L'INSURREZIONE DEL 22 GENNAIO 1871
Nei mesi successivi per i parigini
il peso dell'assedio si fece particolarmente gravoso. Mentre i prussiani
colpivano con le artiglierie le periferie della città, la situazione alimentare
peggiorò progressivamente. I prezzi aumentavano e molti prodotti sparirono dal
mercato come la carne bovina, i piccoli commercianti si rovinarono per la
caduta vertiginosa delle vendite, il pane fu razionato.
Al
mercato si vendevano a caro prezzo la carne di cavallo, poi fu la volta della
carne di gatto, di cane e perfino di topo. A dicembre furono abbattuti gli
animali del giardino zoologico, e furono macellati gli elefanti, gli orsi, le
antilopi. Furono introdotte le tessere per la carne, e i più poveri, che
avevano bisogno di denaro, le vendevano. Essenziale alimento quotidiano
rimaneva il pane, «un impasto nero che torceva gli intestini».
Nei mesi successivi per i parigini
il peso dell'assedio si fece particolarmente gravoso. Mentre i prussiani
colpivano con le artiglierie le periferie della città, la situazione alimentare
peggiorò progressivamente. I prezzi aumentavano e molti prodotti sparirono dal
mercato come la carne bovina, i piccoli commercianti si rovinarono per la
caduta vertiginosa delle vendite, il pane fu razionato.
Al
mercato si vendevano a caro prezzo la carne di cavallo, poi fu la volta della
carne di gatto, di cane e perfino di topo. A dicembre furono abbattuti gli
animali del giardino zoologico, e furono macellati gli elefanti, gli orsi, le
antilopi. Furono introdotte le tessere per la carne, e i più poveri, che
avevano bisogno di denaro, le vendevano. Essenziale alimento quotidiano
rimaneva il pane, «un impasto nero che torceva gli intestini».Vendita di carne di animali domestici e topi nelle macellerie parigine |
L'inverno 1870-1871 fu
particolarmente rigido, e per l'alto costo della legna e del carbone la
popolazione smantellò palizzate, segò gli alberi dei parchi del Bois de
Boulogne, di Vincennes, degli Champs-Élysées, di qualche boulevard, e si rubò legname dai
depositi e dalle fabbriche. L'erogazione del gas fu interrotta, il petrolio
razionato, le strade di notte erano immerse nel buio più completo. La
situazione sanitaria peggiorò.
La media della mortalità quadruplicò
e non per effetto dei bombardamenti, ma per le malattie provocate dalla fame e
dal freddo. “Liberté – Egalité –
Fraternité: frase che sembrava davvero una sghignazzata di satiro feroce, su
questo contrasto terribile, inumano di luci (Versailles) e di tenebre (Parigi);
di ricchezze e di miserie; di felicità e di sventure; di tripudi e di dolori;
di diademi e di cenci; di orge e di fame; di benessere e di umiliazioni; di
montagne d'oro tra mura blindate e di fantasmi viventi che tendono la mano per
un lavoro, per un tozzo di pane; di rifiuti sociali, di cenci umani gettati
nelle strade, a disseccarsi, a disgregarsi, come vermi, come carogne al vento! (Virgilia d’Andrea)”.
Nuove sconfitte militari si
registrano sulla Loira, a Champigny e sulla Marna, da dove il generale
monarchico Auguste Ducrot, nella sua sortita da Parigi, aveva promesso: “rientrerò
a Parigi o morto o vincitore. Potrete vedermi cadere, ma non mi vedrete
retrocedere”. Naturalmente, ritornò il 3 dicembre sconfitto ma vivo,
lasciando sul terreno 8.000 morti.
Il 26 novembre l'Internazionale
e le società operaie lanciarono un appello per la guerra ad oltranza e la
difesa della Repubblica, con le consuete rivendicazioni. La novità consisteva
nel fatto che esso si rivolgeva anche ai contadini, dichiarando che operai e
contadini avevano eguali interessi: «vogliamo
che ogni comune, nella libera Francia, abbia la sua autonomia municipale e si
amministri da sé. Noi vogliamo, infine, che la terra sia data ai contadini che
la lavorano, le miniere ai minatori che vi lavorano, le fabbriche agli operai
che le creano».
Il 28 dicembre il Comitato
Centrale dei venti arrondissement denunciò l'inerzia del governo e
l'inettitudine dei generali Trochu
e Thomas,
cui era affidata, rispettivamente, la difesa di Parigi e il comando della Guardia
Nazionale. La violenta denuncia appari in un manifesto che ebbe grande
risonanza (che venne chiamato l'Affiche
rouge, il Manifesto rosso) affisso il 7 gennaio 1871 nelle strade della
capitale. Accusava il governo di non aver fatto il reclutamento generale, di
aver lasciato al loro posto i bonapartisti e messo in prigione i repubblicani,
di non saper condurre la guerra e di affamare i parigini: «Il governo (è scritto) non ha
proclamato la leva di massa; ha lasciato al loro posto i bonapartisti e ha
messo in galera i repubblicani. Con la loro lentezza, indecisione e inerzia ci
ha condotto sull'orlo dell'abisso. I governanti della Francia non hanno saputo
né governare né combattere [...] La
direzione in campo militare è ancora più deplorevole: le sortite assurde, le
battaglie sanguinose senza risultato, i sistematici insuccessi […] L'unica salvezza del popolo e l'unico mezzo
contro la rovina è la creazione di un consiglio municipale, o Comune, o
comunque lo si voglia chiamare». Il manifesto conclude chiedendo «potere al popolo, potere alla Comune».Cantina municipale durante l'assedio del 1870 |
Il 18
gennaio, il Governo
di Difesa nazionale decise l'ultima sortita dei soldati di Parigi assediati
dalle truppe prussiane. L'offensiva era prevista per il 19 gennaio. Le
truppe riunite con grande rumore furono inviate al freddo e nella notte piovosa
al Monte
Valerian. La mattina del 19, l 'offensiva fu lanciata su Versailles.
L'ala sinistra riuscì a conquistare Montretout, il parco di Buzenval e parte di
Saint-Cloud. Ma non ricevette i rinforzi della fanteria o dell’artiglieria. I
prussiani contrattaccarono. Ma il generale Trochu,
comandante in capo dell'esercito di Parigi e presidente del Governo
di Difesa nazionale, ordinò la ritirata; alcuni battaglioni, tornando verso
Parigi, gridavano dalla rabbia. Ci furono più di 4.000 morti (incluso un terzo
delle guardie nazionali, cioè civili parigini).
Tutti
compresero che la sortita era stata fatta per sacrificarli. Trochu
mantenne le sue funzioni di capo del governo provvisorio, ma dette le
dimissioni di comandante in capo dell'esercito di Parigi venendo sostituito dal
generale Joseph Vinoy, vecchio notabile bonapartista, che si preoccupò
solamente di far difendere l'Hôtel
de Ville. Nel mentre Jules
Favre stava negoziando la resa a Versailles,
dove Guglielmo I nella reggia, luogo scelto per
umiliare di più i francesi, si fece incoronare imperatore di Germania dando i
natali allo Zwueite Deutsche Reich (Secondo Impero Tedesco).
Non era detto
che, solo per il fatto d'essere a Versailles,
Bismarck
avesse vinto, anche se Napoleone
s'era dimesso: c'era un governo repubblicano, impegnato
nella difesa della Francia. Soprattutto c'era da occupare Parigi, gigantesco
covo di sovversivi che in genere sapevano battersi, magari strada per strada.
Ma Bismarck
sapeva benissimo che i repubblicani al governo, al pari dei monarchici, avevano
molta più paura dei proletari parigini che dei soldati prussiani. Pose sì
l'assedio a Parigi (18 settembre '70), ma era sicuro che sarebbe stato il nuovo
esecutivo a cavargli le castagne dal fuoco, tanto più che per finanziare il
pagamento dell'indennità di guerra (richiesto nei trattati di pace) si sarebbe
ben trovata una banca, magari tedesca, disposta alla tradizionale tangente.
Bismarck
era dichiaratamente autoritario, ma conosceva bene i democratici.
Il 21 gennaio
i comitati di vigilanza decisero una manifestazione nella piazza dell'Hôtel
de Ville, dove si trovava il governo, mentre nella notte un gruppo di
guardie nazionali guidate dall'anarchico Amilcare
Cipriani liberò dal carcere di
Mazas alcuni degli arrestati per i fatti del 31
ottobre, tra i quali Gustave
Flourens.
Il 22, una
delegazione di manifestanti venne ricevuta da Gustave Chaudey, vicesindaco di
Parigi. La folla riunita in place de l'Hôtel
de Ville era scarsa. Ma verso le tre del pomeriggio arrivarono nella piazza
le guardie nazionali, guidate da Duval,
Rigault
e Sapia.
Improvvisamente, dalle finestre del municipio, venne sparato un colpo da un
provocatore. Le guardie mobili bretoni, comandate da Le Bouëdec, iniziarono a
sparare sui dimostranti facendo disperdere la folla, mentre le guardie
nazionali reagivano.
Questo fu il
giorno in cui Louise
Michel prese le armi per la prima volta.
Rimasero
uccise una cinquantina di persone, tra le quali l'internazionalista Théodore
Sapia.
Alla sera, la
dimostrazione fallì. Il generale Joseph Vinoy, il generale Clément-Thomas,
che era appena stato nominato capo della Guardia
Nazionale, e Jules Ferry[1]
fecero arrestare 83 leader, tra cui Charles
Delescluze. Seguirono la chiusura di tutti i club, la
proibizione delle assemblee pubbliche e la chiusura di 17 giornali, tra i quali
Le Combat
e Le
Réveil.
Da quel momento in poi, il governo ebbe le mani libere per firmare la
capitolazione della capitale. I negoziati avviati da Jules
Favre il 23 agosto con i tedeschi portarono alla firma dell'armistizio il
26 gennaio, che entrò in vigore due giorni dopo. La guerra
franco-prussiana era finita.
[1] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges,
5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore
di Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano
nella Terza Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le
speculazioni finanziarie operate dal barone Haussmann per il rinnovamento
urbanistico di Parigi. Grazie a questa sua iniziativa il barone venne
successivamente estromesso dai poteri concessi. D'altra parte egli stesso,
«avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla proclamazione della
Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio dalla
carestia» della città assediata dai tedeschi.