venerdì 6 settembre 2019

04-01-B1 – Michail BAKUNIN

MICHAIL BAKUNIN

  

«Sono un amante fanatico della libertà, la considero l’unica condizione nella quale l’intelligenza, la dignità e la felicità umana possono svilupparsi e crescere. Non la libertà concepita in modo puramente formale, limitata e regolata dallo Stato, un eterno inganno che in realtà non rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù degli altri... No, io mi riferisco all’unico tipo di libertà che merita questo nome... la libertà che non conosce le restrizioni se non quelle che vengono determinate dalle leggi della nostra personale natura, che non possono essere considerate vere restrizioni, perché non si tratta di leggi imposte da un legislatore esterno, pari o superiore a noi, ma di leggi immanenti ed inerenti noi stessi, costituenti la base del nostro essere materiale, intellettuale e morale: esse non ci limitano, sono le condizioni reali e naturali della nostra libertà»

Michail Bakunin, La Comune e lo Stato.

 

 

Michail Aleksandrovič Bakunin è nato a Prjamuchino[1], il 30 maggio[2] 1814 ed è morto Berna, il 1° luglio 1876. Grande rivoluzionario e pensatore russo, hegeliano di sinistra, poi teorico dell'anarchia, è considerato uno dei padri fondatori dell'anarchismo moderno, assieme a Pierre-Joseph Proudhon, Carlo Cafiero[3] ed Errico Malatesta[4]. Membro dell’A.I.T., prese parte attiva in Francia agli eventi rivoluzionari di febbraio-marzo 1848 (a Parigi) e settembre 1870 (a Lione).È autore di molti scritti, tra i quali Stato e Anarchia e L'impero germanico.

 

 

Autoritratto del giovane Bakunin

La gioventù

 

È nato in una famiglia della nobiltà russa. Suo padre, Alexandre, aveva trascorso diversi anni in Italia prima di rilevare la proprietà di famiglia. Michail aveva quattro sorelle, due più grandi e due più giovani, e cinque fratelli, anche loro più giovani di lui. Fin dai suoi primi anni ha imparato il francese e il tedesco. Mandato alla scuola di artiglieria di San Pietroburgo, nel 1833 per diventare un militare, completò i suoi studi nel 1832 e due anni dopo fu nominato giovane ufficiale della Guardia Imperiale Russa, così fu mandato a Minsk e Goradnia (ex Lituania, oggi Bielorussia).

Nel marzo del 1835, in un viaggio a Mosca, incontrò Nicolas Stankevitch[5], che animò una cerchia di giovani appassionati di letteratura filosofica tedesca. Si dimise dall'esercito nel dicembre 1835 e si unì alla cerchia di Stankevitch, in seguito iniziò gli studi filosofici e divenne un seguace del pensiero di Fichte[6], poi di Hegel[7], i cui pensieri aveva usato per apprendere i suoi stessi rapporti con la sua cerchia di amici. In quel periodo, nella sua famiglia, è entrato in conflitto con suo padre a proposito del matrimonio di una delle sue sorelle.

Già amico Ivan Turgenev[8] e Vissarion Belinsky[9], ha incontrato Alexander Herzen[10] nel mese di aprile 1840 e ne diventò amico. Nel mese di dicembre 1840, lasciò la Russia per la Germania al fine di perseguire la sua formazione filosofica, e anche per sfuggire ad un ambiente familiare diventato per lui troppo pesante. Soggiornò a Berlino, dove entrò in contatto con i giovani leader del movimento socialista berlinese, e a Dresda dove seguì corsi di filosofia. Frequentò i corsi di Schelling[11] (e nello stesso tempo quelli di Kierkegaard[12] ed Engels[13]) e l'hegeliano Karl Werder[14]. Frequentando i circoli hegeliani di sinistra, ha incontrato diverse figure del movimento liberale e democratico tedesco, tra cui Arnold Ruge[15], figura prominente della sinistra hegeliana, che ha curato la Deutsche Jahrbücher für Wissenschaft und Kunst (Annuari tedeschi per la scienza e l'arte). In questa rivista, pubblicò nell'ottobre 1842, sotto lo pseudonimo di Jules Elysard, il suo articolo «Die Reaktion in Deutschland (La reazione in Germania)» che ebbe un forte impatto.

Temendo che l'ambasciata russa cominciasse ad essere interessata a lui, partì per la Svizzera, Zurigo, nel gennaio 1843. Pubblicò nel mese di giugno dello stesso anno, sul quotidiano Schweizerische Republikanerde di Berna, il suo articolo «Der Kommunismus (Il Comunismo)».

 

 

Il periodo parigino

 

Ancora una volta preoccupato dalle autorità russe (lo Zar gli ha ordinato di tornare in Russia, ma egli rifiutò), dalla Germania partì per Parigi nel febbraio 1844 soggiornando per breve periodo a Bruxelles nella primavera dello stesso anno.

A Parigi, incontrò Marx, che lo storico Franco Venturi[16] ne «Il populismo russo» descrive in questo modo:

«Bakunin era particolarmente vicino allora a quel gruppo che negli ultimi mesi del 1844 stava tentando di trasformare il foglio tedesco pubblicato a Parigi, Worwarts, in un organo del socialismo emigrato, al gruppo cioè di Ruge[15]Marx, Herweg, Heine. Ma anche nell'atmosfera di quell'ambiente sentì qualcosa che gli impediva di parteciparvi con tutto l'animo. Vi trovava quella costrizione, quell'artificiosità che non gli aveva permesso di accettare l'utopia di Weitling»[17].

A Parigi quindi, come scritto nella citazione soprastante, venne a contatto anche con la squadra di socialisti germanici del Vorwärts, giornale a cui Bakunin collaborò, ma anche diversi socialisti francesi (tra cui Proudhon, con il quale, venendo a contatto con le sue concezioni libertarie, strinse amicizia e discusso sulla filosofia hegeliana) e membri dell'emigrazione polacca.

A proposito dell'incontro con i comunisti emigrati a Parigi scrive Bakunin: «Questi signori sono estranei alle esigenze fondamentali della dignità e della libertà umana. Non è forse una cosa triste? ... I comunisti francesi, da questo punto di vista, sono più progressivi, più umani, orgogliosi e liberi, essi sono pieni di dignità e d'amor proprio e perciò apprezzano anche la libertà e la dignità degli altri»[18].

Casa natale di Bakunin a Prjamuchino

Nel 1844, con Marx, Feuerbach[19] e Ruge[15] (di cui in seguito diventò intimo amico) fondò il giornale Deutsch-Französische Jahrbücher. Durante il periodo parigino, nel 1844, scrisse un saggio su Feuerbach intitolato Esposizione e sviluppo del pensiero di Feuerbach, che però è andato perduto[20].

Parigi era una città ricca di fermenti culturali e politici, nella stessa capitale parigina ebbe contatti con diversi intellettuali, tra cui Engels[21], Cabet[22], il pubblicista tedesco Heinrich Bornstein[23] (fondatore del Vorwarts, nel luglio 1844 ospitò l'anarchico russo in una stanza della sua abitazione in rue des Moulins, 32) e soprattutto Proudhon. Tutte queste esperienze fecero maturare definitivamente in lui idee rivoluzionarie e antiautoritarie:

«...sono lo stesso, come prima, nemico dichiarato della realtà esistente, solo con questa differenza, ho cessato di essere teorico [...] Io amo, Pablo, amo appassionatamente: non so se posso essere amato come io vorrei esserlo, ma non dispero, -so almeno che si ha molta simpatia verso di me-; devo e voglio meritare l'amore di quella a cui amo, amandola religiosamente, vale a dire, attivamente -è sottomessa alla più terribile ed alla più infame schiavitù- e devo liberarla combattendo i suoi oppressori e accendendo sul suo cuore il sentimento della sua propria dignità, suscitando in lei l'amore e la necessità della libertà, gli istinti della ribellione e della indipendenza, ricordandola a se stessa, al sentimento della sua forza e di suoi diritti. Amare è volere la libertà [...] Abbasso tutti i dogmi religiosi e filosofici -non sono più menzogne-; la verità non è una stupidaggine, se non un fatto, la vita stessa è la comunità di uomini liberi e indipendenti, è la santa unità dell'amore che germoglia dalle profondità misteriose e infinite della libertà individuale».

(Lettera di Michail Bakunin al fratello Paolo, Parigi, 29 marzo 1845).

 

Nel frattempo, mentre si trovava temporaneamente in Svizzera, Bakunin apprese che il governo russo gli aveva ritirato lo status di nobile e condannato in absentia ai lavori forzati in Siberia. Pubblicò allora sul giornale La Reforme un articolo che attaccava direttamente l'autocrazia russa. A Parigi Bakunin visse fino al dicembre del 1847, anno in cui venne espulso dal governo francese su richiesta dell'ambasciata russa dopo aver pronunciato un discorso infuocato all'incontro organizzato a Parigi, il 29 novembre 1847, in occasione di una commemorazione della rivolta polacca del 1830 e per aver scritto un proclama rivoluzionario contro la Russia.

Di conseguenza, Bakunin partì per il Belgio.

 

 

La rivoluzione del 1848-49. Il carcere

 

La rivoluzione del febbraio 1848 di Parigi, lo sorprese a Bruxelles. Appena venne a sapere che la rivoluzione era appena iniziata, Bakunin decise di tornare nella capitale francese, città che raggiunse il 26 febbraio a piedi dalla frontiera a causa del blocco dei treni. Per una settimana rimase con gli operai nella caserma di rue de Tournon (allora 11° arrondisement, ora 6°). Trascorse quasi un mese a Parigi. Egli vedeva la rivoluzione come un risveglio dopo un lungo sonno. Preso dall'ebbrezza di quei giorni folli, si rivelò infaticabile: era presente ad ogni convegno, manifestazione, riunione, ecc. Ha scritto, «[…] in tutte le assemblee, riunioni, club, cortei, passeggiate o manifestazioni; in una parola aspiravo con tutti i miei sensi e con tutti i miei pori l'ebbrezza rivoluzionaria». Scrisse di nuovo più tardi: «In tutta questa fantasmagoria rivoluzionaria non ci furono che due uomini realmente seri, anche se del tutto dissimili l'uno dall'altro: furono Proudhon e Blanqui».

La rivoluzione si diffuse a macchia d'olio in tutta Europa, raggiungendo Milano, Venezia, Vienna, Berlino, Paesi Bassi, Danimarca, ecc[24]. Bakunin operò principalmente affinché la rivoluzione raggiungesse la Polonia e la Russia, una terra considerata da lui ed altri rivoluzionari come centrale rispetto all'esplosione della causa rivoluzionaria europea.

In quel momento, le voci che facevano di Bakunin una spia venivano trasmesse dalla cerchia di Marx.

Partì per Praga nel giugno del ‘48 per partecipare al congresso slavo. Prese parte all'insurrezione della città contro le truppe austriache.

Tornato in Germania, scrisse nell'autunno del 1848 il suo «Appello agli slavi», esortando le nazioni oppresse ad unirsi al campo della rivoluzione europea.

L'evento che cambiò radicalmente la sua vita fu però l'insurrezione di Dresda (aprile/maggio 1849)[25], alla quale prese parte attiva con Richard Wagner[26]. Arrestato dalle truppe germaniche, imprigionato nella prigione di Dresda, poi nella fortezza di Königstein (Assia), fu condannato, il 14 gennaio 1850, alla pena di morte, commutata in carcere a vita (12 giugno 1850). Durante la sua permanenza nella fortezza di Königstein[27], in attesa del suo primo processo, scrisse un lungo testo, «Meine Verteidigung (La mia difesa)», dove spiegava la sua azione.

Consegnato all’Impero austriaco, che lo condannò a morte, venne brevemente imprigionato a Praga e Olmütz. Fu infine consegnato alle autorità russe (17 maggio 1851) e rinchiuso nella Fortezza di Pietro e Paolo di San Pietroburgo. In quella circostanza, su richiesta del conte Orlov[28], scrisse una Confessione allo Zar Nicola I in cui faceva il punto sui suoi anni di attività rivoluzionaria fingendo il pentimento. Questo atto di «rammarico», fu senza dubbio l'unico mezzo di cui disponeva per sperare di ottenere un alleggerimento della pena.

Gravemente malato di scorbuto, nel 1857, la pena fu commutata dall'ergastolo all'esilio a vita in Siberia. Prima visse a Tomsk[29], dove sposò, il 5 ottobre 1858, una ragazza polacca, Antonia Kwiatkowski (con la quale ha avuto probabilmente un rapporto paterno più che di amante), poi a Irkutsk[30], dove trovò la protezione del governatore Muraviev-Amursky, suo lontano parente. Nel giugno del 1861, dalla Siberia riuscì a fuggire su una nave americana in partenza per il Giappone e raggiunse l'Europa a dicembre dopo esser passato da San Francisco, l'Istmo di Panama e Boston.

Nel dicembre dell'anno seguente raggiunse Londra, città da cui guardò con profondo interesse al Risorgimento italiano. Nella Capitale inglese Bakunin entrò in contatto epistolare con Giuseppe Garibaldi:

«Il rumore delle vostre nobili e patriottiche imprese scosse la mia apparente inerzia riportandomi tutte le passioni della giovinezza. Del resto non fui il solo a commuovermi…»

(Masini-Bovio, Bakunin, Garibaldi e gli affari slavi 1862-63).

 

In seguito, Bakunin inviò a Garibaldi, nel febbraio 1862, la sua prima pubblicazione - Romanov, Pugacev, Pestel, la causa del popolo – facendola seguire da una lettera:

«Il nostro scopo è l’abbattimento della centralizzazione moscovita-pietroburghese, l'emancipazione e la completa libertà, l'autonomia e l'indipendenza delle province polacche e di quelle non polacche che costituiscono lo Stato russo».

A Londra, incontrò Alexander Herzen[10] e Nicolas Ogarev[31], editori del giornale di opposizione Kolokol (La Campana)[32], ma anche Marx.

Riprendendo le sue attività rivoluzionarie con l’orientamento slavo e democratico che aveva prima del suo lungo periodo di reclusione e d'esilio, cercò invano di sostenere la rivolta polacca del marzo 1863, sostegno che lo portò in Svezia, dove prese contatto con i movimenti democratici locali.

Sempre a Londra, a causa del suo profondo interesse per i moti risorgimentali, aveva inoltre conosciuto Mazzini, presentatogli da Herzen[10] dopo la sua fuga in Siberia. C'è da dire che Mazzini inizialmente guardava con simpatia al socialismo ma in seguito divenne uno dei più acerrimi nemici della Prima Internazionale.

Il 12 novembre 1863 Mazzini scrisse a Federico Campanella[33]:

«...dì a Mosto che andrà a cercarlo un mio amico russo con la moglie, che mi preme sia bene accolto dai nostri […] Questo russo…ti darà..una prima lettera russa in francese…È un lavoro interessante assai. fa che sia tradotta. La serie delle lettere è primitivamente diretta a un giornale svedese; ma se tu gli chiederai di lasciarti sopprimere il preambolo, tanto che appaia un lavoro dato al “Dovere”, te lo concederà. Intenditi perché ei ti mandi le altre lettere da Firenze»

(Romano A., Storia del socialismo in Italia)

 

A dimostrazione della concertazione con Mazzini ed altri italiani in occasione del suo successivo viaggio in Italia, lo stesso Mazzini il giorno dopo scrisse a Giuseppe Dolfi[34]:

«Vedrete un amico mio russo, che vi raccomando caldamente insieme alla moglie che è polacca. E prima riceverete da lui – probabilmente da Genova – una lettera nella quale vi pregherà di trovargli una stanza a prezzo modesto a Firenze. Vi prego come amico di fare che vi dirà e vi sarò grato»

(Romano A., Storia del socialismo in Italia)

 

 

Il soggiorno italiano e la Prima Internazionale.

 

Avendo preso coscienza della situazione di stallo che ha portato alla questione delle nazionalità, le sue concezioni si sono evolute verso il socialismo rivoluzionario nel 1864. Ha lasciato Londra per la Svizzera nel novembre 1863 e da lì raggiunse Antonia in Italia, dove rimase fino al 1867. Il soggiorno in Italia cominciò all'inizio del 1864 e si prefiggeva l'obiettivo di diffondere Principi e Statuti dell'Internazionale dei Lavoratori: nel gennaio 1864 Bakunin raggiunse Genova, città in cui incontrò Bertani[35]; a Caprera fece visita a Giuseppe Garibaldi (19 gennaio 1864); in seguito giunse a Firenze, incontrò un gruppo di giovani socialisti e mazziniani tra cui Dolfi[34], Mazzoni[36], Berti-Calura[37] e De Gubernatis[38].

Bakunin difende la corrente anti-autoritaria

A questo punto Bakunin cominciò a lavorare alacremente per preparare la nascita della Prima Internazionale, che il 28 settembre 1864 svolse a Londra il suo congresso fondativo: nasce la "Prima Internazionale socialista dei Lavoratori”. All'Internazionale aderirono inizialmente tutte le correnti della Sinistra europea, da Karl Marx agli anarchici e fino a Giuseppe Mazzini (1805-1872). L'Associazione diventò fuorilegge, dal 1871, in Francia, Spagna, Germania, Austria-Ungheria e Danimarca, ma si sviluppò, nonostante la repressione, in SpagnaItaliaBelgio. All'interno dell'Internazionale, i contrasti principali si ebbero tra marxisti ed anarchici riguardo alla funzione dello Stato prima, durante e dopo la rivoluzione sociale (Bakunin, contrariamente a Marx, auspicava ovviamente la sua immediata abolizione).

Bakunin intraprese un nuovo viaggio in Svezia tra agosto e ottobre 1864 passando per Parigi, dove incontrò per l'ultima volta Proudhon, e Londra, dove rivide Marx. In un colloquio con Marx avvenuto il 3 novembre 1864 i due rivoluzionari concordarono che Bakunin si sarebbe adoperato in Italia per cercare adesioni al’Associazione Internazionale dei Lavoratori, costituita da poche settimane, e per scalzare l'influenza di Mazzini, allora predominante nelle società operaie.

Così, negli ultimi mesi dell'anno Bakunin intraprese un nuovo viaggio in Italia con l'intento di diffondere i principi internazionalisti e promuovere la nascita di un’organizzazione internazionalista. Nacque  così l'effimera "Fratellanza Internazionale". In sintesi ecco i momenti più importanti del soggiorno italiano:

Ottobre del 1864: Bakunin è a Napoli per partecipare al XI Congresso delle società operaie mazziniane, durante il quale si decise di inviare una delegazione al previsto Primo Congresso dell'A.I.L. dell'anno seguente (che non avrà mai luogo).

Novembre 1864: dopo essersi allontanato, Bakunin visita l'Italia per la seconda volta (Genova e Firenze), con l'intento di contrastare l'egemonia mazziniana nel movimento operaio (la rottura con Mazzini è definitiva a causa della visione statalista di quest'ultimo).

Agosto 1865: a Firenze fonda il giornale «Il Proletario», diretto dal proudhoniano[39] Niccolò Lo Savio[40].

Giugno 1866: Bakunin si trasferisce a Napoli, qui aggrega intorno alla sua figura un gruppo di giovani che saranno i primi internazionalisti: Carlo Gambuzzi[41], Giuseppe Fanelli[42], Saverio Friscia[43], Mileti[44], Dramis[45] e Alberto Tucci.

·   Ottobre 1866: Bakunin e Tucci curano la pubblicazione de La situazione italiana, un opuscolo in cui si analizza la situazione politica nella penisola e si attacca violentemente lo statalismo mazziniano.

·   Febbraio 1867: a Napoli nasce il circolo «Libertà e Giustizia» dagli amici italiani di Bakunin: Giuseppe Fanelli[42], Saverio Friscia[43], Gambuzzi[41], Tucci e Caporusso[46].

·   Agosto 1867: «Libertà e Giustizia» inizia le pubblicazioni di un giornale socialista e collettivista omonimo.

·   Settembre 1867: grazie al proficuo lavoro di Bakunin ci furono primi contatti delle società operaie italiane con la Prima Internazionale[47].

·   Luglio 1868: Si iscrive alla sezione genovese dell'Internazionale. Si stabilisce nel capoluogo ligure.

·   25 Settembre 1868: Fonda la "Fratellanza Internazionale" o Alleanza dei Socialisti Rivoluzionari.

Nel 1867, in occasione di un articolo dedicato alla questione slava e pubblicato in Italia, si dichiarò anarchico per la prima volta. Durante la sua permanenza a Napoli, sua moglie iniziò una relazione romantica con l'avvocato Carlo Gambuzzi[41], amico di Bakunin.

 

 

Le attività insurrezionali

 

Nel settembre del 1867 partì per la Svizzera stabilendosi a Ginevra. Qui partecipò, tenendo un notevole discorso, al primo Congresso internazionale della Lega per la Pace e la Libertà, il 10 settembre 1867 (in cui militavano i democratici di tutta Europa, tra cui Victor Hugo, Stuart Mill[48]Louis Blanc e Giuseppe Garibaldi, ma senza alcuna velleità rivoluzionarie). Bakunin cercò di indirizzare la Lega alle idee socialiste rivoluzionarie, che sviluppò in un lungo manoscritto durante l'inverno 1867-1868, Libertà, Federalismo e Anti-teologismo. Nel luglio 1868, si unì alla sezione centrale di Ginevra della Prima Internazionale

In occasione del 2° Congresso della Lega a Berna, prese contatto con i nuovi militanti, tra cui diversi francesi. Ma dopo questo congresso, il 25 settembre del 1868, la fazione dei socialisti rivoluzionari, non essendo riuscita a far aderire la Lega all’A.I.T., nell'ottobre del 1868 si scisse dalla Lega per la Pace e la Libertà, originando l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici. All’Alleanza, oltre Bakunin, vi fecero parte anche alcuni dei giovani militanti francesi che il russo aveva incontrato all'interno della Lega (Victor JaclardJean Bedouch, i fratelli Elie ed Elisée ReclusAristide ReyAlbert Richard[49]Benoît MalonAlfred Tallandier). L’Alleanza chiese formalmente di essere ammessa come gruppo a parte nell'Associazione Internazionale dei Lavoratori. La richiesta venne accolta dal Consiglio Generale di Londra (22 dicembre 1868), ma alla precisa condizione che l'Alleanza si sciogliesse e aderissero all'Internazionale le singole sezioni locali. Così l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici venne sciolta e le sue sezioni locali (tra cui quella di Ginevra, la più importante e a cui aderiva Bakunin) aderirono separatamente all’Internazionale. Allo stesso tempo, Bakunin mantenne l'esistenza della sua organizzazione segreta, la Fratellanza Internazionale, per la quale continuò a redigere programmi e statuti segreti.

Dal febbraio del 1869, Bakunin strinse legami anche con i militanti dell’Internazionale della sede di Le Locle[50], tra cui James Guillaume[51] (che gestiva il quotidiano Le Progrès), Adhemar Schwitzguébel[52] e Auguste Spichiger[53], mentre lavorava verso la creazione di una federazione francofona dell'A.I.T., dotata di un giornale, L'Egalité, che usciva a Ginevra. Ha ricoperto un ruolo sempre più importante all'interno dell'A.I.T., in particolare nelle sezioni del Giura svizzero (dove aveva ricevuto dagli orologiai affiliati all’Internazionale un’accoglienza entusiasta) e ha mantenuto collegamenti con attivisti di diversi paesi.

Nel 1869, interessatosi ai fermenti rivoluzionari spagnoli, incaricò l'italiano Giuseppe Fanelli[42] di diffondere in Spagna l'idea anarchica e internazionalista. Nello stesso anno, Michail scrisse molti articoli per i giornali Le Progrès e L'Egalité. Partecipò nel settembre 1869 al Congresso internazionale di Basilea. Riuscì a far adottare le sue tesi su diversi punti importanti e all'adozione di risoluzioni che avrebbero intensificato la tensione con Marx e il suo seguito, incluso uno sull'abolizione del diritto di eredità. Da quel momento in poi, infatti, i suoi rapporti con Marx e i suoi sostenitori divennero apertamente conflittuali. Incontrò anche attivisti francesi che divennero suoi amici, tra cui Eugene Varlin.

In ottobre, Bakunin lasciò Ginevra per Locarno per avvicinarsi in Italia. Antonia aspettava un secondo figlio dal suo rapporto con Carlo Gambuzzi[41], ma voleva continuare a vivere con Bakunin, i due bambini avrebbero anche portato il suo cognome e nomi italiani. In una lettera del 16 dicembre, Bakunin spiegò ad Ogarev[31] la sua situazione familiare e designò Gambuzzi[41] come il «vero marito» di Antonia. In Svizzera, Bakunin non ha mai cessato di avere legami con il suo paese d'origine, in particolare attraverso i circoli dell'emigrazione russa a Ginevra. Mantenne la sua collaborazione con Herzen[10] e Ogarev[31] e nel 1868 scrisse una serie di opuscoli per la Russia.

Sempre nel 1869 conobbe l'avventuriero e rivoluzionario fanatico russo Sergei Netchaiev[54], che sosteneva di essere a capo di un'importante organizzazione segreta, e venne colpito dalla sua energia e determinazione. Bakunin non sapeva che Netchaiev[54] aveva lasciato la Russia dopo aver preso parte all'esecuzione di un membro del gruppo che guidava (lo studente Ivanov) e che l'organizzazione che stava rivendicando non esisteva. È probabile che Bakunin ritenesse di poter aggirare le differenze teoriche e pratiche che lo separavano da Netchaiev[54] perché sperava, attraverso di lui, di avere un impatto sul corso degli eventi in Russia.

I rapporti di Bakunin con Netchaiev[54] pesarono pesantemente sulle accuse contro di lui al momento della sua esclusione dall'A.I.T..

Netchaiev[54] prese l'iniziativa di minacciare un editore in modo che Bakunin venisse scaricato dalla traduzione in russo del Capitale di Marx. Inoltre, sottrasse i fondi per la ricomparsa del Koloko[32] dopo la morte di Herzen (21 gennaio 1870)[10]. Nello stesso periodo, scrisse un Catechismo del rivoluzionario, che ritraeva il rivoluzionario come un uomo perduto, inflessibile e cinico. Anche se questo testo si differenzia in molti punti di vista sostenuti da Bakunin, è stato considerato come tale dai suoi avversari nel’Internazionale, come coautore, errore che permette ancora oggi di creare confusione con i catechismi rivoluzionari scritti da Bakunin negli anni precedenti. Del Catechismo del rivoluzionario, sembra definitivamente stabilito oggi che Netchaïev[53] fu, da solo, l'autore.

Avvertiti da alcuni dei suoi amici sulle azioni di Nechaev[54], Bakunin finalmente ruppe con lui nel giugno 1870, non senza averlo difeso contro le minacce di estradizione verso la Russia che il governo svizzero fece in seguito anche a lui.

Nell’agosto 1870 fu espulso dalla sezione genovese dell'Internazionale per essersi dichiarato solidale con la sezione del Giura che si era fatta simbolo dei contrasti tra autoritari e anti-autoritari. In quegli anni Bakunin dovette difendersi dalle accuse infamanti di Karl Marx, che lo considerava una spia del Partito Panslavista.

 

 

La Comune di Lione

 

Nell'estate del 1870, Bakunin seguì da vicino e con passione l'inizio del conflitto tra la Francia di Napoleone III e la coalizione germanica intorno alla Prussia di Bismarck, come dimostra la sua «Lettera a un francese». Era convinto che la guerra contro la Prussia poteva essere l'occasione per la nascita di una rivoluzione sociale. Molto rapidamente, questo conflitto si trasformò in un disastro per l’esercito imperiale francese, il fiore all'occhiello di questa disfatta fu la grave sconfitta di Sedan il 2 settembre 1870. Quando la notizia della capitolazione di Napoleone III arrivò nel resto del paese (a Parigi nel pomeriggio del 3 settembre), fu proclamata la Repubblica, prima a Lione, la mattina del 4 settembre, poi a Parigi. A Lione, che già registrava un abbondante raggruppamento di aderenti all’Internazionale il 20 luglio (quel giorno diverse migliaia di lavoratori parteciparono ad una manifestazione sfilando per le vie città), la bandiera rossa sventolava sul pennone del Municipio e la situazione era quasi di una insurrezione imminente. Una delle sfide di questo periodo era di sapere se, sotto il nome di Repubblica, si sarebbe istaurato un regime che faceva rimanere in sella un certo numero di figure reazionarie "repubblicanizzatesi", Thiers, per citarne uno, con la complicità di repubblicani borghesi radicali, Gambetta, per esempio, o se il rovesciamento del secondo Impero poteva essere l'opportunità di instaurare una repubblica sociale, soprattutto perché era del tutto evidente che una parte importante della borghesia francese preferiva ancora la vittoria delle armate tedesche alla creazione di una repubblica sociale, atteggiamento che troviamo ancora 70 anni più tardi attraverso il famoso slogan «piuttosto Hitler che il Fronte Popolare» ...

A quel tempo, Lione era senza dubbio la città francese dove Bakunin aveva il maggior numero di amici, membri dell’Internazionale che condividevano la sua visione politica e sociale. Dal momento che l’avanzata dell’armata prussiana rese inevitabile l'accerchiamento di Parigi (che sarà effettuato dal 20 settembre), Bakunin riteneva che ogni impresa per la difesa della Francia non poteva che partire da Lione, non solo a causa del suo status come seconda capitale francese, ma anche a causa della sua posizione strategica all'ingresso del corridoio della valle del Rodano. È in questo contesto che il giorno dopo l'annuncio della Repubblica, chiamato dagli internazionalisti locali, Bakunin, decise di andare a Lione, dove arrivò il 15 settembre.

All’età di 56 anni, godeva di un enorme prestigio negli ambienti rivoluzionari e internazionalisti, e gli fu facile ad unire le su forze con i suoi amici di Lione (tra cui Albert RichardLouis Palix e Gaspard Blanc) per organizzare una sollevazione rivoluzionaria nel mese di settembre 1870. Il suo obiettivo allora era trasformare la guerra contro la Prussia in una guerra rivoluzionaria. Questo episodio, uno dei segni premonitori della Comune, fu in seguito oggetto di distorsioni grossolane, in particolare dalla storiografia marxista.

Partecipò subito a diversi incontri pubblici. Il 16 settembre, con i leader dell'A.I.T., costituì un «Comitato centrale per la salvezza della Francia» i cui incontri si tenevano a volte da Gaspard Blanc, a volte da Louis Palix, a volte da altri iniziati. Aiutato da amici provenienti dalla Svizzera e da Marsiglia, e mentre Cluseret era stato inviato sul posto dal Comitato centrale dei Venti Arrondissements di Parigi, esortò i lyonnesi a prepararsi attivamente per un'insurrezione popolare. Il 25 settembre contribuì alla stesura di un programma di rivolta, noto come l’«affiche rouge» manifesto rosso, il cui articolo 1 proclamava «l'abolizione» dello Stato borghese, al fine di sostituirlo con uno Stato rivoluzionario, basato su una Convenzione rivoluzionaria di salvezza della Francia composta da delegati di ciascun dipartimento. Il manifesto proponeva quindi di sostituire «la macchina amministrativa e governativa dello Stato, diventato impotente» con una «federazione di comuni rivoluzionari». Ecco il manifesto:

 


Repubblica Francese

Federazione Rivoluzionaria

dei

COMUNI

 

La situazione disastrosa nella quale si trova il paese; l'impotenza dei poteri ufficiali e l'indifferenza delle classi privilegiate hanno portato la nazione francese sull'orlo dell'abisso.

Se il popolo organizzato rivoluzionariamente non si affretta di agire, il suo avvenire è perduto. La rivoluzione è perduta, tutto è perduto! Ispirandosi all'immensità del pericolo e considerando che l'azione disperata del popolo non può essere ritardata di un solo istante, i delegati dei Comitati federali della Svizzera della Francia, riuniti in Comitato Centrale propongono di adottare immediatamente le risoluzioni seguenti:

 

Articolo Uno - La macchina amministrativa e governamentale dello Stato, divenuta impotente, è abolita.

Il popolo di Francia rientra nel pieno possesso di sé stesso.

Art 2 - Tutti i Tribunali penali e civili sono sospesi e sostituiti dalla giustizia popolare.

Art 3 - I pagamenti delle imposte e delle ipoteche sono sospesi. L'imposta è sostituita dalle contribuzioni dei Comuni federati prelevate sulle classi ricche in proporzione ai bisogni della salvezza della Francia.

Art 4 - Lo Stato, essendo decaduto, non potrà più intervenire per i pagamenti dei debiti privati.

Art 5 - Le organizzazioni municipali esistenti sono destituite e rimpiazzate in tutti i comuni federati dai Comitati di Salute della Francia, che eserciteranno tutti i poteri sotto il controllo immediato del popolo.

Art 6 - Ogni Comitato di Capoluogo di dipartimento invierà due delegati per formare la Convenzione rivoluzionaria di Salute della Francia.

Art 7 - Questa Convenzione si riunirà immediatamente al Municipio di Lione, quale seconda città della Francia e la più adatta per provvedere energicamente alla difesa del paese.

Questa Convenzione appoggiata dall'intero popolo, salverà la Francia. 

ALLE ARMI!!!


E.-B. Saignes[55], Rivière, Deville, Rajon (de Tarare), François Favre, Louis PalixB. PlacetBlanc (G.)Ch. BeauvoirAlbert RichardJ. BischoffDoublé, H. Bourbon, M. Bakounine, Parraton, A. Guillermet, Coignet aîné, P.-J. Pulliat, Latour, Guillo, Savigny, J. Germain, F. Charvet, A. Bastelica (de Marseille), Dupin (de Saint-Étienne), Narcisse Barbet.

 Il movimento, originariamente previsto per il 26 settembre, è stato rinviato il 28 a mezzogiorno. All'ora stabilita, una colonna di diverse migliaia di lavoratori disarmati uscì su place des Terreaux. L'intonacatore Eugène Saignes[55], che era a capo della manifestazione, ha approfittato della confusione per entrare con un gruppo di determinati dimostranti tra cui, tra gli altri, Bakunin, Alberrt Richard e André Bastelica, all'interno dell’Hôtel-de-Ville. Dal balcone, Saignes proclamò alcuni minuti dopo il licenziamento delle autorità, prima di nominare Cluseret «generale in capo degli eserciti rivoluzionari e federativi del sud della Francia». Verso le 15:00, Cluseret lasciò il Municipio per andare (e invano) a cercare di sollevare gli operai dalla Croix-Rousse e Richard andò nei Brotteaux. Mentre Saignes continuava ad arringare la folla per trattenerli, Bakunin, riconosciuto da un gruppo di guardie nazionali fedeli al sindaco, fu arrestato nella sala di Pas-perdus e rinchiuso in una cantina nel seminterrato. Al suo ritorno, Cluseret subì quasi lo stesso destino. Allertata, la folla si precipitò per liberare i rivoluzionari e disarmare la Guardia nazionale borghese. La confusione raggiunse rapidamente il suo apice. Bakunin fu liberato, ma il richiamo battuto in città aveva fatto accorrere i battaglioni dell'ordine. Il faccia a faccia con gli ultimi manifestanti e i battaglioni rivoluzionari della riva sinistra che arrivarono con Richard minacciarono di trasformarsi in un bagno di sangue. Il Comitato di salvezza della Francia, diviso tra radicali e rivoluzionari, esitò e Cluseret si rifiutò di marciare in uno scontro. Verso le 18:00 tutto era finito, la tentata insurrezione era fallita. Il giorno successivo, in una lunga lettera a Louis Palix, Bakunin incolpò Cluseret per il fallimento. Sembra tuttavia che il fallimento debba essere attribuito globalmente alla mancanza di profondità di un movimento avviato troppo presto, senza un piano preciso e senza un accordo preliminare tra i principali attori.

Ricercato, Bakunin si nascose per qualche giorno a Lione, quindi, il 30 settembre, lasciò definitivamente la città per recarsi a Marsiglia, dove scrisse un lungo manoscritto noto come «Situazione politica in Francia».

 

 

Bakunin a Lione: cronologia degli eventi

 

Il 12 settembre Bakunin giunse a Ginevra. Lì, trovò due compagni che avevano partecipato alla rivolta polacca del 1863: il russo Vladimir Ozerov e il polacco Walenty Lankiewicz (che morirà sulle barricate di Parigi durante la Settimana sanguinante nel maggio 1871).

Il 14 settembre Bakunin e i suoi due compagni lasciarono Ginevra, e arrivarono a Lione nella notte o la mattina del 15. La città era in preda a disordini, ma che Bakunin sembra aver considerato sterili: varie testimonianze ci dicono come rimproverò alcuni membri della sezione dell’Internazionale di Lione per essersi associati con i borghesi radicali della città che questo poteva portare al caos più completo.

Il 17 settembre in un incontro pubblico che riunì migliaia di persone alla sala de la Rotonde, a Brotteaux, si creò un Comitato di Salute della Francia. Bakunin propose al Comitato la creazione di comitati simili in tutti i comuni della Francia che, entrando in contatto tra loro creando una federazione e unendo le loro forze, insieme a lui stesso avrebbero organizzato una rivolta di massa che avrebbe marciato verso Parigi per impedire l'accerchiamento della capitale. Nei giorni successivi, si costituirono dei comitati in cui i membri dell'Internazionale svolgevano un ruolo preponderante.

Il 25 settembre si tenne una riunione del Comitato centrale in cui si decise la rivolta. Secondo Lehning[56] fu Bakunin che scrisse la chiamata alla sommossa, che fu letta nel nuovo incontro pubblico che si svolse il giorno successivo nella sala de la Rotonde.

La lentezza con cui gli eventi si collegarono fu sorprendente: mentre il testo era pronto il 25, l'insurrezione ebbe luogo solo il 28, dando ampia possibilità alle autorità, in stretto contatto con i rifugiati del governo provvisorio a Tours, di organizzarsi.

Il 27 settembre l'appello scritto da Bakunin, stampato in nero su uno sfondo rosso, venne stampato (furono fatte 500 copie) sotto il titolo di "Repubblica francese - Federazione Rivoluzionaria dei Comuni", firmato da 26 persone, tra cui Bakunin, e fu affisso sui muri di Lione

Il 28 settembre ci fu la manifestazione in place des Terreaux a mezzogiorno, verso la quale convergerono i partecipanti alla riunione del giorno prima e gli operai delle officine nazionali, responsabili per rafforzare le fortificazioni, che venivano a protestare in municipio contro la diminuzione dei loro salari. I manifestanti entrarono nell’Hôtel de Ville, Saignes[55] lesse dal balcone del Municipio il manifesto rosso, quindi cedette la parola a Cluseret, ex volontario della guerra di Secessione americana, che sostenne una guerra partigiana contro l'invasore. Quest’ultimo, investito con il titolo di generale, fu incaricato di andare a fomentare i lavoratori rivoluzionari e la Guardia Nazionale per farli aderire e dare una mano alla rivolta, ma si limitò a consigliare i lavoratori ad andare senza armi e questo, secondo Bakunin, sarà la principale causa di fallimento dell’insurrezione. D’altronde Cluseret secondo alcune testimonianze, si vanterà, qualche giorno dopo, d’aver fatto abortire il movimento. Bakunin quel giorno partecipò attivamente alla presa del municipio, ma nulla indica che si sia mostrato sul balcone, per parlare o leggere il proclama da lui scritto. Approfittando dell'assenza di armi tra i rivoltosi, le guardie nazionali fedeli alle autorità si introdussero nel Municipio e Bakunin venne arrestato, a quanto pare dal Sindaco di Lione in persona, Jacques-Louis Hénon. La situazione dentro l’edificio era molto confusa, le guardie nazionali borghesi furono disarmate dalla folla, e il prefetto fu arrestato dagli insorti. Ci vollero diverse ore prima che i compagni di Bakunin notassero la sua assenza ed organizzassero il suo rilascio sfondando qualche porta. Credendosi padroni della situazione, i leader dell'insurrezione si riunirono nella sala consiliare, prendendo una serie di decreti e lanciando mandati di cattura contro un certo numero di personaggi della reazione. Ma il prefetto aver fatto radunare di nuovo le guardie nazionali dei quartieri ricchi, gli insorti si trovarono presto privati della loro difesa e furono costretti a negoziare il loro rilascio, quindi alle 18:30, tutto era finito. Le decisioni di quel giorno furono pese dai militanti Lionnesi riuniti in un Comitato provvisorio rivoluzionario di salute della Francia, e non da Bakunin. Sembra che nelle discussioni che ci furono alla fine del movimento, Bakunin deplorò in particolare la mancanza delle armi e il ritardo dell’azione, che aveva dato il tempo per il nemico di organizzarsi.

Il 30 settembre Bakunin lasciò Lione per Marsiglia, per l’effetto di un mandato di cattura per "incitamento alla guerra civile" e per "crimini o delitti volti a turbare lo Stato". Tuttavia, sembra che le autorità avessero effettuato una intensa caccia a Bakunin, ma si mossero con estrema cautela, per paura di ritrovarsi di fronte ad una nuova sommossa popolare. Bisognerà attendere il 14 ottobre affinché un nuovo mandato d’arresto sarà prodotto contro il rivoluzionario russo.

 

 

Ritorno in Svizzera

 

Bakunin sperava di tornare a Lione sull’onda di una nuova insurrezione che teneva conto di ciò che venne fatto nella precedente, ma dal 15 ottobre, fu consapevole che ciò non sarebbe più successo. Alla fine il 24 ottobre lasciò Marsiglia per l'Italia con un battello. Il 27 ottobre: di Bakunin arrivò a Locarno, via Genova, Milano, Arona e il Lago Maggiore.

Mantenne in questo periodo la sua attività all'interno dell'A.I.T. e le sue relazioni con i militanti francesi. Paradossalmente, mentre fino a quel momento aveva essenzialmente espresso le sue idee in vari documenti programmatici (non sempre resi pubblici), fu durante questo periodo che Bakunin iniziò a scrivere su carta i suoi principali contributi teorici, con la successiva pubblicazione de L’Impero knut-germanico e la rivoluzione sociale, in cui ritorna alla situazione francese, ma si espande in una storia della borghesia germanica e presenta le sue concezioni filosofiche.

L'opera di Bakunin in Italia venne facilitata dagli eventi della Comune di Parigi (1871) che diedero enorme popolarità all'Internazionale e portarono alla definitiva rottura con Mazzini. Quest’ultimo, infatti, condannò l'insurrezione parigina, vedendo in essa la negazione dell'idea di nazione, Bakunin al contrario la difese come modello di rivoluzione antiautoritaria e federalista (concezione libertaria). Nell'aspra polemica che ne seguì furono numerosi i mazziniani che presero posizione a favore di Bakunin, affluendo nei nascenti gruppi della Prima Internazionale. Nel 1871 scrisse La Comune di Parigi e l'Idea di Stato e La teoria politica di Mazzini e l'Internazionale.

Ma le sue speranze erano state deluse e non aveva più fiducia nella possibilità di vedere un trionfo della rivoluzione in Francia. Quando la Comune fu proclamata a Parigi qualche mese dopo, non credette mai davvero nella sua possibile vittoria. Voleva solo che la sconfitta fosse eroica.

Bakunin, da parte sua, recandosi a Sonvilier (Svizzera) alla fine del mese di aprile, limitò il suo entusiasmo: «Finché non si produrrà nessun serio movimento in provincia scrisse ad un amico russo a Ginevra - non vedo speranza per Parigi. Certamente Parigi è forte e risoluta, grazie agli dei. Siamo finalmente usciti dal periodo della parola per entrare in quello dell’azione. Qualunque sia l’esito, stanno creando un fatto storico immenso. I sollevamenti popolari di Lione, di Marsiglia e delle altre città di Francia, sono falliti a causa della mancanza di organizzazione. Posso parlarne con conoscenza di causa, poiché vi ho partecipato e ne ho sofferto. La Comune di Parigi continua valorosamente poiché durante l’assedio, gli operai si sono organizzati seriamente. Non è senza ragione che i giornali borghesi accusano l’Internazionale di aver prodotto questa magnifica rivolta di Parigi». Così parlava agli operai durante il suo soggiorno nella valle: «La Comune, se avesse avuto esito positivo, sarebbe stata il risultato di una lotta di liberazione e di emancipazione della classe operaia, di fronte ai principi, poi di fronte ai borghesi e ai capitalisti. Occorre conoscere le loro armi, conoscere i meccanismi della loro economia per distruggerla, grazie all’organizzazione operaia, al collettivismo, al federalismo. Lo sviluppo della lotta operaia ha dato il suo vero senso alla Comune».

 

 

Lo scontro con Marx

 

All'interno della Prima Internazionale Bakunin si trovò rapidamente in conflitto con Karl MarxMarx sosteneva infatti la necessità di rafforzare i poteri del Consiglio generale dell'organizzazione ed il primato dell'azione politica in vista della nascita di uno Stato proletario, Bakunin difendeva al contrario la piena autonomia delle federazioni nazionali, poneva in primo piano la lotta economica e una rivoluzione che avrebbe dovuto sfociare in un'organizzazione federalista di libere Comuni.

Nel settembre 1871, nell'impossibilità di tenere il previsto congresso, si tenne a Londra una conferenza dell'Internazionale in cui, anche grazie alla scarsa presenza di delegati bakuninisti impossibilitati a intervenire a causa degli eventi francesi, venne approvata una risoluzione favorevole alla creazione di partiti politici. Contro queste deliberazioni nel novembre 1871 i delegati della Fédération Jurassienne e alcuni espatriati si riunirono a Sonvilier[57] e approvarono una circolare in cui accusavano Marx di voler «introdurre nell'Internazionale lo spirito autoritario» attraverso una rigida centralizzazione.

Dopo la decisione del Consiglio generale di convocare il congresso dell'Internazionale a L'Aja (una località difficilmente raggiungibile per i bakuninisti che avevano le loro posizioni di forza nell'Europa meridionale) anche la federazione italiana decise, nella Conferenza di Rimini il pieno appoggio alle posizioni di Bakunin.

Al congresso dell'Aja del 7 settembre 1872 Bakunin fu espulso dall’Associazione Internazionale dei Lavoratori con l'accusa, tra l'altro, di aver mantenuto segretamente in vita l'Alleanza Internazionale per la Democrazia Socialista (che si era impegnato formalmente a sciogliere).

Nel 1872, a Saint-Imier[58], organizzò, con le sezioni "ribelli" dell'Internazionale, il primo congresso dell'Internazionale anti-autoritaria, che segnò definitivamente la spaccatura della Prima Internazionale in due tronconi.

Nel 1873 scrisse la sua unica opera completa, Stato e anarchia. Da allora è stato considerato uno dei principali teorici del collettivismo anti-statale.

 

 

Gli ultimi anni

 

Escluso dall'Internazionale al Congresso dell'Aia (che vide anche la rottura finale dell'A.I.T.), Bakunin, vecchio e stanco, nell’estate del 1873, si trasferì con la giovane moglie Antonia Kwiatkowska in Svizzera, a Minusio (nel Canton Ticino, nel distretto di Locarno), nell’appezzamento chiamato «La Baronata», acquistato per ospitarlo da Carlo Cafiero[3], che vendette suoi possedimenti a Barletta per raccogliere il denaro necessario, e dove fece costruire una nuova abitazione.

Nel 1874 Bakunin raggiunse gli amici a Bologna[59] per cercare di offrire il suo torace ai proiettili durante un'insurrezione preparata dai suoi amici italiani. Fu tra i suoi organizzatori, ma il fallimento dell'impresa lo costrinse a fuggire sotto mentite spoglie e tornare in Svizzera, a Locarno (andò via dalla Baronata a causa di una serie di incomprensioni con Cafiero[3], che successivamente vennero risolte). Poi si ritirò amaro e malato a Lugano. In cattive condizioni di salute Bakunin, il 14 giugno 1876, arrivò a Berna, dove morì a casa dell'amico dottore Adolf Vogt il 1° luglio 1876 a mezzogiorno, dopo una vita piena di rumore e rabbia.

 

 

Michail Bakunin: Io sono un partigiano della Comune di Parigi

 

L’esperienza della Comune parigina, oltre a rappresentare un esaltante momento di presa di coscienza da parte del proletariato urbano, offrì numerosi spunti di riflessione per l’intero movimento politico che proprio sul ruolo delle classi operaie basava le proprie strategie di lotta. All’interno di tale movimento, si delinearono molto nettamente una linea basata sui princìpi ortodossi offerti dalle teorie marxiste e la linea anarchica ispirata da Bakunin. Tale proposta, finalizzata anch’essa all’abbattimento dello stato capitalistico, differiva dalla posizione marxista anzitutto per i mezzi attraverso i quali realizzare il fine ultimo: non più i proletari urbani, ma l’intera classe degli esclusi dal ciclo capitalistico. La lotta, inoltre, non doveva condurre ad una dittatura, fonte anch’essa di oppressione, bensì ad una federazione generale di popolo realizzata a partire dalla dimensione locale. Questa differente interpretazione della lotta al sistema borghese, alla base della netta rottura che porterà dopo pochi anni allo scioglimento della Prima Internazionale, si evidenziò già a proposito del giudizio nei confronti dell’esperienza parigina.

 

«Il socialismo rivoluzionario ha tentato una prima manifestazione, magnifica e pratica nella Comune di Parigi.

Io sono un partigiano della Comune di Parigi, che pur essendo stata massacrata, soffocata nel sangue, dal boia della reazione monarchica e clericale, non ne è diventata che più vivace, più possente nell'immaginazione e nel cuore del proletariato d'Europa, e soprattutto ne sono il partigiano perché essa è stata una audace, caratteristica negazione dello Stato. [...]

[...] La Comune di Parigi è durata poco, ed è stata troppo ostacolata nel suo svolgimento interno dalla lotta mortale che ha dovuto sostenere contro la reazione di Versailles, perché essa abbia potuto, non dico applicare, ma nemmeno elaborare teoricamente il suo programma socialista. D'altronde, bisogna riconoscerlo, la maggioranza dei membri della Comune non erano propriamente socialisti, e se essi si sono mostrati tali, ciò si deve al fatto che essi sono stati ineluttabilmente trascinati dalla forza delle cose, dalla natura del loro ambiente, dalla necessità della loro posizione, e non dalla loro intima convinzione. [...]

[...] Io so che molti socialisti, assai conseguenti nella loro teoria, rimproverano ai nostri amici di Parigi di non essersi dimostrati sufficientemente socialisti nella loro pratica rivoluzionaria. [...] [I socialisti] furono uomini il cui zelo ardente, la cui devozione e buona fede non hanno mai potuto essere messi in dubbio da chiunque li abbia avvicinati. Ma precisamente perché furono uomini di buona fede, erano pieni di sfiducia verso se stessi, in cospetto all’opera immensa alla quale avevano dedicato il loro pensiero e la loro vita: essi si attribuivano così poco valore!

Avevano d’altronde questa convinzione: che nella rivoluzione sociale, diametralmente opposta, in questo come nel resto, alla rivoluzione politica, l’azione degli individui sia pressoché nulla, e che l’azione delle masse debba essere tutto. Tutto ciò che gli individui possono fare è di elaborare, di chiarire e di propagare le idee corrispondenti all’istinto popolare, e, di più, di contribuire coi loro sforzi incessanti all’organizzazione rivoluzionaria della potenza naturale delle masse. Ma nulla oltre a ciò; tutto il resto non può e non deve essere fatto dal popolo stesso altrimenti si arriverebbe alla dittatura politica, cioè alla ricostituzione dello Stato, dei privilegi, delle ineguaglianze, di tutte le oppressioni dello Stato, e per una via indiretta ma logica, si arriverebbe alla restaurazione della schiavitù politica, sociale ed economica delle masse popolari. [...]

Contrariamente a questo pensiero dei comunisti autoritari, secondo me tutt’affatto erroneo, che una rivoluzione sociale possa essere decretata e organizzata sia da una dittatura, sia da un’assemblea costituente, risultante d’una rivoluzione politica, i nostri amici socialisti di Parigi hanno pensato ch’essa non poteva essere fatta e condotta al suo completo sviluppo che mediante l’azione spontanea e continuata delle masse, dei gruppi e delle associazioni popolari.

I nostri amici di Parigi hanno avuto mille volte ragione. Poiché, effettivamente, quale è la testa così geniale, o – se si vuol parlare d’una dittatura collettiva, anche se esercitata da parecchie centinaia d’individui dotati di facoltà superiori – quali sono i cervelli tanto potenti, tanto vasti, per abbracciare l’infinita molteplicità e diversità degl’interessi reali, delle aspirazioni delle volontà, dei bisogni di cui la somma costituisce la volontà di un popolo, capaci di creare una organizzazione sociale che possa soddisfare tutti? Questa organizzazione non sarà mai altro che un letto di Procuste, sulla quale la violenza più o meno accentuata dello Stato forzerà la disgraziata società a spegnersi. È ciò che è avvenuto sempre fino a ora, ed è precisamente a questo sistema antico dell’organizzazione obbligatoria che la rivoluzione sociale deve porre un termine, rendendo la loro completa libertà alle masse, ai gruppi, ai comuni, alle associazioni, agli individui medesimi, distruggendo una volta per sempre la causa storica di tutte le violenze: la potenza e l’esistenza stessa dello Stato.

Questo deve trascinar nella sua caduta tutte le iniquità del diritto giuridico con tutte le menzogne dei culti diversi, poiché questo diritto e questi culti non sono mai stati altro che la consacrazione obbligata, tanto ideale quanto reale, di tutte le violenze rappresentate, garantite e privilegiate dallo Stato. [...]

[...] Lo Stato è come un grande macello e come un immenso cimitero, ove generosamente, serenamente vengono a lasciarsi immolare e seppellire tutte le aspirazioni reali, tutte le forze vive di un paese. E siccome nessuna astrazione esiste mai da se stessa né per se stessa, siccome essa non ha né gambe per camminare, né braccia per creare, né uno stomaco per digerire questa massa di vittime che le vien data a ingoiare, è chiaro che l’astrazione religiosa o celeste, Dio, rappresenti in realtà gli interessi molto positivi, molto reali di una casta privilegiata: il clero – così come è chiaro che il suo termine di complemento terrestre, l’astrazione politica, lo Stato, rappresenti gli interessi non meno positivi e reali della classe oggi principalmente se non esclusivamente sfruttatrice, che d’altronde tende a conglobare tutte le altre: la borghesia. [...]

[...] L'abolizione della Chiesa e dello Stato deve essere la prima ed indispensabile condizione della liberazione reale della società; soltanto dopo ciò essa potrà e dovrà organizzarsi in un'altra maniera, ma non dall'alto in basso e secondo un piano ideato e sognato da qualche saggio o da qualche sapiente, oppure per decreti emanati da forze dittatoriali, od anche da un'assemblea nazionale eletta a suffragio universale. Un tale sistema come ho già detto, condurrebbe inevitabilmente alla creazione di un nuovo Stato e conseguentemente alla formazione di una aristocrazia governativa, cioè di un'intera classe non avente nulla in comune con la massa del popolo e che certo comincerebbe a sfruttare e ad assoggettare questa, col pretesto della felicità comune o per salvare lo Stato. La futura organizzazione sociale deve essere fatta dal basso in alto, per mezzo della libera associazione e della federazione dei lavoratori; prima nelle associazioni, poi nei comuni, nelle regioni, nelle nazioni, e, finalmente, in una grande federazione internazionale ed universale. Allora soltanto si realizzerà il vero e vivificante ordine della libertà e della felicità generali; quell'ordine che, lontano dal rinnegare, afferma al contrario ed accomuna gli interessi degli individui e della società." [...]

[...] Ma se i metafisici, soprattutto coloro che credono nella immortalità dell’anima, affermano che gli uomini al di fuori della società sono degli esseri liberi, noi inevitabilmente arriviamo a questa conclusione: che gli uomini non possono unirsi in società che alla condizione di rinnegare la loro libertà, e la loro indipendenza naturale, e di sacrificare i propri interessi personali e locali. Una tale rinuncia e un tale sacrificio di se stesso deve perciò essere tanto più necessario quanto la società è più numerosa e la sua organizzazione più complessa. In tal caso, lo Stato è l’espressione di tutti i sacrifizi individuali. Si comprende che esistendo sotto una tale forma astratta e contemporaneamente violenta, esso continua a impacciare maggiormente la libertà individuale, in nome di quella menzogna che si chiama “felicità pubblica”, benché evidentemente non rappresenti che l’interesse esclusivo della classe dominante.

Lo Stato, in questo modo, ci appare quale inevitabile negazione e annichilimento di ogni libertà, di ogni interesse, tanto individuale quanto generale. Qui si vede che nei sistemi metafisici e teologici tutto si unisce e si spiega da se stesso. Ecco perché i difensori logici di questi sistemi possono e debbono anche, con coscienza tranquilla, continuare a sfruttare le masse popolari per mezzo della Chiesa e dello Stato; riempiendo le loro tasche e saziando tutti i loro desideri, essi possono allo stesso tempo consolarsi al pensiero di affaticarsi per la gloria di Dio, per la vittoria della civiltà e per l’eterna felicità del proletariato. Ma noialtri, che non crediamo né in Dio, né nell’immortalità dell’anima, né nella stessa libertà della volontà, noi affermiamo che la libertà deve essere compresa, nella sua più completa e più vasta accezione, come fine del progresso storico dell’umanità».

Michail Bakunin, La Comune e lo Stato.

 

 

La libertà

 

In apparenza asistematico, in quanto mancante di una organicità manifestata dall'assenza di opere compiute al di fuori di "Stato e Anarchia" il pensiero di Bakunin ruota attorno all'idea, fondamentale per lui, di libertà. La libertà è il bene supremo che il rivoluzionario deve cercare a qualunque costo. Bakunin non ammette che la libertà individuale venga limitata da quella degli altri:

«Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi: posso dirmi libero solo in presenza di altri uomini e in rapporto con loro. [...] Io stesso sono umano e libero solo nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o una negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, più profonda e più ampia è la loro libertà, più estesa e più profonda e più ampia diviene la mia libertà. Io intendo quella libertà per cui ciascuno, anziché sentirsi limitato dalla libertà degli altri vi trova al contrario la sua conferma e la sua estensione all’infinito».

Michail Bakunin, Dio e lo Stato

 

La libertà può essere realizzata solo se ogni individuo insorge contro la società che «domina con gli uomini, con i costumi e le usanze, con la massiccia pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle abitudini…la sua azione è molto più potente di quella dell’autorità dello Stato». Ribellarsi contro questi “valori” imposti dalla società, significa ribellarsi contro se stesso, in quanto ogni individuo non è altro che il prodotto della società. La libertà, come entità infinita, per espletarsi, abbisogna della società: l’uomo, infatti, nella misura in cui è interiormente infinito, immortale e libero, è altresì esteriormente limitato, mortale, debole e dipendente dal mondo circostante. Il riconoscimento della libertà, dunque, avviene nell’organizzazione sociale degli uomini: di più, la società è il nido della libertà e fuori di essa nulla è possibile. Libertà come costitutivo della società, libertà come cifra della civiltà, libertà come bisogno insopprimibile. E, al raggiungimento della libertà, la rivolta contro il dominio è un fatto necessitante. L’organizzazione di questa rivolta individuale contro il principio di autorità, in favore della libertà, non è altro che la rivoluzione, cuore e stigma del pensiero dell’anarchico russo.

La libertà è però irrealizzabile senza l'uguaglianza di fatto (uguaglianza sociale, politica, ma soprattutto economica). Il fenomeno che spinge gli uomini all'ineguaglianza e alla schiavitù è il principio di autorità, esemplificato nella modernità, da soggetti astratti che però si fanno concreti socialmente, schiacciando la libertà: Dio e la religione, lo Stato e il Capitale. Abbattuti questi, grazie a una rivoluzione strettamente popolare, si sarebbe giunti all'Anarchia.

 

 

Dio e la religione

 

«La religione, ed in particolare il cristianesimo, hanno prodotto “l’annientamento dell’umanità a profitto della divinità”, quindi “se Dio esiste, l’uomo è uno schiavo. Ora l’uomo può, deve essere libero: dunque Dio non esiste». (Bakunin in "Dio e lo Stato")

«É evidente che finché avremo un padrone in cielo, non potremo essere liberi in terra. Finché saremo convinti di dovere a Dio un’obbedienza assoluta, e davanti a Dio non è possibile altro tipo di obbedienza, dovremo sottometterci in modo passivo e senza la minima critica alla sacra autorità dei suoi intermediari e dei suoi eletti [...] Dio, o piuttosto la finzione di Dio, è dunque la consacrazione e la causa intellettuale e morale di ogni schiavitù sulla terra; e la libertà degli uomini sarà completa solo quando avrà distrutto la nefasta finzione di un padrone celeste».

Michail Bakunin, Dio e lo Stato

 

Bakunin ritiene che ammettere l’esistenza di Dio significa abdicare alla ragione e alla giustizia. Dio priva la libertà all’uomo non solo nel pensiero, ma anche nella vita concreta e reale: obbedire a Dio significa obbedire ai suoi rappresentanti in terra (Stato, Chiesa, preti, vescovi, re, capi di stato ecc.). Infatti ogni tiranno, ogni peggior nemico della libertà, ha legittimato la propria autorità coll’approvazione divina.

«Poiché Dio è tutto, il mondo reale e l’uomo sono nulla. Poiché Dio è la verità, la giustizia, il bene, il bello, la potenza e la vita, l’uomo è la menzogna, l’iniquità, il male, la bruttezza, l’impotenza e la morte. Poiché Dio è il padrone, l’uomo è lo schiavo. Incapace di trovare da sé la giustizia, la verità e la vita eterna, l’uomo non può che arrivarvi per mezzo d’una rivelazione divina. Ma chi dice rivelazione, dice rivelatori, messia, profeti, preti e legislatori, ispirati da Dio stesso; e questi, una volta riconosciuti come rappresentanti di Dio sulla terra, come i santi istitutori dell’umanità eletti da Dio per dirigerla verso la via della salvezza, debbono necessariamente esercitare un potere assoluto. Tutti gli uomini devono loro un’obbedienza passiva e illimitata; perché contro la Ragione divina non c’è ragione umana e contro la Giustizia di Dio non vi è giustizia terrestre che tenga. Schiavi di Dio, gli uomini devono esserlo anche della Chiesa e dello Stato, in quanto quest’ultimo è consacrato dalla Chiesa. [...] l’idea di Dio [...] è la negazione più decisa della libertà umana e comporta necessariamente la servitù degli uomini, tanto in teoria quanto in pratica».

Michail Bakunin, Dio e lo Stato

 

L’ateo è comunque solo parzialmente libero; lo è solo spiritualmente. Per completare il proprio percorso deve trovare nella società la completa libertà sociale e individuale.

 

 

Lo Stato e il Capitale

 

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, per definizione di ambedue le fazioni, rappresenta quell'insieme di organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (nel caso specifico, la borghesia) di rimanere in possesso dei suoi privilegi. Lo Stato è l'ostentazione della forza, l'amore per la soverchieria, la depredazione di pochi a spese dei molti. L'unico modo per emanciparsi, dice Bakunin, è la distruzione immediata del potere statale e di ogni sua possibile ricreazione. La questione problematica si presenta però nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, si sarebbe dovuta presentare una situazione in cui lo Stato sarebbe stato arma in mano al proletariato per eliminare la controrivoluzione. Solo allora, con la dissoluzione dell'apparato statale si sarebbe passati all'assenza di classi. La posizione di Bakunin (e, con lui, di tutti gli anarchici) è che lo Stato, strumento prettamente in mano alla borghesia, non può essere usato che contro il proletariato: dato che l'intera classe sfruttata non può amministrare l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica che lo amministri. Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'uguaglianza e quindi la libertà, secondo il pensatore Russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria, poiché, finché qualcuno detiene il potere, non lo cederà, e chiunque sia investito di un'autorità, si trasforma inevitabilmente in un oppressore e in uno sfruttatore della società.

«marxisti non si rendono conto di questa contraddizione [...] Dicono che questo gioco dello Stato, questa dittatura (del proletariato, NDR) è una misura transitoria necessaria per poter raggiungere l’emancipazione totale del popolo; l’anarchia o la libertà sono il fine, lo Stato e la dittatura sono il mezzo. E così, per emancipare le masse popolari, si dovrà prima di tutto soggiogarle. [...] Che bella la liberazione!»

Michail Bakunin, Stato e Anarchia

 

Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico. Qui le differenze del marxismo sono inesistenti (basti pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo proprio da Bakunin). La differenza tra la concezione marxista e quella bakuniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento, ma solo una sua determinazione storica transitoria. Anche se non esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa).

 

 

La rivoluzione

 

Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso. Il soggetto rivoluzionario, nel caso del marxismo, è la classe che ha sussunto in sé tutte le contraddizioni dell'attuale sviluppo dei mezzi di produzione; Bakunin, invece, apre il campo a tutta la classe degli sfruttati, degli oppressi, dei reietti. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta, una dura reazione contro il potere.

 

 

L'anarchia

 

Bakunin ha preferito non affrontare approfonditamente il problema del dopo rivoluzione, limitandosi a dare qualche idea di fondo. Se avesse dato indicazioni precise sul funzionamento delle società anarchiche, infatti, avrebbe negato la necessità di autodeterminazione delle stesse, mutandosi in uno di quei socialisti che Marx definiva "utopici".. Innanzitutto, la dottrina anarchica di Bakunin è basata sull'assenza dello sfruttamento e del governo dell'uomo sull'uomo. La produzione industriale e agricola è fondata non più sull'azienda, ma sulle libere associazioni, composte, amministrate ed autogestite dai lavoratori stessi attraverso le assemblee plenarie. L'aspetto della partecipazione diretta del popolo alla politica, ripresa dal pensiero di Proudhon, è fondata sul cosiddetto federalismo libertario, teoria che prevede una scala di assemblee organizzate dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro. La differenza fondamentale tra l'organizzazione anarchica voluta da Bakunin e una concezione autoritaria della società consiste nella direzione delle decisioni. Se dieci libere associazioni (fabbriche, unità territoriali, ecc.) sono federate in un'associazione più grande, quest'ultima non può imporre nulla alle associazioni-membro, in nessun caso. Sono i membri delle associazioni più piccole che, riunendosi assieme, possono decidere forme di collaborazione e di reciproco aiuto, quindi il processo decisionale va dal basso all'alto. Naturalmente Bakunin non è contrario in senso assoluto alla delega, perciò le assemblee delle federazioni non devono necessariamente essere plenarie; ma il mandato è sempre revocabile e il mandatario deve obbedire all'assemblea che lo ha nominato.

 

 

La questione dell'organizzazione anarchica

 

Michail Bakunin concepisce una struttura organizzativa alquanto rigida fondata sulla separazione dell'attività sindacale da quella politica. Per l'anarchico russo l’organizzazione di massa (sindacato) non doveva reclutare militanti, ma raggruppare tutti gli sfruttati senza altra condizione. Nella sua idea questo compito sarebbe dovuto spettare all’Associazione Internazionale dei Lavoratori; l'organizzazione specifica (organizzazione politica) invece doveva essere separata dal sindacato e lavorare all'interno delle masse per guidarle nello scontro con Stato e capitale. Questa è la funzione che avrebbe dovuto assumere invece l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici.

È questo il principio fatto proprio dai comunisti anarchici della FdCA con il nome dualismo organizzativo.

 

 

"Stato e anarchia"

 

"Stato e anarchia" (Gosudarstvennost' i Anarchija), scritto nel 1873, pubblicato anonimamente in russo a Zurigo, distribuito clandestinamente in Russia è il punto di svolta per la comprensione dell'Anarchismo. Bakunin fa un'accurata analisi storica, invettiva e critica contro il marxismo, l'imperialismo, lo statalismo e il capitale oltre ad una descrizione accurata di una teoria politica. Unica opera completa di Bakunin.

«È sulla finzione di questa pretesa rappresentanza del popolo e sul fatto concreto del governo delle masse popolari da parte di un pugno insignificante di privilegiati, eletti o no dalle moltitudini costrette alle elezioni e che non sanno neanche perché e per chi votano; è sopra questa concezione astratta e fittizia di ciò che s'immagina essere pensiero e volontà di tutto il popolo, e della quale il popolo reale e vivente non ha la più pallida idea, che sono basate in ugual misura e la teoria dello Stato e la teoria della cosiddetta dittatura rivoluzionaria».

Michail Bakunin, Stato e Anarchia

 

 

La massoneria

 

Secondo quanto riporta La massoneria italiana nel periodo postunitario. Lodovico Frappolli, nel 1845 Bakunin sarebbe stato iniziato alla massoneria torinese. Altre fonti, come Bakunin & the Italians di Ravindranathan, riportano che potrebbe essere stato iniziato alla massoneria a partire dal 1840 in Francia, tuttavia sarebbero comunque più chiari i suoi rapporti con la massoneria fiorentina. Quel che è certo è che in seguito Bakunin fu duramente critico nei confronti dell'associazione (che potrebbe anche aver utilizzato per i suoi fini rivoluzionari), che ha da sempre come unico fine l'appropriazione del potere. In un un articolo pubblicato su Le Progrès[60], esplicitò in maniera chiara a concisa le ragioni che in passato avevano portato molti anarchici ad entrare a far parte della massoneria:

«Ci si sbaglia davvero se si giudica la massoneria del secolo passato, o dell'inizio di questo secolo, secondo quello che è diventata attualmente. Istituzione borghese per eccellenza nella sua fase di sviluppo, per il suo potere crescente inizialmente e decadente in seguito, la massoneria ha rappresentato in un certo modo lo sviluppo, il potere e la decadenza intellettuale e morale della borghesia.

Oggi, avendo disceso al ruolo di una vecchia intrigante e caduca, è nulla, sterile, alcune volte cattiva e sempre inutile, mentre prima del 1830, e soprattutto prima del 1793, avendo riuniti nel suo seno, con poche eccezioni, tutti gli spiriti più più nobili, i cuori più ardenti, le volontà più fiere, i caratteri più audaci, aveva costituito un'organizzazione attiva, poderosa e realmente benefattrice...La massoneria era a quel tempo la cospirazione universale della borghesia rivoluzionaria contro la monarchia feudale, dinastica e divina. Questa fu l'Internazionale della borghesia.

Però che differenza tra questo tiepido rivoluzionarismo e il rivoluzionarismo ardente e poderoso che l'aveva ispirato alla fine dell'ultimo secolo!.

Quindi, la borghesia era stata in buona fede e aveva creduto seriamente e sinceramente nei diritti dell'uomo;... credeva, sentiva e lo era realmente, di rappresentare il popolo. La reazione termidoriana e la cospirazione di Babeuf[61] rimossero quest'illusione»[62].

 

«Lo spirito e la voglia di distruggere lo Stato e qualsiasi tipo di autorità non solo non sono il risultato di un impulso immaturo adolescenziale, ma sono la manifestazione di una naturale passione per la libertà, che rimbalza dalle profondità delle vostre anime.

[…] Nessuno stato, per quanto democratiche siano le sue forme, foss'anche la repubblica politica più rossa, popolare solo nel suo falso significato noto con il nome di rappresentanza del popolo, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole, e cioè la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso in alto, senza nessuna ingerenza, tutela o violenza dall'alto, perché ogni Stato, anche lo stato pseudo-popolare ideato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient'altro che il governo della massa dall'alto in basso da parte della minoranza intellettuale, vale a dire quella più privilegiata, la quale pretende di sentire gli interessi ideali del popolo più del popolo stesso.

[…] Noi vogliamo innanzitutto l'abolizione della miseria, della povertà, e la completa soddisfazione di tutte le necessità materiali per mezzo del lavoro collettivo, obbligatorio e uguale per tutti; e poi l'abolizione dei padroni e d'ogni specie di autorità, la libera organizzazione della vita del paese in relazione alle necessità del popolo, non dall'alto in basso secondo l'esempio dello Stato, ma dal basso in alto, curata dal popolo stesso al di fuori di ogni governo e dei parlamenti; la libera unione delle associazioni dei lavoratori della terra e delle fabbriche, dei comuni, delle province, delle nazioni; e infine, in un domani non lontano, la fraternità di tutta l'umanità trionfante sulla rovina di tutti gli Stati

[…] Non abbiamo l'intenzione né la minima velleità di imporre al nostro popolo oppure a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o inventato da noi stessi, ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo, per la sua medesima essenza e per la sua posizione fuori del popolo o sopra di esso, deve necessariamente mirare a subordinarlo a una organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di una organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti, creerà esso stesso la propria vita».

Michail Bakunin, Stato e anarchia.

 

 N. D. R.: Nelle note di questo capitolo su Bakunin, ci siamo dilungati (forse troppo) per descrivere un po’ di più i vari personaggi e i fatti menzionati. Ciò è dovuto alla grande importanza che il movimento anarchico e gli anarchici italiani hanno avuto nella vita dei movimenti rivoluzionari del 19° secolo. Per questo motivo abbiamo preferito dilungarci, descrivendo le loro azioni, e non solamente i dati anagrafici e piccole notizie sulla loro vita, portandole a conoscenza di quei lettori che non sono tanto informati. 



[1] Prjamuchino è un villaggio nella Tver Oblast in Russia tra Kuwschinowo e TverA Prjamuchino c'è l'antico maniero della famiglia Bakunin, dove Mikhail Alexandrovich Bakunin trascorse la sua giovinezza. Nella scuola del villaggio, che si trova nella zona del vecchio maniero, ora c'è un museo di Bakunin.

[2] Corrispondente al 18 maggio del calendario giuliano. Nelle zone appartenute all'Impero russo il calendario gregoriano venne introdotto il 14 febbraio 1918.

[3] Carlo Cafiero (Barletta 1° settembre 1846 - Nocera Inferiore, Salerno, 17 luglio 1892) è stato pensatore e uomo d'azione anarchico. È conosciuto come esponente della corrente comunista-anarchica ed è l'autore del Compendio del Capitale.  Dopo un breve periodo in Francia (1870), ospite del pittore Giuseppe De Nittis, si trasferisce a Londra, dove, dopo aver visto con i propri occhi la penosa condizione in cui versa la classe operaia londinese, si "converte" alle idee socialiste. Inizialmente neutrale di fronte alla disputa tra bakunisti e marxisti, durante i primi mesi del 1872 si schiera apertamente con la fazione anarchica pro-Bakunin. Si reca allora in Svizzera per incontrare personalmente Bakunin, grazie al quale consolida ancor più la sua scelta collettivista-anarchica. In questo periodo invia una lettera ad Engels, nel quale gli illustra la sua posizione in favore dell'anarchismo. Diviene così uno dei militanti più attivi del movimento anarchico italiano. Diventato uno degli anarchici più intransigenti, Cafiero si reca a Zurigo per incontrare Bakunin e partecipare con lui al convegno di Saint-Imier indetto dalla Federazione anarchica del Giura. Questo congresso sancirà la nascita dell'Internazionale antiautoritaria (16-17 settembre 1872).

[4] Errico Malatesta (S.Maria Capua Vetere, Caserta, 14 dicembre 1853 - Roma, 22 luglio 1932) è stato il teorico e il rivoluzionario anarchico italiano più importante della storia dell'anarchismo. Insieme a Pierre-Joseph Proudhon, Michail Bakunin, Benjamin Tucker e Petr Kropotkin è in assoluto uno degli anarchici che hanno più di tutti diffuso nel mondo gli ideali dell'anarchia. In giovanissima età abbracciò gli ideali repubblicani di Giuseppe Mazzini. Il 25 marzo 1868 venne convocato dalla questura di Napoli a causa di una lettera di carattere sovversivo scritta a Vittorio Emanuele II; il 19 marzo 1870, non ancora diciottenne, subì il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie di arresti, a seguito di una sommossa organizzata da un circolo studentesco repubblicano dell'Università di Napoli. Nel 1871, dopo la Comune di Parigi, abbandonò le idee repubblicane per abbracciare l'ideale anarchico; nello stesso anno, insieme ad Andrea Costa, Carlo Cafiero Tino Zanardelli, Celso Ceretti e Saverio Friscia, è tra i fondatori della federazione napoletana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Il 5 settembre 1872 giunse in Svizzera per partecipare al Congresso di Saint-Imier; in quell'occasione divenne amico di , Michail Bakunin. Dopo il congresso iniziò un periodo di intensa attività sovversiva: nel 1873 fu arrestato a Bologna; nel 1874 partecipò con un piccolo gruppo ad un fallito tentativo di insurrezione a Bologna; venne arrestato poco dopo a Pesaro. Il processo conseguente si risolse con l'assoluzione di tutti gli imputati, risultando in una notevole popolarità per gli insorti e per Malatesta in particolare. Nel 1875 visitò Bakunin a Lugano. Fu delegato della Federazione italiana al Congresso dell'Internazionale antiautoritaria di Berna del 26-29 ottobre 1876, Il 5 aprile 1877, formando insieme a Carlo Cafiero[3] ed altri ventiquattro esponenti dell'anarchismo italiano la Banda del Matese, partì dalle pendici del Massiccio del Matese con l'obbiettivo di dare il via ad un'insurrezione. Dopo alcuni giorni di resistenza, visto l'imponente spiegamento di forze da parte del Regno d'Italia, gli insorti furono arrestati e processati.

[5] Nikolai Vladimirovich Stankevich (9 ottobre, corrispondente al 27 settembre del calendario giuliano, 1813 - il 7 luglio, corrispondente al 25 giugno del calendario giuliano,1840, è stato una figura pubblica, un filosofo e un poeta russo.

[6] Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 19 maggio 1762 – Berlino, 27 gennaio 1814) è stato un filosofo tedesco, continuatore del pensiero di Kant e iniziatore dell'idealismo tedesco.

[7] Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) è stato un filosofo tedesco, considerato il rappresentante più significativo dell'idealismo tedesco.

[8] Ivan Sergeevič Turgenev (Orël, 9 novembre, corrispondente al 28 ottobre del calendario giuliano, 1818 – Bougival, 3 settembre 1883) è stato uno scrittore e drammaturgo russo.

[9] Vissarion Grigoryevich Belinsky (11 giugno, corrispondente al 30 maggio del calendario giuliano, 1811 - 7 giugno, corrispondente al 26 maggio, 1848 del calendario giuliano) è stato un filosofo e critico letterato russo della tendenza occidentalizzante.

[10] Aleksandr Ivanovič Gercen, spesso traslitterato Herzen, (Mosca, 6 aprile corrispondente al 25 marzo del calendario giuliano, 1812 – Parigi, 21 gennaio, corrispondente al 9 gennaio del calendario giuliano, 1870), è stato uno scrittore e filosofo russo, tra i più grandi intellettuali russi dell'Ottocento.

[11] Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad Ragaz, 20 agosto 1854) è stato un filosofo tedesco, uno dei tre grandi esponenti dell'idealismo tedesco, insieme a Fichte ed Hegel.

[12] Søren Aabye Kierkegaard (Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1855) è stato un filosofo, teologo e scrittore danese, il cui pensiero è da alcuni studiosi considerato punto di avvio dell'esistenzialismo.

[13] Friedrich Engels (Barmen, 28 novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895) è stato un filosofo, sociologo, economista, giornalista e imprenditore tedesco, fondatore assieme al sodale Karl Marx del socialismo scientifico.

[14] Karl Friedrich Werder (Berlino il 13 dicembre 1806 – Berlino 3 aprile 1893) è stato un filosofo e poeta tedesco.

[15] Arnold Ruge (Bergen auf Rügen, 13 settembre 1802 – Brighton, 31 dicembre 1880) è stato un filosofo e scrittore tedesco.

[16] Franco Venturi (Roma, 16 maggio 1914 – Torino, 14 dicembre 1994) è stato uno storico italiano, professore dell'Università di Torino, studioso dell'Illuminismo italiano ed europeo e del populismo russo. Fu esule antifascista, detenuto nelle carceri fasciste e attivo nella Resistenza nelle file di Giustizia e Libertà.

[17] Franco Venturi Il populismo russo, Einaudi, pag 83.

[18] Steklov, III, p.235.

[19] Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut, 28 luglio 1804 – Rechenberg, 13 settembre 1872) è stato un filosofo tedesco tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana.

[20] Ne fa riferimento la nota 88 di Stato e anarchia, Feltrinelli, pag 157.

[21] Friedrich Engels (Barmen, 28 novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895) è stato un filosofo, sociologo, economista, giornalista e imprenditore tedesco, fondatore assieme al sodale Karl Marx del socialismo scientifico, oltre che teorico del materialismo dialettico attraverso principalmente il suo Dialettica della natura (1883), basandosi in particolare sull'impostazione critica in chiave materialista dell'intera storia umana sviluppata da Marx nella sua «concezione materialistica della storia». Fu amico e collaboratore di Marx, con cui scrisse lavori come La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) e il Manifesto del Partito comunista (1848), ottenendo un ruolo di spicco per la nascita del marxismo e dei movimenti comunisti, socialisti e operai. Fu anche capo politico sia della Prima Internazionale (1864) sia della Seconda Internazionale (1889). Aiutò finanziariamente Marx e famiglia e pubblicò il primo volume de Il Capitale (1867). Dopo la morte di Marx pubblicò il secondo e il terzo volume de Il Capitale (1885 e 1894). Inoltre organizzò gli appunti di Marx per comporre le Teorie del plusvalore, ma morì prima della pubblicazione e Karl Kautsky le pubblicò come quarto volume de Il Capitale (1905–1910).

[22] Étienne Cabet (Digione, 1º gennaio 1788 – Saint Louis, 9 novembre 1856) è stato un politico francese. Tradizionalmente collocato fra gli utopisti, dedicò concretamente la propria vita alla lotta per la repubblica e una "società nuova". Fu il primo a utilizzare sistematicamente il termine comunismo.

[23] Heinrich Bornstein (Amburgo, 4 novembre 1805 – Vienna, 10 settembre 1892) era un attivista politico, autore, soldato, attore e direttore di scena, traduttore e scrittore tedesco, americano e austriaco. Redattore capo della Westze Anzeiger (West Monitor) a St. Louis, Missouri; ha preso parte attiva alla Guerra della Secessione degli Stati Uniti, dopo aver partecipato alle prime rivoluzioni del 1848 in Germania.

[24] La primavera dei popoli, conosciuta anche come rivoluzione del 1848 o moti del 1848[1], fu un'ondata di moti rivoluzionari contro i regimi assolutisti, eredi dei moti del 1820-21 e del 1830-31, che sconvolsero l'Europa, nel 1848-49 (solo la Gran Bretagna vittoriana, in un periodo di stabilità politica ed economica - ma soprattutto grazie alle riforme elettorali del 1832 che pacificarono la classe borghese e scatenarono il cartismo - e all'opposto la Russia, in cui era praticamente assente una classe borghese - e di conseguenza una opposta classe proletaria - capace di ribellarsi, furono esentate dalla portata distruttrice/creatrice/rigeneratrice - ma allo stesso tempo, soprattutto per quanto riguarda la Russia, dalla portata di innovazione - delle rivoluzioni del 1848-49).

La prima agitazione europea del 1848 si verificò in Sicilia, il 12 gennaio 1848 a Palermo: la rivoluzione siciliana rappresentò la prima miccia dell'esplosione europea. L'insurrezione siciliana, infatti, spinse in un primo momento i Borbone a concedere il ritorno nell'Isola alla costituzione del 1812, una costituzione basata sulla forma di governo parlamentare, e che fu una costituzione alquanto liberale per quei tempi. Seguì una rivoluzione a Napoli, il 27, che costrinse, due giorni dopo, Ferdinando II a promettere una Costituzione, promulgata l'11 febbraio.

[25] La Rivoluzione tedesca del 1848–1849, conosciuta anche nelle sue prime fasi del 1848 come Rivoluzione di marzo, è stata una rivoluzione avvenuta nel quadro delle rivoluzioni scoppiate tra il marzo 1848 e la fine dell'estate del 1849 nella Confederazione tedesca e nelle province e paesi sotto il dominio dell'Impero austriaco (Ungheria e Italia settentrionale) e nel Regno di Prussia in Posnania. Obiettivo dei rivoluzionari era la fine del regime nobiliare, la creazione di un parlamento, la libertà di stampa e di opinione. Nonostante il fallimento, gli ideali rivoluzionari ebbero delle conseguenze sullo svolgersi dei successivi avvenimenti. A Dresda, capitale del Regno di Sassonia i manifestanti si riversarono nelle strade chiedendo al Re Federico Augusto II una riforma elettorale e maggiore giustizia sociale. Il governo placò la rivolta provocando la fuga di molti intellettuali tra cui il musicista Richard Wagner[26], che il 9 maggio fuggì a Weimar sotto la protezione di Franz Liszt per evitare l'arresto, riparando poi in Svizzera.

[26] Wilhelm Richard Wagner (Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883) è stato un compositore, poeta, librettista, regista teatrale, direttore d'orchestra e saggista tedesco. La rivoluzione del 1848 vide Wagner impegnato a erigere barricate al fianco di Bakunin e Hubner, membro del governo provvisorio. Ma quando i due vennero arrestati dalla polizia reale, Wagner decise di lasciare la Sassonia per evitare guai (il mandato d'arresto lo raggiunge il 16 maggio) e riparò precipitosamente nella cittadina di Weimar, sotto la protezione del compositore ungherese Franz Liszt.

[27] Comune tedesco situato nel land dell'Assia.

[28] Aleksej Fëdorovič Orlov (Mosca, 30 ottobre 1786 – San Pietroburgo, 2 giugno 1862) è stato un politico e generale russo.

[29] Città della Russia nella parte sud-occidentale della Siberia.

[30] Città della Russia siberiana centrale, capoluogo dell'Oblast.

[31] Nikolaj Platonovič Ogarëv (San Pietroburgo, 24 novembre 1813 – Greenwich, 31 maggio 1877) è stato un poeta e politico russo.

[32] Kolokol (in russo: Колокол, La campana) fu una rivista in lingua russa fondata a Londra da Aleksandr Herzen e Nikolaj Ogarëv[31]. Il primo numero apparve il  luglio 1857 come supplemento mensile dell'annuario «Poljarnaja zvezda», (Полярная звезда, Stella polare) fondato da Herzen[10] nel 1855. Kolokol, che dal 1858 fu pubblicato con cadenza settimanale, esprimeva le idee politiche liberali dei due fondatori. Le pubblicazioni del «Kolokol», che rimasero sempre vietate in Russia, cessarono il  luglio 1867 con il 245° numero e 2002 pagine complessivamente stampate. Dal  gennaio al 15 giugno 1868 il «Kolokol» riapparve in lingua francese, pubblicando complessivamente 15 numeri. Infine, poco dopo la morte di Herzen[10], dal 2 aprile al 9 maggio 1870 furono pubblicati sei numeri di un nuovo «Kolokol», a cura di Sergej Nečaev. Le divergenze tra Nečaev e Ogarëv[31] causarono la precoce scomparsa del settimanale.

[33] Federico Campanella (Genova, 10 luglio 1804 – Firenze, 9 dicembre 1884) è stato un massone e politico italiano.

[34] Giuseppe Dolfi (Firenze, 1818 – Firenze, 1869) è stato un patriota e massone italiano, che combatté per la liberazione di Firenze dai Lorena e per l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna.

[35] Agostino Bertani (Milano, 19 ottobre 1812 – Roma, 30 aprile 1886) è stato un medico, patriota e politico italiano, fondatore dell'Estrema sinistra storica. Partecipò alla Seconda guerra d'indipendenza come ufficiale medico nel corpo dei volontari di Garibaldi. Nel 1860 seguì l'Eroe dei due mondi a Palermo e a Napoli. Nel 1861 fu eletto al Parlamento del Regno d'Italia, ove sedette nei banchi della Sinistra storica.

[36] Giuseppe Mazzoni (Prato, 16 dicembre 1808Prato, 11 maggio 1880) è stato un politico italiano, federalista, triumviro della Toscana.

[37] Giuseppe Berti-Calura nasce a Firenze ma l’unica traccia anagrafica a suo riguardo è ricavabile dal certificato di nascita e morte del figlio Giuseppe (1862-1936). Quando, ai primi del 1864 Bakunin arriva a Firenze, Berti-Calura è attivo nell’ambiente democratico della sua città, tra l’altro è membro della locale Associazione Democratica e della importante Fratellanza artigiana. Berti-Calura stringe amicizia con Bakunin e aderisce alla sua segreta Alleanza della democrazia socialista. Pur rimanendo molto legato alle idee di democrazia e nazionalità (nel 1865 fa parte del “Comitato provvisorio per l’organo della Associazione elettorale italiana”), diventa uno dei corrispondenti e un punto di riferimento a Firenze del rivoluzionario russo. Data la scarsità delle fonti a suo riguardo è difficile stabilire il ruolo di Berti-Calura nella penetrazione del bakuninismo a Firenze ma è probabile sia di non poco peso.  Agli inizi del 1868, per iniziativa di Bakunin viene chiamato a far parte del Comitato italiano della Alleanza internazionale della democrazia socialista, l’associazione palese che sostituisce la segreta Alleanza della democrazia socialista. Dal 19 marzo al 3 aprile 1871 BertiCalura incontra per l’ultima volta Bakunin, di passaggio a Firenze, proprio mentre da Parigi arrivano le notizie della Comune. Queste e la pur breve presenza di Bakunin danno un nuovo impulso a Berti-Calura e agli internazionalisti fiorentini che, in quell’anno sembrano prevalere su tutta la sinistra locale, tanto da allarmare vivamente Mazzini e Marx. S’ignorano data e luogo di morte.

[38] Angelo De Gubernatis (Torino7 aprile 1840 – Roma26 febbraio 1913) è stato un etnologolinguistaorientalistastorico della letteraturaaccademico e anarchico italiano. Nel 1865 aderì agli ideali anarchici entrando a far parte del circolo di Michail Bakunin, del quale sposerà la cugina, Sof'ja Bezobrazova.

[39] Per proudhoniani s’intendono definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.

[40] Niccolò Lo Savio (Putignano 14 febbraio 1834 - Macerata il 6 ottobre 1911), ebbe un ruolo di primo piano che negli anni Sessanta all'interno della democrazia fiorentina. Entrato in contatto con i gruppi di democratici mazziniani e garibaldini, Lo Savio mise la propria facilità di scrittura al servizio della causa del nascente movimento operaio raccolto intorno alla Fratellanza artigiana fiorentina e fu, dal 1861, redattore del giornale La Nuova Europa. Successivamente fece uscire, a partire dal 20 agosto 1865, Il Proletario, "giornale economico-socialista per la democrazia operaia", più tardi qualificato come "il primo giornale socialista uscito in Italia insieme a "Libertà e lavoro" di Napoli".

[41] Carlo Gambuzzi (Napoli, 26 agosto 1837 – 30 aprile, 1902) era un anarchico italiano. Si laureò come avvocato nel 1858. Mostrò sin da giovane una forte passione per la politica e una ferma opposizione all'assolutismo borbonico. Nel 1857, fu fra gli organizzatori della tragica spedizione di Sapri, l’impresa rivoluzionaria tentata da Carlo Pisacane e da un gruppo ristretto di mazziniani che nei piani consisteva nella liberazione dei detenuti politici dalla prigione borbonica di Ponza e quindi nel provocare una rivolta in terraferma. Nel marzo del 1860 fu arrestato per la stampa del giornale clandestino Il Piccolo Corriere e restò in carcere fino a giugno. Dopo la liberazione del Regno, rese a svolgere un'intensa propaganda a sostegno delle idee mazziniane e fondò numerose associazioni operaie, dalla cui politicizzazione sperava che si formasse una forte opposizione antimonarchica e che si creassero i presupposti per la ripresa del movimento democratico napoletano. Fu al fianco di Garibaldi nella battaglia di Aspromonte nel 1862. L'aggravarsi delle condizioni di vita del proletariato napoletano spinsero Gambuzzi ad avvicinarsi alle teorie di Michail Bakunin, il cui soggiorno napoletano aveva favorito l'elaborazione di progetti di matrice anarchica per l'emancipazione materiale delle masse. Fu sotto l'influsso del Bakunin che nell'aprile del 1867 Gambuzzi fondò, con il gruppo di cui faceva parte, l'associazione rivoluzionaria Libertà e giustizia, lanciando l'omonimo settimanale di cui fece ben presto un formidabile strumento di propaganda rivoluzionaria, oltre che il luogo di discussione e di confronto delle idee dei suoi esponenti.

[42] Giuseppe Fanelli (Napoli, 13 ottobre 1827 - Nocera Inferiore, 5 gennaio 1877), inizialmente repubblicano rivoluzionario, divenne poi anarchico, membro della I Internazionale e propagandista dell'anarchismo in Spagna. La svolta della sua vita la ebbe quando incontrò Bakunin ad Ischia nel 1866, che lo portò a schierarsi con l'internazionalismo, il federalismo e l'anarchismo. Ruppe ogni rapporto con Mazzini per via della sua idea centralista e autoritaria. Nell'aprile 1867, insieme a Saverio Friscia[42] e Carlo Gambuzzi[40] partecipò a Napoli alla costituzione del circolo «Libertà e Giustizia» e dell'omonimo giornale. Nel 1868 assiste a Berna (Svizzera) al "Congresso della Lega della Pace" quindi partecipò alla creazione dell'"Alleanza internazionale della Democrazia Socialista". Emissario di Bakunin, l'8 ottobre 1868 partì da Ginevra per la Spagna. Dopo un passaggio a Barcellona, arrivò a Madrid dove cominciò a diffondere le idee anarchiche. Costituì in Spagna una sezione dell'Internazionale (sul programma dell'Alleanza) ed alcuni mesi più tardi (l'8 maggio 1869) ne fondò un'altra a Barcellona.

[43] Saverio Friscia (Sciacca, 11 novembre 1813 - 22 febbraio 1886), è stato medico, anarchico e militante dell'Internazionale dei Lavoratori. Si è laureato in medicina all'Università di Palermo nel 1837. Inizialmente Friscia abbracciò le idee mazziniane, partecipò all'insurrezione antiborbonica siciliana del 1848, venne eletto al Parlamento generale di Sicilia (1848-49) e promosse sulle pagine del giornale L'Armamento l'arruolamento volontario popolare in difesa della rivoluzione. Arrestato nel 1849 (detenuto a Trapani e nell'isola di Favignana), nel 1850 scelse di espatriare raggiungendo Parigi nel 1851. Appoggiò l'unità d'Italia abbracciando le idee federaliste di Carlo Cattaneo. Dopo la "spedizione dei mille", ritornò in Sicilia avvicinandosi alle idee di Garibaldi. A lui perorò la causa siciliana, descrivendogli minuziosamente la condizione di disagio in cui vivevano molti contadini dell'isola. Venne eletto deputato (1861) del collegio Sciacca-Menfi nella VII legislatura (poi di Palermo nella IX e nuovamente di Sciacca fino alla XIV), promuovendo lo sviluppo economico della Sicilia. Nel 1863 si trasferì a Napoli. La nascita della Prima Internazionale, la conoscenza di Proudhon e soprattutto l'amicizia con Bakunin, che all'epoca si trovava a Napoli, lo portarono ad abbracciare le idee federaliste e antiautoritarie, auspicando un'Italia non unificata e ritenendo si potesse concretizzare una Sicilia indipendente o al limite federata con altre regioni. Il 1868 fu l'anno in cui le idee bakuniste presero la strada della capillare organizzazione, nel tentativo di scalzare l'egemonia mazziniana dal movimento operaio e di diffondere le teorie socialiste rivoluzionarie e anarchiche. Friscia, insieme a Carlo Gambuzzi[41], Giuseppe Fanelli[42] e Alberto Tucci, fu tra i fondatori del circolo «Libertà e Giustizia» e di un omonimo giornale. Divenuto organizzatore della sezione di Catania dell'A.I.L, nel settembre 1868 partecipò a Berna al secondo congresso della Lega per la Pace e la Libertà, durante il quale i bakunisti (tra cui Giuseppe Fanelli[42], Carlo Gambuzzi[41], Alberto Tucci), messi in minoranza, abbandonarono i lavori per dar vita all'Alleanza internazionale per la democrazia socialista. Nel 1871 il giornale internazionalista L'Eguaglianza, di Agrigento, pubblicò L'Internazionale e Mazzini, un articolo scritto da Friscia, o comunque da lui ispirato, nel quale si polemizzava contro lo statalismo di Mazzini e il suo attacco alla Comune di Parigi. Nell'agosto 1872 fu delegato al congresso di Rimini delle sezioni italiane dell'Internazionale, che sancì l'adesione degli internazionalisti italiani alle posizioni di Bakunin e il rifiuto della linea di Marx ed Engels[13]. Saverio Friscia mmorì il 22 febbraio 1886.

[44] Carlo Mileti è nato a Grimaldi (presso Cosenza) il 24 gennaio 1823. Formatosi in un clima di fervore patriottico, Mileti assorbì i sentimenti liberali della sua famiglia alla stregua del fratello maggiore Raffaele che, pur avviato agli studi ecclesiastici, rifiutò l’abito talare per diventare seguace prima di Giuseppe Mazzini e poi di Michail Bakunin. Conseguita la licenza liceale, Mileti fu mandato presso uno zio materno a Napoli, dove si laureò in giurisprudenza nel 1848, manifestando vive simpatie per il movimento liberale e per gli oppositori del governo borbonico. Partecipò ai moti del 15 maggio 1848, e sfuggì all’arresto stabilendosi a Malta dove vi rimase per due anni entrando in contatto con gli esuli calabresi e frequentando gli ambienti dell’emigrazione politica. Il 17 agosto 1852 si stabilì a Genova. In questa città incontrò il medico milanese Agostino Bertani[35], che indirizzò la sua vita cospirativa verso precise scelte politiche, ricondotte poi a molte battaglie che questi svolse negli anni successivi. A Genova Mileti conobbe anche Carlo Pisacane [vedi particolare nella nota 40], con il quale si schierò nel 1855 contro i sostenitori di un governo murattiano nell’Italia meridionale. Dopo il tragico epilogo della spedizione di Sapri e il fallito tentativo insurrezionale di Genova (1857), Mileti l’anno successivo fu nuovamente tratto in arresto. Rimesso in libertà, si avvicinò sempre più a Bertani[35]. I due, dall’aprile al settembre 1860, favorirono il progetto unitario di Giuseppe Garibaldi: il 3 luglio Mileti si recò a Napoli per sostenere l’impresa dei Mille e la sua avanzata nell’Italia centrale. A Napoli, in una lettera pubblicata il 16 luglio 1862 su Il Popolo d’Italia, dichiarò urgente la necessità di risolvere la questione sociale, invocando per il Mezzogiorno d’Italia alcuni provvedimenti per fronteggiare la disoccupazione provocata dalla crisi economica. Il giornale rappresentava il principale portavoce dei democratici meridionali, i quali dopo l’arrivo a Napoli di Bakunin, nel giugno 1865, cominciarono a dividersi fra coloro che restarono fedeli a Mazzini e quelli invece che, affascinati dalle teorie del rivoluzionario russo, si accostarono al movimento socialista. Il 27 febbraio 1867 Mileti – insieme con Dramis[44], Fanelli[41], Gambuzzi[40] e altri democratici napoletani – sottoscrisse il programma dell’associazione «Libertà e giustizia», finalizzato a coniugare il sentimento patriottico con le aspirazioni di giustizia sociale. La sua adesione fu dettata da una ferma convinzione democratica, che valutava conciliabili i principî del socialismo con la trasformazione dell’assetto istituzionale in senso repubblicano. Nei mesi successivi Mileti coordinò l’invio dei volontari che parteciparono all’impresa di Garibaldi per la liberazione di Roma. Morì Napoli il 20 gennaio 1892.

[45] Attanasio Dramis è nato a San Giorgio Albanese in Calabria Citeriore (oggi provincia di Cosenza) il 1° maggio 1829. Partecipò alla rivoluzione del 1848, che in Calabria Citeriore ebbe un segno di protesta contadina con occupazioni di fondi. Sedata l'insurrezione, fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Cosenza, dal quale nell'agosto 1851 tentò, con altri prigionieri politici, un'ingenua e sfortunata evasione con le armi; ferito e riconsegnato alla giustizia, fu sottoposto al tribunale militare e, sebbene nel dicembre 1851 la gran corte criminale della Calabria Citeriore ne ordinasse la scarcerazione in relazione ai fatti del '48, venne liberato solo alla fine del 1852 per grazia di Ferdinando II- Nel maggio 1856, d'accordo con il comitato segreto del partito d'azione di Cosenza - favorevole alla strategia della guerra per bande -, si infiltrò, con il suo amico Agesilao Milano e sotto falso nome, nelle fila dell'esercito borbonico allo scopo di verificare la possibilità di un'azione insurrezionale. Presi contatti con il comitato segreto di Napoli, che Agesilao Milano giudicò inetto al punto di non riconoscerne l'autorità e decidere di agire di propria iniziativa, Dramis non poté impedire, pur essendo in disaccordo, che l'amico mettesse in opera l'attentato al re Ferdinando (dicembre 1856), subendone così le conseguenze: Milano fu impiccato e Dramis, arrestato con altri calabro-albanesi, fu trattenuto quasi quattro anni senza processo nel carcere di Santa Maria Apparente e finalmente liberato nel giugno 1860 dietro la pressione politica dello sbarco garibaldino in Sicilia. Trasferitosi a Napoli, dove lavorò come impiegato del Comune e poi come appaltatore daziario, collaborò al mazziniano Popolo d'Italia di Giorgio Asproni e si avvicinò al circolo radicale che faceva capo a Carlo Gambuzzi[40], Alberto Tucci, Giuseppe Fanelli[41], Saverio Friscia[42]. Tra costoro era diffusa la delusione per l'esito della rivoluzione nazionale ed era manifesta (sulla scia di Cattaneo e Pisacane) la critica allo Stato accentratore, responsabile del permanere delle miserrime condizioni delle masse meridionali. Lo stesso Dramis, propenso a considerare esaurite le tematiche repubblicane mazziniane (e tanto più i loro aspetti religiosi) e certo che ben più ampio spazio dovesse darsi alla questione sociale, rifiutò la presidenza della falange mazziniana meridionale. Ad alimentare la discussione giunse a Napoli nel giugno 1865 il grande avversario di Mazzini, Michail Bakunin, proveniente da Firenze e attratto nel Mezzogiorno d'Italia dal miraggio della rivoluzione contadina. Il rivoluzionario russo si inserì, portandovi le proprie argomentazioni e la propria ricca personalità, nella discussione del gruppo, con cui, in specie con Dramis, stabilì affettuosi rapporti d'amicizia. Anche se la critica del mazzinianesimo era già avviata e l'adesione alle tematiche sociali proposte dall'Internazionale costituiva il compimento pressoché naturale di quel tipo di discussione, e anche se a rigore non poteva essere definita bakunista l'associazione cui il gruppo diede vita alla fine del 1866, la presenza di Bakunin ebbe senz'altro la funzione di accelerare e vivificare gli esiti dell'itinerarlo che avrebbe portato al prevalere tra gli intellettuali di estrazione risorgimentale delle tematiche internazionaliste. Dramis morì a Napoli nel novembre del 1911.

[46] Stefano Caporusso è nato a Modugno (Bari), in data ignota. Probabilmente prese parte, prima del '60, a cospirazioni antiborboniche. Troviamo le prime testimonianze dell’attività politica da lui svolta a Napoli (dove, nel '64, era delegato al congresso delle Società operaie), nell'ambiente mazziniano già in crisi per l'impossibilità di proporre una soluzione valida del problema sociale e incapace di assorbire quella importante componente del movimento democratico orientata sempre più decisamente verso il socialismo. Nel 1867 Caporusso appare tra i firmatari del Manifesto elaborato dal circolo "Libertà e Giustizia", fondato il 3 aprile da un gruppo di mazziniani di sinistra. Esso rappresentava il punto di arrivo di un atteggiamento critico nei confronti della linea politica di Mazzini. Il Manifesto fu firmato anche da Friscia[43], Gambuzzi[41], Fanelli[42], Mileti[44], De Luca, Dramis[45], Piscopo, Cimmino, Calfapetra, Di Serio, De Martino, Manes-Rossi, Mayer. Il Programma del Circolo venne pubblicato nell'agosto sul primo numero di Libertà e Giustizia, di cui Caporusso fu collaboratore finché la rivista ebbe vita (febbraio 1868). Esso auspicava il suffragio universale, la libertà di stampa e di culto, si fece portatore di un programma di decentramento amministrativo che appariva simile a quello espresso dal Cattaneo nella lettera agli elettori italiani (Il Popolo d'Italia, 8 apr. 1867). Nacque a questo punto il problema dei rapporti fra Bakunin - presenza già politicamente attiva a Napoli in quegli anni - e il circolo «Libertà e Giustizia». L'anarchico russo si sarebbe riproposto di creare nell'opinione pubblica un ambiente favorevole alle sue tesi e di entrare in contatto nello stesso tempo con gli elementi politicamente più disponibili al nuovo genere di azione che egli voleva proporre. Dai rapporti di polizia appare invece che l'attività del gruppo napoletano sarebbe stata rivolta in primo luogo alla liberazione di Roma, secondo una linea politica molto lontana quindi da quella auspicata dal Bakunin. L'associazione presieduta da Caporusso si andò orientando in seguito, come altri gruppi operai e di mestiere, verso l'Internazionale dei lavoratori. Nel settembre egli venne inviato a Basilea come rappresentante della sezione centrale al IV congresso dell'Internazionale. Intervenne una prima volta per riferire sulla crescita della sezione, più tardi per dare un ragguaglio - che appare tuttavia assai fantasioso - sulla popolazione di Napoli. In complesso Caporusso non si distinse che per la familiarità ostentata nei suoi confronti dal Bakunin, rappresentante in quella sede della sezione meccanici napoletani; familiarità osservata dai convenuti e che fu probabilmente inaspettata, se Marx doveva sottolineare "al Congresso di Basilea" l'immagine di "Bakunin a braccetto del suo fedele Caporusso". Nulla si sa del luogo e della data della sua morte

[47] Nel 1868 (Sciacca e Catania) e 1869 (Napoli) si formarono le prime sezioni italiane dell'Internazionale dei Lavoratori.

[48] John Stuart Mill (Londra, 20 maggio 1806 – Avignone, 8 maggio 1873) è stato un filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo.

[49] Albert, Marie Richard (Tours, 8 dicembre 1846 - Auxerre, 30 marzo 1925, pubblicista, apparteneva, già nel 1865, all'Internazionale.

[50] Comune svizzero del Canton Neuchâtel, nel distretto di Le Locle.

[51] James Guillaume (Londra, 16 febbraio 1844 – Préfargier, 20 novembre 1916) è stato uno scrittore e anarchico svizzero. Nel 1866 fondò al Le Locle  una sezione della Prima Internazionale. Avendo aderito con Michail Bakunin alla Federazione del Giura, di cui diresse il Bulletin de la Fédération jurassienne e compose la musica dell'inno, La Jurassienne, nel 1872 venne espulso dall'Internazionale.

[52] Adhemar Schwitzguébel (Sonvilier nel Giura bernese, Svizzera, 1844 - Bienne, cantone di Berna, 23 luglio 1895); Incisore operaio in orologeria, poi segretario sindacale. entrò nel 1869 l'Alleanza internazionale della socialdemocrazia fondata da Bakunin. Successivamente è stato delegato a tutti i congressi regionali e internazionali dell'A.I.T. a quello di L'Aia, dove i suoi compagni Michail Bakunin e James Guillaume sono stati esclusi dall'Internazionale. In precedenza, era andato a Parigi dopo la caduta della Comune, portando passaporti falsi destinati a facilitare il volo dei comunardi in Svizzera (vedi anche Gustave Jeanneret). Contribuiva regolarmente ai giornali dell'A.I.T., tra cui il Bulletin de la Fédération Jurassienne, per il quale era un amministratore di lunga data.

[53] Auguste Spichiger (Langenthal, cantone di Berna, Svizzera,1842 - Lione il 29 giugno 1919); orologiaio, guillocheur, membro attivo della Federazione del Giura. Era membro del comitato della Federazione francofona "collettivista" nell'ottobre del 1870, a La Chaux-de-Fonds, delegato al congresso di Sonvilier del novembre 1871, dove fu fondata la Federazione del Giura, e quindi regolarmente membro del comitato federale.

[54] Sergei Guennadievitch Nechayev (Ivanovo, Russia, 20 settembre 1847, 2 ottobre 1847 nel calendario gregoriano - San Pietroburgo 21 novembre 1882,3 dicembre 1882 nel calendario gregoriano) era uno scrittore e attivista rivoluzionario russo, associato al movimento nichilista e noto per la sua perspicace ricerca della rivoluzione con ogni mezzo. È l'autore del Catechismo di un rivoluzionario.

[55] Eugène Saignes o Eugène-Bertrand Saignes. Operaio di gessatura, membro del Comitato Centrale della Salvezza della Francia (Lione, 1870).

[56] Arthur Lehning (Utrecht, 23 ottobre 1899 - Lys-Saint-Georges 1 gennaio 2000)era un anarchico tedesco e attivista anarco-sindacalista, archivista e storico del movimento libertario internazionale.

[57] Comune svizzero del Canton Berna, nella regione del Giura Bernese.

[58] Comune svizzero del Canton Berna, nella regione del Giura Bernese.

[59] L'insurrezione di Bologna è stata una storica tappa dell'anarchismo insurrezionalista italiano. Fu il primo tentativo (il secondo fu quello operato dalla Banda del Matese) di un certo rilievo per far scoccare la scintilla rivoluzionaria che poi si sarebbe dovuta estendere nel resto d'Italia. I congressi delle sezioni italiane dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, realizzatisi Bologna nel Marzo del 1872 e a Rimini nel Maggio successivo, sancirono il predominio dell'anarchismo rispetto al marxismo, quantomeno nella penisola italiana. A questi avvenimenti va aggiunto il fallimento della Prima Internazionale, in cui si consacrò la fuoriuscita degli anarchici, che spinse molti militanti libertari ad abbracciare con maggior convinzione le idee bakuniane. Il tentativo insurrezionale di Bologna non fu altro che la logica conseguenza del clima prerivoluzionario che si andava costituendo in alcune regioni italiane ed in linea con quanto dichiarato da Cafiero[3] e Malatesta[4] al congresso dell'Internazionale antiautoritaria di Berna del 1876: «La Federazione Italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse possa penetrare nei più profondi strati sociali...». Nel 1874 gli anarchici romagnoli, misero a punto un piano che gli avrebbe dovuto far “conquistare” la città di Bologna, nella speranza di estendere poi la rivolta a tutta l'Italia centrale. Il piano prevedeva la presenza di circa mille rivoluzionari, tra cui Errico Malatesta[4], Carlo Cafiero[3], Andrea Costa e Napoleone Papini, inizialmente divisi in diversi gruppi provenienti da Imola, San Giovanni Persiceto e Bologna. Le colonne si sarebbero dovute ricongiungere nei pressi dei prati di Caprara, dove erano state nascoste armi, prima di penetrare unitariamente a Bologna all'alba dove li avrebbe attesi Michail Bakunin. In città avrebbero dovuto occupare il palazzo comunale, assaltare e saccheggiare l'arsenale militare e liberare tutti i prigionieri politici. Ma le cose non andarono secondo i piani ... Vennero raccolti in vari punti della città materiali per erigere barricate. Un centinaio di uomini armati erano pronti all'azione. Ma la Prefettura, essendo stata messa al corrente dei preparativi da alcuni delatori, intervenne in forze e bloccò sul nascere l'iniziativa degli anarchici. Il 2 agosto a Villa Ruffi, presso Rimini, la polizia ha arrestato i componenti dello stato maggiore repubblicano, durante una pacifica riunione presieduta da Aurelio Saffi. 28 persone vennero tradotte e rinchiuse nel carcere di Perugia, con l'accusa di «congiurare e distruggere l'attuale forma di Governo». Il 5 agosto Andrea Costa fu immediatamente fermato e arrestato. Il giorno seguente circa duecento rivoluzionari, anziché i mille previsti (stesso “equivoco” si ripeterà tre anni dopo alla Banda del Matese), partendo da Imola, al comando del muratore Antonio Cornacchia, detto Bavarésa, si impadronì della stazione di Castel San Pietro e la devastò, sabotando la linea telegrafica, rompendo i binari fermando i treni e portando via armi, lucerne e bandiere rosse per le segnalazioni, si diressero verso Bologna ma fu fermata prima dell'ingresso in città, in località La Campana, da un contingente di militari e di carabinieri e si sbandò. Quarantasette uomini furono stati arrestati sul posto, tra cui Malatesta[4], Napoleone Papini, Francesco Natta e Carlo Cafiero[3], altri fuggirono in montagna, venendo catturati il giorno seguente. Si dispersero anche gli insorti convenuti ai Prati di Caprara, in pratica "solo la banda di S. Giovanni in Persiceto". Vennero presi poco dopo nei pressi di Sabbiuno. Bakunin - che da tempo preparava l'insurrezione in Emilia ed è giunto a dichiarare nella sua opera principale, Stato e Anarchia (1873), che "da nessuna parte la rivoluzione sociale è così prossima come in Italia" - era già arrivato a Bologna in incognito dalla Svizzera per prender parte all'insurrezione ed era stato affidato agli internazionalisti Silvio Frugeri e Pilade Campagnoli. Fu costretto a fuggire precipitosamente. Secondo la testimonianza di Demos Altobelli, partì in treno travestito da prete alla volta di Verese e della Svizzera. L'episodio sarà narrato anche nel romanzo Il diavolo al Pontelungo dello scrittore bolognese Riccardo Bacchelli. Molti altri congiurati furono tratti in arresto. Tra essi l'ex garibaldino e cameriere dell'Osteria del Foro Boario Teobaldo Buggini, intimo di Costa, Alfonso Leonesi e Serafino Mazzotti, organizzatori del moto, che riuscirono a nascondere le armi in campagna prima della cattura. Gli imolesi circondati e presi alla Campana sono stati trascinati a Bologna nel Torrone tra una selva di fucili e gli applausi dei benpensanti. La forza pubblica compì perquisizioni a tappeto nei luoghi conosciuti come covi anarchici: a Bologna, nel rione del Pratello, e a Mirandola, patria dei sovversivi fratelli Ceretti. Il giorno dopo la fallita insurrezione, il governo sciolse le sezioni dell'Internazionale in Italia. Lo stesso giorno veniva pubblicato, in tutta Italia, il manifesto del Comitato italiano per la Rivoluzione sociale (C.I.R.S.), che invitava tutti ad insorgere. L'impresa mancata, l'arresto e la successiva liberazione degli insorti, avvenuta nel 1876, non di certo intimorì gli anarchici, che anzi videro in molti casi incrementata la fama e il prestigio. Secondo l'anarchico svizzero James Guillaume la moglie di Cafiero[3], Olimpia Kutusov, sarebbe stata incaricata di trasportare della dinamite da utilizzare durante l'insurrezione, che però non fu mai utilizzata in quanto s'era bagnata ed era stata quindi gettata in fondo al Reno. L'opinione di Guillaume è stata però respinta dallo storico anarchico Pier Carlo Masini, che ritiene che la russa non abbia affatto partecipato a quei moti).

[60] Ginevra, 23 febbraio 1869.

[61] François-Noël Babeuf, che dal 1794 si firmò Gracchus Babeuf (Saint-Quentin, Piccardia, Francia, 23 novembre 1760 - Vendôme, 27 maggio 1797), fu un rivoluzionario francese e uno dei capi comunisti durante la Rivoluzione del 1789. Ispiratore della congiura degli Uguali che avrebbe dovuto rovesciare il governo borghese del Direttorio, fu tradito, arrestato e ghigliottinato.

[62] El patriotismo y la comuna de París y la noción de Estado.