LA
RIVOLTA DEL 31 OTTOBRE 1870
In tanto in Francia il governo repubblicano
continuava la guerra, o meglio, fingeva di continuarla, poiché era già chiaro
ai borghesi come il loro compito fosse quello di pervenire alla pace col minor
danno possibile, per poi organizzare e riversare tutte le forze per bloccare
ogni tentativo di insurrezione popolare.
Il governo di Thiers,
Favre
e compagnia bella, temendo di far capire subito la sua intenzione e per non
innescare la scintilla della rivoluzione, “decise di guarire Parigi dalla sua
eroica follia con un regime di carestia e di violenza e, nel frattempo,
ingannarla con i loro manifesti roboanti (Karl Marx)”.
Intanto i prussiani continuavano l’avanzata: “ma più
la situazione si faceva grave, più ingigantiva l’ardore della lotta (Louis
Michel)”.
Il Comitato
Centrale dei venti arrondissement espose la propria volontà con un
manifesto, che fu in seguito strappato dai poliziotti. Esso diceva: «Leva in
massa! Accelerazione dell’armamento! Approvvigionamento!». In risposta
tornarono a circolare, come al solito. voci di vittoria.
Il 30 ottobre la Guardia
Nazionale, che aveva compiuto una sortita da Parigi, nonostante l'accerchiamento
della capitale da parte delle truppe germaniche, liberato due giorni prima il
villaggio di Le Bourget, vicino a Parigi, sconfitto i prussiani a Le Bourget e
tenuto la posizione in attesa di rinforzi che il generale Trochu
non inviò, fu ricacciata a Parigi dal ritorno offensivo del nemico. Il governo
della Difesa nazionale rifiutò una massiccia uscita per tentare di aprire
una breccia nelle postazioni assedianti, sia perché riteneva che l'offensiva
non avesse possibilità di successo, sia perché desiderava non prolungare le
operazioni militari.
Alcuni parigini accusarono il governo di aver
organizzato la sconfitta. Nella popolazione parigina si insinuò l'idea
dell’esistenza di un piano deliberato di resa.
Inoltre, dal 27 ottobre, il governo negò le voci
sulla resa dell'esercito francese, quasi intatto (100.000 uomini), del
maresciallo Bazaine, circondato a Metz. Il generale Trochu
riconobbe il fatto solo il giorno 30, sotto la pressione della folla.
Quello stesso giorno si ebbe notizia delle trattative
che Thiers
sembrava condurre favorevolmente a Versailles
con Bismarck
per raggiungere l'armistizio. Cosi il contrasto e il malumore nei confronti di
questo governo, accusato di tradimento e di vigliaccheria, esplose.
Il giovane Clemenceau,
nominato a settembre sindaco del 18°
arrondissement di Parigi fece affiggere sui muri del quartiere un manifesto
che diceva: "Il comune del diciottesimo
arrondissement protesta indignato contro un armistizio che il governo non
può accettare senza tradimento".
Sul giornale Le Réveil,
Charles
Delescluze chiese la proclamazione della Comune e il sollevamento in massa.
Al mattino del 31, gli abitanti dei quartieri
popolari della zona orientale di Parigi, mescolati alle guardie nazionali e con
alcuni borghesi, si riunirono a place de l'Hôtel
de Ville. Fu un evento spontaneo, senza un piano concertato in anticipo.
Jules
Favre, che aveva appena organizzato la partenza di Thiers
incaricato di incontrare Bismark,
si unì con due membri del Governo provvisorio, Jules Ferry[1]
e Jules Simon[2], e il generale Trochu
all'Hôtel
de Ville.
Nel primo pomeriggio, nonostante i discorsi di Arago,
allora sindaco di Parigi e del generale Trochu,
presidente del governo, i manifestanti occuparono pacificamente il municipio,
l'Hôtel
de Ville, sede del governo.
Ci furono delle discussioni con i sindaci degli
arrondissement e con i repubblicani moderati. Erano presenti anche il generale
Le Flô e Garnier-Pagès. Il ministro degli interni Picard, vedendo che la
situazione poteva peggiorare, andò via in tempo.
Alle ore 16 circa, i dimostranti furono rinforzati
dai battaglioni della Guardia
Nazionale di Belleville
portati da Gustave
Flourens, e dal commando di Paolo
Tibaldi (noto come Legione Italiana). La dimostrazione si trasformò in
rivolta. Il governo praticamente fu fatto prigioniero. La confusione era
totale. Nel frattempo, Raoul
Rigault, che era stato lì dal 4 ottobre con qualche centinaia di uomini,
occupò la Prefettura di Polizia. Nel caos più generale, si discuteva di formare
un nuovo governo. Flourens
salì sul tavolo del Consiglio e chiese la costituzione di un Comitato
di Salute pubblica cercando di fare accettare una lista di nomi.
Blanqui,
Millière,
Édouard
Vaillant e Delescluze
si unirono a Flourens.
Nel dibattito i dirigenti dell'insurrezione si divisero sul da farsi: Blanqui
e i suoi vollero abbattere subito il governo e proclamare la dittatura
rivoluzionaria, mentre i neo-giacobini chiesero elezioni municipali per
eleggere i nuovi sindaci di quartiere che avrebbero rappresentato i membri del Comitato
di Salute pubblica da affiancare ai ministri. Nella confusione provocata
dell'improvvisata iniziativa, i ministri arrestati fuggirono, riunirono i
battaglioni leali della Guardia
Nazionale dei quartieri borghesi, e la Guardia mobile, compresi i contingenti
bretoni, e si diressero verso il municipio riprendendone il possesso.
La folla a poco a poco ha cominciato ad allontanarsi
dall'Hôtel
de Ville. Alle 3 del mattino, Jules
Favre, è rimasto con i manifestanti, promise immediate elezioni municipali
e assicurò l'impunità per l'azione compiuta. I leader dell'insurrezione
poterono andarsene.
Arago, il sindaco di Parigi, si
dimise, e Clemenceau
lo seguì in segno di solidarietà. Jules Ferry, prefetto della Seine, rimpiazzò
Arago, conservando il suo posto di prefetto. Da quel giorno, una forte rivalità
si stabilì tra Clemenceau
e Ferry, uno diceva all’altro di essere un conservatore mascherato, l’altro
accusava l’uno essere un complice dei rivoluzionari.
Il generale
Clément-Thomas succedette a Tamisier alla testa della Guardia
Nazionale.
Il 3 novembre, il governo ha presentato un plebiscito
chiedendo: «La popolazione di Parigi mantiene SÌ o NO i poteri del governo
della difesa nazionale?». Ha ottenuto 557.996 voti a favore e 61.638 contrari . Due giorni dopo,
si svolsero le elezioni comunali. Tredici sindaci repubblicani su venti
(incluso Clemenceau)
vennero rieletti. Cinque nuovi erano moderati. Solo Delescluze
(19°
arrondissemant) e Ranvier
(20°
arrondissemant) rappresentarono il partito rivoluzionario.
Subito dopo le elezioni il governo, stracciando i
patti sottoscritti, ordinò l'arresto di gran parte dei rivoluzionari
protagonisti della rivolta del 31 ottobre, Blanqui,
Flourens,
Millière
e altri riuscirono a sottrarsi alla cattura con la fuga.
La sala delle sedute del Governo di Difesa nazionale all’Hôtel de Ville invasa dagli insorti
[1] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges, 5
aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore di
Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza
Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie
operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a
questa sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi.
D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla
proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio
dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.
[2] Jules
François Simon (Lorient, 27 dicembre 1814 – Parigi, 8 giugno 1896) è stato uno
statista, filosofo, politico francese e uno dei leader dei repubblicani
moderati nella Terza Repubblica francese. Divenne ministro dell'istruzione
presso il governo
della difesa nazionale il 5 settembre 1870. Dopo la capitolazione di Parigi
nel gennaio 1871 fu inviato a Bordeaux per impedire la resistenza di Léon
Gambetta alla pace. Ma a Bordeaux, Gambetta,
che aveva emesso un proclama escludendo dalle elezioni quelli che erano stati
funzionari sotto l'Impero,
era onnipotente. Fingendo di contestare le credenziali di Jules Simon, ha
emesso ordini per il suo arresto. Nel frattempo, Simon aveva trovato i mezzi di
comunicazione con Parigi e il 6 febbraio è stato rafforzato da Eugène Pelletan,
E. Arago e Garnier-Pages. Gambetta si dimise e il ministero degli Interni,
sebbene nominato nominalmente ad Arago, era davvero nelle mani di SimoneSconfitto
nel dipartimento della Senna, si sedette per la Marna nell'Assemblea nazionale
e riprese il portafoglio di istruzione nel primo gabinetto della presidenza di Adolphe
Thiers.
In tanto in Francia il governo repubblicano
continuava la guerra, o meglio, fingeva di continuarla, poiché era già chiaro
ai borghesi come il loro compito fosse quello di pervenire alla pace col minor
danno possibile, per poi organizzare e riversare tutte le forze per bloccare
ogni tentativo di insurrezione popolare.
Il governo di Thiers,
Favre
e compagnia bella, temendo di far capire subito la sua intenzione e per non
innescare la scintilla della rivoluzione, “decise di guarire Parigi dalla sua
eroica follia con un regime di carestia e di violenza e, nel frattempo,
ingannarla con i loro manifesti roboanti (Karl Marx)”.
Intanto i prussiani continuavano l’avanzata: “ma più
la situazione si faceva grave, più ingigantiva l’ardore della lotta (Louis
Michel)”.
Il Comitato
Centrale dei venti arrondissement espose la propria volontà con un
manifesto, che fu in seguito strappato dai poliziotti. Esso diceva: «Leva in
massa! Accelerazione dell’armamento! Approvvigionamento!». In risposta
tornarono a circolare, come al solito. voci di vittoria.
Il 30 ottobre la Guardia
Nazionale, che aveva compiuto una sortita da Parigi, nonostante l'accerchiamento
della capitale da parte delle truppe germaniche, liberato due giorni prima il
villaggio di Le Bourget, vicino a Parigi, sconfitto i prussiani a Le Bourget e
tenuto la posizione in attesa di rinforzi che il generale Trochu
non inviò, fu ricacciata a Parigi dal ritorno offensivo del nemico. Il governo
della Difesa nazionale rifiutò una massiccia uscita per tentare di aprire
una breccia nelle postazioni assedianti, sia perché riteneva che l'offensiva
non avesse possibilità di successo, sia perché desiderava non prolungare le
operazioni militari.
Alcuni parigini accusarono il governo di aver
organizzato la sconfitta. Nella popolazione parigina si insinuò l'idea
dell’esistenza di un piano deliberato di resa.
Inoltre, dal 27 ottobre, il governo negò le voci
sulla resa dell'esercito francese, quasi intatto (100.000 uomini), del
maresciallo Bazaine, circondato a Metz. Il generale Trochu
riconobbe il fatto solo il giorno 30, sotto la pressione della folla.
Quello stesso giorno si ebbe notizia delle trattative
che Thiers
sembrava condurre favorevolmente a Versailles
con Bismarck
per raggiungere l'armistizio. Cosi il contrasto e il malumore nei confronti di
questo governo, accusato di tradimento e di vigliaccheria, esplose.
Il giovane Clemenceau,
nominato a settembre sindaco del 18°
arrondissement di Parigi fece affiggere sui muri del quartiere un manifesto
che diceva: "Il comune del diciottesimo
arrondissement protesta indignato contro un armistizio che il governo non
può accettare senza tradimento".
Sul giornale Le Réveil,
Charles
Delescluze chiese la proclamazione della Comune e il sollevamento in massa.
Al mattino del 31, gli abitanti dei quartieri
popolari della zona orientale di Parigi, mescolati alle guardie nazionali e con
alcuni borghesi, si riunirono a place de l'Hôtel
de Ville. Fu un evento spontaneo, senza un piano concertato in anticipo.
Jules
Favre, che aveva appena organizzato la partenza di Thiers
incaricato di incontrare Bismark,
si unì con due membri del Governo provvisorio, Jules Ferry[1]
e Jules Simon[2], e il generale Trochu
all'Hôtel
de Ville.
Nel primo pomeriggio, nonostante i discorsi di Arago,
allora sindaco di Parigi e del generale Trochu,
presidente del governo, i manifestanti occuparono pacificamente il municipio,
l'Hôtel
de Ville, sede del governo.
Ci furono delle discussioni con i sindaci degli
arrondissement e con i repubblicani moderati. Erano presenti anche il generale
Le Flô e Garnier-Pagès. Il ministro degli interni Picard, vedendo che la
situazione poteva peggiorare, andò via in tempo.
Alle ore 16 circa, i dimostranti furono rinforzati
dai battaglioni della Guardia
Nazionale di Belleville
portati da Gustave
Flourens, e dal commando di Paolo
Tibaldi (noto come Legione Italiana). La dimostrazione si trasformò in
rivolta. Il governo praticamente fu fatto prigioniero. La confusione era
totale. Nel frattempo, Raoul
Rigault, che era stato lì dal 4 ottobre con qualche centinaia di uomini,
occupò la Prefettura di Polizia. Nel caos più generale, si discuteva di formare
un nuovo governo. Flourens
salì sul tavolo del Consiglio e chiese la costituzione di un Comitato
di Salute pubblica cercando di fare accettare una lista di nomi.
Blanqui,
Millière,
Édouard
Vaillant e Delescluze
si unirono a Flourens.
Nel dibattito i dirigenti dell'insurrezione si divisero sul da farsi: Blanqui
e i suoi vollero abbattere subito il governo e proclamare la dittatura
rivoluzionaria, mentre i neo-giacobini chiesero elezioni municipali per
eleggere i nuovi sindaci di quartiere che avrebbero rappresentato i membri del Comitato
di Salute pubblica da affiancare ai ministri. Nella confusione provocata
dell'improvvisata iniziativa, i ministri arrestati fuggirono, riunirono i
battaglioni leali della Guardia
Nazionale dei quartieri borghesi, e la Guardia mobile, compresi i contingenti
bretoni, e si diressero verso il municipio riprendendone il possesso.
La folla a poco a poco ha cominciato ad allontanarsi
dall'Hôtel
de Ville. Alle 3 del mattino, Jules
Favre, è rimasto con i manifestanti, promise immediate elezioni municipali
e assicurò l'impunità per l'azione compiuta. I leader dell'insurrezione
poterono andarsene.
Arago, il sindaco di Parigi, si
dimise, e Clemenceau
lo seguì in segno di solidarietà. Jules Ferry, prefetto della Seine, rimpiazzò
Arago, conservando il suo posto di prefetto. Da quel giorno, una forte rivalità
si stabilì tra Clemenceau
e Ferry, uno diceva all’altro di essere un conservatore mascherato, l’altro
accusava l’uno essere un complice dei rivoluzionari.
Il generale
Clément-Thomas succedette a Tamisier alla testa della Guardia
Nazionale.
Il 3 novembre, il governo ha presentato un plebiscito
chiedendo: «La popolazione di Parigi mantiene SÌ o NO i poteri del governo
della difesa nazionale?». Ha ottenuto 557.996 voti a favore e 61.638 contrari . Due giorni dopo,
si svolsero le elezioni comunali. Tredici sindaci repubblicani su venti
(incluso Clemenceau)
vennero rieletti. Cinque nuovi erano moderati. Solo Delescluze
(19°
arrondissemant) e Ranvier
(20°
arrondissemant) rappresentarono il partito rivoluzionario.
Subito dopo le elezioni il governo, stracciando i
patti sottoscritti, ordinò l'arresto di gran parte dei rivoluzionari
protagonisti della rivolta del 31 ottobre, Blanqui,
Flourens,
Millière
e altri riuscirono a sottrarsi alla cattura con la fuga.
La sala delle sedute del Governo di Difesa nazionale all’Hôtel de Ville invasa dagli insorti |
[1] Jules François Camille Ferry (Saint-Dié-des-Vosges, 5
aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un politico francese, oppositore di
Napoleone III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza
Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie
operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a
questa sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi.
D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla
proclamazione della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio
dalla carestia» della città assediata dai tedeschi.
[2] Jules
François Simon (Lorient, 27 dicembre 1814 – Parigi, 8 giugno 1896) è stato uno
statista, filosofo, politico francese e uno dei leader dei repubblicani
moderati nella Terza Repubblica francese. Divenne ministro dell'istruzione
presso il governo
della difesa nazionale il 5 settembre 1870. Dopo la capitolazione di Parigi
nel gennaio 1871 fu inviato a Bordeaux per impedire la resistenza di Léon
Gambetta alla pace. Ma a Bordeaux, Gambetta,
che aveva emesso un proclama escludendo dalle elezioni quelli che erano stati
funzionari sotto l'Impero,
era onnipotente. Fingendo di contestare le credenziali di Jules Simon, ha
emesso ordini per il suo arresto. Nel frattempo, Simon aveva trovato i mezzi di
comunicazione con Parigi e il 6 febbraio è stato rafforzato da Eugène Pelletan,
E. Arago e Garnier-Pages. Gambetta si dimise e il ministero degli Interni,
sebbene nominato nominalmente ad Arago, era davvero nelle mani di SimoneSconfitto
nel dipartimento della Senna, si sedette per la Marna nell'Assemblea nazionale
e riprese il portafoglio di istruzione nel primo gabinetto della presidenza di Adolphe
Thiers.