giovedì 22 novembre 2018

01-09 - La proclamazione della Repubblica francese del 4 settembre 1870

Proclamazione della Repubblica francese del 4 settembre 1870


Iniziata il 19 luglio 1870, la Guerra franco-prussiana si risolse in pochi mesi con la sconfitta del Secondo Impero francese.
La notizia della disfatta di Sedan e della cattura di Napoleone III si diffuse a Parigi il 3 settembre 1870, nonostante gli sforzi per attenuare l'orrore dell'evento; la città nel pomeriggio piombò nel caos.
La folla inferocita e indignata iniziò a saccheggiare i negozi, a distruggere i simboli napoleonici sparsi nella città e a minacciare l'occupazione degli edifici governativi. Ai parigini non importava che l’imperatore fosse prigioniero: ormai era in pericolo la stessa Parigi.


Riunione del corpo legislativo

I deputati del Corpo legislativo furono convocati con urgenza al Palais Bourbon, sede dell’Assemblea legislativa, dal loro presidente Eugène Schneider. La sessione, dove orléanisti e repubblicani borghesi stavano patteggiarono la formazione di un governo provvisorio di coalizione, uniti dalla volontà di evitare una rivoluzione popolare, iniziò alle 1:00 del mattino del 4 settembre e terminò mezz'ora dopo. Il deputato Jules Favre propose la detronizzazione della dinastia, la creazione di un governo provvisorio e suggerì come governatore militare il generale Louis-Jules Trochu; alla Camera pronunciò queste parole: "Luigi Napoleone Bonaparte e la sua dinastia sono dichiarati privati del potere. Sarà nominato dall'organo legislativo una commissione [...] dotata di tutti i poteri del governo e che avrà l'esplicita missione di resistere all'invasione e di cacciare il nemico fuori dal territorio. [...] Il generale Trochu è mantenuto come governatore generale di Parigi".
L'incontro riprese poche ore dopo. I giornali, avevano esortato la folla a venire in massa davanti al palazzo per chiedere la decadenza dell'imperatore, un grosso servizio d’ordine fu impiegato per garantire la sicurezza dei deputati; era composto, infatti, da circa 5.000 uomini (polizia municipale e ispettori di polizia, gendarmi a piedi e a cavallo, soldati della guarnigione) che vennero ammassati vicino all'edificio dal capo del governo, Cousin-Montauban.
La folla davanti alla legislatura la mattina del 4 settembre ( Jacques Guiaud , 1870

Nella folla dinanzi al Palazzo Borbone erano presenti oltre ai blanquisti[1] anche dei rivoluzionari di altre formazioni e i socialisti di tutte le tendenze; c'erano anche le guardie nazionali in armi. Si aspettava a lungo l'esito delle trattative dei deputati e del governo con l'Imperatrice Reggente (la moglie di Napoleone III).
Nella Camera, Léon Gambetta chiese la decadenza dell'Imperatore mentre Adolphe Thiers voleva solo creare un «comitato di governo e di difesa nazionale». La sessione fu agitata e il pubblico, fino a quel momento saggiamente seduto sulle tribune, approfittò di una sospensione per lasciare il palazzo e scuotere fazzoletti e cappelli dalla cima dei gradini. La sovreccitazione si ingrandiva di ora in ora.
Alle 14.30 i cancelli furono aperti per lasciare entrare alcuni deputati e un centinaio di guardie ma, molto rapidamente, una folla di parigini, formata in maggioranza da blanquisti[1], guardie nazionali e proscritti del 1848, forzò l'ingresso, gli sbarramenti delle truppe non resistettero più, le guardie del palazzo vennero travolte sui lungofiume, allo sbocco del ponte de la Concorde, al Palais Bourbon, e il popolo parigino si precipitò dentro le mura del palazzo; nessuna resistenza si oppose e presto la folla gremì gli spalti.
Il presidente Schneider cedette il posto ad Ernest Granger, il giovane blanquista[1], dominando il tumulto, gridò: “Cittadini, di fronte a questi disastri, alle disgrazie della patria, il popolo di Parigi ha invaso questa aula, per venirvi a proclamare il decadimento dell'Impero e la Repubblica. Intimiamo i rappresentanti di decretare”.
Gambetta chiese quindi al pubblico di non disturbare i dibattiti "né con le grida né con gli applausi". Il deputato Crémieux chiese a Cousin-Montauban di licenziare i gendarmi, la loro presenza veniva percepita come una provocazione; quest'ultimo obbedì e, pochi minuti dopo, i rivoltosi invasero l'emiciclo. I deputati cercano di moderare la folla e quindi di calmarla; Gambetta sclamò: "È come rappresentante della Rivoluzione francese che vi scongiuro di assistere tranquillamente al ritorno dei deputati sul banco!
Questi tentativi di portare alla calma furono destinati al fallimento; di fronte al clamore incessante della folla che reclamava la decadenza dell'Imperatore e l'istituzione della Repubblica, Schneider fece terminare la riunione e si ritirò. I deputati erano in una confusione inimmaginabile.


“All’Hôtel de Ville!”[2]

Rinunciando a far votare i suoi colleghi, Jules Favre escogitò una scappatoia che fu una trovata politica; sfidò la folla urlandole: “Cittadini, nel momento in cui il popolo ha invaso questa aula i deputati deliberavano per pronunciare il decadimento dell'Impero e proclamare la Repubblica. Poiché il popolo è penetrato in questa assemblea, non è più qui che deve essere proclamata la Repubblica, ma all’Hôtel de Ville.
Un gruppo di deputati repubblicani, guidati da Gambetta, si riunirono presso l'Hôtel de Ville, e, alle quattro del pomeriggio, venne proclamato il ritorno della Repubblica.
Testo della proclamazione:

Gambetta proclama la Repubblica
«Francesi!
Il Popolo è avanzato alla Camera, che esitava. Per salvare la Patria in pericolo, ha chiesto la Repubblica.
Ha messo i suoi rappresentanti non al potere, ma al pericolo.
La Repubblica sconfisse l'invasione nel 1792, la Repubblica è proclamata.
La Rivoluzione è fatta in nome della legge, della sicurezza pubblica.
Cittadini, vegliate sulla città che vi è stata affidata; Domani sarete, con l'esercito, i vendicatori del paese!

Municipio di Parigi, 4 settembre 1870.
Firmato: Emmanuel Arago, Adolphe Crémieux, Pierre-Frédéric Dorian, Jules Favre, Jules Ferry, Guyot-Montpayroux, Léon Gambetta, Louis-Antoine Garnier-Pagès, Joseph-Pierre Magnin, Francisque Ordinaire, Pierre-Albert Tachard, Eugène Pelletan, Ernest Picard, Jules Simon».

Gambetta si affrettò a dichiarare che “Luigi Napoleone Bonaparte e la sua dinastia hanno ormai cessato di regnare”. Poiché bisognava impedire che rappresentanti popolari andassero al governo, il deputato Jules Férry ebbe un colpo di genio: sarebbero stati i deputati di Parigi a formare il nuovo governo, dopo tutto, erano tutti repubblicani, borghesi e già oppositori da salotto.
Lo stesso 4 settembre, alle 10:30 di sera, ebbe luogo la prima seduta del nuovo governo che assunse il titolo appassionante di Governo della Difesa Nazionale, che avrebbe dovuto gestire le fasi finali della guerra e il vuoto di potere lasciato dalla cattura dell'Imperatore.
Il governo era formato da: Louis Jules Trochu (capo del governo e comandante militare di Parigi), Adolphe Crémieux (alla Giustizia), Jules Favre (agli Affari esteri), Léon Gambetta (agli Interni), Ernest Picard (alle Finanze), Jules Simon (all’Istruzione pubblica e ai Culti), Pierre-Frédéric Dorian (ai Lavori Pubblici), Pierre Magnin (all’Agricoltura), l’ammiraglio Martin Fourichon (designato per la Marina), il generale Adolphe Le Flô (per la Guerra).
Nessun rivoluzionario è presente in questa lista; ancora una volta la Rivoluzione è sottratta al popolo con un gioco di bussolotti.
E tuttavia la giornata del 4 settembre non fu segnata unicamente dall’avvento del Governo di Difesa Nazionale. Mentre al Palais-Bourbon si rivolgeva l'ultimo atto della tragicommedia bonapartista, alcuni rivoluzionari organizzarono una sommossa intorno alla prigione di Sainte-Pélagie, dove erano rinchiusi Rochefort ed una ventina di detenuti politici. Pascal Grosset, liberato egli stesso da poco, e Gaston Da Costa, incoraggiarono i detenuti che intimarono ai secondini di liberarli. Così Henri Rochefort, il pubblicista di La Lanterne, cinto da una fascia rossa, poté arrivare alla fine della serata all’Hôtel de Ville, per essere incorporato nel governo, integrando nella sua figura una parte delle speranze popolari.
Queste si esprimevano con forza maggiore nella protesta dei membri dell'Internazionale e dei delegati del Comitato Centrale dei venti arrondissement che, la sera del 4 settembre, richiedevano elezioni municipali immediate nel dipartimento della Senna, la soppressione della polizia di Stato, l'abolizione delle leggi contro la libertà di stampa, di riunione e di associazione, l'amnistia politica, l'armamento di tutti francesi e la leva di massa. Programma preciso di vasta rivoluzione politica, di democrazia integrale e di patriottismo militare, ma arrivato troppo tardi. Tutte queste rivendicazioni furono scartate dal Governo, che, il 6 settembre, nominò esso stesso i sindaci e gli assessori di Parigi: il regime eccezionale, tanto insistentemente denunciato dagli avversari dell'Impero, era così mantenuto nella capitale, alla quale, come a tutta la Francia, fu imposta una dittatura che doveva durare sino alle elezioni dell'Assemblea Nazionale, autorizzate queste, dalla disgraziata fine della guerra.
Proclamazione della Repubblica francese
I parigini che hanno fatto il 4 settembre non prevedevano, per il momento una simile tragedia. Senza fermarsi alle condizioni tuttavia preoccupanti nelle quali si era costituito il Governo di Trochu, essi gli accordarono la fiducia.
Si consolidò così il rito del 1789, del 1830, del 1848. Il 4 settembre fu una rivoluzione nazionale con cornice municipale. Nulla di strano che risorse, se non sulle labbra, almeno nel cervello dei rivoluzionari trionfanti, quella parola «Comune», dimenticata da più di un secolo.
L'imperatrice Eugenia si apprestò a lasciare la città per sfuggire ai pessimi umori della popolazione, che già cominciava a gridare "abbasso la spagnola". A Place de la Concorde la gente iniziò a urlare "morte ai Bonaparte" e "lunga vita alla nazione".
Il bonapartismo non esisteva più: Napoleone III era nelle mani dei prussiani; il Senato era svanito ancora prima di essere dichiarato sciolto; grandi dignitari, alti funzionari, mammalucchi feroci, ministri imperiosi, ciambellani solenni, generali baffuti, tutti si eclissarono pietosamente. Con la sconfitta di Sedan crollò l'illusione di un Impero che, per reggersi di fronte all'opinione pubblica, aveva bisogno di trionfi militari e che invece aveva portato in guerra un esercito scandalosamente impreparato a sostenere il confronto col nemico. Altro che pretendere da Bismarck la rinuncia all'unificazione germanica e la cessione di tutto il territorio situato ad ovest del Reno! L'euforia nazionalista, che fino all'agosto 1870 aveva dato a Napoleone III la parvenza di un unanime sostegno, svanì di colpo mettendo a nudo le profonde lacerazioni del tessuto sociale francese. Tornarono di bruciante attualità problemi che il Secondo Impero non aveva mai risolto, e che aveva ereditato dai regimi precedenti.
C'è un solo dilemma: bandiera rossa o bandiera tricolore”, annotava il 3 settembre 1870 nel suo diario il poeta repubblicano Victor Hugo, esule a Bruxelles, alla vigilia della caduta di Napoleone III. Bandiera rossa o bandiera tricolore, cioè la repubblica sarebbe stata socialista oppure borghese? L'alternativa si era già presentata due volte, nel 1830 e nel 1848, ma le classi possidenti, spalleggiate dai militari, dal clero e dalle categorie rurali, avevano schiacciato nel sangue i tentativi di innestare la rivoluzione proletaria sulla rivoluzione fatta ad esclusivo vantaggio della borghesia.
Ora, il 4 settembre 1870 non era corso il sangue, ma il proletariato parigino riteneva di essere stato giocato ugualmente.
Tutta questa repubblica è finora una farsa pura e semplice, come lo è la sua origine esente da lotte [...] gli orléanisti vogliono una repubblica ad interim che faccia la pace vergognosa, affinché il suo onere non ricada sugli Orléans da restaurarsi in un secondo tempo. Gli orléanisti detengono il vero potere: Trochu ha anche il comando militare e Kératry ha la polizia. I signori della gauche hanno i posti delle chiacchiere (Friedrich Engels)”. Il principale compito della repubblica doveva essere quello di continuare la lotta ad oltranza contro i prussiani; essa trovava credito nell’insofferenza e nel disprezzo con cui veniva considerato l’Impero. Si andava profilando il pericolo che si scatenasse una vera e propria rivoluzione sociale ad opera degli operai e del proletariato parigino. La rivolta avrebbe certo trovato terreno fertile nel sentimento nazionalistico di difesa contro i prussiani, ma chi assicurava la borghesia che, una volta sconfitto il nemico esterno, le armi del proletariato, che nella lotta avrebbe frattanto elevato la propria coscienza di classe, non si sarebbero rivolte contro il nemico interno, la borghesia e i funzionari imperiali?[3]
Occorreva dunque tenere in pugno il malcontento e cercare di incanalare la furia popolare verso obiettivi non troppo pericolosi; la borghesia avanzata, rappresentata dai repubblicani, non tardò a capire la situazione. Ed ecco i motivi della repubblica.
È chiaro, quindi, che con la repubblica del 4 settembre ancora il movimento popolare non aveva assunto un carattere di classe, anche perché si credeva che la repubblica fosse la panacea di tutti i mali, si credeva che ormai vi fosse la libertà e tutti ripetevano: “Poiché abbiamo la repubblica cambieremo quelli che non valgono nulla”. Ma la repubblica è un nome vuoto che può prendere significato solo quando si sa chi sono, e quale collocazione di classe hanno, coloro che fanno il governo e se effettivamente il popolo ha la possibilità di cambiare «quelli che non valgono nulla». Proprio questa possibilità mancava: il governo e la borghesia non volevano saperne di consegnare le armi al proletariato perché capivano benissimo che la loro posizione era ancora abbastanza forte di fronte al proletariato disarmato, ma non altrettanto in caso contrario. “Nulla era mutato, tutto il meccanismo era lo stesso tranne i nomi; ed è stato il potere a mutarli (Louise Michel). Quindi nel governo provvisorio, nel quale vi erano rivoluzionari e borghesi repubblicani, questi ultimi finirono col prendere il sopravvento.
      Tra i ministri, Trochu non credeva nemmeno possibile difendere Parigi. Egli riteneva assai più importante tenere a bada il popolo di Parigi anziché battere i prussiani.



[1] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.
[2] In Francia l’Hôtel de Ville è il municipio di una grande città, ovvero l’edificio, detto anche casa comunale, ove ha sede l’amministrazione comunale. Nelle città minori il municipio si chiama Mairie.
[3] Parigi ha dimostrato, nel tempo, che nessuna rivoluzione può scoppiare senza assumere un carattere proletario; il che vuol dire senza che il proletariato, avendo conquistato la vittoria a prezzo del suo sangue, non presentasse dopo la vittoria le sue proprie rivendicazioni (abolizione della proprietà privata, abolizione del contrasto di classe tra capitalisti e operai). Qualsiasi sua rivendicazione rappresenta un pericolo per l’ordinamento sociale futuro. Il proletariato era ancora armato; per i borghesi che si trovarono al nuovo governo dello Stato, il disarmo del proletariato era quindi una necessità primordiale, per togliere così forza alle loro rivendicazioni. Ecco quindi sorgere dopo ogni rivoluzione vinta dagli operai una nuova lotta, la quale finisce con la disfatta degli operai.