mercoledì 21 novembre 2018

01-01 - La tradizione rivoluzionaria del popolo di Parigi

LA TRADIZIONE RIVOLUZIONARIA DEL POPOLO DI PARIGI

Presa della Bastiglia, martedì 14 luglio 1789
Considero Parigi la città rivoluzionaria per eccellenza. Dal 1789 al 1871 ha vissuto quattro rivoluzioni; e non contiamo le numerose rivolte che si sono succedute negli anni dallo storico 14 luglio 1789 ai giorni nostri, passando anche attraverso il "maggio '68"", il movimento dei "Sans Papiers" del 1996 e i recenti "gilets jaunes".
La Parigi del 1870 chiudeva in sé elementi ignorati dai visitatori frettolosi delle esposizioni universali, sedotti dai teatri, dai boulevard, dalla pompa delle feste imperiali, dalla musica indiavolata di Offenbach, dalle gentilezze dispensate in base ad un’alta tariffa dalle cocottes più rinomate. Essa non si limitava ai personaggi delle Tuileries[1], del Senato, del Corpo legislativo e dei grandi corpi dello Stato, azzimati nelle loro uniformi, irrigiditi nel loro disprezzo verso “gli uomini in berretto”, e intenti a rendere ipocritamente omaggio ad un Imperatore imbellettato e ad una imperatrice di sangue straniero. Essa non era limitata al rumoroso quartiere dei boulevards rutilanti o alla calma oasi del faubourg Saint-Germain, abitato dalla nobiltà che manteneva ancora una certa riservatezza nei riguardi del regime. C'era anche un popolo di Parigi che viveva diversamente, che viveva altrove, lontano da questi elementi mondani, potenti, rumorosi, di una capitale amata e invidiata dagli stranieri.
Questo popolo non era esclusivamente e specificamente ciò che verrà chiamato più tardi il proletariato operaio. D'altronde, le grandi organizzazioni industriali, commerciali o bancarie cominciavano appena ad apparire. Il piccolo laboratorio predominava in questa Parigi che l'opera di risanamento di Haussmann[2] ha demolito meno di quanto si creda, e nella quale essa è servita soprattutto all'abbellimento dei quartieri eleganti.
Nelle vecchie case del quartiere del Temple, dei faubourg Saint-Marcel, Saint-Jacques e Saint-Antoine, in quelle delle pendici della Montagne Sainte-Geneviéve, di Ménilmontant, di Montmartre, di Montrouge e di Belleville, negli angusti alloggi che nessuna eleganza abbelliva, vivevano famiglie di artigiani onesti ed equilibrati.
Queste famiglie avevano un'eredità, quella del lavoro onesto e dei ricordi eroici. Non soltanto l'eroismo del compito quotidiano, portato a termine, nonostante tutte le difficoltà, con cura, con amore, ma l’eroismo sanguinoso dei sacrifici collettivi, giacché in non poche di esse si rammentava l'alba fraterna del 1848 e il terribile cruento risveglio delle giornate di giugno. I più vecchi lavoratori ricordavano le barricate del tempo di Luigi Filippo, persino le tre giornate del 27, 28, 29 luglio 1830, nelle quali il popolo parigino insorse contro il Governo di Carlo X, che dovette abdicare e abbandonare la Francia, e ve ne sono tra essi alcuni i cui padri sanculotti hanno portato il fucile negli eserciti della Prima Repubblica.
L'orario lavorativo era abbastanza lungo e tuttavia c'era il tempo, in mancanza dei divertimenti di oggi, di leggere qualche opuscolo, di scorrere il giornale, di sfogliare le opere di Proudhon, di assistere a qualche riunione corporativa o politica. Si incontravano nei laboratori, nelle osterie o nei gruppi, vari stranieri, tedeschi che continuavano la tradizione della “Società dei fuorusciti”, polacchi scacciati dal loro paese nel 1863 dai soldati del generale Muraviev, italiani che aspettavano ostinatamente l'avvento della repubblica unitaria e laica.

Barricata di rue Soufflot 1848

Cosi si costituì un'ideologia ricca, vibrante, scucita. Vi si scorgeva un po’ di anarchia proudhoniana, la concezione secondo la quale la produzione può essere organizzata da raggruppamenti umani autonomi e liberamente federati. Questa concezione non era esclusiva, al contrario: essa era ricca di un umanitarismo generoso, nel quale s’intravvedeva, attorno alla Francia, una federazione di Comuni liberi, una federazione dei popoli europei, la pace universale che si stabilisce sulle rovine del centralismo spezzato e del militarismo morente.
Nelle riunioni pubbliche, autorizzate dall’Impero liberale, gli oratori, soprattutto borghesi, erano profondamente repubblicani: avevano partecipato a tutte le manifestazioni, da principio clandestine, poi pubbliche, organizzate dagli "anziani" del 1848 e dai giovani democratici appena usciti dai licei e dalle scuole di diritto; tutti i capi repubblicani erano buoni per loro, dal vecchio Blanqui e da Delescluze a Gambetta e ad Alain Targé[3], ed essi credevano provvisoriamente alla sincerità di tutti.
Erano cospiratori per istinto e si compiacevano di ritrovarsi nelle piccole organizzazioni, nelle botteghe operaie, nei ristoratori cooperativi animati dalla grande fede di Eugene Varlin o di Benoit Malon.
E sempre per istinto, erano sindacalisti, e l’organizzazione operaia, vietata sino al 1864, disturbata ancora da una magistratura e da una polizia che mal si adattavano all'idea delle coalizioni antipadronali e delle società di resistenza, era già abbastanza avanti perché si istituissero casse di disoccupazione, venissero distribuiti, durante gli scioperi, soccorsi sempre più numerosi a Parigi e fuori.
Erano antimilitaristi e anticlericali, soprattutto perché Chiesa ed Esercito erano stati le colonne dell’Impero e sembravano opporsi all’attuazione del loro sogno; e qui blanquismo[4] e Internazionale si incontrarono per insegnare agli operai ad odiare ufficiali e preti. D’altra parte, per quanto integralmente francesi essi fossero, per quanto patrioti potessero mostrarsi, gli operai di Parigi avevano il senso dell’umano. Molti hanno avuto legami di amicizia con quei tedeschi, italiani, polacchi, spagnoli che tante crisi nazionali avevano “gettato” in Francia. Tale affratellamento si era attuato anche attraverso lo sviluppo di quell’Associazione Internazionale dei Lavoratori che aveva per motto: ”Proletari di tutto il mondo unitevi”.
Se Parigi, grazie alla sua tradizione rivoluzionaria, grazie alla qualità delle sue elite operaie, era alla testa del movimento antibonapartista, repubblicano, socialista e, oserei dire anche se ai suoi albori, libertario, un certo numero di regioni e di centri urbani era pronto a seguirne l’impulso. Se si paragona la carta politica francese del 1870 con quella del 1848, ci si rende conto che l’opinione pubblica repubblicana aveva perso per estensione e per numero, ma aveva guadagnato in forza e coesione. L’Ovest e il Centro erano legittimisti o bonapartisti, fatta eccezione per qualche città, come Bruges, Nevers e soprattutto Limoges. Accadde lo stesso in Normandia, dove a Rouen era sorta una sezione dell’Internazionale. Nel Mezzogiorno, Tolosa era la grande cittadella repubblicana: il giornalista Duportal vi fondò un quotidiano molto avanzato, L’Emancipation. Anche a Montpellier si pubblicò un giornale rivoluzionario. A Marsiglia l’attività politica si è mantenuta molto intensa e Bastelica aveva organizzato una sezione dell’Internazionale.
A Lione, dove esisteva una tradizione rivoluzionaria che l’anarchico russo Bakunin venne ad animare ulteriormente, si era violentemente ostili all'Impero: Lione, da questo punto di vista, era veramente una seconda Parigi e congiunta, per lo meno cronologicamente, con Saint-Etienne, Marsiglia e Tolosa, ha avuto una parte importante nel moto comunalista provinciale.
Non si può dire altrettanto delle città dell'Est e del Nord, per la semplicissima ragione che queste regioni furono lungamente occupate dai prussiani. L'Alsazia era in gran parte repubblicana, la Franca Contea lo era meno, ma è stata toccata dalla propaganda internazionalista, principalmente nella sua forma bakuniniana, più adatta per sedurre i produttori isolati e vagamente anarchici. Quanto al Nord, soltanto nelle città di Lilla, Boulogne, Suint-Quentin e nei piccoli centri industriali della Piccardia, la propaganda repubblicana ha portato i suoi frutti e lo sforzo degli internazionalisti era giunto, qualche volta, a fondare delle sezioni.
Non tutta la Francia reagì come Parigi e le grandi città all'invasione, all’inettitudine politica degli uomini del Governo di Difesa nazionale. Addormentata dalla falsa prosperità dell’Impero, tenuta sotto sorveglianza dalla sua polizia, dalla sua magistratura e dai suoi prefetti, essa mancò di spontaneità, si impantanò in un egoismo materiale e in una preoccupazione di rispettabilità, che le fecero adottare senza difficoltà le meschine soluzioni dei “Notabili” e considerare follie le idee di resistenza, di offensive e il programma autonomista della Comune di Parigi.






[1] Il palazzo delle Tuileries, sede della residenza di Napoleone III, sorgeva a Parigi sulla riva destra della Senna fino al 1871, quando venne distrutto da un incendio ed in seguito demolito.
[2] Il barobne Georges Eugène Haussmann (1809 – 1891) è stato un politico ed urbanista francese. Il titolo di nobiliare gli fu attribuito da Napoleone III, per il quale gli aveva rinnovato Parigi tra il 1852 e il 1869, predisponendo e attuando un vasto piano di ristrutturazione.
[3] Alain Targé, avvocato, magistrato e politico (repubblicano) francese.
[4] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.