LA
COMUNIONE RIVOLUZIONARIA
Dopo il fallimento dell'Internazionale,
l'idea fu di ricostituire un partito rivoluzionario in ogni paese. I blanquisti[1] (Ernest
Granger, Frédéric
Cournet, Gabriel
Ranvier ...) fondarono quindi a Londra, attorno ad Émile Eudes,
una sezione rivoluzionaria strettamente socialista. Sotto il nome di Commune
révolutionnaire, formano, con il gruppo costituito a New York, l'unico gruppo
omogeneo dei proscritti Comunardi.
Nel giugno del 1874, il manifesto ateo, comunista e rivoluzionario, Aux
Communeux destò clamore. Scritto da Vaillant
e sostenuto da trentatré nomi, rivendicò la violenza della Comune.
Ai
comunardi
La
Comune rivoluzionaria
Acta,
non verba. (Amilcare Cipriani.)
Dopo tre anni di compressione, di
massacri, la reazione vede il terrore cessare di essere un mezzo di governo
nelle sue mani indebolite.
Dopo tre anni di potere assoluto, i
vincitori della Comune vedono la Nazione, riprendere poco a poco vita e
coscienza, sfuggire al loro abbraccio.
Uniti contro la rivoluzione, ma divisi
tra loro, usano la loro violenza e riducono con il loro dissenso questo potere
combattivo, unica speranza per mantenere i loro privilegi.
In una società in cui ogni giorno
scompaiono le condizioni che hanno portato il suo impero, la borghesia cerca
invano di perpetuarlo; sognando l'opera impossibile di fermare il corso del
tempo, vuole immobilizzare nel presente, o far retrocedere nel passato, una
nazione che la Rivoluzione porta con sé.
I mandatari di questa borghesia,
questo stato maggiore della reazione installata a Versailles, sembrano non
avere altra missione che manifestarne la decadenza per la loro incapacità
politica, e precipitarne la caduta per la loro impotenza. Gli uni chiamano un
re, un imperatore, gli altri mascherano col nome di Repubblica la forma
perfezionata di asservimento che vogliono imporre al popolo.
Ma qualunque sia l'esito dei tentativi
di Versailles, monarchia o Repubblica borghese, il risultato sarà lo stesso: la
caduta di Versailles, la rivincita della Comune.
Perché arriviamo a uno di quei grandi
momenti storici, a una di quelle grandi crisi, in cui il popolo, mentre sembra
rovinarsi nelle sue miserie e fermarsi nella morte, riprende con nuovo vigore
il suo cammino rivoluzionario.
La vittoria non sarà il premio di un
solo giorno di lotta, ma la lotta ricomincerà, i vincitori dovranno contare con
i vinti.
Questa situazione crea nuovi doveri
per i proscritti. Di fronte alla crescente dissoluzione delle forze
reazionarie, di fronte alla possibilità di un'azione più efficace, non basta
mantenere l'integrità della proscrizione difendendola dagli attacchi della
polizia, ma si tratta di unire i nostri sforzi a quelli dei comuni di Francia,
per liberare i nostri caduti nelle mani del nemico e preparare la vendetta.
Ci sembra dunque giunto il momento di
affermare, di dichiarare, ciò che è vivo nella proscrizione.
È quello che viene a fare oggi il
gruppo: LA COMUNE RIVOLUZIONARIA.
Perché è tempo che essi si riconoscano
che atei, comunisti, rivoluzionari, progettando la Rivoluzione allo stesso modo
nel suo scopo e nei suoi mezzi, vogliono riprendere la lotta e per questa lotta
decisiva ricostituire il partito della Rivoluzione, il partito della Comune.
Noi siamo Atei, perché l'uomo non sarà
mai libero, finché non avrà scacciato Dio dalla sua intelligenza e ragione.
Prodotto della visione dell'ignoto,
creata dall'ignoranza, sfruttata dalla trama e subita dall'imbecillità, questa
nozione mostruosa di un essere, di un principio al di fuori del mondo e
dell'uomo, forma la trama di tutte le miserie in cui si è dibattuta l'umanità,
e costituisce l'ostacolo principale alla sua emancipazione. Finché la visione
mistica della divinità oscurerà il mondo, l'uomo non potrà né conoscerlo né
possederlo; invece della scienza e della felicità, non vi troverà che la
schiavitù della miseria e dell'ignoranza.
È in virtù di questa idea di un essere
al di fuori del mondo e il governante, che si sono verificate tutte le forme di
schiavitù morale e sociale: religioni, dispotismi, proprietà, classi, sotto le
quali geme e sanguina l'umanità.
Espellere Dio dal campo della
conoscenza, espellerlo dalla società, è la legge per l'uomo se vuole arrivare
alla scienza, se vuole realizzare lo scopo della rivoluzione.
Bisogna negare questo errore
generatore di tutti gli altri, perché è attraverso di esso che da secoli l'uomo
è piegato, incatenato, spogliato, martirizzato.
Che la Comune liberi per sempre
l'umanità da questo spettro delle sue miserie passate, da questa causa delle
sue miserie presenti.
Nella Comune non c'è posto per il
sacerdote: ogni manifestazione, ogni organizzazione religiosa deve essere
bandita.
Siamo comunisti perché vogliamo che la
terra, che le ricchezze naturali non siano più appropriate da alcuni, ma che
appartengano alla Comunità. Perché vogliamo che, liberi da ogni oppressione,
padroni finalmente di tutti gli strumenti di produzione: terra, fabbriche,
ecc., i lavoratori facciano del mondo un luogo di benessere e non più di
miseria.
Oggi, come in passato, la maggioranza
degli uomini è condannata a lavorare per il mantenimento del godimento di un
piccolo numero di sorveglianti e di maestri.
Ultima espressione di tutte le forme
di servitù, il dominio borghese ha liberato lo sfruttamento del lavoro dai veli
mistici che lo oscuravano; governi, religioni, famiglia, leggi, istituzioni del
passato, come del presente, si sono finalmente mostrati, in questa società
ridotta ai termini semplici di capitalisti e di salariati, come gli strumenti
di oppressione mediante i quali la borghesia mantiene il suo dominio, contiene
il Proletariato.
Prelevando per aumentare le sue
ricchezze tutto il surplus del prodotto del lavoro, il capitalista lascia al
lavoratore solo ciò di cui ha bisogno per non morire di fame.
Tenuto dalla forza in questo inferno
della produzione capitalistica, della proprietà, sembra che il lavoratore non
possa rompere le sue catene.
Ma il proletariato è finalmente giunto
a prendere coscienza di se stesso: sa che porta in sé gli elementi della
società nuova, che la sua liberazione sarà il prezzo della sua vittoria sulla
borghesia e che, questa classe annientata, le classi saranno abolite, lo scopo
della Rivoluzione raggiunto.
Siamo comunisti, perché vogliamo
raggiungere questo obiettivo senza fermarci ai mezzi termini, compromesso che,
ritardando la vittoria, sono un prolungamento di schiavitù.
Distruggendo la proprietà individuale,
il Comunismo fa cadere una ad una tutte queste istituzioni la cui proprietà è
il perno.
Cacciato dalla sua proprietà, dove con
la sua famiglia, come in una fortezza tiene guarnigione, il ricco non troverà
più asilo per il suo egoismo e i suoi privilegi.
Con l'annientamento delle classi,
scompariranno tutte le istituzioni oppressive dell'individuo e del gruppo la
cui unica ragione era il mantenimento di queste classi, l'asservimento del
lavoratore ai suoi padroni.
L'istruzione aperta a tutti darà
questa uguaglianza intellettuale senza la quale l'uguaglianza materiale sarebbe
senza valore.
Più salariati, vittime della miseria,
dell'insolidarità, della concorrenza, ma l'unione di lavoratori uguali, che
ripartiscono il lavoro tra loro, per ottenere il maggior sviluppo della
Comunità, la somma più grande di benessere per ciascuno. Perché ogni cittadino
troverà la più grande libertà, la più grande espansione della sua
individualità, nella più grande espansione della Comunità.
Questo stato sarà il prezzo della lotta
e vogliamo questa lotta senza compromessi né tregua, fino alla distruzione
della borghesia, fino al trionfo definitivo.
Siamo comunisti, perché il comunismo è
la negazione più radicale della società che vogliamo rovesciare, l'affermazione
più netta della società che vogliamo fondare.
Perché, dottrina dell'uguaglianza
sociale, essa è più di ogni dottrina la negazione del dominio borghese,
l'affermazione della Rivoluzione. Perché, nella sua lotta contro la borghesia,
il proletariato trova nel comunismo l'espressione dei suoi interessi, la regola
della sua azione.
Noi siamo Rivoluzionari, altrimenti
Comuni, perché volendo la vittoria, ne vogliamo i mezzi. Perché, comprendendo
le condizioni della lotta, e volendo soddisfarle, vogliamo la più forte
organizzazione di combattimento, la coalizione degli sforzi, non la loro
dispersione, ma la loro centralizzazione.
Siamo rivoluzionari, perché per
realizzare lo scopo della Rivoluzione, vogliamo rovesciare con la forza una
società che si mantiene solo con la forza. Perché sappiamo che la debolezza,
come la legalità, uccide le rivoluzioni, che l'energia le salva. Perché
riconosciamo che bisogna conquistare questo potere politico che la borghesia
custodisce in modo geloso, per il mantenimento dei suoi privilegi. Perché in un
periodo rivoluzionario, in cui le istituzioni della società attuale dovranno
essere falciate, la dittatura del proletariato dovrà essere stabilita e
mantenuta fino a quando, nel mondo libero, non vi siano più che cittadini
uguali della società nuova.
Movimento verso un mondo nuovo di
giustizia e di uguaglianza, la Rivoluzione porta in sé la propria legge e tutto
ciò che si oppone al suo trionfo deve essere schiacciato.
Siamo rivoluzionari, vogliamo la
Comune, perché vediamo nella Comune futura, come in quelle del 1793 e del 1871,
non il tentativo egoistico di una città, ma la Rivoluzione trionfante in tutto
il paese: la Repubblica Comune. Perché la Comune è il Proletariato
rivoluzionario armato della dittatura, per l'annientamento dei privilegi, per
lo schiacciamento della borghesia.
La Comune è la forma militante della
Rivoluzione sociale. È la Rivoluzione in piedi, padrona dei suoi nemici. La
Comune è il periodo rivoluzionario da cui uscirà la nuova società.
La Comune, non dimentichiamolo, noi
che abbiamo ricevuto l'onere della memoria e della vendetta degli assassinati,
è anche la rivincita.
Nella grande battaglia, intrapresa tra
la borghesia e il proletariato; tra la società attuale e la Rivoluzione, le due
parti sono ben distinte, c'è confusione possibile solo per l'imbecillità o il
tradimento.
Da una parte tutti i partiti borghesi:
legittimisti, orleanisti, bonapartisti, repubblicani conservatori o radicali,
dall'altra il partito della Comune, il partito della Rivoluzione, il vecchio
mondo contro il nuovo.
Già la vita ha lasciato molte di
queste forme del passato, e le varietà monarchiche si risolvono, alla fine,
nell'immondo Bonapartismo.
Quanto ai partiti che, sotto il nome
di repubblica conservatrice o radicale, vorrebbero immobilizzare la società
nello sfruttamento continuo del popolo da parte della borghesia, direttamente,
senza intermediari reali, radicali o conservatori, Essi differiscono più per
l'etichetta che per il contenuto; piuttosto che per idee diverse, rappresentano
le tappe che la borghesia percorrerà, prima di incontrare nella vittoria del
popolo la sua rovina definitiva.
Fingendo di credere nell'inganno del
suffragio universale, vorrebbero far accettare al popolo questo modo di fuga
periodica della Rivoluzione; vorrebbero vedere il partito della Rivoluzione
entrare nell'ordine legale della società borghese, con ciò stesso cessare di
essere, e la minoranza rivoluzionaria abdicare davanti all'opinione media e
falsificata di maggioranze sottoposte a tutte le influenze dell'ignoranza e del
privilegio.
I radicali saranno gli ultimi
difensori del mondo borghese morente; attorno a loro saranno radunati tutti i
rappresentanti del passato, per portare avanti la lotta ultima contro la
Rivoluzione. La fine dei radicali sarà la fine della borghesia.
Appena usciti dai massacri della
Comune, ricordiamo a coloro che sarebbero tentati di dimenticarlo che la
sinistra versaillaise, non meno che la destra, ha ordinato il massacro di
Parigi, e che l'esercito dei massacratori ha ricevuto le congratulazioni degli
uni come quelle degli altri. Versaillais di destra e Versaillais di sinistra
devono essere uguali davanti all'odio del popolo; perché contro di lui, sempre,
radicali e gesuiti sono d'accordo.
Non ci possono dunque essere errori e
qualsiasi compromesso, ogni alleanza con i radicali deve essere considerata
tradimento.
Più vicino a noi, vagando tra le due
parti, o addirittura smarriti nelle nostre fila, troviamo uomini la cui
amicizia, più funesta dell'inimicizia, rinvierebbe indefinitamente la vittoria
del popolo se seguisse i loro consigli, se si lasciasse ingannare dalle loro
illusioni.
Limitando più o meno i mezzi di
combattimento a quelli della lotta economica, predicano a gradi diversi
l'astensione della lotta armata, della lotta politica.
Erigendo a teoria la disorganizzazione
delle forze popolari, sembrano di fronte alla borghesia armata, mentre si
tratta di concentrare gli sforzi per una lotta suprema, non volere che
organizzare la sconfitta e consegnare il popolo disarmato ai colpi dei suoi nemici.
Non comprendendo che la Rivoluzione è
il cammino cosciente e voluto dell'umanità, verso lo scopo che le assegnano il
suo sviluppo storico e la sua natura, Mettono le immagini della loro fantasia
al posto della realtà delle cose e vorrebbero sostituire al rapido movimento
della Rivoluzione le lentezze di un'evoluzione di cui si fanno i profeti.
Amanti delle mezze misure, fautori di
compromessi, perdono le vittorie popolari che non hanno potuto impedire;
risparmiano, con il pretesto della pietà, i vinti; difendono, con il pretesto
dell'equità, le istituzioni, gli interessi di una società contro cui il popolo
si era alzato:
Diffamano le rivoluzioni quando non
possono più perderle.
Si fanno chiamare comunalisti.
Invece dello sforzo rivoluzionario del
popolo di Parigi per conquistare l'intero paese alla Repubblica Commutatrice,
vedono nella Rivoluzione del 18 marzo una sollevazione per delle franchigie
comunali.
Essi rinnegano gli atti di questa
Rivoluzione che non hanno capito, probabilmente per risparmiare i nervi di una
borghesia, di cui sanno così bene risparmiare la vita e gli interessi.
Dimenticando che una società muore solo quando viene colpita sia nei suoi
monumenti, nei suoi simboli, sia nelle sue istituzioni e nei suoi difensori,
vogliono scaricare la Comune dalla responsabilità dell'esecuzione degli
ostaggi, della responsabilità degli incendi. Ignorano o fingono di ignorare,
che è per volontà del Popolo e della Comune uniti fino all'ultimo momento, che
sono stati picchiati gli ostaggi, preti, gendarmi, borghesi e appiccati gli
incendi.
Per noi, rivendichiamo la nostra parte
di responsabilità in questi atti giustizieri che hanno colpito i nemici del
Popolo, da Clemente Tommaso e Lecomte fino ai domenicani di Arcueil; da Bonjean
fino ai gendarmi di rue Haxo; da Darboy fino a Chaudey.
Rivendichiamo la nostra parte di
responsabilità in questi incendi che distrussero strumenti di oppressione
monarchica e borghese o proteggevano i combattenti.
Come potremmo fingere la pietà per gli
oppressori secolari del Popolo, per i complici di quegli uomini che da tre anni
celebrano il loro trionfo con la sparatoria, la trasportazione, lo
schiacciamento di tutti i nostri che hanno potuto sfuggire al massacro
immediato.
Vediamo ancora questi omicidi senza
fine, di uomini, donne, bambini; questi sgozzamenti che facevano scorrere il
sangue del Popolo nelle strade, nelle caserme, nelle piazze, negli ospedali,
nelle case. Vediamo i feriti sepolti con i morti; vediamo Versailles, Satory, i
pontoni, la prigione, la Nuova Caledonia. Vediamo Parigi, la Francia, piegati
sotto il terrore, lo schiacciamento continuo, l'assassinio in permanenza.
Comunardi di Francia, Proscrits,
uniamo i nostri sforzi contro il nemico comune; ciascuno, nella misura delle
sue forze, faccia il suo dovere.
Il Gruppo: La Comune Rivoluzionaria.
Aberlen, Berton,
Breuillé, Carné, Jean Clement, F. Cournet, Ch. Dacosta, Delle, A. Derouilla, E.
Eudes, H. Gausseron, E. Gois, A. Goullé, E. Granger, A. Huguenot, E Jouanin,
Ledrux, Léonce, Luillier, P. Mallet, Marguerittes, Constant-Martin, A. Moreau,
H. Mortier, A. Oldrini, Pichon, A. Poirier, Rysto, B. Sachs, Solignac, Ed. Vaillant,
Varlet , Viard.
Londra,
giugno 1874.
Il programma
degli emigrati blanquisti della Comune – Friedrich Engels, giugno 1874
Dopo ogni rivoluzione o
controrivoluzione abortita, i rivoluzionari fuggiti all'estero mostrano
un'attività febbrile. Abbiamo trovato gruppi politici di varie sfumature,
ognuno dei quali rimprovera agli altri di aver portato il carro nel pantano e
li accusa di tradimento e di ogni sorta di altri peccati mortali. In questo
modo si rimane in stretto contatto con il paese natale, ci si organizza, si
cospira, si pubblicano volantini e giornali, si giura che tra ventiquattro ore
"ricomincerà" e che la vittoria è assicurata, in previsione della
quale si ripartiscono in anticipo i posti governativi. Naturalmente, si va da
delusione in delusione, e poiché non si ricollega i propri problemi alle
condizioni storiche che ci si rifiuta di comprendere, e li si attribuisce agli errori
fortuiti di persone isolate, le reciproche accuse si accumulano e questo si
conclude con uno scontro generale. Questa è la storia di tutti i fuggiaschi,
dagli esuli realisti del 1792 ai nostri giorni; quelli degli esuli che
conservano le loro menti e il loro buon senso cercano di allontanarsi il più
possibile dai battibecchi sterili non appena si presenta la possibilità di
farlo con tatto, e intraprendono qualcosa di meglio.
I fuoriusciti francesi dopo la
Comune
non sfuggirono a questo destino.
Come risultato della campagna
di calunnia che li ha colpiti in tutta Europa e specialmente a Londra, perché è
lì che risiede il luogo comune che hanno trovato nel Consiglio Generale dell'Internazionale,
per un certo periodo, non fosse altro che di fronte al mondo esterno, essi devono
aver dovuto contenere i loro litigi intestini, ma negli ultimi due anni non sono
stati più in grado di nascondere la loro disgregazione accelerata. Ovunque
scoppiò una franca ostilità. In Svizzera, una parte degli esuli, in particolare
sotto l'influenza di Malon,
che fu lui stesso uno dei fondatori dell'Alleanza Segreta, si radunò presso i
bakuninisti. Poi, a Londra, i cosiddetti blanquisti[1] si
separarono dall'Internazionale
per formare un gruppo autonomo chiamato "Comune Rivoluzionaria". In
seguito emersero molti altri gruppi, che tuttavia rimasero in uno stato di
perpetua trasformazione e rimpasto e non fecero nulla di valore, anche in
materia di manifesti; i blanquisti[1], invece,
hanno appena fatto conoscere il loro programma al mondo intero in un proclamazione
ai "Comunardi".
Se si definiscono blanquisti[1], non è
perché rappresentano un gruppo fondato da Blanqui
- dei trentatré firmatari del programma, due o tre al massimo hanno avuto modo
di parlargli - ma perché 'vogliono agire nel suo spirito e secondo la sua
tradizione. Blanqui
è essenzialmente un rivoluzionario politico; è solo un socialista di
sentimento, per simpatia per le sofferenze della gente, ma non ha una teoria
socialista o piani pratici per la trasformazione sociale. Nella sua attività
politica era soprattutto un "uomo d'azione" che credeva che una
piccola minoranza ben organizzata potesse, tentando al momento opportuno di
svolgere un colpo di mano rivoluzionario, trascinare al suo seguito, con
qualche primo successo, la massa del popolo e realizzare così una rivoluzione
vittoriosa. Sotto Luigi
Filippo non poteva evidentemente costituire questo nucleo se non nella
forma di una società segreta, e il risultato fu quello della maggior parte delle
cospirazioni: il popolo stanco di essere sempre fermo e di sentirsi promettere
che questa non avrebbe tardato, finirono per perdere la pazienza, si
ribellarono, e si dovette scegliere l'alternativa: o lasciare che la congiura
si dissolva, o iniziare l'insurrezione senza motivo apparente. L'insurrezione
fu scatenata (il 12 maggio 1839) e immediatamente repressa. Questa cospirazione
di Blanqui
era stata inoltre l'unica in cui la polizia non era riuscita a prendere piede;
il colpo lì colse di sorpresa. Dall'idea blanquisti[1] che ogni
rivoluzione è opera di una piccola minoranza deriva automaticamente la
necessità di una dittatura dopo il successo dell'insurrezione, di una dittatura
che naturalmente non coinvolge tutta la classe rivoluzionaria, il proletariato,
ma il piccolo numero di coloro che hanno fatto la rivolta e che, a loro volta,
sono partecipi in anticipo alla dittatura di una o più persone.
Si vede che Blanqui
è un rivoluzionario della generazione precedente.
Queste idee sulla marcia degli
eventi rivoluzionari sono nettamente superate, in ogni caso per il partito
operaio tedesco, e anche in Francia non possono sedurre che gli operai meno
maturi o più impazienti. Vedremo anche che nel programma in questione queste
idee hanno subito alcune restrizioni. Ma anche i nostri blanquisti londinesi si
ispirano al principio che le rivoluzioni non si fanno da sole; che sono opera
di una minorità abbastanza ristretta che agisce secondo un piano prestabilito;
infine, che questo "inizierà presto", da un momento all'altro.
Coloro che hanno tali principi
diventano evidentemente vittime di qualsiasi illusione di emigrati e
moltiplicano le sciocchezze. Vorrebbero tanto fare i bianchi, gli "uomini
d'azione". Ma qui la buona volontà non basta; l'istinto rivoluzionario di Blanqui,
la sua risoluzione non è dato a tutti, e Amleto potrà parlare di energia, sarà
sempre Amleto. E quando i nostri trentatré uomini d'azione non hanno
assolutamente nulla a che fare con ciò che chiamano azione, i nostri trentatré
Bruti cadono in una contraddizione interiore piuttosto comica che tragica,
Contraddizione che non diventa affatto tragica per il fatto che vanno in giro,
la mina oscura, come altrettanti "Moros che nascondono un pugnale nei loro
vestiti", cosa che del resto non verrebbe mai loro in mente. Che cosa
possono fare? Essi preparano la seguente "esplosione", stilando in
anticipo le liste di proscrizione per epurare i ranghi di coloro che hanno
partecipato alla Comune;
per questo gli altri emigrati li qualificano puri. Non so se accettano questo
titolo, ma ce ne sono alcuni che lo apprezzerebbero molto. Le loro riunioni si
svolgono a porte chiuse e le loro decisioni devono essere tenute segrete, il
che non impedisce peraltro a tutto il quartiere francese di gridarlo sui tetti
la mattina seguente. E, come succede sempre a questi uomini d'azione seri che
non hanno nulla a che fare, hanno iniziato una disputa prima personale e poi
letteraria con un degno avversario, uno degli individui più sospetti della
piccola stampa parigina, un certo Vermersh
che pubblicò sotto la Comune Le
Père Duchêne, triste caricatura del giornale di Hébert[2]
del 1793
In risposta alla loro
indignazione virtuosa, questo nobile cavaliere li chiama tutti, in un pamphlet,
"filous o complici" e riversa su di loro una ricchissima collezione
di ingiurie oscene:
Ogni parola è un vaso di notte
ben riempito.
Ed è questo l'avversario con
il quale i trentatré Bruti giudicano bene attaccarsi in pubblico! Non c'è
dubbio che dopo una guerra estenuante, dopo la carestia di Parigi e soprattutto
dopo l'orribile
massacro del maggio 1871, il proletariato parigino ha bisogno di una lunga
tregua per recuperare le forze e che ogni tentativo prematuro di insurrezione
rischia di sfociare in una nuova sconfitta, forse ancora più spaventosa. I nostri
blanquisti non la pensano così.
La disgregazione della
maggioranza monarchica a Versailles
annuncerebbe, secondo loro:
La caduta di Versailles,
la rivincita della Comune.
Perché arriviamo a uno di quei grandi momenti storici, a una di quelle grandi
crisi, in cui il popolo, mentre sembra rovinarsi nelle sue miserie e fermarsi
nella morte, riprende con nuovo vigore il suo cammino rivoluzionario.
Quindi sta succedendo di
nuovo, e subito. Questa speranza di una "rivincita immediata della
Comune" non è una semplice illusione di emigrati; è un simbolo di fede
indispensabile per coloro che si sono messi in testa di essere "uomini
d'azione" in un momento in cui non c'è assolutamente nulla da fare nel
loro campo, quello dell'insurrezione rivoluzionaria.
Tanto peggio. Come si
comincia, hanno l'impressione che "è giunto il momento in cui tutti gli
emigrati che hanno mantenuto qualche vitalità devono prendere posizione".
E i trentatré ci dichiarano di
essere 1) atei, 2) comunisti, 3) rivoluzionari.
I nostri blanquisti hanno
questo in comune con i bakuninisti che pretendono di rappresentare la corrente
più avanzata, più estrema. Per questo motivo, per quanto opposti possano essere
i loro scopi, spesso hanno mezzi simili. Si tratta dunque di essere più
radicali di tutti gli altri per quanto riguarda l'ateismo. Essere atei al
giorno d'oggi non è più stregone per fortuna.
L'ateismo è una cosa quasi
ovvia nei partiti operai europei, anche se in alcuni paesi ha lo stesso
carattere dell'ateismo di questo bakuninista spagnolo che ha dichiarato:
"Credere in Dio è contrario a qualsiasi socialismo, ma credere nella
Madonna è diverso, ogni socialista che si rispetti deve credere in essa."
Si può anche dire della grande maggioranza degli operai socialdemocratici
tedeschi che l'ateismo è per loro una tappa superata; questa definizione
puramente negativa non è più loro applicabile, poiché si oppongono alla
credenza in Dio praticamente e non più teoricamente; Hanno finito con Dio,
vivono e pensano nel mondo reale ed è per questo che sono materialisti.
Probabilmente anche in Francia. Altrimenti, cosa c'è di più semplice che
diffondere tra gli operai l'eccellente letteratura materialistica del secolo
scorso, letteratura che è finora, sia per forma che per contenuto, un
capolavoro dello spirito francese, e che - tenuto conto del livello della
scienza all'epoca - è sempre infinitamente elevata quanto al contenuto e di una
perfezione incomparabile quanto alla forma. Ma non è alla convenienza dei
blanquisti. Per dimostrare che sono i più radicali di tutti, aboliscono Dio per
decreto, come nel 1793:
Che la Comune liberi
per sempre l'umanità da questo spettro delle sue miserie passate (Dio),
"da questa causa" (Dio inesistente sarebbe una causa!), dalle sue
miserie presenti. Nella Comune non c'è posto per il sacerdote; ogni
manifestazione, ogni organizzazione religiosa deve essere bandita.
E questa esigenza di
trasformare le persone in atei per ordine del mufti è firmata da due membri del
Comune che
hanno certamente avuto modo di constatare che, in primo luogo, si possono
scrivere tanti ordini quanti si vorranno sulla carta senza fare nulla per
assicurarne l'esecuzione e, in secondo luogo, le persecuzioni sono il miglior
mezzo per consolidare convinzioni indesiderate! Ciò che è certo è che l'unico servizio
che si può rendere ancora ai nostri giorni a Dio è quello di proclamare
l'ateismo un simbolo di fede coercitiva e di superare le leggi anticlericali di
Bismarck
sul Kulturkampf[3],
vietando la religione in generale.
Il secondo punto del programma
è il comunismo.
Qui siamo in un paese di
conoscenza, perché la nave su cui ci siamo imbarcati ha per nome il Manifesto
del Partito Comunista pubblicato nel febbraio 1848. Dall'autunno 1872, cinque
blanquisti usciti dall'Internazionale si sono dichiarati sostenitori di un
programma socialista corrispondente su tutti i punti essenziali al programma
del comunismo tedesco attuale, e hanno motivato il loro ritiro solo con il
fatto che l'Internazionale rifiutava di giocare alla rivoluzione come loro.
Oggi, il consiglio dei trentatré adotta questo programma con tutta la sua
concezione materialistica della storia, anche se la sua traduzione in francese
blanquiste lascia molto a desiderare là dove il testo del Manifesto non è stato
riprodotto quasi integralmente, come ad esempio nel seguente passaggio:
Ultima espressione di tutte le
forme di schiavitù, la borghesia ha liberato lo sfruttamento del lavoro dai
veli mistici che lo oscuravano; governi, religioni, famiglia, leggi,
istituzioni del passato e del presente si sono finalmente dimostrati in questa
società ridotta ai termini semplici di capitalisti e di salariati, come
strumenti di oppressione per mezzo dei quali la borghesia mantiene il suo
dominio, contiene il proletariato.
Paragoni questo al paragrafo 1
del Manifesto comunista:
In una parola, al posto dello
sfruttamento mascherato dalle illusioni religiose e politiche, ha messo uno
sfruttamento aperto, spudorato, diretto brutale. La borghesia ha spogliato
della loro aureola tutte le attività che fino ad allora passavano per
venerabili e che si consideravano con un santo rispetto. Il medico, il
giurista, il prete, il poeta, lo scienziato, ne ha fatto dei salariati al suo
salario. La borghesia ha strappato il velo di sentimentalità che copriva i
rapporti di famiglia e li ha ridotti a semplici rapporti di denaro.
Ma appena scendiamo dalla
teoria alla pratica, la particolarità distintiva dei trentatré si rivela:
Siamo comunisti perché
vogliamo raggiungere questo obiettivo senza fermarci ai mezzi termini,
compromesso che, ritardando la vittoria, sono un prolungamento della schiavitù.
I comunisti tedeschi sono
comunisti perché attraverso i mezzi termini e i compromessi dovuti allo
sviluppo storico e non alla loro volontà, vedono chiaramente e perseguono
costantemente lo scopo finale: la soppressione delle classi e la fondazione di
un regime sociale in cui non ci sarà più spazio per la proprietà privata del
suolo e dei mezzi di produzione. I trentatré blanquisti sono comunisti perché
si immaginano che dal momento che il loro desiderio è di saltare i mezzi
termini e compromessi, il trucco è giocato, e che se "comincia" uno
di questi giorni - di cui hanno la certezza - e se prendono il potere in mano,
"il comunismo sarà instaurato" il giorno dopo. Quindi, se non è
possibile istantaneamente, non sono comunisti.
Che ingenuità infantile
presentare la propria impazienza come argomento teorico!
Infine, i nostri trentatré
sono "rivoluzionari".
Per quanto riguarda le parole
pompose, i bakuninisti, lo sappiamo, hanno raggiunto i limiti umanamente
possibili; tuttavia i nostri blanquisti ritengono il loro dovere di superarli.
Ma in che modo? È noto che tutto il proletariato socialista, da Lisbona e New
York a Budapest e Belgrado, ha immediatamente assunto in blocco la
responsabilità degli atti della Comune di Parigi. Questo non basta per i nostri
blanquistes:
"Per noi, rivendichiamo
la nostra parte di responsabilità in questi atti giustizieri che" (sotto
il Comune) "hanno colpito i nemici del popolo" (segue l'elenco dei
fucilati),"rivendichiamo la nostra parte di responsabilità in quegli
incendi che distruggevano strumenti di oppressione monarchica e borghese o
proteggevano i combattenti."
In ogni rivoluzione, come in
altre epoche, si commettono necessariamente molte sciocchezze; e quando le
persone sono sufficientemente calmate per tornare ad essere idonee alla
critica, Ammettono obbligatoriamente di aver fatto molte cose che sarebbe stato
meglio evitare e di non aver fatto molte cose che avrebbero dovuto fare, ed è
per questo che ha funzionato così male.
Ma quale mancanza di spirito
critico occorre per canonizzare la Comune,
dichiararla infallibile, pretendere che per ogni casa bruciata, per ogni
ostaggio fucilato si sia agito impeccabilmente, senza il minimo errore! Non
equivale forse a sostenere che nella settimana di maggio il popolo ha fucilato
solo coloro che lo meritavano, non uno in più, che ha bruciato solo gli edifici
che dovevano essere bruciati, non uno in più? È la stessa cosa che dire che
durante la prima rivoluzione francese ogni ghigliottino ha avuto solo il suo
dovuto, prima quelli che sono stati inviati al patibolo su ordine di
Robespierre, poi Robespierre stesso? Ecco a cosa si arriva quando persone di un
ambiente molto pacifico vorrebbero apparire terrificanti.
Basta. Nonostante tutte queste
sciocchezze degli emigrati e tutti questi tentativi folli di prestare al
piccolo Carlo (o Edouard?) un'aria terribile, non si può non vedere in questo
programma un grande passo avanti. È il primo manifesto in cui gli operai
francesi si associano al comunismo moderno tedesco. E per di più, operai
appartenenti alla corrente che considera i francesi come il popolo eletto della
rivoluzione e Parigi come la Gerusalemme rivoluzionaria. Che siano giunti a
questo punto è un merito incontestabile di Valiant,
la cui firma è apposta tra le altre in calce al manifesto e che, com'è noto,
conosce a fondo il tedesco e la letteratura socialista tedesca. Quanto agli
operai socialisti tedeschi, che nel 1870 hanno dimostrato di essere
completamente esenti da sciovinismo nazionale, possono vedere un buon segno nel
fatto che gli operai francesi adottano tesi teoriche giuste, anche se
provengono dalla Germania.
[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e
attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta,
del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria
combattiva. Deve il suo nome allo
scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[2] Jacques-René Hébert (Alençon, 15
novembre 1757 – Parigi, 24 marzo 1794) è stato un giornalista e rivoluzionario
francese. Fondatore nel 1790 del giornale Le Père Duchesne, iscritto al Club
dei Cordiglieri e a quello dei Giacobini, divenne il rappresentante, dopo gli
arrabbiati, dell'ala più radicale della Rivoluzione francese, dagli avversari
chiamata "gruppo degli esagerati" o hébertisti. Fu arrestato e
giustiziato durante il Regime del Terrore.
[3] Il Kulturkampf (in italiano:
battaglia culturale o, in un senso più aggressivo, battaglia di civiltà) è il
nome con il quale fu definita la accesa lotta politica e culturale che vide
coinvolti la Chiesa cattolica e gli Stati tedeschi nel periodo che va dalla
fine del Concilio Vaticano I (1867-1870) ai primi decenni successivi alla
fondazione dell'Impero tedesco (1871-1919). Più specificatamente, con il
termine si riassume anche tutta la legislazione anticuriale e anticlericale posta in essere dal
governo tedesco in quegli anni.