma che appartengano alla Comunità. Perché vogliamo che, liberi da ogni oppressione, padroni finalmente di tutti gli strumenti di produzione: terra, fabbriche, ecc., i lavoratori facciano del mondo un luogo di benessere e non più di miseria.

Oggi, come in passato, la maggioranza degli uomini è condannata a lavorare per il mantenimento del godimento di un piccolo numero di sorveglianti e di maestri.

Ultima espressione di tutte le forme di servitù, il dominio borghese ha liberato lo sfruttamento del lavoro dai veli mistici che lo oscuravano; governi, religioni, famiglia, leggi, istituzioni del passato, come del presente, si sono finalmente mostrati, in questa società ridotta ai termini semplici di capitalisti e di salariati, come gli strumenti di oppressione mediante i quali la borghesia mantiene il suo dominio, contiene il Proletariato.

Prelevando per aumentare le sue ricchezze tutto il surplus del prodotto del lavoro, il capitalista lascia al lavoratore solo ciò di cui ha bisogno per non morire di fame.

Tenuto dalla forza in questo inferno della produzione capitalistica, della proprietà, sembra che il lavoratore non possa rompere le sue catene.

Ma il proletariato è finalmente giunto a prendere coscienza di se stesso: sa che porta in sé gli elementi della società nuova, che la sua liberazione sarà il prezzo della sua vittoria sulla borghesia e che, questa classe annientata, le classi saranno abolite, lo scopo della Rivoluzione raggiunto.

Siamo comunisti, perché vogliamo raggiungere questo obiettivo senza fermarci ai mezzi termini, compromesso che, ritardando la vittoria, sono un prolungamento di schiavitù.

Distruggendo la proprietà individuale, il Comunismo fa cadere una ad una tutte queste istituzioni la cui proprietà è il perno.

Cacciato dalla sua proprietà, dove con la sua famiglia, come in una fortezza tiene guarnigione, il ricco non troverà più asilo per il suo egoismo e i suoi privilegi.

Con l'annientamento delle classi, scompariranno tutte le istituzioni oppressive dell'individuo e del gruppo la cui unica ragione era il mantenimento di queste classi, l'asservimento del lavoratore ai suoi padroni.

L'istruzione aperta a tutti darà questa uguaglianza intellettuale senza la quale l'uguaglianza materiale sarebbe senza valore.

Più salariati, vittime della miseria, dell'insolidarità, della concorrenza, ma l'unione di lavoratori uguali, che ripartiscono il lavoro tra loro, per ottenere il maggior sviluppo della Comunità, la somma più grande di benessere per ciascuno. Perché ogni cittadino troverà la più grande libertà, la più grande espansione della sua individualità, nella più grande espansione della Comunità.

Questo stato sarà il prezzo della lotta e vogliamo questa lotta senza compromessi né tregua, fino alla distruzione della borghesia, fino al trionfo definitivo.

Siamo comunisti, perché il comunismo è la negazione più radicale della società che vogliamo rovesciare, l'affermazione più netta della società che vogliamo fondare.

Perché, dottrina dell'uguaglianza sociale, essa è più di ogni dottrina la negazione del dominio borghese, l'affermazione della Rivoluzione. Perché, nella sua lotta contro la borghesia, il proletariato trova nel comunismo l'espressione dei suoi interessi, la regola della sua azione.

Noi siamo Rivoluzionari, altrimenti Comuni, perché volendo la vittoria, ne vogliamo i mezzi. Perché, comprendendo le condizioni della lotta, e volendo soddisfarle, vogliamo la più forte organizzazione di combattimento, la coalizione degli sforzi, non la loro dispersione, ma la loro centralizzazione.

Siamo rivoluzionari, perché per realizzare lo scopo della Rivoluzione, vogliamo rovesciare con la forza una società che si mantiene solo con la forza. Perché sappiamo che la debolezza, come la legalità, uccide le rivoluzioni, che l'energia le salva. Perché riconosciamo che bisogna conquistare questo potere politico che la borghesia custodisce in modo geloso, per il mantenimento dei suoi privilegi. Perché in un periodo rivoluzionario, in cui le istituzioni della società attuale dovranno essere falciate, la dittatura del proletariato dovrà essere stabilita e mantenuta fino a quando, nel mondo libero, non vi siano più che cittadini uguali della società nuova.

Movimento verso un mondo nuovo di giustizia e di uguaglianza, la Rivoluzione porta in sé la propria legge e tutto ciò che si oppone al suo trionfo deve essere schiacciato.

Siamo rivoluzionari, vogliamo la Comune, perché vediamo nella Comune futura, come in quelle del 1793 e del 1871, non il tentativo egoistico di una città, ma la Rivoluzione trionfante in tutto il paese: la Repubblica Comune. Perché la Comune è il Proletariato rivoluzionario armato della dittatura, per l'annientamento dei privilegi, per lo schiacciamento della borghesia.

La Comune è la forma militante della Rivoluzione sociale. È la Rivoluzione in piedi, padrona dei suoi nemici. La Comune è il periodo rivoluzionario da cui uscirà la nuova società.

La Comune, non dimentichiamolo, noi che abbiamo ricevuto l'onere della memoria e della vendetta degli assassinati, è anche la rivincita.

Nella grande battaglia, intrapresa tra la borghesia e il proletariato; tra la società attuale e la Rivoluzione, le due parti sono ben distinte, c'è confusione possibile solo per l'imbecillità o il tradimento.

Da una parte tutti i partiti borghesi: legittimisti, orleanisti, bonapartisti, repubblicani conservatori o radicali, dall'altra il partito della Comune, il partito della Rivoluzione, il vecchio mondo contro il nuovo.

Già la vita ha lasciato molte di queste forme del passato, e le varietà monarchiche si risolvono, alla fine, nell'immondo Bonapartismo.

Quanto ai partiti che, sotto il nome di repubblica conservatrice o radicale, vorrebbero immobilizzare la società nello sfruttamento continuo del popolo da parte della borghesia, direttamente, senza intermediari reali, radicali o conservatori, Essi differiscono più per l'etichetta che per il contenuto; piuttosto che per idee diverse, rappresentano le tappe che la borghesia percorrerà, prima di incontrare nella vittoria del popolo la sua rovina definitiva.

Fingendo di credere nell'inganno del suffragio universale, vorrebbero far accettare al popolo questo modo di fuga periodica della Rivoluzione; vorrebbero vedere il partito della Rivoluzione entrare nell'ordine legale della società borghese, con ciò stesso cessare di essere, e la minoranza rivoluzionaria abdicare davanti all'opinione media e falsificata di maggioranze sottoposte a tutte le influenze dell'ignoranza e del privilegio.

I radicali saranno gli ultimi difensori del mondo borghese morente; attorno a loro saranno radunati tutti i rappresentanti del passato, per portare avanti la lotta ultima contro la Rivoluzione. La fine dei radicali sarà la fine della borghesia.

Appena usciti dai massacri della Comune, ricordiamo a coloro che sarebbero tentati di dimenticarlo che la sinistra versaillaise, non meno che la destra, ha ordinato il massacro di Parigi, e che l'esercito dei massacratori ha ricevuto le congratulazioni degli uni come quelle degli altri. Versaillais di destra e Versaillais di sinistra devono essere uguali davanti all'odio del popolo; perché contro di lui, sempre, radicali e gesuiti sono d'accordo.

Non ci possono dunque essere errori e qualsiasi compromesso, ogni alleanza con i radicali deve essere considerata tradimento.

Più vicino a noi, vagando tra le due parti, o addirittura smarriti nelle nostre fila, troviamo uomini la cui amicizia, più funesta dell'inimicizia, rinvierebbe indefinitamente la vittoria del popolo se seguisse i loro consigli, se si lasciasse ingannare dalle loro illusioni.

Limitando più o meno i mezzi di combattimento a quelli della lotta economica, predicano a gradi diversi l'astensione della lotta armata, della lotta politica.

Erigendo a teoria la disorganizzazione delle forze popolari, sembrano di fronte alla borghesia armata, mentre si tratta di concentrare gli sforzi per una lotta suprema, non volere che organizzare la sconfitta e consegnare il popolo disarmato ai colpi dei suoi nemici.

Non comprendendo che la Rivoluzione è il cammino cosciente e voluto dell'umanità, verso lo scopo che le assegnano il suo sviluppo storico e la sua natura, Mettono le immagini della loro fantasia al posto della realtà delle cose e vorrebbero sostituire al rapido movimento della Rivoluzione le lentezze di un'evoluzione di cui si fanno i profeti.

Amanti delle mezze misure, fautori di compromessi, perdono le vittorie popolari che non hanno potuto impedire; risparmiano, con il pretesto della pietà, i vinti; difendono, con il pretesto dell'equità, le istituzioni, gli interessi di una società contro cui il popolo si era alzato:

Diffamano le rivoluzioni quando non possono più perderle.

Si fanno chiamare comunalisti.

Invece dello sforzo rivoluzionario del popolo di Parigi per conquistare l'intero paese alla Repubblica Commutatrice, vedono nella Rivoluzione del 18 marzo una sollevazione per delle franchigie comunali.

Essi rinnegano gli atti di questa Rivoluzione che non hanno capito, probabilmente per risparmiare i nervi di una borghesia, di cui sanno così bene risparmiare la vita e gli interessi. Dimenticando che una società muore solo quando viene colpita sia nei suoi monumenti, nei suoi simboli, sia nelle sue istituzioni e nei suoi difensori, vogliono scaricare la Comune dalla responsabilità dell'esecuzione degli ostaggi, della responsabilità degli incendi. Ignorano o fingono di ignorare, che è per volontà del Popolo e della Comune uniti fino all'ultimo momento, che sono stati picchiati gli ostaggi, preti, gendarmi, borghesi e appiccati gli incendi.

Per noi, rivendichiamo la nostra parte di responsabilità in questi atti giustizieri che hanno colpito i nemici del Popolo, da Clemente Tommaso e Lecomte fino ai domenicani di Arcueil; da Bonjean fino ai gendarmi di rue Haxo; da Darboy fino a Chaudey.

Rivendichiamo la nostra parte di responsabilità in questi incendi che distrussero strumenti di oppressione monarchica e borghese o proteggevano i combattenti.

Come potremmo fingere la pietà per gli oppressori secolari del Popolo, per i complici di quegli uomini che da tre anni celebrano il loro trionfo con la sparatoria, la trasportazione, lo schiacciamento di tutti i nostri che hanno potuto sfuggire al massacro immediato.

Vediamo ancora questi omicidi senza fine, di uomini, donne, bambini; questi sgozzamenti che facevano scorrere il sangue del Popolo nelle strade, nelle caserme, nelle piazze, negli ospedali, nelle case. Vediamo i feriti sepolti con i morti; vediamo Versailles, Satory, i pontoni, la prigione, la Nuova Caledonia. Vediamo Parigi, la Francia, piegati sotto il terrore, lo schiacciamento continuo, l'assassinio in permanenza.

Comunardi di Francia, Proscrits, uniamo i nostri sforzi contro il nemico comune; ciascuno, nella misura delle sue forze, faccia il suo dovere.

 

Il Gruppo: La Comune Rivoluzionaria.

Aberlen, Berton, Breuillé, Carné, Jean Clement, F. Cournet, Ch. Dacosta, Delle, A. Derouilla, E. Eudes, H. Gausseron, E. Gois, A. Goullé, E. Granger, A. Huguenot, E Jouanin, Ledrux, Léonce, Luillier, P. Mallet, Marguerittes, Constant-Martin, A. Moreau, H. Mortier, A. Oldrini, Pichon, A. Poirier, Rysto, B. Sachs, Solignac, Ed. Vaillant, Varlet , Viard.

Londra, giugno 1874.

 

 

 

Il programma degli emigrati blanquisti della Comune – Friedrich Engels, giugno 1874

 

Dopo ogni rivoluzione o controrivoluzione abortita, i rivoluzionari fuggiti all'estero mostrano un'attività febbrile. Abbiamo trovato gruppi politici di varie sfumature, ognuno dei quali rimprovera agli altri di aver portato il carro nel pantano e li accusa di tradimento e di ogni sorta di altri peccati mortali. In questo modo si rimane in stretto contatto con il paese natale, ci si organizza, si cospira, si pubblicano volantini e giornali, si giura che tra ventiquattro ore "ricomincerà" e che la vittoria è assicurata, in previsione della quale si ripartiscono in anticipo i posti governativi. Naturalmente, si va da delusione in delusione, e poiché non si ricollega i propri problemi alle condizioni storiche che ci si rifiuta di comprendere, e li si attribuisce agli errori fortuiti di persone isolate, le reciproche accuse si accumulano e questo si conclude con uno scontro generale. Questa è la storia di tutti i fuggiaschi, dagli esuli realisti del 1792 ai nostri giorni; quelli degli esuli che conservano le loro menti e il loro buon senso cercano di allontanarsi il più possibile dai battibecchi sterili non appena si presenta la possibilità di farlo con tatto, e intraprendono qualcosa di meglio.

I fuoriusciti francesi dopo la Comune non sfuggirono a questo destino.

Come risultato della campagna di calunnia che li ha colpiti in tutta Europa e specialmente a Londra, perché è lì che risiede il luogo comune che hanno trovato nel Consiglio Generale dell'Internazionale, per un certo periodo, non fosse altro che di fronte al mondo esterno, essi devono aver dovuto contenere i loro litigi intestini, ma negli ultimi due anni non sono stati più in grado di nascondere la loro disgregazione accelerata. Ovunque scoppiò una franca ostilità. In Svizzera, una parte degli esuli, in particolare sotto l'influenza di Malon, che fu lui stesso uno dei fondatori dell'Alleanza Segreta, si radunò presso i bakuninisti. Poi, a Londra, i cosiddetti blanquisti[1] si separarono dall'Internazionale per formare un gruppo autonomo chiamato "Comune Rivoluzionaria". In seguito emersero molti altri gruppi, che tuttavia rimasero in uno stato di perpetua trasformazione e rimpasto e non fecero nulla di valore, anche in materia di manifesti; i blanquisti[1], invece, hanno appena fatto conoscere il loro programma al mondo intero in un proclamazione ai "Comunardi".

Se si definiscono blanquisti[1], non è perché rappresentano un gruppo fondato da Blanqui - dei trentatré firmatari del programma, due o tre al massimo hanno avuto modo di parlargli - ma perché 'vogliono agire nel suo spirito e secondo la sua tradizione. Blanqui è essenzialmente un rivoluzionario politico; è solo un socialista di sentimento, per simpatia per le sofferenze della gente, ma non ha una teoria socialista o piani pratici per la trasformazione sociale. Nella sua attività politica era soprattutto un "uomo d'azione" che credeva che una piccola minoranza ben organizzata potesse, tentando al momento opportuno di svolgere un colpo di mano rivoluzionario, trascinare al suo seguito, con qualche primo successo, la massa del popolo e realizzare così una rivoluzione vittoriosa. Sotto Luigi Filippo non poteva evidentemente costituire questo nucleo se non nella forma di una società segreta, e il risultato fu quello della maggior parte delle cospirazioni: il popolo stanco di essere sempre fermo e di sentirsi promettere che questa non avrebbe tardato, finirono per perdere la pazienza, si ribellarono, e si dovette scegliere l'alternativa: o lasciare che la congiura si dissolva, o iniziare l'insurrezione senza motivo apparente. L'insurrezione fu scatenata (il 12 maggio 1839) e immediatamente repressa. Questa cospirazione di Blanqui era stata inoltre l'unica in cui la polizia non era riuscita a prendere piede; il colpo lì colse di sorpresa. Dall'idea blanquisti[1] che ogni rivoluzione è opera di una piccola minoranza deriva automaticamente la necessità di una dittatura dopo il successo dell'insurrezione, di una dittatura che naturalmente non coinvolge tutta la classe rivoluzionaria, il proletariato, ma il piccolo numero di coloro che hanno fatto la rivolta e che, a loro volta, sono partecipi in anticipo alla dittatura di una o più persone.

Si vede che Blanqui è un rivoluzionario della generazione precedente.

Queste idee sulla marcia degli eventi rivoluzionari sono nettamente superate, in ogni caso per il partito operaio tedesco, e anche in Francia non possono sedurre che gli operai meno maturi o più impazienti. Vedremo anche che nel programma in questione queste idee hanno subito alcune restrizioni. Ma anche i nostri blanquisti londinesi si ispirano al principio che le rivoluzioni non si fanno da sole; che sono opera di una minorità abbastanza ristretta che agisce secondo un piano prestabilito; infine, che questo "inizierà presto", da un momento all'altro.

Coloro che hanno tali principi diventano evidentemente vittime di qualsiasi illusione di emigrati e moltiplicano le sciocchezze. Vorrebbero tanto fare i bianchi, gli "uomini d'azione". Ma qui la buona volontà non basta; l'istinto rivoluzionario di Blanqui, la sua risoluzione non è dato a tutti, e Amleto potrà parlare di energia, sarà sempre Amleto. E quando i nostri trentatré uomini d'azione non hanno assolutamente nulla a che fare con ciò che chiamano azione, i nostri trentatré Bruti cadono in una contraddizione interiore piuttosto comica che tragica, Contraddizione che non diventa affatto tragica per il fatto che vanno in giro, la mina oscura, come altrettanti "Moros che nascondono un pugnale nei loro vestiti", cosa che del resto non verrebbe mai loro in mente. Che cosa possono fare? Essi preparano la seguente "esplosione", stilando in anticipo le liste di proscrizione per epurare i ranghi di coloro che hanno partecipato alla Comune; per questo gli altri emigrati li qualificano puri. Non so se accettano questo titolo, ma ce ne sono alcuni che lo apprezzerebbero molto. Le loro riunioni si svolgono a porte chiuse e le loro decisioni devono essere tenute segrete, il che non impedisce peraltro a tutto il quartiere francese di gridarlo sui tetti la mattina seguente. E, come succede sempre a questi uomini d'azione seri che non hanno nulla a che fare, hanno iniziato una disputa prima personale e poi letteraria con un degno avversario, uno degli individui più sospetti della piccola stampa parigina, un certo Vermersh che pubblicò sotto la Comune Le Père Duchêne, triste caricatura del giornale di Hébert[2] del 1793

In risposta alla loro indignazione virtuosa, questo nobile cavaliere li chiama tutti, in un pamphlet, "filous o complici" e riversa su di loro una ricchissima collezione di ingiurie oscene:

Ogni parola è un vaso di notte ben riempito.

Ed è questo l'avversario con il quale i trentatré Bruti giudicano bene attaccarsi in pubblico! Non c'è dubbio che dopo una guerra estenuante, dopo la carestia di Parigi e soprattutto dopo l'orribile massacro del maggio 1871, il proletariato parigino ha bisogno di una lunga tregua per recuperare le forze e che ogni tentativo prematuro di insurrezione rischia di sfociare in una nuova sconfitta, forse ancora più spaventosa. I nostri blanquisti non la pensano così.

La disgregazione della maggioranza monarchica a Versailles annuncerebbe, secondo loro:

La caduta di Versailles, la rivincita della Comune. Perché arriviamo a uno di quei grandi momenti storici, a una di quelle grandi crisi, in cui il popolo, mentre sembra rovinarsi nelle sue miserie e fermarsi nella morte, riprende con nuovo vigore il suo cammino rivoluzionario.

Quindi sta succedendo di nuovo, e subito. Questa speranza di una "rivincita immediata della Comune" non è una semplice illusione di emigrati; è un simbolo di fede indispensabile per coloro che si sono messi in testa di essere "uomini d'azione" in un momento in cui non c'è assolutamente nulla da fare nel loro campo, quello dell'insurrezione rivoluzionaria.

Tanto peggio. Come si comincia, hanno l'impressione che "è giunto il momento in cui tutti gli emigrati che hanno mantenuto qualche vitalità devono prendere posizione".

E i trentatré ci dichiarano di essere 1) atei, 2) comunisti, 3) rivoluzionari.

I nostri blanquisti hanno questo in comune con i bakuninisti che pretendono di rappresentare la corrente più avanzata, più estrema. Per questo motivo, per quanto opposti possano essere i loro scopi, spesso hanno mezzi simili. Si tratta dunque di essere più radicali di tutti gli altri per quanto riguarda l'ateismo. Essere atei al giorno d'oggi non è più stregone per fortuna.

L'ateismo è una cosa quasi ovvia nei partiti operai europei, anche se in alcuni paesi ha lo stesso carattere dell'ateismo di questo bakuninista spagnolo che ha dichiarato: "Credere in Dio è contrario a qualsiasi socialismo, ma credere nella Madonna è diverso, ogni socialista che si rispetti deve credere in essa." Si può anche dire della grande maggioranza degli operai socialdemocratici tedeschi che l'ateismo è per loro una tappa superata; questa definizione puramente negativa non è più loro applicabile, poiché si oppongono alla credenza in Dio praticamente e non più teoricamente; Hanno finito con Dio, vivono e pensano nel mondo reale ed è per questo che sono materialisti. Probabilmente anche in Francia. Altrimenti, cosa c'è di più semplice che diffondere tra gli operai l'eccellente letteratura materialistica del secolo scorso, letteratura che è finora, sia per forma che per contenuto, un capolavoro dello spirito francese, e che - tenuto conto del livello della scienza all'epoca - è sempre infinitamente elevata quanto al contenuto e di una perfezione incomparabile quanto alla forma. Ma non è alla convenienza dei blanquisti. Per dimostrare che sono i più radicali di tutti, aboliscono Dio per decreto, come nel 1793:

Che la Comune liberi per sempre l'umanità da questo spettro delle sue miserie passate (Dio), "da questa causa" (Dio inesistente sarebbe una causa!), dalle sue miserie presenti. Nella Comune non c'è posto per il sacerdote; ogni manifestazione, ogni organizzazione religiosa deve essere bandita.

E questa esigenza di trasformare le persone in atei per ordine del mufti è firmata da due membri del Comune che hanno certamente avuto modo di constatare che, in primo luogo, si possono scrivere tanti ordini quanti si vorranno sulla carta senza fare nulla per assicurarne l'esecuzione e, in secondo luogo, le persecuzioni sono il miglior mezzo per consolidare convinzioni indesiderate! Ciò che è certo è che l'unico servizio che si può rendere ancora ai nostri giorni a Dio è quello di proclamare l'ateismo un simbolo di fede coercitiva e di superare le leggi anticlericali di Bismarck sul Kulturkampf[3], vietando la religione in generale.

Il secondo punto del programma è il comunismo.

Qui siamo in un paese di conoscenza, perché la nave su cui ci siamo imbarcati ha per nome il Manifesto del Partito Comunista pubblicato nel febbraio 1848. Dall'autunno 1872, cinque blanquisti usciti dall'Internazionale si sono dichiarati sostenitori di un programma socialista corrispondente su tutti i punti essenziali al programma del comunismo tedesco attuale, e hanno motivato il loro ritiro solo con il fatto che l'Internazionale rifiutava di giocare alla rivoluzione come loro. Oggi, il consiglio dei trentatré adotta questo programma con tutta la sua concezione materialistica della storia, anche se la sua traduzione in francese blanquiste lascia molto a desiderare là dove il testo del Manifesto non è stato riprodotto quasi integralmente, come ad esempio nel seguente passaggio:

Ultima espressione di tutte le forme di schiavitù, la borghesia ha liberato lo sfruttamento del lavoro dai veli mistici che lo oscuravano; governi, religioni, famiglia, leggi, istituzioni del passato e del presente si sono finalmente dimostrati in questa società ridotta ai termini semplici di capitalisti e di salariati, come strumenti di oppressione per mezzo dei quali la borghesia mantiene il suo dominio, contiene il proletariato.

Paragoni questo al paragrafo 1 del Manifesto comunista:

In una parola, al posto dello sfruttamento mascherato dalle illusioni religiose e politiche, ha messo uno sfruttamento aperto, spudorato, diretto brutale. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino ad allora passavano per venerabili e che si consideravano con un santo rispetto. Il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato, ne ha fatto dei salariati al suo salario. La borghesia ha strappato il velo di sentimentalità che copriva i rapporti di famiglia e li ha ridotti a semplici rapporti di denaro.

Ma appena scendiamo dalla teoria alla pratica, la particolarità distintiva dei trentatré si rivela:

Siamo comunisti perché vogliamo raggiungere questo obiettivo senza fermarci ai mezzi termini, compromesso che, ritardando la vittoria, sono un prolungamento della schiavitù.

I comunisti tedeschi sono comunisti perché attraverso i mezzi termini e i compromessi dovuti allo sviluppo storico e non alla loro volontà, vedono chiaramente e perseguono costantemente lo scopo finale: la soppressione delle classi e la fondazione di un regime sociale in cui non ci sarà più spazio per la proprietà privata del suolo e dei mezzi di produzione. I trentatré blanquisti sono comunisti perché si immaginano che dal momento che il loro desiderio è di saltare i mezzi termini e compromessi, il trucco è giocato, e che se "comincia" uno di questi giorni - di cui hanno la certezza - e se prendono il potere in mano, "il comunismo sarà instaurato" il giorno dopo. Quindi, se non è possibile istantaneamente, non sono comunisti.

Che ingenuità infantile presentare la propria impazienza come argomento teorico!

Infine, i nostri trentatré sono "rivoluzionari".

Per quanto riguarda le parole pompose, i bakuninisti, lo sappiamo, hanno raggiunto i limiti umanamente possibili; tuttavia i nostri blanquisti ritengono il loro dovere di superarli. Ma in che modo? È noto che tutto il proletariato socialista, da Lisbona e New York a Budapest e Belgrado, ha immediatamente assunto in blocco la responsabilità degli atti della Comune di Parigi. Questo non basta per i nostri blanquistes:

"Per noi, rivendichiamo la nostra parte di responsabilità in questi atti giustizieri che" (sotto il Comune) "hanno colpito i nemici del popolo" (segue l'elenco dei fucilati),"rivendichiamo la nostra parte di responsabilità in quegli incendi che distruggevano strumenti di oppressione monarchica e borghese o proteggevano i combattenti."

In ogni rivoluzione, come in altre epoche, si commettono necessariamente molte sciocchezze; e quando le persone sono sufficientemente calmate per tornare ad essere idonee alla critica, Ammettono obbligatoriamente di aver fatto molte cose che sarebbe stato meglio evitare e di non aver fatto molte cose che avrebbero dovuto fare, ed è per questo che ha funzionato così male.

Ma quale mancanza di spirito critico occorre per canonizzare la Comune, dichiararla infallibile, pretendere che per ogni casa bruciata, per ogni ostaggio fucilato si sia agito impeccabilmente, senza il minimo errore! Non equivale forse a sostenere che nella settimana di maggio il popolo ha fucilato solo coloro che lo meritavano, non uno in più, che ha bruciato solo gli edifici che dovevano essere bruciati, non uno in più? È la stessa cosa che dire che durante la prima rivoluzione francese ogni ghigliottino ha avuto solo il suo dovuto, prima quelli che sono stati inviati al patibolo su ordine di Robespierre, poi Robespierre stesso? Ecco a cosa si arriva quando persone di un ambiente molto pacifico vorrebbero apparire terrificanti.

Basta. Nonostante tutte queste sciocchezze degli emigrati e tutti questi tentativi folli di prestare al piccolo Carlo (o Edouard?) un'aria terribile, non si può non vedere in questo programma un grande passo avanti. È il primo manifesto in cui gli operai francesi si associano al comunismo moderno tedesco. E per di più, operai appartenenti alla corrente che considera i francesi come il popolo eletto della rivoluzione e Parigi come la Gerusalemme rivoluzionaria. Che siano giunti a questo punto è un merito incontestabile di Valiant, la cui firma è apposta tra le altre in calce al manifesto e che, com'è noto, conosce a fondo il tedesco e la letteratura socialista tedesca. Quanto agli operai socialisti tedeschi, che nel 1870 hanno dimostrato di essere completamente esenti da sciovinismo nazionale, possono vedere un buon segno nel fatto che gli operai francesi adottano tesi teoriche giuste, anche se provengono dalla Germania.



[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.

[2] Jacques-René Hébert (Alençon, 15 novembre 1757 – Parigi, 24 marzo 1794) è stato un giornalista e rivoluzionario francese. Fondatore nel 1790 del giornale Le Père Duchesne, iscritto al Club dei Cordiglieri e a quello dei Giacobini, divenne il rappresentante, dopo gli arrabbiati, dell'ala più radicale della Rivoluzione francese, dagli avversari chiamata "gruppo degli esagerati" o hébertisti. Fu arrestato e giustiziato durante il Regime del Terrore.

[3] Il Kulturkampf (in italiano: battaglia culturale o, in un senso più aggressivo, battaglia di civiltà) è il nome con il quale fu definita la accesa lotta politica e culturale che vide coinvolti la Chiesa cattolica e gli Stati tedeschi nel periodo che va dalla fine del Concilio Vaticano I (1867-1870) ai primi decenni successivi alla fondazione dell'Impero tedesco (1871-1919). Più specificatamente, con il termine si riassume anche tutta la legislazione anticuriale e anticlericale posta in essere dal governo tedesco in quegli anni.

domenica 6 ottobre 2019