giovedì 22 novembre 2018

01-14 - L'insurrezione del 22 gennaio 1871

L'INSURREZIONE DEL 22 GENNAIO 1871



Nei mesi successivi per i parigini il peso dell'assedio si fece particolarmente gravoso. Mentre i prussiani colpivano con le artiglierie le periferie della città, la situazione alimentare peggiorò progressivamente. I prezzi aumentavano e molti prodotti sparirono dal mercato come la carne bovina, i piccoli commercianti si rovinarono per la caduta vertiginosa delle vendite, il pane fu razionato.
Al mercato si vendevano a caro prezzo la carne di cavallo, poi fu la volta della carne di gatto, di cane e perfino di topo. A dicembre furono abbattuti gli animali del giardino zoologico, e furono macellati gli elefanti, gli orsi, le antilopi. Furono introdotte le tessere per la carne, e i più poveri, che avevano bisogno di denaro, le vendevano. Essenziale alimento quotidiano rimaneva il pane, «un impasto nero che torceva gli intestini».
Vendita di carne di animali domestici e topi nelle macellerie parigine
L'inverno 1870-1871 fu particolarmente rigido, e per l'alto costo della legna e del carbone la popolazione smantellò palizzate, segò gli alberi dei parchi del Bois de Boulogne, di Vincennes, degli Champs-Élysées, di qualche boulevard, e si rubò legname dai depositi e dalle fabbriche. L'erogazione del gas fu interrotta, il petrolio razionato, le strade di notte erano immerse nel buio più completo. La situazione sanitaria peggiorò.
La media della mortalità quadruplicò e non per effetto dei bombardamenti, ma per le malattie provocate dalla fame e dal freddo. “Liberté – Egalité – Fraternité: frase che sembrava davvero una sghignazzata di satiro feroce, su questo contrasto terribile, inumano di luci (Versailles) e di tenebre (Parigi); di ricchezze e di miserie; di felicità e di sventure; di tripudi e di dolori; di diademi e di cenci; di orge e di fame; di benessere e di umiliazioni; di montagne d'oro tra mura blindate e di fantasmi viventi che tendono la mano per un lavoro, per un tozzo di pane; di rifiuti sociali, di cenci umani gettati nelle strade, a disseccarsi, a disgregarsi, come vermi, come carogne al vento! (Virgilia d’Andrea)”.
Nuove sconfitte militari si registrano sulla Loira, a Champigny e sulla Marna, da dove il generale monarchico Auguste Ducrot, nella sua sortita da Parigi, aveva promesso: “rientrerò a Parigi o morto o vincitore. Potrete vedermi cadere, ma non mi vedrete retrocedere”. Naturalmente, ritornò il 3 dicembre sconfitto ma vivo, lasciando sul terreno 8.000 morti.
Il 26 novembre l'Internazionale e le società operaie lanciarono un appello per la guerra ad oltranza e la difesa della Repubblica, con le consuete rivendicazioni. La novità consisteva nel fatto che esso si rivolgeva anche ai contadini, dichiarando che operai e contadini avevano eguali interessi: «vogliamo che ogni comune, nella libera Francia, abbia la sua autonomia municipale e si amministri da sé. Noi vogliamo, infine, che la terra sia data ai contadini che la lavorano, le miniere ai minatori che vi lavorano, le fabbriche agli operai che le creano».
Il 28 dicembre il Comitato Centrale dei venti arrondissement denunciò l'inerzia del governo e l'inettitudine dei generali Trochu e Thomas, cui era affidata, rispettivamente, la difesa di Parigi e il comando della Guardia Nazionale. La violenta denuncia appari in un manifesto che ebbe grande risonanza (che venne chiamato l'Affiche rouge, il Manifesto rosso) affisso il 7 gennaio 1871 nelle strade della capitale. Accusava il governo di non aver fatto il reclutamento generale, di aver lasciato al loro posto i bonapartisti e messo in prigione i repubblicani, di non saper condurre la guerra e di affamare i parigini: «Il governo (è scritto) non ha proclamato la leva di massa; ha lasciato al loro posto i bonapartisti e ha messo in galera i repubblicani. Con la loro lentezza, indecisione e inerzia ci ha condotto sull'orlo dell'abisso. I governanti della Francia non hanno saputo né governare né combattere [...] La direzione in campo militare è ancora più deplorevole: le sortite assurde, le battaglie sanguinose senza risultato, i sistematici insuccessi […] L'unica salvezza del popolo e l'unico mezzo contro la rovina è la creazione di un consiglio municipale, o Comune, o comunque lo si voglia chiamare». Il manifesto conclude chiedendo «potere al popolo, potere alla Comune».
Cantina municipale durante l'assedio del 1870
Il 18 gennaio, il Governo di Difesa nazionale decise l'ultima sortita dei soldati di Parigi assediati dalle truppe prussiane. L'offensiva era prevista per il 19 gennaio. Le truppe riunite con grande rumore furono inviate al freddo e nella notte piovosa al Monte Valerian. La mattina del 19, l'offensiva fu lanciata su Versailles. L'ala sinistra riuscì a conquistare Montretout, il parco di Buzenval e parte di Saint-Cloud. Ma non ricevette i rinforzi della fanteria o dell’artiglieria. I prussiani contrattaccarono. Ma il generale Trochu, comandante in capo dell'esercito di Parigi e presidente del Governo di Difesa nazionale, ordinò la ritirata; alcuni battaglioni, tornando verso Parigi, gridavano dalla rabbia. Ci furono più di 4.000 morti (incluso un terzo delle guardie nazionali, cioè civili parigini).
Tutti compresero che la sortita era stata fatta per sacrificarli. Trochu mantenne le sue funzioni di capo del governo provvisorio, ma dette le dimissioni di comandante in capo dell'esercito di Parigi venendo sostituito dal generale Joseph Vinoy, vecchio notabile bonapartista, che si preoccupò solamente di far difendere l'Hôtel de Ville. Nel mentre Jules Favre stava negoziando la resa a Versailles, dove Guglielmo I nella reggia, luogo scelto per umiliare di più i francesi, si fece incoronare imperatore di Germania dando i natali allo Zwueite Deutsche Reich (Secondo Impero Tedesco).
Non era detto che, solo per il fatto d'essere a Versailles, Bismarck avesse vinto, anche se Napoleone s'era dimesso: c'era un governo repubblicano, impegnato nella difesa della Francia. Soprattutto c'era da occupare Parigi, gigantesco covo di sovversivi che in genere sapevano battersi, magari strada per strada.
Ma Bismarck sapeva benissimo che i repubblicani al governo, al pari dei monarchici, avevano molta più paura dei proletari parigini che dei soldati prussiani. Pose sì l'assedio a Parigi (18 settembre '70), ma era sicuro che sarebbe stato il nuovo esecutivo a cavargli le castagne dal fuoco, tanto più che per finanziare il pagamento dell'indennità di guerra (richiesto nei trattati di pace) si sarebbe ben trovata una banca, magari tedesca, disposta alla tradizionale tangente.
Bismarck era dichiaratamente autoritario, ma conosceva bene i democratici.
Il 21 gennaio i comitati di vigilanza decisero una manifestazione nella piazza dell'Hôtel de Ville, dove si trovava il governo, mentre nella notte un gruppo di guardie nazionali guidate dall'anarchico Amilcare Cipriani liberò dal carcere di Mazas alcuni degli arrestati per i fatti del 31 ottobre, tra i quali Gustave Flourens.
Il 22, una delegazione di manifestanti venne ricevuta da Gustave Chaudey, vicesindaco di Parigi. La folla riunita in place de l'Hôtel de Ville era scarsa. Ma verso le tre del pomeriggio arrivarono nella piazza le guardie nazionali, guidate da Duval, Rigault e Sapia. Improvvisamente, dalle finestre del municipio, venne sparato un colpo da un provocatore. Le guardie mobili bretoni, comandate da Le Bouëdec, iniziarono a sparare sui dimostranti facendo disperdere la folla, mentre le guardie nazionali reagivano.
Questo fu il giorno in cui Louise Michel prese le armi per la prima volta.
Rimasero uccise una cinquantina di persone, tra le quali l'internazionalista Théodore Sapia.
Alla sera, la dimostrazione fallì. Il generale Joseph Vinoy, il generale Clément-Thomas, che era appena stato nominato capo della Guardia Nazionale, e Jules Ferry[1] fecero arrestare 83 leader, tra cui Charles Delescluze. Seguirono la chiusura di tutti i club, la proibizione delle assemblee pubbliche e la chiusura di 17 giornali, tra i quali Le Combat e Le Réveil.
Da quel momento in poi, il governo ebbe le mani libere per firmare la capitolazione della capitale. I negoziati avviati da Jules Favre il 23 agosto con i tedeschi portarono alla firma dell'armistizio il 26 gennaio, che entrò in vigore due giorni dopo. La guerra franco-prussiana era finita.



[1] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore di Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a questa sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi. D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.