mercoledì 26 febbraio 2020

02-15-02 - Le barricate delle donne

LE BARRICATE DELLE DONNE

Immagine tratta dal film "La Comune di Parigi 1871" di Peter Watkins

La storia del Comune è ricca di immagini. Una di esse ci prende letteralmente alla gola: «in preda all'agonia del potere rivoluzionario, 120 donne si rifugiano, con il fucile in mano, dietro una barricata, ai piedi di Montmartre, per opporsi all'esercito dell'ordine». Vennero sterminate.
Questo episodio della guerra civile del 1871 si è distinto nella memoria, indiscutibilmente. Barricate, durante questa tragica battaglia, ce ne furono centinaia.
La Settimana sanguinante, dal 21 al 28 maggio 1871, alimentò alcune immagini.
Nell'iconografia, l'immagine della donna sulla barricata non è quella di un combattente. È, nella maggior parte dei casi, un personaggio che ricorda la Marianne della Repubblica, una che indossa un berretto frigio, piuttosto nuda nelle sue vesti, che trova la sua ispirazione nell'antichità. A volte, diventando più spettrale, si sovrappone ai Federati nella loro lotta fino alla morte. Queste figure emblematiche, le barricadières, rappresentano di più la Comune: una bella idea che non può morire. La loro bellezza sbocciante e la loro invulnerabilità dimostrano che la Rivoluzione è immortale, nonostante i peggiori massacri.
Nel 1992, durante la mostra Vive la République 1792-1992 presso gli Archivi nazionali a Parigi, si poteva ammirare un'opera di Steinlein intitolata Louise Michel sulle barricate (1885): una giovane donna bruna, con lineamenti delicati, in un abito nero con coccarda rossa, il seno quasi scoperto, arcuata dalla passione rivoluzionaria, sfida il fucile sollevando una bandiera rossa che si agita nel vento della battaglia; ai suoi piedi è visibile una catasta di ciottoli, di fronte alla quale si trova il corpo di una guardia nazionale.
Questo dipinto è una bellissima immagine che, in nessun caso, mira a rappresentare la realtà della lotta dei Comunardi, ma piuttosto a dare una visione estetica e drammatica della Rivoluzione del 1871. Naturalmente questo personaggio di donna senza armi non è la reale immagine di Louise Michel, anche se, durante i combattimenti, ha sparato dietro le barricate, fermandosi solamente quando sono diventate indifendibili.
Forse, il dipinto di Steinlein rappresentava Louise, la giovane ambulanziera dell'ultima barricata della città, alla quale  Jean-Baptiste Clément aveva dedicato Le Temps des cerises nel 1885.
In termini di iconografia realistica, ci sono pochissimi disegni che mostrano donne sulle barricate. Alcune eccezioni tuttavia: in particolare questa litografia e questa illustrazione rappresentano la barricata delle donne di place Blanche.


Dalla leggenda al mito
Le parole, come l'iconografia, producono rappresentazioni che trasformano la realtà. Se le donne combattevano sulle barricate nel maggio 1871, la loro lotta prese immediatamente la forma di un mito: la barricata delle donne. Questo mito è essenzialmente ispirato ad un'unica fonte: il racconto di Lissagaray ne Les huit journées de mai derrieres les barricades (Gli otto giorni di maggio dietro le barricate), pubblicato nel 1871. È in questo libro che Lissagaray ci fa capire che vide, la sera del 22 maggio, questa barricata difesa da 120 donne, che descrisse il loro combattimento di 4 ore a place Blanche, il loro ritiro alla barricata a place Pigalle, dove combatterono altre 3 ore, e infine sulla barricata Magenta, dove vennero tutte uccise. Tre episodi che hanno costituito la «leggenda».
Infatti, nella sua grande Storia del Comune del 1871, pubblicata nel 1876, Lissagaray ne cita la fonte: un articolo di Gustave Maroteau pubblicato in Salut public, nel mezzo di una Settimana sanguinante, e immediatamente copiato a sinistra e a destra. Revisionando il suo racconto iniziale, Lissagaray racconta la presa del 18° arrondissement «senza la minima resistenza», aggiungendo che la barricata di place Blanche è durata solo «per un po’» e che quella di place Pigalle è effettivamente caduta dopo 4 ore il 23 maggio. Siamo lontani dalle 7 ore di resistenza degli otto giorni. Indipendentemente da questa correzione, la leggenda si è già trasformata in un mito vivente, che relega dietro i suoi incantesimi la vera lotta delle donne a Parigi, già passata in silenzio dai militari.

La lotta delle donne
Incontro finale
I consigli di guerra di Versailles datano all'ultimo incontro dell'Unione delle Donne per la difesa di Parigi e la cura dei feriti il 21 maggio. È qui che è stata presa la decisione di aiutare a difendere le barricate. In verità, questa riunione sindacale presso il municipio del 4° arrondissement probabilmente non ebbe luogo, non perché le truppe erano entrate in città dalle 16:00 - la riunione si sarebbe tenuta alle 13:00 - ma forse a causa del concerto delle Tuileries. Da parte delle donne, solo Louise Michel, inviata da Dombroski, avrebbe potuto mettere in guardia L'Unione la sera del 21 maggio, ma, da un lato, il Comitato di Vigilanza delle Donne di Montmartre, di cui Louise ne faceva parte, aveva pochi legami strutturali con l’Unione, d'altra parte, secondo le sue memorie, Louise Michel non si è impegnata nella lotta nelle barricate fino a lunedì 22 maggio.
Gli unici elementi solidi che si possono trovare sono nei dossier di Nathalie Le Mel:
• fu Elisabeth Dmittrieff, la vera leader, a convocare gli attivisti;
• l'incontro si è tenuto nella sede dell’unione, presso il municipio del decimo arrondissement.
Molto probabilmente, si è svolto la mattina del 22 maggio. L'ordine del giorno si è inevitabilmente concentrato sulla difesa di Parigi, in poche parole quello che rispecchiava il programma dell'Unione e ciò che era evidenziato nel suo nome. Le sue richieste di un ruolo militare per le donne nell'«azione armata», pubblicate da alcuni giornali comunardi e raccolte dai club consapevoli di una lotta imminente nella capitale (Nathalie Le Mel lanciò un appello per «schiacciare Versailles») furono mal ricevute dagli uomini della Comune, peraltro fortemente sfidati su questo argomento da André Léo ne La Sociale, nelle cui colonne sfidò in particolar modo il generale Dombrowski.
Alla fine di maggio, tuttavia, la pressione aumentò e, mentre la Comune, rimase stupita dall'insolita presenza di donne nelle caserme, si vide un battaglione femminile che marciava per le strade del 12° arrondissement. Questa unità esemplare era in procinto di essere armata.

Colonne e squadre femminili
È certo che la colonna di 50 attiviste dell'Unione delle Donne non è andata oltre place Blanche, perché i Batignolles, dove si stavano dirigendo «agli ordini della Comune», erano troppo coinvolti nei combattimenti di strada.
In quel lunedì, 22 maggio, i testimoni notano una inattesa mobilitazione femminile: colonne di donne che scendono dalle alture, "squadre di donne" in Place de l'Hôtel de Ville, donne armate di fucili chassepot nei ranghi dei battaglioni che montano al fuoco, gruppi di donne che trascinano mitragliatrici e, soprattutto, la sera, partecipano spettacolarmente alla costruzione e fortificazione delle barricate, in particolare nei quartieri alti. L'esclamazione di Nathalie Le Mel del 23 maggio, "Non è ancora finita, ne vedono dei duri a Place Clichy e la collina di Montmartre non è stata ancora presa!", ci indica che l'organizzazione fa parte di questo progetto di «piano di battaglia», che prevedeva di impedire ai soldati di salire sulla collina, il luogo simbolico che si aggiunge al ruolo strategico: «posizione decisiva» e «nido di avvoltoi che aveva aperto le porte alla Comune rossa» per i versaigliesi, Montmartre era per i Comunardi la "Cittadella di Parigi" e il "Monte Aventino della Rivoluzione".
Il potere rivoluzionario, in piena disintegrazione, non fu in grado, a Montmartre come altrove, di attuare una vera strategia. Nonostante tutto, alle donne dell'Unione è stato probabilmente affidato una parte della difesa di questo settore, data la loro determinazione ("solo le donne hanno mostrato entusiasmo" noterà Lissagaray), la maggior parte è stata colpita dal fuoco nemico, sotto la guida di Elisabeth Dmitrieff, a place Blanche, mentre una squadra più piccola si stava unendo, sotto la guida di Nathalie Le Mel, ai barricadieri di place Pigalle, in fondo a Rue Houdon.

Per quanto riguarda il gruppo di donne di place Blanche, ci sono numerosi resoconti di testimoni oculari, quelli di Maroteau, Lissagaray, Cluseret, Lefrançais e Sutter-Laumann[1].
Ai primi due, quando si presentano, vennero fermamente chiesti i loro lasciapassare da una giovane sentinella, che indossava un cappello frigio e armato di un fucile; il terzo, che sarebbe sceso dalla collina di Montmartre con una colonna di cento uomini, notò anche «la virilità» delle barricadiere comandate da Elisabeth Dmitrieff. Lefrançais infine vide «cittadine armate» molto risolute, nel mezzo del quale c’era Elisabeth Dmitrieff, «una russa ben nota ai rivoluzionari».
Questo «gruppo» o «battaglione» avrebbe riunito «approssimativamente» 120 donne, secondo Maroteau e Lissagaray, ma questa cifra, che sembra troppo elevata, è stata sensibilmente ridotta da un altro storico, Fiaux, ad un «centinaio». Tuttavia, la cifra esatta o presunta non risulta né dalle memorie di Louise Michel, né dal dossier di Béatrix Euvrie, leader del Comitato di Vigilanza delle Donne di Montmartre
Neanche Benoît Malon, nella Troisième Défaite du prolétariat français (La Terza disfatta del proletariato francese), che tuttavia sviluppa più di altri i passaggi dedicati alle donne, non lo sottolinea nemmeno. Jean Braire[2], nel Sur les traces des communards, il suo libro di ricerca storico e fotografico sulle barricate della Comune, la menziona bene nella sua prefazione, ma, curiosamente, non dice altro nel suo capitolo sul 18° arrondissement. D'altra parte, ci racconta della barricata che, situata in cima a rue Lepic, si affacciava su place Blanche e sulla quale circa venti donne sarebbero venute a combattere.
Ancora oggi ci si chiede dove fosse posizionata la barricata di place Blanche: sotto Rue Lepic o oltre? Ha dato l'opportunità ai versagliesi attaccanti di salire su questa strada? Ha bloccato l'intero viale, che è molto ampio, poiché è impreziosito da una corsia centrale? Secondo Gustave Lefrançais, la barricata era «all'ingresso di rue Lepic», un luogo che Sutter-Laumann[1] sembra confermare. C’è anche l'ipotesi che in realtà ci fossero diverse barricate a place Blanche. Un rapporto dell'amministrazione Ponts et Chaussées (Ponti e Carreggiate) del giugno 1871, indica che erano state costruite 25 barricate nel distretto di Montmartre, si limita a specificare la posizione dei più importanti:
«Rue Lepic all'incrocio di rue des Abbesses
Alla fine delle strade che scendono da Montmartre sul boulevard de Clichy
Place Blanche e Place Pigalle
Questi due posti erano gravemente danneggiati».
Un altro fatto inquietante riguardante questa barricata di cui Elisabeth Dmitrieff sarebbe stata la comandante: non è assolutamente la questione nel suo fascicolo conservato a Vincennes. Fu accusata di «partecipazione all'insurrezione parigina come membro del comitato centrale delle donne» e condannata il 26 ottobre 1872 «alla pena di deportazione fortificata» per «istigazione nella guerra civile», ma il suo caso non evoca place Blanche. Ma questo non vuol dire che la barricata non sia esistita
Libri di ricordi, come quello di Sutter-Laumann[1], che descrivono una «banda di donne» vista nelle vicinanze di place Blanche e comandata da una «bella ragazza bruna alta con coccarda scarlatta e bandiera rossa», non sappiamo se possono essere considerati come fonti storiche.
Non sappiamo molto di questa famosa barricata, in termini di comando, in termini di truppe o del ruolo esatto che questo ostacolo avrebbe dovuto svolgere. Dalle immagini che esistono delle donne combattenti, in particolare della barricata di place Blanche difesa dalle donne nel maggio 1871, non possiamo dedurre niente di concreto. In questa litografia vediamo un ufficiale federato (Dombrowski?) a cavallo che stringe la mano a una donna a piedi (Elisabeth Dmitrieff?), che ha il fucile in spalla; cinque metri alla sua sinistra, un'altra donna, con un berretto rosso, ricarica la sua arma riparata dal muro di un edificio; e sullo sfondo, possiamo vedere un gruppo di ribelli dietro una barricata alta circa 2 metri, sormontata da una bandiera rossa. La maggior parte sono donne. Uno di loro, accanto ad una guardia nazionale, brandisce un fucile e altri due portano via un membro ferito.


Quest'ultimo disegno ci permette di capire che, su questa barricata, gli uomini si mescolavano alle combattenti. Secondo Sutter-Laumann[1], oltre 20 donne sono arrivate per unirsi alla manciata di guardie nazionali già in atto. Una presenza maschile sottolineata dallo scrittore Tristan Rémy che cita diversi casi di uomini che hanno partecipato agli scontri di place Blanche: «elementi dispersi» del 132° battaglione della 17a legione, «irriducibili» del 258° battaglione o di Comunardi isolati.

Se è possibile evocare una barricata femminile, place Blanche, dobbiamo essere molto più avveduti rispetto a quella di place Pigalle, perché abbiamo un po’ più prove, grazie al dossier della carcerata Nathalie Le Mel.
Curiosamente, questa, che menziona la convocazione di cinquanta donne nel municipio del decimo arrondissement di Elisabeth Dmitrieff, poi la loro partenza «verso il quartiere Batignolles», non scrive una parola della barricata di place Blanche. Afferma persino, in un primo interrogatorio, che le donne de L'Union sono andate direttamente in "rue Pigale". Secondo alcuni autori ostili alla Comune, L’Union des femmes, «con una cinquantina megere" a seguito di Nathalie Le Mel, combatté solo sulla barricata place Pigalle. Ma questa è una lettura scadente non basata sulle analisi dei documenti disponibili per gli storici, perché possiamo vedere nel dossier di Nathalie Le Mel che questa barricata aveva una forza lavoro femminile piuttosto debole (una dozzina giovani donne)- e che era mista. Lissagaray ha persino affermato che il capo di questa barricata era Lévèque, un membro del Comitato Centrale.
Le donne, prima di tutto, aiutarono i Federati a costruire la barricata di fronte al n° 20 di Boulevard de Clichy, e che poi volevano andarsene (un testimone ha Nathalie Le Mel urlare loro: "Siete dei codardi! Se la abbandonate, la difenderemo, noi"), forse perché non si sono sentiti abbastanza forti da resistere alle truppe nemiche. Si sa (sempre da testimoni) che le donne, prima dell’assalto, andarono a chiedere pane e medicine per curare un artigliere federato e una dei loro ferite. Nathalie Le Mel è stata vista, armata di un revolver, in una canotta nera, a dirigere giovani donne, tutte armate di fucili e con cinturini paramedici. Terminato il lavoro di trincea, fu lei a piantare la bandiera rossa sopra il selciato. Per essere riconosciuta, aveva dei distintivi: cintura, sciarpa e coccarda rossa.

L'assalto
Non sappiamo molto sulla rimozione delle barricate. Lissagaray, a caldo, ha detto che la barricata di place Blanche è durata quattro ore, che le donne hanno poi ritirato su quella di place Pigalle, che ha resistito per tre ore, quindi un combattimento di sette ore di fila. Paul Martine, da parte sua, parla di queste energiche battaglie alla barricata di rue Lepic. Le Comunarde avrebbero combattuto per tre ore e avrebbero resistito nello stessa place Pigalle.
L’ora del primo assalto da parte del 5° Corpo dell'esercito di Versailles è stata dopo le 11 del mattino. Deve essere stato mirato alla barricata di place Blanche, che probabilmente bloccava la rue Lepic, una delle rotte per la Butte di Montmartre (la collina di Montmartre). L'attacco combinato a Montmartre, una posizione decisiva secondo Thiers, fu un successo clamoroso. Ciò sollevò notevolmente la popolazione di Versailles, nonostante l'apparente tranquillità dell'ordine di attacco del maresciallo Mac-Mahon e l’aridità nel rapporto del generale Clinchant sulle operazioni della 1a e 2a brigata della 1a divisione. Questi si impossessarono delle barricate di place Blanche e place Pigalle, in modo rapido, se non facile, eliminando tutte le difese della Comune in quel settore. Alle 13 la bandiera tricolore fluttuava sulla collina.
Lissagaray scrive che le truppe salirono da rue Lepic, dopo aver ucciso le donne che impedivano il loro accesso, prima di porre lo scritto dopo il combattimento in place Blanche, successivamente occuparono le Buttes (la collina).
Augustine Gamel
Le donne dell'Unione hanno avuto molte morti e ferite. Molti storici affermano che c'è stata una carneficina. Paul e Victor Margueritte[3], nella loro storia fittizia della Comune, nel 1904, evocano questi cadaveri di donne ammucchiate in rue Lepic. Sutter-Laumann[1] cita di cinque o sei donne «fuori combattimento» «in pochi istanti» durante lo scontro ineguale, e dice che un po' più tardi, prima dell’ingresso in città da rue Lepic, si contavano trentasette cadaveri di donne «giacenti nel sanguie sul marciapiede». Solo un nome di vittima di questo combattimento è arrivato a noi, quello di Blanche Lefevre, fornito da Edith Thomas[4]; ma, per Fontoulieu e de Villiers, questa sarebbe stata uccisa su una barricata di rue des Dames nel 17° arrondissement.
Sull'abbandono delle barricate e il ritiro delle combattenti, dobbiamo riconoscere l'assenza di solide indicazioni. Sutter-Laumann[1], ci dice semplicemente che la posizione, «non più sostenibile», è stata evacuata dopo 30 minuti. «Solo poche rabbiose" sono rimaste «determinate a essere uccise». Alla loro testa, «in piedi sulla piattaforma della ridotta", una "bella ragazza alta" con "la bandiera rossa in una mano, il revolver nell'altra".
Per quanto riguarda place Pigalle, non abbiamo molte più informazioni. Quasi nulla della lotta, tranne che era feroce; non c'è molto sui suoi partecipanti: abbiamo solo una testimonianza sulla partecipazione delle donne, riportata anche brevemente da Louis Fiaux[5] nel 1879; per quanto riguarda le indicazioni di Tristan Rémy[6], citando i nomi delle guardie nazionali e arrivando al punto di scrivere che erano i Federati del 258° che contenevano lì l'esercito di Versailles, ma niente sulla sua durata, nulla delle vittime, tranne il resoconto di Lissagaray sull'esecuzione sul posto di Lévèque.
Una breve annotazione nel dossier di Nathalie Le Mel ci fa tuttavia sapere che la ritirata delle donne è stata effettuata «verso il centro di Parigi», in rue des Martyrs, senza che si fermassero alla barricata che era lì.
È possibile che queste sopravvissute si siano ritirate come gli altri al municipio del decimo arrondissement, al fine di difendere il loro quartier generale lì. In ogni caso, la lotta comunarda continuò per tutta Parigi: Le Vengeur del 24 maggio segnalò così la loro presenza, in seno ad uno «splendido battaglione in marcia», di una «compagnia di donne».

Barricadiere dappertutto
Hortense David
In tutta la città ribelle, dall'inizio alla fine, si vedevano donne alle barricate, da sole o con i Federati, che a volte mostravano più zelo di questi. Catulle Mendès[7], in girando per strade durante la Settimana sanguinante, notò delle combattenti dall'aspetto inquietante, come un gruppo con i berretti frigi che si aggiravano intorno alla Madeleine[8] con una mitragliatrice, o una «squadra» di donne in nero, «fascia nera al braccio» e «coccarda rossa nel cappello», che lasciava il municipio per andare a combattere. Li descrive furiose e tragiche. Quelle mitragliatrici, presumibilmente vennero rilasciate alle donne da Delescluze e Vallès,. Alla stazione di Montparnasse anche cinque combattenti armi in mano vennero fucilate.
Il coraggio e la determinazione di queste «terribili» e «superbe» barricadere a volte strappano grida di ammirazione mescolate al terrore dei loro peggiori nemici e stupiscono i loro amici. Una certa signora Blanchecotte osservò un gruppo di donne Federate in abiti neri con coccarde e sciarpe rosse che andavano verso una sicura morte alla scuola di medicina. In rue Stephenson, si poteva osservare l’attivista dei club Joséphine Courtois, ex regina delle barricate del ‘48 a Lione, che combatteva con un fucile e, a Montmartre, lo straordinario comportamento di Marie Rousseau, che aiutava e incoraggiava i combattenti. In rue du Pot de Fer, si è visto che le donne, vere "leonesse", hanno sparato senza esitare; in particolare, hanno impedito ad un artigliere di fuggire riportandolo nella sua postazione: "Ecco il tuo posto e, se vuoi che non ci prendiamo più cura di te, fai il tuo dovere". È stata vista persino un’anziana, armata di un fucile, che combatteva da sola dietro la barricata della fontana dell'École Polytechnique, e un'altra donna, anche lei da sola, che si serviva una mitragliatrice in square des Arts et Métiers. Vicino al palazzo della Legione d'onore, in rue de Lille, si trovavano Eulalie Papavoine, Elisabeth Retiffe, Léontine Suetens, Joséphine Marchais e Joséphine Bocquin. Secondo i testimoni, Elisabeth Retiffe portava una bandiera rossa e Joséphine Marchais, circondata da una sciarpa rossa e armata di un fucile Chaspot, «incitava gli uomini a combattere» e avrebbe detto: "Mio marito non vuole combattere, ma io l’ho trascinalo sulla barricata. Potrebbe morire lì, ma ho fatto bene a farlo" oppure "Il mio amante non voleva andare, ma doveva". Ci sono delle serie accuse contro altre barricadere che poi sembrano "esagerate": Adelaide Valentin avrebbe sparato al suo amante troppo vigliacco per andare alle barricate; Blanche Lefevre avrebbe sparato ad un ufficiale federato colpevole di demoralizzazione.
Lissagaray sosteneva che le donne avevano difeso la barricata Magenta, nel 10° arrondissement. Ci segnala la partecipazione di Elisabeth Dmitrieff e alcune sue compagne alle lotte nelle barricate con le Guardie Nazionali in questo arrondissement: «Il 23 maggio, durante l'attacco al municipio del 10° arrondissement da parte dell'esercito, Elisabeth Dmitrieff è stata vista dietro le barricate incoraggiando i federati a resistere, distribuendo loro munizioni e sparando in compagnia di una cinquantina di donne».
In questo settore, la lotta sarebbe stata particolarmente sanguinosa per le donne, ma bisogna riconoscere che pochissimi testimoni ne hanno accennato.
Non abbiamo molte più informazioni su ciò che è accaduto dopo nell'11° arrondissement, principalmente sull'asse altamente combattuto di boulevard Voltaire, ma siamo convinti dell'entità della partecipazione femminile alle lotte nelle barricate su questo strategico viale. Benoît Malon, nel suo La Troisième Défaite du prolétariat français (La terza sconfitta del proletariato francese, ci descrive la testimonianza di uno studente di medicina inglese, impegnato nel servizio di ambulanza, che ci consente di confermare quanto scritto, si trovava nella place du Château d’Eau, «vicino alla barricata Voltaire»; ecco ciò che vide:
"Proprio quando le guardie nazionali si ritirarono, un battaglione di donne si fece avanti, correndo a tutta velocità e iniziarono a gridare «vive la Commune!» ". Erano armati del fucile di precisione e sparavano mirabilmente”.
Jean Braire[2], seguendo le orme di Lissagaray, ricorda anche che le donne combatterono allo Château d’Eau, citando in particolare una ragazza con un fucile che fu uccisa lì.
È anche nell'11° arrondissement che altre donne si distinseroo per la loro foga guerriera. La giovane Marie Cailleux ha diretto, il 27 maggio, un centinaio di giovani detenuti rilasciati dopo l’avvento della Comune per costruire una barricata in rue de la Roquette. Combatterono lì e sulle barricate di Père Lachaise e rue des Boulets.
Nelle barricate cadute o abbandonate, alcune Comunarde “molesteranno” i versagliesi fino al 28 maggio, come in Rue d'Angoulême, rue Pierre Levée, rue Popincourt.

La letteratura e dei documenti della repressione
Il mito della pétroleuse
Mentre le Comunarde integrarsi nel loro movimento, nel momento peggiore, i versagliesi, e con loro una parte della società, vomitavano fandonie addosso a quelle che chiamavano «i battaglioni delle barricadiere e delle pétroleuses». Le informazioni che possono essere raccolte qui e là, nella parte versagliese, sono ovviamente discutibili. Di fronte alla polizia e ai «giudici» militari, le imputate, condannate «moralmente» in anticipo, potevano solo difendersi. Queste sfortunate non hanno avuto storia. Accusate di questo o quel fatto, spesso si è taciuto sull'intera azione in cui erano impegnate.
Dai verbali dei consigli di guerra versagliesi, risulta che una certa Louise Jouanne fu «vista vestita da Guardia Nazionale» andare «con una pistola alle barricate» e che lei affermò che era solo un travestimento per «passare più facilmente nelle strade per andare a trovare il suo amante». Maria Vaquette, che «fu vista uscire la notte del 26-27 maggio in divisa della Guardia Nazionale, con fucile e pistola», negò «energicamente», riconoscendo solamente il suo ruolo di ambulanziera nel 132° battaglione. I rapporti della polizia nei commissariati «Contesto delle azioni della Comune" raccoglierà tutte le denunce, accumulerà tutte le presunzioni. Una falla negli orari viene immediatamente interpretata come una più che probabile partecipazione ai combattimenti nei quartieri invasi. Questo è il caso di Nathalie Le Mel, che non ha dormito a casa sua dal 22 al 28 maggio, ma si è rallegrata il 24 maggio assistendo al fuoco delle Tuileries: "Dato che non vogliamo più un re, non abbiamo più bisogno di un castello”, o Marie-Catherine Rogissart, scomparsa dal 21 al 27 maggio e quindi sospettata di aver sparato sulla barricata di Austerlitz.
Basterà anche trovare nel discorso di tali minacce imputate contro i "briganti di gendarmi" e i "maiali di cappotti" o un incitamento alla lotta armata per arrestare e, se possibile, condannarlo. Sempre dai verbali, risulta che Marie Segaud, sposata Orlowski, presunta “madre Duchene” della chiesa di Saint-Michel des Batignolles, cercava di addestrare le donne nel suo quartiere a costruire barricate prima e soprattutto dopo l'arrivo dell'esercito. Le imputate raramente confessavano, il che è umano, e quindi le accuse sono spesso fatte solo per inferenze e presupposti. Béatrix Excoffon, per esempio, fu vista il giorno in cui «le truppe entrarono a Montmartre» nel corridoio della casa che ospitava il Comitato di Vigilanza con una «pistola in mano>; si dice che abbia voluto «sparare ai soldati», ma negò questo fatto perché ha consegnato solo un fucile alla polizia durante le perquisizioni. Alcune, come una certa Quanteck Marie sposata Goupy, amica di Cousin, un artigliere comunardo, «vista con lui negli ultimi giorni dell'insurrezione in divisa da artigliere» in particolare il 28 maggio «tornando (...) dalle Buttes Chaumont», vennero «inviate» dinanzi alle corti marziali; altre, come Puyo Catherine, sposata Eygazier, «frequentatrice di club», o Lise Seret sposata Bourrette, «hanno riferito di aver lavorato alla barricata in rue Ménilmontant», vennero rilasciate per «insufficienza di prove» ...
Sotto la penna dei cronisti o dei romanzieri, più spesso legati alla perdita della loro ragione e meno, o per niente, consapevoli, il destino morale riservato ai Comunardi può essere persino peggiore di quello che era stato loro inflitto dai continui consigli di guerra. Dalla ricerca dei fatti, anche distorti dalla repressione, passiamo alla rappresentazione spudorata. Scrittori e belle menti si scatenarono contro la «memoria dei vinti», moltiplicando una letteratura esasperata e piena di falsità.
Detto questo, è giusto ammettere, da un lato, che non tutte le persone di piume hanno fatto parte di questo coro. Oltre alle opere partigiane del Comune, che dovrebbero anche essere gestite con cautela, ci sono opere, soprattutto degli anni 50, di scrittori e storici che hanno intrapreso un'analisi vasta e sempre più critica riguardante la Comune, che però hanno avuto solo il merito di aprire la strada ai ricercatori di buona volontà per una ricerca della reale verità.
Felicite Paul

Prove di sangue o statistiche?
Prima ancora di guardare le testimonianze sulla morte delle donne durante la Settimana sanguinante ed esaminare l'affidabilità di varie statistiche per trovare prove più o meno dirette della partecipazione delle donne alla guerra di strada, sembra necessario sottolineare che, i combattenti di questa battaglia dei sette giorni, disperati, essendo pochi in confronto al numero della Guardia Nazionale, non è quindi sorprendente notare che anche le combattenti erano una notevole minoranza rispetto al popolazione femminile di Parigi.
Mentre ci sono stime molto ragionevoli del numero di combattenti di sesso maschile in questi giorni, lo stesso non lo è per le donne. Quella di 10.000, calorosamente avanzata da Benoît Malon e Louise Michel, crediamo non possa essere attendibile in alcun caso. Questo numero include probabilmente le donne che hanno aiutato e incoraggiato la difesa, in particolare con la costruzione di barricate, ma non può essere quella delle combattenti, piccoli gruppi più spesso mescolati con uomini o donne isolate che hanno combattuto individualmente come alcuni Federati, a seguito dei ritiri a causa dell'avanzamento dei combattimenti.
Dobbiamo quindi concentrare la nostra attenzione sulle vittime. Sono state uccise molte donne? Ancora una volta, le fonti non consentono una valutazione accurata. I resoconti dei testimoni oculari sono rari. La maggior parte di loro erano ribelli che, fuggendo dalla repressione, notarono la presenza di cadaveri femminili, con coccarde rosse annodate nei loro capelli, in fosse comuni
La rabbia dei militari contro le Comunarde giovani e vecchi che è stata osservata, potrebbe aver provocato uccisioni collettive o individuali con fucilazioni di massa di donne e bambini o con le sciabole. Citiamo cinquantadue donne che sarebbero cadute sotto i proiettili di Versailles, in boulevard Voltaire, i massacri del Luxembourg e del «quartiere di Rivoli». «Pétroleuses» e «Comunarde» sono state sommariamente giustiziate e testimoni (Lissagaray, Vuillaume e Victorine Brocher ... per esempio) hanno ricordato alcune atrocità commesse da militari versagliesi.
In assenza di statistiche ufficiali (sembra si sia ignorato la distinzione tra i sessi in termini di morti) possiamo sempre fare riferimento a Paul Martine che stima la percentuale di donne uccise al 20%, ogni strada ha avuto, secondo lui, i suoi cadaveri femminili. Tuttavia, è impossibile sapere con precisione quante sono morte durante i combattimenti o subito dopo, durante le esecuzioni sommarie o dopo il passaggio davanti al tribunale militale I consigli di guerra ovviamente sono rimasti in silenzio su questo capitolo delle fucilazioni; non vi è inoltre alcuna indicazione del numero di combattenti donne. Soggetto tabù. Le statistiche riguardanti più di 1.000 donne incarcerate in seguito agli eventi (600 beneficiarono di non luoghi a procedere) non consentono di sapere quante di loro fossero sulle barricate, poiché la giustizia militare non voleva parlare di questo argomento che non era a vantaggio dell'istituzione. Se i militari hanno praticato il blackout, è certamente perché non erano molto preoccupati di far sapere che il loro “glorioso esercito” aveva talvolta combattuto contro le donne e che aveva anche commesso stupri durante le perquisizioni. Hanno preferito costruire una statistica delirante nel tentativo di dare un'immagine «scientifica» negativa delle Comunarde, tutte o quasi, secondo loro, «senza morale». Lì si ritrovarono all'unisono con i sacerdoti che, nei loro scritti, li superavano ancora di rabbia. È comunque vero che le donne dei club avevano proposto di usare i corpi dei sacerdoti per fare barricate.
Petroleuse 1871

Mito o realtà?
Se esiste un mito "positivo" della barricata delle donne, la sua origine è quindi comunarda. Se è stato creato nell'immaginazione degli attori e dei testimoni per diventare rapidamente una certezza storica ripresa instancabilmente in seguito, è soprattutto perché esistevano condizioni oggettive nel 1871. Le donne, organizzate in modo autonomo, pianificarono di partecipare militarmente alla difesa di Parigi, rivendicando un armamento efficace. All'inizio della Settimana sanguinante se ne erano viste alcune muoversi armate e tutti erano stati in grado di osservarle nei diversi quartieri di Parigi, aiutando nella costruzione delle barricate o invitando i passanti a posare lì le loro pietre per lastricati. Se questi stessi lavori non dimostrano una partecipazione ai combattimenti, è certo che nel 1871 le donne poi si unirono efficacemente alla battaglia di strada sparando fino alla morte. Questa partecipazione militare ha ricevuto poca attenzione da parte dei grandi testimoni e ha appena suscitato l'analisi degli storici, che hanno piuttosto rivolto, per quanto riguarda le donne, ad altre priorità. Non osiamo pensare che questa scelta forse maschera l'esclusione delle donne da un'area che è in linea di principio riservata agli uomini: la lotta armata. Questo impegno bellico dei Comunardi fu comunque un fatto originale ed esemplare sufficiente per alimentare un mito: quello di una barricata difesa solo dalle donne contro intere divisioni di versagliesi, composta naturalmente da uomini.
Alla fine, qui ci troviamo di fronte a una logica del simbolo: la Comune è spesso rappresentata da una donna che si ribella all'estremo scendendo in piazza per condurre l'ultimo combattimento. Questa rivoluzione espropriata dagli uomini, effettivamente eseguita anche da donne che non avevano altra alternativa, può trovare nell'esistenza di una barricata femminile la sua ragione (se le donne difendevano è perché fu davvero una rivoluzione di tutto il popolo: «Siate gloriose spose della Repubblica!» esclamò Lissagaray ne Le Tribun du Peuple del 24 maggio 1871) ma anche un simbolo difficile da sostenere per i conservatori. Come hanno potuto rivendicare senza perdere tutta la dignità questa lotta contro le donne? Allo stesso tempo, queste incarnano la molto vene la Comune. E questo ci riporta agli sviluppi di Maurice Agulhon[9] nel suo libro Marianne au combat (Marianne in lotta) sulle allegorie viventi e sul «puro simbolismo delle battaglie senza fiato». Queste vere «combattenti con il cappellino rosso», avvolti in sciarpe e ornati di coccarde dello stesso colore, con bandiere scarlatte, impersonavano davvero questa rivoluzione sociale che era schiacciata nel sangue.
«La scrittura più vera non può ripristinare completamente la realtà, la scrittura più ingannevole non può nasconderla del tutto».









[1] Sutter-Laumann (1852-1892) era un giornalista francese.
[2] Jean Braire (Saint-Nazaire 3 novembre - Milly 21 febbraio 2003); opereaio tornitore; sindacalista e comunista.
[3]Paul e Victor Margueritte erano due scrittori francesi (Paul: Laghouat, Algeria, 1860 - Hossegor, Landes, 1918; Victor: Blida, Algeria, 1866 - Monestier 1942). Paul esordì con una serie di romanzi naturalistici (Tous quatre, 1885; Pascal Géfosse, 1887; Jours d'épreuve, 1889; La force des choses, 1891; ecc.). Nel 1896 s'associò il fratello minore e scrissero insieme, fin verso il 1908, principalmente un ciclo di romanzi, Une époque, sulla storia di Francia dal 1870-71, che rappresenta il meglio dell'attività di entrambi. Victor (compagno di viaggio di comunisti e pacifisti) da solo ricercò il successo con romanzi di argomento erotico, e l'ottenne con La garçonne (1922), La femme en chemin (1922-24) e altri consimili.
[4] Édith Thomas (Montrouge, 23 gennaio 1909 – Parigi, 7 dicembre 1970) era un romanziere, archivista, storico e giornalista francese. Pioniera bisessuale della storia delle donne, si dice abbia ispirato un personaggio del romanzo erotico Story of O.
[5] Louis Fiaux era medico e politico francese (1847-1936).
[6] Tristan Rémy (Blérancourt, 24 gennaio 1897 – Mériel, 23 novembre 1977) era uno scrittore e storico del circo francese.
[7] Catulle Mendès (Bordeaux, 22 marzo 1841 – Saint-Germain-en-Laye, 7 febbraio 1909) è stato un poeta, scrittore e librettista francese.
[8] La chiesa di Santa Maria Maddalena (detta anche La Madeleine), è un luogo di culto cattolico di Parigi situato nell'area degli Champs-Élysées,
[9] Maurice Agulhon (Uzès, 20 dicembre 1926 – Brignoles, 28 maggio 2014) è stato uno storico francese.