Proclamazione
della Repubblica francese del 4 settembre 1870
Iniziata il 19 luglio 1870, la Guerra
franco-prussiana si risolse in pochi mesi con la sconfitta del Secondo
Impero francese.
La notizia della disfatta
di Sedan e della cattura di Napoleone
III si diffuse
a Parigi il 3 settembre 1870, nonostante gli sforzi per attenuare l'orrore
dell'evento; la città nel pomeriggio piombò nel caos.
La folla inferocita e indignata iniziò a saccheggiare
i negozi, a distruggere i simboli napoleonici sparsi nella città e a minacciare
l'occupazione degli edifici governativi. Ai parigini non importava che
l’imperatore fosse prigioniero: ormai era in pericolo la stessa Parigi.
I deputati del Corpo legislativo furono convocati con
urgenza al Palais
Bourbon, sede dell’Assemblea legislativa, dal loro presidente Eugène
Schneider. La sessione, dove orléanisti e repubblicani borghesi stavano
patteggiarono la formazione di un governo provvisorio di coalizione, uniti
dalla volontà di evitare una rivoluzione popolare, iniziò alle 1:00 del mattino
del 4 settembre e terminò mezz'ora dopo. Il deputato Jules Favre propose la
detronizzazione della dinastia, la creazione di un governo provvisorio e
suggerì come governatore militare il generale Louis-Jules
Trochu; alla Camera pronunciò queste parole: "Luigi
Napoleone Bonaparte e la sua dinastia sono dichiarati privati del potere.
Sarà nominato dall'organo legislativo una commissione [...] dotata di tutti i
poteri del governo e che avrà l'esplicita missione di resistere all'invasione e
di cacciare il nemico fuori dal territorio. [...] Il generale Trochu
è mantenuto come governatore generale di Parigi".
L'incontro riprese poche ore dopo. I giornali,
avevano esortato la folla a venire in massa davanti al palazzo per chiedere la
decadenza dell'imperatore, un grosso servizio d’ordine fu impiegato per
garantire la sicurezza dei deputati; era composto, infatti, da circa 5.000
uomini (polizia municipale e ispettori di polizia, gendarmi a piedi e a
cavallo, soldati della guarnigione) che vennero ammassati vicino all'edificio
dal capo del governo, Cousin-Montauban.
La folla davanti alla legislatura la mattina del 4 settembre ( Jacques Guiaud , 1870 |
Nella folla dinanzi al Palazzo
Borbone erano presenti oltre ai blanquisti[1]
anche dei rivoluzionari di altre formazioni e i socialisti di tutte le
tendenze; c'erano anche le guardie nazionali in armi. Si aspettava a lungo
l'esito delle trattative dei deputati e del governo con l'Imperatrice Reggente
(la moglie di Napoleone
III).
Nella
Camera, Léon
Gambetta chiese la decadenza dell'Imperatore
mentre Adolphe
Thiers voleva solo creare un «comitato di governo e di difesa nazionale». La
sessione fu agitata e il pubblico, fino a quel momento saggiamente seduto sulle
tribune, approfittò di una sospensione per lasciare il palazzo e scuotere
fazzoletti e cappelli dalla cima dei gradini. La sovreccitazione si ingrandiva
di ora in ora.
Alle 14.30 i cancelli furono
aperti per lasciare entrare alcuni deputati e un centinaio di guardie ma, molto
rapidamente, una folla di parigini, formata in maggioranza da blanquisti[1],
guardie nazionali e proscritti del 1848, forzò l'ingresso, gli sbarramenti delle
truppe non resistettero più, le guardie del palazzo vennero travolte sui
lungofiume, allo sbocco del ponte de la Concorde, al Palais
Bourbon, e il popolo parigino si
precipitò dentro le mura del palazzo; nessuna resistenza si oppose e presto la
folla gremì gli spalti.
Il presidente Schneider
cedette il posto ad Ernest
Granger, il giovane blanquista[1], dominando il tumulto, gridò: “Cittadini, di fronte a questi disastri, alle
disgrazie della patria, il popolo di Parigi ha invaso questa aula, per venirvi
a proclamare il decadimento dell'Impero e la Repubblica. Intimiamo i
rappresentanti di decretare”.
Gambetta
chiese quindi al pubblico di non disturbare i dibattiti "né con le grida né con gli applausi".
Il deputato Crémieux chiese a Cousin-Montauban di licenziare i gendarmi, la
loro presenza veniva percepita come una provocazione; quest'ultimo obbedì e,
pochi minuti dopo, i rivoltosi invasero l'emiciclo. I deputati cercano di
moderare la folla e quindi di calmarla; Gambetta sclamò: "È come rappresentante della Rivoluzione
francese che vi scongiuro di assistere tranquillamente al ritorno dei deputati
sul banco!”
Questi tentativi di portare
alla calma furono destinati al fallimento; di fronte al clamore incessante
della folla che reclamava la decadenza dell'Imperatore
e l'istituzione della Repubblica, Schneider fece terminare la riunione e si
ritirò. I deputati erano in una confusione inimmaginabile.
Rinunciando a far votare i
suoi colleghi, Jules
Favre escogitò una scappatoia che fu una trovata politica; sfidò la folla
urlandole: “Cittadini, nel momento in cui il popolo ha invaso questa aula i
deputati deliberavano per pronunciare il decadimento dell'Impero e proclamare
la Repubblica. Poiché il popolo è penetrato in questa assemblea, non è più qui
che deve essere proclamata la Repubblica, ma all’Hôtel
de Ville”.
Un gruppo di deputati
repubblicani, guidati da Gambetta,
si riunirono presso l'Hôtel
de Ville, e, alle quattro del pomeriggio, venne proclamato il ritorno della
Repubblica.
Testo della proclamazione:
Gambetta proclama la Repubblica |
«Francesi!
Il Popolo è avanzato alla Camera, che esitava. Per salvare la
Patria in pericolo, ha chiesto la Repubblica.
Ha messo i suoi rappresentanti non al potere, ma al pericolo.
La Repubblica sconfisse l'invasione nel 1792, la Repubblica è
proclamata.
La Rivoluzione è fatta in nome della legge, della sicurezza
pubblica.
Cittadini, vegliate sulla città che vi è stata affidata; Domani
sarete, con l'esercito, i vendicatori del paese!
Municipio di Parigi, 4 settembre 1870.
Firmato: Emmanuel Arago, Adolphe Crémieux, Pierre-Frédéric Dorian,
Jules Favre, Jules Ferry, Guyot-Montpayroux, Léon Gambetta, Louis-Antoine
Garnier-Pagès, Joseph-Pierre Magnin, Francisque Ordinaire, Pierre-Albert
Tachard, Eugène Pelletan, Ernest Picard, Jules Simon».
Gambetta
si affrettò a dichiarare che “Luigi
Napoleone Bonaparte e la sua dinastia hanno ormai cessato di regnare”.
Poiché bisognava impedire che rappresentanti popolari andassero al governo, il
deputato Jules Férry ebbe un colpo di genio: sarebbero stati i deputati di
Parigi a formare il nuovo governo, dopo tutto, erano tutti repubblicani,
borghesi e già oppositori da salotto.
Lo stesso 4 settembre, alle 10:30 di sera, ebbe luogo
la prima seduta del nuovo governo che assunse il titolo appassionante di Governo
della Difesa Nazionale, che avrebbe dovuto gestire le fasi finali della
guerra e il vuoto di potere lasciato dalla cattura dell'Imperatore.
Il governo
era formato da: Louis
Jules Trochu (capo del governo e comandante militare di Parigi), Adolphe Crémieux (alla
Giustizia), Jules
Favre (agli Affari esteri), Léon
Gambetta (agli Interni), Ernest Picard (alle Finanze), Jules Simon
(all’Istruzione pubblica e ai Culti), Pierre-Frédéric Dorian (ai Lavori
Pubblici), Pierre Magnin (all’Agricoltura), l’ammiraglio Martin Fourichon
(designato per la Marina), il generale Adolphe Le Flô (per la Guerra).
Nessun rivoluzionario è presente in questa lista;
ancora una volta la Rivoluzione è sottratta al popolo
con un gioco di bussolotti.
E tuttavia la giornata del 4
settembre non fu segnata unicamente dall’avvento del Governo
di Difesa Nazionale. Mentre al Palais-Bourbon
si rivolgeva l'ultimo atto della tragicommedia bonapartista, alcuni
rivoluzionari organizzarono una sommossa intorno alla prigione
di Sainte-Pélagie, dove erano rinchiusi Rochefort
ed una ventina di detenuti politici. Pascal
Grosset, liberato egli stesso da poco, e Gaston
Da Costa, incoraggiarono i detenuti che intimarono ai secondini di
liberarli. Così Henri
Rochefort, il pubblicista di La
Lanterne, cinto da una fascia rossa, poté arrivare alla fine della
serata all’Hôtel
de Ville, per essere incorporato nel governo, integrando nella sua figura
una parte delle speranze popolari.
Queste si esprimevano con
forza maggiore nella protesta dei membri dell'Internazionale
e dei delegati del Comitato
Centrale dei venti arrondissement che, la sera del 4 settembre,
richiedevano elezioni municipali immediate nel dipartimento della Senna, la
soppressione della polizia di Stato, l'abolizione delle leggi contro la libertà
di stampa, di riunione e di associazione, l'amnistia politica, l'armamento di
tutti francesi e la leva di massa. Programma preciso di vasta rivoluzione
politica, di democrazia integrale e di patriottismo militare, ma arrivato
troppo tardi. Tutte queste rivendicazioni furono scartate dal Governo,
che, il 6 settembre, nominò esso stesso i sindaci e gli assessori di Parigi: il
regime eccezionale, tanto insistentemente denunciato dagli avversari dell'Impero,
era così mantenuto nella capitale, alla quale, come a tutta la Francia, fu
imposta una dittatura che doveva durare sino alle elezioni dell'Assemblea
Nazionale, autorizzate queste, dalla disgraziata fine della guerra.
Proclamazione della Repubblica francese |
I parigini che hanno fatto il
4 settembre non prevedevano, per il momento una simile tragedia. Senza fermarsi
alle condizioni tuttavia preoccupanti nelle quali si era costituito il Governo
di Trochu,
essi gli accordarono la fiducia.
Si consolidò così il rito del
1789, del 1830,
del 1848.
Il 4 settembre fu una rivoluzione nazionale con cornice municipale. Nulla di
strano che risorse, se non sulle labbra, almeno nel cervello dei rivoluzionari
trionfanti, quella parola «Comune», dimenticata da più di un secolo.
L'imperatrice Eugenia si
apprestò a lasciare la città per sfuggire ai pessimi umori della popolazione,
che già cominciava a gridare "abbasso
la spagnola". A Place de la Concorde la gente iniziò a urlare "morte ai Bonaparte" e "lunga vita alla nazione".
Il bonapartismo non esisteva
più: Napoleone
III era nelle
mani dei prussiani; il Senato era svanito ancora prima di essere dichiarato
sciolto; grandi dignitari, alti funzionari, mammalucchi feroci, ministri
imperiosi, ciambellani solenni, generali baffuti, tutti si eclissarono
pietosamente. Con la sconfitta
di Sedan crollò l'illusione di un Impero che, per reggersi di fronte
all'opinione pubblica, aveva bisogno di trionfi militari e che invece aveva
portato in guerra un esercito scandalosamente impreparato a sostenere il
confronto col nemico. Altro che pretendere da Bismarck la
rinuncia all'unificazione germanica e la cessione di tutto il territorio
situato ad ovest del Reno! L'euforia nazionalista, che fino all'agosto 1870
aveva dato a Napoleone
III la
parvenza di un unanime sostegno, svanì di colpo mettendo a nudo le profonde
lacerazioni del tessuto sociale francese. Tornarono di bruciante attualità
problemi che il Secondo
Impero non aveva mai risolto, e che aveva ereditato dai regimi precedenti.
“C'è un solo dilemma: bandiera rossa o bandiera tricolore”, annotava
il 3 settembre 1870 nel suo diario il poeta repubblicano Victor
Hugo, esule a Bruxelles, alla vigilia della caduta di Napoleone
III. Bandiera rossa
o bandiera tricolore, cioè la repubblica sarebbe stata socialista oppure
borghese? L'alternativa si era già presentata due volte, nel 1830
e nel 1848,
ma le classi possidenti, spalleggiate dai militari, dal clero e dalle categorie
rurali, avevano schiacciato nel sangue i tentativi di innestare la rivoluzione
proletaria sulla rivoluzione fatta ad esclusivo vantaggio della borghesia.
Ora, il 4 settembre 1870 non
era corso il sangue, ma il proletariato parigino riteneva di essere stato
giocato ugualmente.
“Tutta questa repubblica è finora una farsa pura e semplice, come lo è
la sua origine esente da lotte [...] gli orléanisti vogliono una repubblica ad
interim che faccia la pace vergognosa, affinché il suo onere non ricada sugli
Orléans da restaurarsi in un secondo tempo. Gli orléanisti detengono il vero
potere: Trochu
ha anche il comando militare e Kératry ha la polizia. I signori della gauche
hanno i posti delle chiacchiere (Friedrich Engels)”. Il principale compito della repubblica doveva
essere quello di continuare la lotta ad oltranza contro i prussiani; essa
trovava credito nell’insofferenza e nel disprezzo con cui veniva considerato l’Impero.
Si andava profilando il pericolo che si scatenasse una vera e propria
rivoluzione sociale ad opera degli operai e del proletariato parigino. La
rivolta avrebbe certo trovato terreno fertile nel sentimento nazionalistico di
difesa contro i prussiani, ma chi assicurava la borghesia che, una volta
sconfitto il nemico esterno, le armi del proletariato, che nella lotta avrebbe
frattanto elevato la propria coscienza di classe, non si sarebbero rivolte
contro il nemico interno, la borghesia e i funzionari imperiali?[3]
Occorreva dunque tenere in pugno il malcontento e
cercare di incanalare la furia popolare verso obiettivi non troppo pericolosi;
la borghesia avanzata, rappresentata dai repubblicani, non tardò a capire la
situazione. Ed ecco i motivi della repubblica.
È chiaro, quindi, che con la repubblica del 4
settembre ancora il movimento popolare non aveva
assunto un carattere di classe, anche perché si credeva che la repubblica fosse
la panacea di tutti i mali, si credeva che ormai vi fosse la libertà e tutti
ripetevano: “Poiché abbiamo la repubblica
cambieremo quelli che non valgono nulla”. Ma la repubblica è un nome vuoto
che può prendere significato solo quando si sa chi sono, e quale collocazione
di classe hanno, coloro che fanno il governo e se effettivamente il popolo ha
la possibilità di cambiare «quelli che non valgono nulla». Proprio questa
possibilità mancava: il governo e la borghesia non volevano saperne di
consegnare le armi al proletariato perché capivano benissimo che la loro
posizione era ancora abbastanza forte di fronte al proletariato disarmato, ma
non altrettanto in caso contrario. “Nulla
era mutato, tutto il meccanismo era lo stesso tranne i nomi; ed è stato il
potere a mutarli (Louise
Michel)”. Quindi nel
governo provvisorio, nel quale vi erano rivoluzionari e borghesi repubblicani,
questi ultimi finirono col prendere il sopravvento.
Tra i
ministri, Trochu
non credeva nemmeno possibile difendere Parigi. Egli riteneva assai più
importante tenere a bada il popolo di Parigi anziché battere i prussiani.
[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e
attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta,
del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria
combattiva. Deve il suo nome allo
scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[2] In Francia l’Hôtel de Ville è il
municipio di una grande città, ovvero l’edificio, detto anche casa comunale,
ove ha sede l’amministrazione comunale. Nelle città minori il municipio si
chiama Mairie.
[3] Parigi ha dimostrato, nel tempo,
che nessuna rivoluzione può scoppiare senza assumere un carattere proletario;
il che vuol dire senza che il proletariato, avendo conquistato la vittoria a
prezzo del suo sangue, non presentasse dopo la vittoria le sue proprie
rivendicazioni (abolizione della proprietà privata, abolizione del contrasto di
classe tra capitalisti e operai). Qualsiasi sua rivendicazione rappresenta un
pericolo per l’ordinamento sociale futuro. Il proletariato era ancora armato;
per i borghesi che si trovarono al nuovo governo dello Stato, il disarmo del
proletariato era quindi una necessità primordiale, per togliere così forza alle
loro rivendicazioni. Ecco quindi sorgere dopo ogni rivoluzione vinta dagli
operai una nuova lotta, la quale finisce con la disfatta degli operai.