LA
TRADIZIONE RIVOLUZIONARIA DEL POPOLO DI PARIGI
Presa della Bastiglia, martedì 14 luglio 1789 |
Considero Parigi la città rivoluzionaria per
eccellenza. Dal 1789 al 1871
ha vissuto quattro rivoluzioni; e non contiamo le
numerose rivolte che si sono succedute negli anni dallo storico 14 luglio 1789
ai giorni nostri, passando anche attraverso il "maggio '68"", il movimento dei
"Sans Papiers" del 1996 e i
recenti "gilets jaunes".
La
Parigi del 1870 chiudeva in sé elementi ignorati dai visitatori frettolosi
delle esposizioni universali, sedotti dai teatri, dai boulevard, dalla
pompa delle feste imperiali, dalla musica indiavolata di Offenbach, dalle
gentilezze dispensate in base ad un’alta tariffa dalle cocottes più
rinomate. Essa non si limitava ai personaggi delle Tuileries[1],
del Senato, del Corpo legislativo e dei grandi corpi dello Stato, azzimati
nelle loro uniformi, irrigiditi nel loro disprezzo verso “gli uomini in
berretto”, e intenti a rendere ipocritamente omaggio ad un Imperatore
imbellettato e ad una imperatrice di sangue straniero. Essa non era limitata al
rumoroso quartiere dei boulevards rutilanti o alla calma oasi del faubourg Saint-Germain, abitato dalla
nobiltà che manteneva ancora una certa riservatezza nei riguardi del regime.
C'era anche un popolo di Parigi che viveva diversamente, che viveva altrove,
lontano da questi elementi mondani, potenti, rumorosi, di una capitale amata e
invidiata dagli stranieri.
Questo
popolo non era esclusivamente e specificamente ciò che verrà chiamato più tardi
il proletariato operaio. D'altronde, le grandi organizzazioni industriali,
commerciali o bancarie cominciavano appena ad apparire. Il piccolo laboratorio
predominava in questa Parigi che l'opera di risanamento di Haussmann[2] ha demolito meno di quanto
si creda, e nella quale essa è servita soprattutto all'abbellimento dei
quartieri eleganti.
Nelle vecchie case del quartiere del Temple, dei faubourg
Saint-Marcel, Saint-Jacques e Saint-Antoine, in quelle delle pendici della Montagne
Sainte-Geneviéve, di Ménilmontant, di Montmartre,
di Montrouge e di Belleville, negli angusti alloggi che nessuna eleganza
abbelliva, vivevano famiglie di artigiani onesti ed equilibrati.
Queste
famiglie avevano un'eredità, quella del lavoro onesto e dei ricordi eroici. Non
soltanto l'eroismo del compito quotidiano, portato a termine, nonostante tutte
le difficoltà, con cura, con amore, ma l’eroismo sanguinoso dei sacrifici
collettivi, giacché in non poche di esse si rammentava l'alba fraterna del 1848
e il terribile cruento risveglio delle giornate
di giugno. I più vecchi lavoratori ricordavano le barricate del tempo di Luigi
Filippo, persino le tre giornate del 27,
28, 29 luglio 1830, nelle quali il popolo parigino insorse contro il
Governo di Carlo
X, che dovette abdicare
e abbandonare la Francia, e ve ne sono tra essi alcuni i cui padri sanculotti
hanno portato il fucile negli eserciti della Prima Repubblica.
L'orario
lavorativo era abbastanza lungo e tuttavia c'era il tempo, in mancanza dei
divertimenti di oggi, di leggere qualche opuscolo, di scorrere il giornale, di
sfogliare le opere di Proudhon,
di assistere a qualche riunione corporativa o politica. Si incontravano nei
laboratori, nelle osterie o nei gruppi, vari stranieri, tedeschi che
continuavano la tradizione della “Società dei fuorusciti”, polacchi scacciati
dal loro paese nel 1863 dai soldati del generale Muraviev, italiani che
aspettavano ostinatamente l'avvento della repubblica unitaria e laica.
Barricata di rue Soufflot 1848
Cosi
si costituì un'ideologia ricca, vibrante, scucita. Vi si scorgeva un po’ di anarchia
proudhoniana, la concezione secondo la quale la produzione può essere
organizzata da raggruppamenti umani autonomi e liberamente federati. Questa
concezione non era esclusiva, al contrario: essa era ricca di un umanitarismo
generoso, nel quale s’intravvedeva, attorno alla Francia, una federazione di
Comuni liberi, una federazione dei popoli europei, la pace universale che si
stabilisce sulle rovine del centralismo spezzato e del militarismo morente.
Nelle
riunioni pubbliche, autorizzate dall’Impero
liberale, gli oratori, soprattutto borghesi, erano profondamente
repubblicani: avevano partecipato a tutte le manifestazioni, da principio
clandestine, poi pubbliche, organizzate dagli "anziani" del 1848
e dai giovani democratici appena usciti dai licei e dalle scuole di diritto;
tutti i capi repubblicani erano buoni per loro, dal vecchio Blanqui
e da Delescluze
a Gambetta
e ad Alain Targé[3],
ed essi credevano provvisoriamente alla sincerità di tutti.
Erano
cospiratori per istinto e si compiacevano di ritrovarsi nelle piccole
organizzazioni, nelle botteghe operaie, nei ristoratori cooperativi animati
dalla grande fede di Eugene
Varlin o di Benoit
Malon.
E
sempre per istinto, erano sindacalisti, e l’organizzazione operaia, vietata
sino al 1864, disturbata ancora da una magistratura e da una polizia che mal si
adattavano all'idea delle coalizioni antipadronali e delle società di
resistenza, era già abbastanza avanti perché si istituissero casse di
disoccupazione, venissero distribuiti, durante gli scioperi, soccorsi sempre
più numerosi a Parigi e fuori.
Erano
antimilitaristi e anticlericali, soprattutto perché Chiesa ed Esercito erano
stati le colonne dell’Impero
e sembravano opporsi all’attuazione del loro sogno; e qui blanquismo[4] e Internazionale
si incontrarono per insegnare agli operai ad odiare ufficiali e preti. D’altra
parte, per quanto integralmente francesi essi fossero, per quanto patrioti
potessero mostrarsi, gli operai di Parigi avevano il senso dell’umano. Molti
hanno avuto legami di amicizia con quei tedeschi, italiani, polacchi, spagnoli
che tante crisi nazionali avevano “gettato” in Francia. Tale affratellamento si era attuato anche attraverso lo
sviluppo di quell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori che aveva per motto: ”Proletari di tutto
il mondo unitevi”.
Se
Parigi, grazie alla sua tradizione rivoluzionaria, grazie alla qualità delle
sue elite operaie, era alla testa del movimento antibonapartista, repubblicano,
socialista e, oserei dire anche se ai suoi albori, libertario, un certo numero
di regioni e di centri urbani era pronto a seguirne l’impulso. Se si paragona
la carta politica francese del 1870 con quella del 1848,
ci si rende conto che l’opinione pubblica repubblicana aveva perso per
estensione e per numero, ma aveva guadagnato in forza e coesione. L’Ovest e il Centro
erano legittimisti o bonapartisti, fatta eccezione per qualche città, come
Bruges, Nevers e soprattutto Limoges. Accadde lo stesso in Normandia, dove a
Rouen era sorta una sezione dell’Internazionale.
Nel Mezzogiorno, Tolosa era la grande cittadella repubblicana: il giornalista
Duportal vi fondò un quotidiano molto avanzato, L’Emancipation. Anche a
Montpellier si pubblicò un giornale rivoluzionario. A Marsiglia
l’attività politica si è mantenuta molto intensa e Bastelica
aveva organizzato una sezione dell’Internazionale.
A
Lione, dove
esisteva una tradizione rivoluzionaria che l’anarchico russo Bakunin
venne ad animare ulteriormente, si era violentemente ostili all'Impero: Lione, da
questo punto di vista, era veramente una seconda Parigi e congiunta, per lo
meno cronologicamente, con Saint-Etienne,
Marsiglia
e Tolosa,
ha avuto una parte importante nel moto comunalista provinciale.
Non
si può dire altrettanto delle città dell'Est e del Nord, per la semplicissima
ragione che queste regioni furono lungamente occupate dai prussiani. L'Alsazia era in gran parte
repubblicana, la Franca Contea lo era meno, ma è stata toccata dalla propaganda
internazionalista,
principalmente nella sua forma bakuniniana,
più adatta per sedurre i produttori isolati e vagamente anarchici. Quanto al
Nord, soltanto nelle città di Lilla, Boulogne, Suint-Quentin e nei piccoli
centri industriali della Piccardia, la propaganda repubblicana ha portato i
suoi frutti e lo sforzo degli internazionalisti
era giunto, qualche volta, a fondare delle sezioni.
Non
tutta la Francia reagì come Parigi e le grandi città all'invasione,
all’inettitudine politica degli uomini del Governo
di Difesa nazionale. Addormentata dalla falsa prosperità dell’Impero,
tenuta sotto sorveglianza dalla sua polizia, dalla sua magistratura e dai suoi
prefetti, essa mancò di spontaneità, si impantanò in un egoismo materiale e in
una preoccupazione di rispettabilità, che le fecero adottare senza difficoltà
le meschine soluzioni dei “Notabili” e considerare follie le idee di resistenza,
di offensive e il programma autonomista della Comune di Parigi.
[1] Il
palazzo
delle Tuileries, sede della residenza di Napoleone
III, sorgeva a Parigi
sulla riva destra della Senna fino al 1871, quando venne distrutto da un
incendio ed in seguito demolito.
[2] Il barobne Georges Eugène Haussmann
(1809 – 1891) è stato un politico ed urbanista francese. Il titolo di nobiliare
gli fu attribuito da Napoleone III, per il quale gli aveva rinnovato
Parigi tra il 1852 e il 1869, predisponendo e attuando un vasto piano di
ristrutturazione.
[3] Alain Targé,
avvocato, magistrato e politico (repubblicano) francese.
[4] Il blanquismo fu un
movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e,
una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il
diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra
intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina
rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa
fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.