KARL MARX
Karl Marx è nato a Treviri, in
Germania, il 5 maggio 1818 ed è stato un filosofo ed economista tedesco.
Nato da Hirschel Marx (figlio di Marx Levi, rabbino di
Treviri), un avvocato molto colto di origine ebraica, che si era battezzato nel
1817, entrando nella Chiesa luterana, col nome di Heinrich, con lo scopo di
evitare le discriminazioni razziali prussiane. Karl e i suoi fratelli (Sophie
(1817 - 1883), Hermann (1819 - 1842), Henriette (1820 - 1856), Louise (1821 -
1893), Caroline (1824 - 1847) ed Eduard (1834 - 1837)) furono battezzati nel
1824.
Studiò prima a Bonn e poi a
Berlino, dove si laureò nel 1841 in Filosofia. Redattore della «Gazzetta Renana», poi codirettore degli
«Annali franco-tedeschi», nel 1843
pubblicò a Parigi - dove entrò in contatto con
Pierre Joseph Proudhon e Luis
Blanc, e conobbe Engels[1]
- la Critica del diritto pubblico
di Hegel[2].
Del 1844 sono i Manoscritti
economico-filosofici; sotto la sua direzione e quella di Arnold Ruge[3],
nel febbraio del 1844 uscì a Parigi Deutsch-Französische
Jarbücher (Annali franco-tedeschi);
sempre a Parigi, da gennaio a dicembre del 1844, escì il bisettimanale tedesco
di Parigi Vorwarts, intorno al quale giravano
personalità del calibro di Marx, Ruge[3], Herweg[4],
Heine[5]
e per qualche tempo anche Bakunin.
In seguito si distaccò dalla
Sinistra hegeliana[6], e
nel 1845 proprio contro Bruno Bauer[7]
e gli Hegeliani[2] di sinistra stampò La Sacra Famiglia, lavoro scritto
insieme a Friedrich Engels[1].
Insieme ad Engels[1], Marx
scrisse anche L'Ideologia Tedesca,
ancora contro gli hegeliani di sinistra[6]. Le Tesi su Feuerbach risalgono al 1845. Il Manifesto del Partito Comunista è del
gennaio del 1848.
Stabilitosi a Londra, alla
fine dell'agosto 1849, aiutato economicamente dall'amico Engels[1], Marx
condusse le ricerche che confluiranno nella sua opera maggiore: Das Kapital, (Il Capitale), il cui primo volume venne pubblicato nel 1867 e che
venne ripubblicato postumo nel 1885 e nel 1894.
Quando scoppiò la guerra
franco-prussiana, i dirigenti del Partito socialdemocratico tedesco
consultarono Marx che, considerando che si trattava per la Prussia di una
guerra difensiva (agosto 1870), consigliò di appoggiare il movimento nazionale.
Dopo la capitolazione
di Sedan e la
caduta dell'Impero, secondo Marx, il carattere della guerra era cambiato:
l'annessione dell'Alsazia-Lorena, rivendicata dalla Prussia, portava il germe di
una nuova guerra; la classe operaia tedesca doveva quindi tentare di imporre
una pace onorevole con la Repubblica
proclamata a Parigi, sigillare la fine della guerra internazionale.
Estratti dell'Indirizzo sulla guerra
franco-prussiana, redatta da Marx e adottata dall'Intenzionale,
apparvero in Der Voksstaat l'organo del Partito operaio
socialedemocratico: immediatamente Bismark
fece arrestare i dirigenti del partito e accusare di alto tradimento Bebel[8]
e Liebknecht[9]
perché avevano «protestato nel Reichstag contro l'annessione dell'Alsazia e
della Lorena ed espresso la loro simpatia verso la Repubblica francese».
Marx fu attivamente impegnato
nell'organizzazione del movimento operaio, infatti riuscì a fondare a Londra
nel 1864 l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la Prima Internazionale. Morì nel
1883.
Marx e la Comune di
Parigi
Se le rivoluzioni sono per
Marx "le locomotive della storia", quella della Comune
parigina del 1871 fu per lui la locomotiva più trainante e fondamentale,
una vera e propria stella polare del suo pensiero e della sua attività politica
come dirigente della Prima Internazionale dei lavoratori. In vari scritti e occasioni Marx non cessa
di lodare la duttilità, l'iniziativa storica, la capacità di sacrificio, la
novità e la grandezza dell'azione storica della Comune.
Il suo testo principale sulla Comune è La
guerra civile in Francia. Per scriverlo si documentò con accuratezza
sull'esperienza rivoluzionaria francese (su cui scrisse pure due abbozzi
preparatori), lavorò su materiali forniti da giornali francesi, inglesi e
tedeschi, esaminò sia pubblicazioni che sostenevano la Comune sia
quelle che si opponevano ad essa, utilizzò pure lettere e racconti orali di non
pochi partecipanti all'esperienza della Comune e
reduci dalla Francia (tra cui Léo
Frankel, Eugène
Varlin, Auguste
Serraillier, Paul
Lafargue, Yelisaveta
Tomanovskaya, Pyotr
Lavrov).
Analizzando questa esperienza
rivoluzionaria, Marx ritenne che il proletariato parigino, nel momento della
disfatta e dei tradimenti delle classi dominanti, abbia deciso di padroneggiare
il proprio destino assumendo "la direzione degli affari pubblici",
prendendo "il potere di governo".
Il pensatore tedesco
interpretò la sollevazione parigina come una rivoluzione contro il carattere
essenzialmente repressivo del potere statale e capace di proporre un modello
alternativo di potere e di istituzione municipale e statale.
La Comune per
Marx, "rompe il moderno potere dello Stato", pur assediata e in mezzo
a mille inenarrabili difficoltà, la Comune voleva
essere infatti e, per il breve tempo che le fu concesso, riuscì effettivamente
ad essere il "governo della classe lavoratrice", "un governo del
popolo per il popolo" capace di porre fine alla separazione fra stato e
società, al dispotismo del potere.
Nel primo abbozzo de La
guerra civile in Francia, Marx scrive che la Comune “fu
un nobile e grandioso tentativo di ripensare radicalmente la stessa nozione di
potere politico o la riassunzione da parte del popolo per il popolo della sua
vita sociale. Non è stata una rivoluzione per trasferirlo da una frazione delle
classi dominanti all'altra, ma una rivoluzione per abbattere questa stessa
orribile macchina della dominazione di classe".
Nel primo abbozzo Marx così
riassume il senso essenziale della rivoluzione parigina: "È il popolo che
agisce per sé stesso da sé stesso. Essa sorse come "la rivolta di una
città provata dalla guerra e umiliata dalla sconfitta" e divenne un
"mezzo organizzato d'azione", un "mezzo razionale" per
condurre la lotta delle classi "nel modo più razionale ed umano".
È pure rimarchevole il fatto,
ben documentato, che nel periodo dell'esperienza rivoluzionaria comunarda vi fu
più ordine e sicurezza per le strade, diminuirono drasticamente gli assassinii,
i furti, le aggressioni: "Non più cadaveri sui tavoli dell'obitorio, non
più insicurezza nelle vie. Parigi non era mai stata così tranquilla. Al posto
delle cocottes, le eroiche donne di Parigi! Una Parigi virile, inflessibile,
che combatte, che lavora, che pensa! Una Parigi piena di magnanimità! Di fronte
al cannibalismo dei suoi nemici, metteva i suoi prigionieri solamente in
condizioni di non nuocere!"
Secondo Marx, la forma
politica inaugurata dalla Comune ("la
forma politica dell'emancipazione sociale, della liberazione del lavoro",
"la forma comunale di organizzazione politica") assume un valore che
va ben oltre i confini pur importanti della capitale francese; il modello
parigino è esemplare, indicativo e regolativo per tutta la Francia, valido sia
per tutti i grandi centri industriali del paese sia per i più piccoli villaggi
di campagna: "Tutta la Francia organizzata in Comuni che lavorano per sé e
si governano da sé, l'esercito permanente sostituito dalle milizie popolari,
l'esercito dei parassiti dello Stato destituito, la gerarchia clericale
rimpiazzata dall'insegnante pubblico, i giudici di Stato trasformati in
organismi comunali, il suffragio per la rappresentanza nazionale non più una
questione d'intrallazzi per un governo onnipotente, ma l'espressione deliberata
di comuni organizzate, le funzioni dello Stato ridotte a poche funzioni per
scopi generali nazionali".
L'unico vero errore della Comune fu,
a parere di Marx, quello di non marciare immediatamente su Versailles,
all'inizio ancora indifesa, per arginare le manovre di Thiers
e dei Rurali (i "Ruraux"),” per impedire la riorganizzazione della
controrivoluzione, degli sciacalli”.
È noto che alcuni mesi prima
della Comune,
nell’autunno del 1870, Marx metteva in guardia gli operai parigini, mostrando
loro che ogni tentativo di rovesciare il governo sarebbe stato una sciocchezza
dettata dalla disperazione. Ma quando, nel marzo 1871, la battaglia decisiva fu
imposta agli operai, ed essi l’accettarono cosicché l’insurrezione divenne un
fatto compiuto, Marx, nonostante i cattivi presagi, salutò con entusiasmo la
rivoluzione proletaria. Egli non si limitò tuttavia ad entusiasmarsi per
l’eroismo dei Comunardi che, com’egli diceva, “davano l’assalto al cielo”. Nel
movimento rivoluzionario delle masse, benché esso non avesse raggiunto il suo
scopo, Marx vide una esperienza storica di enorme importanza, un sicuro passo
in avanti della rivoluzione proletaria mondiale, un tentativo pratico più
importante di centinaia di programmi e di ragionamenti.
L’idea di Marx è che la classe
operaia deve spezzare, demolire la “macchina statale già pronta”, e non limitarsi
semplicemente ad impossessarsene. Il 12 aprile 1871, vale a dire precisamente
durante la Comune, Marx scriveva a Kugelmann[10]:
“…Se tu rileggi l’ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io affermo
che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel
trasferire da una mano ad un’altra la macchina militare e burocratica, come è
avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla e che tale è la condizione preliminare
di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il
tentativo dei nostri eroici compagni parigini”.
“La Comune –
scrisse Marx – non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro,
esecutivo e legislativo allo stesso tempo […] Invece di decidere un volta ogni
tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare il
popolo nel Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo
costituito in comuni così come il suffragio individuale serve ad ogni altro
imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua
azienda”.
La critica ad Hegel e alla
Sinistra hegeliana
Il pensiero
di Marx si forma a contatto e contro la filosofia di Hegel[2], della Sinistra
hegeliana[6], e quelle del socialismo utopistico. Inizialmente, insieme ad
Engels[2], abbracciò l'idealismo hegeliano[2], in particolare quello della
Sinistra hegeliana[6] che concepisce la filosofia come critica razionale della
realtà. Questo pensiero si concretizzò nella sua tesi di laurea «Differenza tra
la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1841)».
Dal 1843 Marx
si convinse che le idee derivano dalla realtà e non viceversa, da qui
scaturiscono i due nodi principali di critica ad Hegel[2]:
-
innanzitutto rimproverò ad Hegel[2] di subordinare la società civile allo
Stato, su cui a lungo si può discutere, poiché lo stesso Marx adottava un
principio simile nel subordinare l'uomo come Individuo alla società;
- e in
seguito ribadì il concetto di Feuerbach[11]
riguardo l'uomo creatore di dio, riadattandolo alla costituzione: sbaglia Hegel
a parlare dunque di Stato etico, poiché non è la costituzione che crea l'uomo
ma l'uomo che crea la costituzione.
Per quanto
riguarda la critica alla Sinistra hegeliana[6], Marx evidenziava loro il
combattere contro delle "frasi" e non contro il mondo reale di cui
quelle "frasi" sono il riflesso, rimanendo puro pensiero ideologico.
Per il filosofo di Treviri è quindi necessario passare dalle «armi della
critica» alla «critica delle armi».
Concependo come realtà solo
quella materiale, da cui derivano le idee, Marx ne conveniva che la liberazione
dell'uomo non avanza risolvendo la Filosofia, la teologia, la sostanza e tutta
"l'immondizia" dell'autocoscienza, o liberando l'uomo dal dominio di
queste frasi. La liberazione dell'uomo è un atto storico, non ideale, ma atto
da condizioni storiche "necessarie". Friedrich Nietzsche[12]
difatti rimproverò poi alla dottrina marxista l'aver mantenuto l'atteggiamento
dogmatico e fatalista religioso, pur professando il materialismo.
L'anatomia della società
civile è formata, ad avviso di Marx, dall'economia politica. Gli economisti
classici come Adam Smith e David Ricardo, scrive Lenin, gettarono le basi della
teoria secondo cui il valore delle merci deriva dal lavoro (valore di scambio).
Dal punto di vista economico il lavoro è una merce (forza-lavoro) che il
proletario vende al capitalista. La forza-lavoro non è soltanto un valore, ma
produce altri valori e questo implica che essa abbia un valore superiore al
salario percepito: è questo il plusvaloreintascato dal capitalista e che sta
alla base dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Il padrone, costretto dal
"mercato" a competere strenuamente con gli altri "padroni",
deve trovare le condizioni per far lavorare di più i propri operai oppure
migliorarne il rendimento. In quest'ultimo caso si tratta di organizzare
diversamente la produzione: da qui la divisione del lavoro e la sottomissione
del proletario alle macchine industriali (lavoro alienato).
Il
capitalista è quindi in qualche modo costretto ad investire i profitti
nell'accumulazione del capitale e in nuove macchine (capitale fisso), i piccoli
proprietari vengono assorbiti dai grandi e ciò determina la concentrazione
capitalistica in poche mani e l'acuirsi della principale contraddizione del
capitalismo, che é indipendente dalla volontà dei soggetti, dimostrabile dalla
caduta costante del saggio di profitto: per Marx l'accumulo di capitale fisso è
inevitabile perché l'imprenditore è inserito in un mercato competitivo, ciò
determina la diminuzione del profitto (rapporto tra plusvalore e sommatoria di
capitale fisso e variabile) e la ricerca obbligata, da parte del capitalista,
di misure per correggere questa tendenza e creare così un nuovo plusvalore.
Quindi l'incremento del capitale costante (fisso) investito rispetto a quello
variabile è progressivo e inevitabile nello sviluppo capitalistico,
determinando la nascita della sua principale contraddizione: il capitalismo per
svilupparsi abbisogna dei proletari, cioè della classe antagonista della
borghesia, i quali però, secondo Marx, sono la classe destinata ad abbatterne
il potere.
Un altro aspetto molto
importante che Marx introduce è quello del concetto di forze produttive - che
comprendono:
- i mezzi di produzione, cioè
le materie prime, gli strumenti di lavoro e l'insieme delle conoscenze umane in
grado di farli funzionare
- la forza-lavoro, cioè il
lavoro degli uomini che, avvalendosi degli strumenti, trasformano le materie
prime in prodotti finiti - e rapporto di produzione (rapporti che legano il
lavoratore al proprietario); i primi si sviluppano sempre nell'ambito dei
secondi: es. lo schiavismo (rapporto di produzione) si sviluppò nell'antichità
perché era il modo migliore per sfruttare le forze produttive dell'epoca.
Il socialismo scientifico è
una forma di socialismo che Marx ed Engels definiscono in questo modo per
distinguere il proprio socialismo (scientifico appunto) da quello utopico. Il
loro pensiero, basato sull'analisi e la comprensione scientifica (vera o
presunta) delle leggi della storia e della società, è improntato su una visione
della storia incentrata sulla lotta di classe e sull'ineluttabile sconfitta
della borghesia che sarà soppiantata dal proletariato con la rivoluzione
sociale che condurrà al comunismo e alla soppressione delle classi sociali.
Per Marx il materialismo
storico è «la concezione materialista della storia» ed è un metodo di analisi
reale delle condizioni materiali (cioè economiche) dello sviluppo sociale e
quindi uno strumento pratico atto a modificarle rivoluzionariamente. Invece il
materialismo dialettico, che Karl Marx "abbraccia" in una fase
successiva all'elaborazione del materialismo storico, reinterpreta la dialettica
hegeliana, considerando l'evoluzione della materia e non dell'Idea (come faceva
Hegel). Il materialismo dialettico non solo reinterpreta la realtà, ma ha la
pretesa di offrire una visione scientifica e deterministica degli avvenimenti
storici, prevedendo la crisi del capitalismo e il conseguente arrivo del
comunismo.
La concezione materialista
della storia porta Marx a sostenere che la storia dell'umanità è lotta di
classe e quella che attualmente vede contrapposte borghesia e proletariato è il
risultato della contraddizione capitalista. La schiavitù dell'uomo non è quindi
data dalle loro rappresentazioni bensì dalle condizioni materiali ("non è
la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la
coscienza"), quindi solo la praxis umana (teoria e pratica rivoluzionaria)
può modificare le strutture sociali e quindi anche il modo il modo di pensare
degli esseri umani. Poiché le idee delle classi dominanti sono le idee
dominanti, è quindi necessario modificare i rapporti di produzione materiale
(struttura) per cambiare le idee politiche religiose, culturali, filosofiche,
morali ecc. (sovrastruttura).
La concezione materialista
della storia non può essere interpretata in maniera eccessivamente
meccanicista, nonostante esistano correnti del marxismo di questo genere,
perché Marx non nega l'importanza delle idee, proprio perché possono
trasformarsi in prassi. Da queste considerazione ne deriva che è compito
storico del proletariato maturare la coscienza di classe che lo porti alla
rivoluzione, ad impadronirsi dello Stato (dittatura del proletariato) e ad
educare le masse sino alla «scomparsa dello stato nel significato politico
attuale».
La teoria dell'alienazione
dell'operaio
Marx, confrontando l'operaio
salariato con l'artigiano tradizionale, distingue nei suoi Manoscritti
economico-filosofici (1844) quattro tipi di alienazione:
- Alienazione rispetto al
prodotto: l'operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro, perché produce beni
senza che gli appartengano (infatti sono di proprietà del capitalista) e si
trova, anzi, in una condizione di dipendenza rispetto ad essi;
- Alienazione rispetto
all'attività: l'operaio è alienato dalla propria attività lavorativa, perché
non produce per sé stesso, ma per un altro (il capitalista); il lavoro
dell'operaio non è libero come quello dell'artigiano né fantasioso, ma
costrittivo: si svolge infatti in un determinato periodo di tempo, stabilito da
altri (il capitalista);
- Alienazione rispetto al suo
essere umano: l'operaio è alienato dalla sua stessa essenza (Wesen), poiché il
suo non è un lavoro costruttivo, libero e universale, bensì forzato, ripetitivo
e unilaterale. Per questo egli paragona l'operaio al Sisifo della mitologia
greca;
- Alienazione rispetto al
prossimo: nel momento in cui all'uomo è reso estraneo il suo stesso essere come
appartenente a una specie, allora tale uomo è reso estraneo all'altro uomo.
Egli ormai concepisce solo rapporti di lavoro.
L'operaio alienato dal suo
prossimo, ha perso la proprietà del suo lavoro, che è ormai del capitalista, il
quale lo tratta come un mezzo da sfruttare per incrementare il profitto e ciò
determina un rapporto conflittuale. Da un punto di vista più ampio, l'economia
capitalistica traduce il rapporto tra le persone in modi di sfruttamento.
L'alienazione del lavoro comporta
quindi una tale "disumanizzazione" che diventa meno importante la
questione degli aumenti salariali e il miglioramento delle condizioni di vita,
giacché, come scrive ne Il Capitale «Come il vestiario, l'alimentazione, il
trattamento migliore e un maggiore peculio non aboliscono il rapporto di
dipendenza e lo sfruttamento dello schiavo, così non aboliscono quello del
salariato».
In alcuni scritti di Marx è
evidente la pessima opinione che egli aveva della teoria e della pratica
dell'anarchismo, del quale Marx non perdeva l'occasione di sottolineare, con
sprezzante sarcasmo, la debolezza degli aspetti politici ed economici. In
«L'indifferenza in materia politica» (scritto del 1873 pubblicato in lingua
italiana nell'Almanacco repubblicano per l'anno 1874), Marx ironizza su alcuni
saggi di Proudhon,
attribuendogli il «diritto alla sciocchezza» e definendolo «sciovinista». Negli
appunti sul libro di Bakunin
«Stato e Anarchia», Marx rivolge
ripetutamente al padre fondatore dell'anarchismo moderno l'appellativo di
«asino» e «politicante da caffè» dedito al «vaneggiamento», al «delirio»,
all'«insulsaggine», giacché «egli non comprende assolutamente nulla della
rivoluzione sociale; non conosce a questo riguardo che delle fasi politiche; le
condizioni economiche della rivoluzione per lui non esistono [...] il signor Bakunin
ha soltanto tradotto l'anarchia proudhoniana e stirneriana in un selvaggio
dialetto tartaro». In una lettera di Marx a Bolte del 1871 (pubblicata per la
prima volta nel 1906), che tratta della lotta sostenuta contro Bakunin
dal Consiglio Generale dell'Internazionale,
Marx ribadisce che Bakunin
è un «uomo privo di ogni conoscenza teorica» e che il suo programma era «[...]
un pasticcio messo assieme superficialmente da destra e da sinistra -
eguaglianza delle classi (!), abolizione del diritto d'eredità, come punto di
partenza del movimento socialista (sciocchezza sansimonista), astensione dal
movimento politico. Questo abbicì fu ben accolto in Italia e in Spagna, dove le
condizioni reali del movimento operario sono ancora poco sviluppate, e da
alcuni dottrinari, vanagloriosi e vuoti, della Svizzera romanza e del Belgio.
Per il signor Bakunin
la dottrina (la brodaglia mendicata da Proudhon,
Saint-Simon[13],
ecc.) è cosa di secondaria importanza, un semplice mezzo per mettere in mostra
la sua persona. Dal punto di vista teorico è uno zero, ma come intrigante, Bakunin
è nel suo elemento».
Questo è quello che pensa il
"filosofo" Marx del vero rivoluzionario, dal nostro punto di vista,
che era Bakunin.
Mentre Marx teorizzava il suo comunismo statalista e autoritario, scrivendo
testi seduto in una scrivania, Bakunin
lo troviamo, fucile in mano, dietro le barricate della Comune di Lione
e in Italia. Le rivoluzioni, oltre che alle teorie, si fanno anche con i fatti…
Vero signor Marx?
Disponibili nel sito:
Karl
MARX - La Guerra Civile in Francia (versione in italiano)
Karl
MARX - La Guerre Civile en France (Commune de Paris) (versione in francese)
Karl MARX - La
Comune di Parigi. Marx e il presente
Karl
MARX e Friedrich Engels - La commune de 1871, Lettres et déclarations pour la
plupart inédites
Karl
MARX. ENGELS F. - La Commune de 1871
[1] Friedrich Engels (Barmen, 28
novembre 1820 – Londra, 5 agosto 1895) è stato un filosofo,
sociologo, economista, giornalista e imprenditore tedesco, fondatore assieme al
sodale Karl Marx del socialismo scientifico.
[2] Georg Wilhelm Friedrich Hegel
(Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) è stato un filosofo,
accademico e poeta tedesco, considerato il rappresentante più significativo
dell'idealismo tedesco. È ritenuto uno dei massimi filosofi di tutti i
tempi.[1][2] Hegel è autore di una delle linee di pensiero più profonde e
complesse della tradizione occidentale: la sua riflessione filosofica,
sistematica e onnicomprensiva, influenzerà molta parte del pensiero successivo,
dall'ontologia all'estetica alla teoria politica, contribuendo alla nascita
delle discipline sociali e storiche nella loro accezione moderna. La filosofia
hegeliana è stata definita, tra l’altro, come idealismo assoluto.
[3] Arnold Ruge (Bergen auf Rügen, 13
settembre 1802 – Brighton, 31 dicembre 1880) è stato un filosofo e scrittore
tedesco.
[4] Georg Herwegh (Stoccarda, 31 maggio
1817 – Lichtental, 7 aprile 1875) è stato un poeta e rivoluzionario tedesco.
[5] Christian Johann Heinrich Heine
(Düsseldorf, 13 dicembre 1797 – Parigi, 17 febbraio 1856) è stato un poeta
tedesco, il principale del periodo di transizione tra il romanticismo e il
realismo.
[6] La
sinistra hegeliana, o giovani hegeliani, è una scuola di pensiero filosofico
che si formò tra alcuni intellettuali prussiani, discepoli di Hegel, poco dopo
la morte di questo, avvenuta nel 1831.
[7] Bruno Bauer (Eisenberg, 6 settembre
1809 – Berlino, 13 aprile 1882) è stato un filosofo e teologo tedesco, negatore
dell'esistenza storica di Gesù.
[8] August Ferdinand Bebel (Deutz, 22
febbraio 1840 – Passugg, 13 agosto 1913) è stato un politico e scrittore
tedesco. Fondò nel 1867 con Wilhelm Liebknecht[9[ il Sächsische Volkspartei (Partito
Popolare della Sassonia), e nel 1869 il SDAP (Sozialdemokratische
Arbeiterpartei), il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori. Dopo essere stati
eletti al Reichstag nel 1867, i due fondatori della socialdemocrazia tedesca,
Bebel e Liebknecht[9[, si astennero dal votare la prima richiesta di crediti di
guerra in occasione della Guerra franco-prussiana ed in seguito votarono
contro. Per questi fatti nel 1872 Bebel fu sottoposto a processo per attività
politica sovversiva, il cosiddetto Leipziger Hochverratsprozess, e condannato a
due anni di Festungshaft (la reclusione in una fortezza, una condanna
considerata meno disonorevole della normale prigionia), che scontò nella
Fortezza di Königstein.
[9] Wilhelm Liebknecht (Gießen, 29
marzo 1826 – Berlino, 7 agosto 1900) è stato un politico e giornalista tedesco,
fu uno dei fondatori della socialdemocrazia tedesca e della Seconda
Internazionale. Nel 1869, Wilhelm Liebknecht e August Bebel[8] fondarono il
Sozialdemokratische Arbeiterpartei (SDAP, Il Partito dei Lavoratori
Social-Democratici di Germania). Nel 1870, in occasione della guerra
franco-prussiana, Liebknecht e Bebel[8] si astennero sulla prima richiesta di
crediti di guerra. Alla seconda richiesta votarono contro, riuscendo a portare
sulle loro posizioni anche gli altri due rappresentanti socialisti. Nel 1872 a
Lipsia si tenne il processo contro Liebknecht, Bebel[8] ed Adolf Hepner.
Liebknecht e Bebel[8] furono condannati e rimasero in prigione fino al 1874.
[10] Louis Kugelmann, o
Ludwig Kugelmann (Lemförde, 19 febbraio 1828 – Hannover, 9 gennaio 1902), è stato un medico, attivista e pensatore
socialdemocratico tedesco confidente di Marx e Engels. Si incontrò con Marx
diverse volte, andò a Hannover a fargli visita, e i due si scrissero varie
lettere durante il periodo 1862-1875.
[11] Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut,
28 luglio 1804 – Rechenberg, 13 settembre 1872) è stato un filosofo tedesco tra
i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana[6].
[12] Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken,
15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo, poeta, saggista,
compositore e filologo tedesco. Fu cittadino prussiano fino al 1869, poi
apolide (partecipò, comunque, alla guerra franco-prussiana come infermiere per
sole due settimane). Considerato tra i massimi filosofi e scrittori di ogni
tempo, ebbe un'influenza controversa, ma indiscutibile, sul pensiero
filosofico, letterario, politico e scientifico del mondo occidentale nel XX secolo. La sua filosofia, in parte
riconducibile al filone delle filosofie della vita, fu considerata da alcuni
uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di
riflessione, informale e provocatorio. In ogni caso, si tratta di un pensatore
unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata
sul pensiero posteriore.
[13] Claude-Henri de Rouvroy conte di
Saint-Simon (Parigi, 17 ottobre 1760 – Parigi, 19 maggio 1825) è stato un
filosofo francese. Considerato il
fondatore del socialismo francese, partecipò alla guerra d'indipendenza
americana, combattendo agli ordini di La Fayette.