GUSTAVE FLOURENS
Il
"Cavaliere della rivoluzione"
Gustave
Flourens è stato uno dei leader più popolari dell’insurrezione
di Parigi. Il suo tragico destino ha
scatenato un vero fervore nella popolazione.
È stato un accademico, uno
scienziato e politico francese.
Nato a Parigi il 4 agosto
1838, apparteneva al centro agiato dell'élite parigina.
Suo padre, Pierre Flourens, un tempo deputato e pari di
Francia, era un rinomato fisiologo, professore al Museo e al Collegio di
Francia.
Dopo
brillanti studi di letteratura e scienze, si laureò in lettere e in
scienze, e a 25 anni gli fu concesso di sostituire suo
padre nella cattedra di storia naturale. Molto
seguiti, i suoi percorsi materialisti e atei furono rapidamente interrotti dal
potere bonapartista. Tuttavia vennero pubblicati
sotto il titolo Histoire
de l’Homme, mentre si era recato in Inghilterra
prima e in Belgio poi, dove fu un oratore ricercato.
Idealista, fu
entusiasta dei movimenti di liberazione nazionale che l'Europa di quel periodo
conobbe e si impegnò molto presto nella lotta rivoluzionaria senza frontiere. Già nel 1863 andò in Polonia, attratto dalla rivolta
anti-zarista per combattere a fianco del'insurrezione polacca, ma quando
si accorse del peso che aveva la Chiesa cattolica e la nobiltà polacca nei
leader dell’insurrezione si convinse a ritornare rapidamente in Francia.
Nello stesso anno, ottenne la
cattedra di storia naturale al Collège de France e fu responsabile per
l'elaborazione della storia delle razze umane. Dopo un anno gli fu
sottratta la cattedra per l'impostazione materialista e atea del suo
insegnamento e per le sue opinioni politiche repubblicane e anti-bonapartiste;
per Flourens la fede in Dio (e non solo nella religione) era fonte della
sofferenza dell'umanità. Sotto la pressione della Chiesa e della "gente
onesta", Victor Duruy (ministro dell’istruzione pubblica) non permise a
Gustave Flourens un secondo anno d’insegnamento. Come citato prima, pubblicherà
le sue lezioni col titolo Histoire
de l'Homme.
Si trasferì a Londra e poi in
Belgio. Dopo alcuni mesi in Belgio, dove incontrò gli attivisti della 1ª Internazionale simpatizzando per la loro causa (ma allo stesso tempo si
avvicinò a Blanqui),
prese la causa degli insorti cretesi contro l'Impero Ottomano e sollecitò, in
loro favore, l’opinione degli intellettuali di tutta Europa, tra cui Victor
Hugo, l'ex concorrente senza successo di suo padre presso l'Accademia di
Francia. Questo suo impegno gli darà la sua immagine di cavaliere rosso.
È stato in
Grecia, dal 1866 al 1868, dove
combatté a Creta col grado di capitano, sperimentando un'insurrezione
formidabile. Lì venne forgiata la sua immagine di
combattente senza paura. Facendo parte di un
gruppo di volontari, partecipò alla vittoriosa ribellione contro il dominio
turco nell’isola dell’Egeo. Durante la sua
strada entrò in massoneria ne L’Union d’Orient, a Costantinopoli. Fu nominato ambasciatore
dell'isola presso il governo di Atene che però, cedendo alle pressioni del
governo francese, lo espulse dalla Grecia. Ma l’interessamento mediatico
dell'azione del giovane studioso fu importante. Flourens ottenne l'appoggio di Victor
Hugo che pubblicò diversi articoli sul tema.
Rientrato a Parigi nel 1868,
grazie alla sua popolarità, gli fu chiesto di presiedere le riunioni pubbliche
repubblicane e socialiste; si lanciò, con impegno, nel
movimento di opposizione contro il Secondo
Impero e nel 1869 fu condannato a tre mesi di prigione.
Scontata la pena, ebbe un
duello il giornalista bonapartista Paul de Cassagnac il quale, abile
spadaccino, lo ferì gravemente al ventre. Questo contribuì ad accentuare la sua
reputazione di coraggioso.
Ristabilitosi, Flourens
collaborò a La
Marseillaise di Henri
Rochefort diventandone cronista. Gustave fu
soprattutto un uomo d'azione, favorevole al colpo di mano come Blanqui
di cui era vicino. Cercò di fomentare la rivolta al funerale di Victor
Noir nel gennaio 1870 e, all'arresto di Henri
Rochefort, nel febbraio 1870, minacciato e ricercato
dalla polizia imperiale, fuggì in esilio nei
Paesi Bassi e di qui in Inghilterra e poi in Grecia, mentre, nell’agosto del
1870 il tribunale lo condannava a sei anni di carcere in contumacia.
Gustave Flourens nel 1871 |
Membro delle società di libero
pensiero, partecipò alle loro attività dall'esilio, scrivendo a La Libre
Pensée (Il libero pensiero) del 12 Maggio 1870: "Il nemico è Dio.
L'inizio della saggezza è l'odio di Dio [...] questa terribile menzogna
che, per seimila anni, innervosisce, abbruttisce, schiavizza la povera umanità".
Tornò a Parigi dopo la caduta
dell'Impero, all'inizio dell'assedio;
collaborò a La Patrie en danger di Louis
Auguste Blanqui e fu nominato capo di un battaglione della Guardia
Nazionale di Belleville, dove viveva.
Alla loro
testa, guidò, con Gabriel
Ranvier, l'insurrezione
del 31 ottobre all'Hôtel
de Ville contro il governo
della Difesa nazionale guidato dal generale Trochu,
la cui politica era ritenuta troppo tiepida e accusata di
capitolazione.
Quella insurrezione, confusa,
si trovò di fronte la reazione delle guardie nazionali dei quartieri borghesi e
non riuscì.
Domata la
rivolta, Flourens venne arrestato il 4 dicembre 1870 ed
imprigionato a Mazas. Fu
liberato la notte del 21-22
gennaio 1871 da un colpo di mano di un commando del battaglione della Guardia
Nazionale di Belleville guidato dal suo amico Amilcare
Cipriani, conosciuto a Creta, che riuscì a liberare Flourens e altri
prigionieri futuri Comunardi.
L'11 marzo un tribunale della Repubblica di Thiers
lo condannò a morte in contumacia.
Martire della libertà
Il 18
marzo 1871 partecipò alla rivolta dei parigini e il 26
marzo fu eletto alla Comune da
parte del 19°
arrondissement. Optò naturalmente per la
Commissione militare, assunse il comando della 20ª Legione, si dedicò allo svolgimento delle operazioni contro l'esercito
di Versailles
e venne incaricato della difesa di Parigi rivoluzionaria.
Nominato
generale, durante l'offensiva frettolosamente organizzata dalla Comune il 3
aprile, in risposta alle aggressioni e alle prime atrocità versagliesi, gli
uomini della 20ª Legione occuparono l'ala destra dell'esercito comunardo.
La loro avanzata fu spettacolare:
da Neuilly[1]
ad Asnieres[2],
Bois-Colombes[3],
Rueil[4]
poi Chatou[5]
e Bougival[6]
furono conquistati dopo vivaci combattimenti. Versailles
era a pochi chilometri. Flourens era isolato, le altre colonne comunarde non
avevano avuto lo stesso successo ed erano arretrate. Fu costretto ad ordinare
una ritirata. Ma Flourens non era rassegnato all’insuccesso.
Lui e Cipriani
indugiarono con alcuni uomini in una piccola locanda a Rueil-Malmaison, vicino a Chatou, dove una parte dei gendarmi di Versailles
li sorprese. Flourens dovette arrendersi dopo una breve lotta. Riconosciuto dai gendarmi, venne assassinato a freddo con un colpo
di sciabola alla testa, mentre era disarmato, da un gendarme di Versailles,
il capitano della gendarmeria Desmarets, il futuro giudice di pace a La
Garnache[7].
Thiers
riconobbe il “valore” del suo ufficiale donandogli la Legione d’Onore!
Quello stesso 3
aprile veniva pubblicato il suo libro Paris
livré.
Gustave Flourens venne
sepolto, nell'intimità, accanto al padre nel
cimitero di Pere
Lachaise a Parigi (66ª Divisione). Un'unità militare della Comune fu
chiamata in suo onore i "Vendicatori di Flourens (Vengeurs de Flourens)".
La fine di Flourens narrata da Amilcare
Cipriani
“Non è della sua vita che
io mi occupo, ma della sua morte, vero
assassinio commesso freddamente dal capitano di gendarmeria Desmarets.
Era
il 3
aprile 1871. La Comune di
Parigi aveva deciso una sortita in massa contro i soldati della reazione
che non cessavano di fucilare i federati presi fuori di Parigi:
Flourens aveva ricevuto l'ordine di recarsi a Chatou, attendervi Duval
e Bergeret,
che dovevano attaccare i versagliesi a Châtillon;
far quindi un corpo solo d'armata, marciare su Versailles
e sloggiarvi i traditori. Flourens arrivò a Chatou verso le tre pomeridiane: là seppe della sconfitta di Duval
e di Bergeret
a Châtillon e al ponte di Neuilly. Duval,
fu preso e fucilato: e questo disastro rendeva la posizione di Flourens non solamente difficile, ma insostenibile.
Sulla sua sinistra c'erano i federati in fuga ed inseguiti dall'esercito con un movimento aggirante.
Tentavano di accerchiarci. Dietro noi
il forte di Monte Valeriano, che per la credulità di Lullier
era caduto in mano dei nemici che ci mitragliavano
senza tregua. – Era necessario uscire da Chatou e ripiegare su Nanterre: se non vogliamo essere tagliati fuori e presi come in trappola, bisogna
pensare un'altra linea di battaglia che ci liberasse di sorpresa. I federati avendo marciato tutto il giorno erano
stanchi ed affamati: non era in
quello stato che si poteva, alle tre dopo
mezzogiorno, attaccare battaglia con un nemico reso fiero dai successi
di Châtillon. Tutto dunque esigeva che ripiegassimo su Nanterre, per potere la
mattina dopo, con delle truppe fresche arrivate da Parigi, impadronirci delle
alture di Buzenval e Montretout e marciare su Versailles.
Io
come amico di Flourens e come capo di Stato Maggiore
della colonna, sottomisi questo piano a Flourens e a Bergeret:
quest'ultimo approvò; Flourens rispose: - Io non batto in ritirata.
Replicai: –
Non è una ritirata, e tanto meno una fuga: è una
misura di prudenza, che ci è imposta per tutto quello che vi ho già
detto.
Mi rispose
con un segno, affermativo del capo.
Pregai
Bergeret
di prendere la testa della colonna, Flourens il centro: io sarei rimasto
l'ultimo per fare evacuare Chatou.
Tutta la
colonna era in marcia: tornai sotto l'arcata della ferrovia, dove già mi ero intrattenuto con Bergeret e Flourens:
trovai costui sempre a cavallo, allo stesso posto, pallido, abbattuto,
taciturno, Alla mia esortazione di mettersi in marcia, rifiutò, scese da
cavallo, consegnò la sua montura ad alcune guardie nazionali che erano là, e si mise a camminare lungo la riva del
fiume. Gli feci osservare che nella mia duplice qualità di amico suo intimo e
come capo di stato maggiore della colonna non potevo né dovevo abbandonarlo in
una strada che stava per essere occupata
dall'esercito di Versailles,
e che ero ben deciso a non
abbandonarlo, che sarei rimasto o partito con lui. Affaticato, si stese sull'erba e si addormentò profondamente. Seduto accanto a lui, io vedevo i cavalleggeri
di Versailles
caracollare nella pianura ed avanzarsi verso Chatou. Era mio dovere di tentare
ogni cosa per salvare l'amico e il capo amato dalla folla.
Lo
svegliai e lo pregai di non restar là a farsi catturare come un
bambino.
– Il vostro posto non è qui, gli dissi, ma
alla testa della vostra colonna: se siete stanco
della vita, fatevi uccidere domattina, nella battaglia che daremo
alla testa degli uomini che vi hanno seguito
fin qui per simpatia, per amore. Dite voi che non volete ritirarvi; ma la
diserzione è peggiore di una semplice
ritirata. Ritirandovi qui, voi disertate, fate peggio. Voi tradite la
Rivoluzione che tutto attende da voi!
Si rialzò, mi
abbracciò: – Andiamo! disse.
Andarsene era
facile dirlo, ma difficile farlo senza essere
visti e scoperti dai soldati versagliesi, che circondavano quasi il villaggio dove noi eravamo. Bisognava nascondersi ed aspettare la notte per raggiungere
le nostre truppe a Nanterre. Rientrati a Chatou, entrammo in una casupola, una specie
di osteria, circondata da un terreno incolto, che portava il numero 21.
Domandammo alla padrona se aveva una camera da cederci: ci condusse al primo
piano. I mobili erano semplicemente un letto e un comodino, in mezzo una
piccola tavola.
Appena
entrati Flourens gettò sul comodino la sciabola, la pistola e il kepì, si buttò sul letto e si addormentò. Io mi misi
alla finestra, per spiare, tenendo chiuse le finestre. Pochi momenti dopo svegliai Flourens per chiedergli il permesso di
mandare qualcuno ad esplorare se la strada di Nanterre
era sgombra. Acconsentì: feci salire la padrona, e le domandai se poteva
indicarmi qualcuno che volesse fare quel viaggio.
– Ho mio marito! rispose.
– Fatelo salire, risposi.
Era,
credo, un contadino: lo pregai di assicurarsi se la via per Nanterre era libera, e di tornare subito a
portarci una risposta, promettendogli venti lire per il suo disturbo. Questo uomo si chiamava Lecoq. Se ne andò, ed io ripresi
il mio posto dietro le persiane. Cinque
minuti dopo vidi sbucare dalla destra di un vicoletto, che dava sulla strada di Nanterre, un ufficiale di stato
maggiore che guardava attentamente verso la parte ove eravamo noi. Comunicai la cosa a Flourens, e ripresi il mio
posto di osservazione alla finestra. L'ufficiale
era scomparso. Dopo qualche minuto, dalla stessa parte, vidi giungere un gendarme: poi, venendo verso il nostro nascondiglio, senza esitazione, si
sporse fuori verso il terriccio incolto, che si stendeva davanti la casa, per vedere nella medesima strada una
quarantina di gendarmi che lo seguivano. Corsi da Flourens e gli dissi:
– I gendarmi sono qui davanti alla casa.
– Che fare?
disse; non ci arrenderemo.
– Poca cosa! risposi; occupatevi della finestra, io
mi incarico della porta, e presi la
maniglia con la sinistra e la rivoltella con la destra.
Nello
stesso istante qualcuno dal di fuori tentava di entrare.
Apersi e mi trovai di fronte un gendarme che puntava
su di me. Senza lasciargli il tempo di tirare, gli scaricai
una palla, in pieno petto. Ferito si scaraventò giù dalle
scale gridando aiuto. Lo inseguii nella sala terrena mi trovai in
mezzo ad altri gendarmi che salivano. Fui atterrato a colpi di baionetta e di
calci di fucile. Avevo la testa ammaccata in due posti, la gamba dritta
rovinata dalle baionettate, il braccio quasi rotto, una costola sfondata, il petto coperto di ferite; perdevo
sangue dalla bocca, dalle orecchie, dal naso: ero mezzo morto.
Mentre mi
conciavano così, alcuni soldati erano saliti ed avevano arrestato anche Flourens. Non l'avevano riconosciuto.
Passandomi
davanti e vedendomi steso a terra coperto di sangue, esclamò: - Povero mio Cipriani!
Mi
fecero levare e seguire il mio compagno. Lo fecero fermare
sull'uscio di casa ed io restai fra i soldati, all'entrata dell'orticello. Perquisirono Flourens, e gli trovarono in tasca una
lettera o un dispaccio indirizzato al general Flourens. Fin qui egli era stato trattato con certo
riguardo, ma la cosa cambiò subito.
Fu
un grido selvaggio, una sequela di insulti. – Ecco Flourens! ora
l'abbiam preso! non ci scappa più!
Arrivava
allora un capitano dei gendarmi a cavallo. Avendo
chiesto chi era il prigioniero, gli fu risposto con grida selvagge: – È
Flourens!
Stava
costui, dritto, fiero, con la bella testa scoperta, e le braccia
incrociate sul petto. Il capitano di
gendarmeria aveva Flourens alla sua destra. Bruscamente ed
altezzosamente gli chiese:
– Siete voi
Flourens?
– Sì, rispose
egli.
– Siete voi
che avete ucciso i miei soldati?
– No, rispose
ancora Flourens.
Gustave Flourens caricatura di Moloch |
–
Mentitore, gridò quel furfante, e con un colpo di sciabola,
con l'abilità di un carnefice, gli spaccò in due la testa; poi si
allontanò di galoppo. L'assassino di Flourens si chiamava capitano Desmarets. Flourens si dibatteva in terra penosamente; un
soldato sghignazzando disse: – A me,
ora gli faccio saltar il cervello, e
gli puntò il fucile nell'orecchio: Flourens non si mosse, era morto!
Qui dovrei
far punto; ma altri oltraggi aspettavano a Versailles il cadavere di questo grande pensatore rivoluzionario,
ai quali non crederei, se non li avessi visti coi miei propri occhi. Condurrò il lettore a Versailles,
la città infame e maledetta, per
raccontare gli avvenimenti fino all'ora in cui fui separato dal cadavere
di Flourens. L'amico mio aveva cessato di soffrire: la mia tortura cominciava
allora. Allontanatosi l'assassino di
Flourens, io restai in balia dei soldati che urlavano come iene intorno
a me! Mi fecero alzare, e mi collocarono ritto
di fianco al cadavere di Flourens. Uno dei gendarmi ebbe l'idea di
parlarmi: avendogli risposto con orrore e
disgusto fece cadere sulle mie spalle una
pioggia di colpi e di insulti. Questo contrattempo mi salvò la vita.
Un
sott'ufficiale passando chiese ch'io fossi!
–
È l'aiutante di campo di Flourens! – risposero, dando a me questo
titolo per cui sono conosciuto.
–
Questo disgraziato, replicò il sott'ufficiale, indicando Flourens, non
qui bisognava ammazzarlo, ma a Versailles.
Poi
volgendosi a me: – Legate questo mariuolo come si deve, lo fucileremo domani a Versailles con tutte le altre canaglie che abbiamo
fatto prigioniere.
Fui infatti
incatenato come egli avea comandato; mi buttarono
su un carretto con del letame e sulle gambe mi gettarono il cadavere del
mio povero amico. Ci mettemmo in marcia per Versailles,
in mezzo ad uno squadrone di carabinieri a cavallo. La notizia dell'arrivo di Flourens ci aveva preceduto. Ci fermammo in mezzo ad una folla ubriaca e feroce
che urlava: A morte, a morte! Alla prefettura fui chiuso in una camera
col cadavere di Flourens ai miei piedi.
Delle donne elegantemente vestite, in
compagnia quasi sempre di ufficiali dell'esercito, venivano gaie e
sorridenti a vedere il cadavere di Flourens: non faceva loro più paura. Con
modi infami e vigliacchi, con la punta
dell'ombrellino facevano schizzare il cervello di questo martire. Nella
notte fui separato per sempre dalla salma sanguinante di questo povero e caro
amico, e rinchiuso nelle cantine.
Così
fu assassinato, e da morto oltraggiato Gustavo Flourens dai
banditi di Versailles”.
[1] Nel
dipartimento dell'Hauts-de-Seine nella regione dell'Île-de-France.
[2] Nel
dipartimento dell'Hauts-de-Seine nella regione dell'Île-de-France.
[3] Nel
dipartimento dell'Hauts-de-Seine nella regione dell'Île-de-France.
[4] Nel
dipartimento dell'Hauts-de-Seine nella regione dell'Île-de-France
[5] Nel
dipartimento degli Yvelines nella regione dell'Île-de-France.
[6] Nel
dipartimento degli Yvelines nella regione dell'Île-de-France.
[7] Nel
dipartimento della Vandea nella regione dei Paesi della Loira.