giovedì 22 novembre 2018

01-12 - La rivolta del 31 ottobre 1870

LA RIVOLTA DEL 31 OTTOBRE 1870


In tanto in Francia il governo repubblicano continuava la guerra, o meglio, fingeva di continuarla, poiché era già chiaro ai borghesi come il loro compito fosse quello di pervenire alla pace col minor danno possibile, per poi organizzare e riversare tutte le forze per bloccare ogni tentativo di insurrezione popolare.
Il governo di Thiers, Favre e compagnia bella, temendo di far capire subito la sua intenzione e per non innescare la scintilla della rivoluzione, “decise di guarire Parigi dalla sua eroica follia con un regime di carestia e di violenza e, nel frattempo, ingannarla con i loro manifesti roboanti (Karl Marx)”.
Intanto i prussiani continuavano l’avanzata: “ma più la situazione si faceva grave, più ingigantiva l’ardore della lotta (Louis Michel)”.
Il Comitato Centrale dei venti arrondissement espose la propria volontà con un manifesto, che fu in seguito strappato dai poliziotti. Esso diceva: «Leva in massa! Accelerazione dell’armamento! Approvvigionamento!». In risposta tornarono a circolare, come al solito. voci di vittoria.
Il 30 ottobre la Guardia Nazionale, che aveva compiuto una sortita da Parigi, nonostante l'accerchiamento della capitale da parte delle truppe germaniche, liberato due giorni prima il villaggio di Le Bourget, vicino a Parigi, sconfitto i prussiani a Le Bourget e tenuto la posizione in attesa di rinforzi che il generale Trochu non inviò, fu ricacciata a Parigi dal ritorno offensivo del nemico. Il governo della Difesa nazionale rifiutò una massiccia uscita per tentare di aprire una breccia nelle postazioni assedianti, sia perché riteneva che l'offensiva non avesse possibilità di successo, sia perché desiderava non prolungare le operazioni militari.
Alcuni parigini accusarono il governo di aver organizzato la sconfitta. Nella popolazione parigina si insinuò l'idea dell’esistenza di un piano deliberato di resa.
Inoltre, dal 27 ottobre, il governo negò le voci sulla resa dell'esercito francese, quasi intatto (100.000 uomini), del maresciallo Bazaine, circondato a Metz. Il generale Trochu riconobbe il fatto solo il giorno 30, sotto la pressione della folla.
Quello stesso giorno si ebbe notizia delle trattative che Thiers sembrava condurre favorevolmente a Versailles con Bismarck per raggiungere l'armistizio. Cosi il contrasto e il malumore nei confronti di questo governo, accusato di tradimento e di vigliaccheria, esplose.
Il giovane Clemenceau, nominato a settembre sindaco del 18° arrondissement di Parigi fece affiggere sui muri del quartiere un manifesto che diceva: "Il comune del diciottesimo arrondissement protesta indignato contro un armistizio che il governo non può accettare senza tradimento".
Sul giornale Le Réveil, Charles Delescluze chiese la proclamazione della Comune e il sollevamento in massa.
Al mattino del 31, gli abitanti dei quartieri popolari della zona orientale di Parigi, mescolati alle guardie nazionali e con alcuni borghesi, si riunirono a place de l'Hôtel de Ville. Fu un evento spontaneo, senza un piano concertato in anticipo.
Jules Favre, che aveva appena organizzato la partenza di Thiers incaricato di incontrare Bismark, si unì con due membri del Governo provvisorio, Jules Ferry[1] e Jules Simon[2], e il generale Trochu all'Hôtel de Ville.
Nel primo pomeriggio, nonostante i discorsi di Arago, allora sindaco di Parigi e del generale Trochu, presidente del governo, i manifestanti occuparono pacificamente il municipio, l'Hôtel de Ville, sede del governo.
Ci furono delle discussioni con i sindaci degli arrondissement e con i repubblicani moderati. Erano presenti anche il generale Le Flô e Garnier-Pagès. Il ministro degli interni Picard, vedendo che la situazione poteva peggiorare, andò via in tempo.
Alle ore 16 circa, i dimostranti furono rinforzati dai battaglioni della Guardia Nazionale di Belleville portati da Gustave Flourens, e dal commando di Paolo Tibaldi (noto come Legione Italiana). La dimostrazione si trasformò in rivolta. Il governo praticamente fu fatto prigioniero. La confusione era totale. Nel frattempo, Raoul Rigault, che era stato lì dal 4 ottobre con qualche centinaia di uomini, occupò la Prefettura di Polizia. Nel caos più generale, si discuteva di formare un nuovo governo. Flourens salì sul tavolo del Consiglio e chiese la costituzione di un Comitato di Salute pubblica cercando di fare accettare una lista di nomi.
Blanqui, Millière, Édouard Vaillant e Delescluze si unirono a Flourens. Nel dibattito i dirigenti dell'insurrezione si divisero sul da farsi: Blanqui e i suoi vollero abbattere subito il governo e proclamare la dittatura rivoluzionaria, mentre i neo-giacobini chiesero elezioni municipali per eleggere i nuovi sindaci di quartiere che avrebbero rappresentato i membri del Comitato di Salute pubblica da affiancare ai ministri. Nella confusione provocata dell'improvvisata iniziativa, i ministri arrestati fuggirono, riunirono i battaglioni leali della Guardia Nazionale dei quartieri borghesi, e la Guardia mobile, compresi i contingenti bretoni, e si diressero verso il municipio riprendendone il possesso.
La folla a poco a poco ha cominciato ad allontanarsi dall'Hôtel de Ville. Alle 3 del mattino, Jules Favre, è rimasto con i manifestanti, promise immediate elezioni municipali e assicurò l'impunità per l'azione compiuta. I leader dell'insurrezione poterono andarsene.
Arago, il sindaco di Parigi, si dimise, e Clemenceau lo seguì in segno di solidarietà. Jules Ferry, prefetto della Seine, rimpiazzò Arago, conservando il suo posto di prefetto. Da quel giorno, una forte rivalità si stabilì tra Clemenceau e Ferry, uno diceva all’altro di essere un conservatore mascherato, l’altro accusava l’uno essere un complice dei rivoluzionari.
Il generale Clément-Thomas succedette a Tamisier alla testa della Guardia Nazionale.
Il 3 novembre, il governo ha presentato un plebiscito chiedendo: «La popolazione di Parigi mantiene SÌ o NO i poteri del governo della difesa nazionale?». Ha ottenuto 557.996 voti  a favore e 61.638 contrari . Due giorni dopo, si svolsero le elezioni comunali. Tredici sindaci repubblicani su venti (incluso Clemenceau) vennero rieletti. Cinque nuovi erano moderati. Solo Delescluze (19° arrondissemant) e Ranvier (20° arrondissemant) rappresentarono il partito rivoluzionario.
Subito dopo le elezioni il governo, stracciando i patti sottoscritti, ordinò l'arresto di gran parte dei rivoluzionari protagonisti della rivolta del 31 ottobre, Blanqui, Flourens, Millière e altri riuscirono a sottrarsi alla cattura con la fuga.

La sala delle sedute del Governo di Difesa nazionale all’Hôtel de Ville invasa dagli insorti




[1] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore di Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a questa sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi. D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.
[2] Jules François Simon (Lorient, 27 dicembre 1814 – Parigi, 8 giugno 1896) è stato uno statista, filosofo, politico francese e uno dei leader dei repubblicani moderati nella Terza Repubblica francese. Divenne ministro dell'istruzione presso il governo della difesa nazionale il 5 settembre 1870. Dopo la capitolazione di Parigi nel gennaio 1871 fu inviato a Bordeaux per impedire la resistenza di Léon Gambetta alla pace. Ma a Bordeaux, Gambetta, che aveva emesso un proclama escludendo dalle elezioni quelli che erano stati funzionari sotto l'Impero, era onnipotente. Fingendo di contestare le credenziali di Jules Simon, ha emesso ordini per il suo arresto. Nel frattempo, Simon aveva trovato i mezzi di comunicazione con Parigi e il 6 febbraio è stato rafforzato da Eugène Pelletan, E. Arago e Garnier-Pages. Gambetta si dimise e il ministero degli Interni, sebbene nominato nominalmente ad Arago, era davvero nelle mani di SimoneSconfitto nel dipartimento della Senna, si sedette per la Marna nell'Assemblea nazionale e riprese il portafoglio di istruzione nel primo gabinetto della presidenza di Adolphe Thiers.