lunedì 2 settembre 2019

02-20-66 - Le Cri du peuple

LE CRI DU PEUPLE (IL GRIDO DEL POPOLO)
Giornale Politico Quotidiano


Redattore capo: Jules Vallès.
Amministrazione e redazione:, rue de Rennes 61.
Ufficio di vendita: rue d’Aboukir 9 e rue du Croissant 13.
Direttore e stampatore: A. Chevallier, rue d’Aboukir 9.
Foglio singolo, misura media, dal n° 1 al n° 5, grande formato dal n° 6 alla fine, 5 colonne per pagina. Prezzo: 5 cent.
83 numeri da mercoledì 22 febbraio a martedì 23 maggio 1871.
"Giornale Politico Quotidiano"; giornale aperto a tutte le tendenze del socialismo (compreso l'anarchismo), un giornale popolare, come suggeriva il nome. Trattava di politica e di sociale, parlava di popolo al popolo. Il suo prezzo era di cinque centesimi (un soldo), e veniva stampato a Parigi, al numero 9 di rue d'Aboukir. Venivano stampate 50.000, 80.000 o anche 100.000 durante la Comune e diventò il giornale più letto e famoso della capitale degli insorti. La dura repressione che seguì la caduta della Comune è probabilmente la causa della sua scomparsa degli archivi. Di conseguenza, le uniche fonti, oltre che le copie del giornale stesso, si trovano nei registri raccolti dalla polizia e dalla giustizia militare. Quattro altri giornali, per non parlare del Journal Officiel (Giornale Ufficiale), hanno avuto tanto pubblico: La Commune, Le Mot d’ordre (La Parola d’ordine), Le Père Duchêne (Il Padre Duchêne), Le Vengeur (Il Vendicatore), ma non come Le Cri du Peuple, perché edito da una redazione semplice e non autoritaria, che dava la giusta forza alla riflessione sulla realtà e aveva la convinzione che la sincerità rende spontaneamente appassionati, ed informava sugli eventi cittadini senza cadere in volgarità o sentimentalismi.
Jules Vallès, suo creatore e redattore capo, né teorico né l'ideologo della rivoluzione, ha scritto la maggior parte degli editoriali che avvincevano il lettore per il  loro ardente entusiasmo rivoluzionario. Nel primo numero del giornale, Vallès predisse l'arrivo del socialismo: "Il Sociale sta arrivando, hai sentito? Arriva a passi da gigante, portando non la morte, ma la salvezza. Attraversa le rovine e grida: maledetti i traditori! maledetti i vincitori!"
Vallès si circondò di giornalisti di talento il cui passato di oppositori di Napoleone III era la più sicura garanzia delle loro convinzioni repubblicane. Tra i suoi collaboratori, spesso occupati in attività politiche e militari, ricordiamo: Henri Bellenger, Henry Bauër, Eugène Vermersch (che in seguito lasciò il giornale per occuparsi di Le Père Duchéne), Casimir Bouis, Jean-Baptiste Clément, Albert Breuillé, Henri Place (detto Henri Verlet), Louis Lucipia, Albert Goullé. Durante la Comune, la Redazione è aumentata di numero; entrarono a far parte: Pierre Denis, Charles Rochat, Gustave Courbet, André Léo, Maréchal. Un’équipe giovane, varia e vivace che rappresentava le diverse tendenze del movimento socialista, dai proudhoniani[1] ai blanquisti[2], dagli internazionalisti ai giacobini[3]. Nonostante tali diverse opinioni, Vallès riuscì a dare un tono unico e inimitabile al suo giornale che incarnava le aspirazioni dei giovani che soffrivano la fame di libertà. Moderava gli eccessi del linguaggio senza compromettere la libertà di espressione. Si riservava il diritto di modificare la sua posizione e incolpare i rappresentanti del popolo, quando lo meritavano purché non si discostassero dagli obiettivi della rivoluzione.
L'esistenza del giornale fu breve e turbolenta. Il numero 1 uscì il 22 febbraio, ma il giornale venne soppresso dal generale Vinoy l’11 marzo al numero 18. Il 19 marzo, Vallès si organizzò per lanciare un nuovo giornale, Le Drapeau (La Bandiera), che doveva essere redatto per aggirare il divieto di Vinoy; ma l'insurrezione parigina iniziata quello stesso giorno, che portò in seguito alla proclamazione della Comune, ha reso questa provvedimento inutile, infatti il 21 marzo riappari Le Cri du Peuple, con il suo numero 19, uscendo regolarmente per tutto il periodo della Comune, fino al numero 83 del Martedì 23 maggio 1871.
Il 18 marzo, nel momento in cui Parigi veniva abbandonata dal governo, Le Cri du Peuple iniziò il secondo periodo della sua vita, riapparendo il 20 marzo, con la sorpresa e lo stupore dei suoi giornalisti che non si aspettavano certo gli eventi di Montmartre. Vallès fu disorientato dagli eventi e incerto sulla linea da seguire. Tuttavia, la sua prosa vivace e romantica produsse subito le descrizioni più memorabili della rivoluzione durante la sua breve esistenza.
Manifesto della dichiarazione al popolo francese
del 19 aprile 187
Il Grido del popolo, durante questo periodo, fu dominato dalla personalità di Pierre Denis, l'ideologo, il teorico che mancava al giornale. Convinto proudhoniano[1], Pierre Denis, nel pensiero e attraverso i cinquanta articoli scritti dal 20 marzo al 22 maggio, dimostrò grande rigore intellettuale. Appassionato delle teorie comunarde e federaliste, orientò il suo amico Vallès e il giornale all'idea della completa autonomia dei comuni e, quindi, di Parigi.
Denis fu l’autore del manifesto «Déclaration au peuple français (Dichiarazione al popolo francese)» del 19 aprile 1871, il manifesto ufficiale del governo rivoluzionario; alla sua influenza si deve l'orientamento federalista e anti-autoritaria del giornale. 
Sia Denis che Vallès diffusero l'idea di un movimento libertario, accogliente, repubblicano e parigino - la Comune doveva fare "Parigi città libera". Un tale movimento avrebbe attirato i repubblicani senza limiti di classe, perché "la classe media lavoratrice" era, secondo Vallès "la sorella del proletariato". Quella interpretazione rassicurante, che sottolineava la libertà repubblicana e diceva poco circa le rivendicazioni economiche, può aver contribuito a far partecipare la piccola borghesia repubblicana all’insurrezione.
Il numero 19 chiarì nettamente le cose: la Rivoluzione si deve limitare a Parigi, che doveva lasciare il resto della Francia di agire a suo piacimento e che Parigi doveva quindi dichiararsi città libera. Sulla stesso numero si suggeriva di prendere immediatamente diversi provvedimenti: costituire un governo provvisorio formato da un consiglio comunale, da un gruppo di parlamentari parigini e dal Comitato Centrale; eleggere cinque consiglieri comunali per quartiere; abolire la Questura; eleggere lo Stato Maggiore della Guardia Nazionale; eleggere un sindacato che preparerà un progetto di legge sulle scadenze; inviare cinque delegati a Versailles per iniziare le trattative, e per lo stesso motivo inviarne altri cinque dai prussiani per assicurare che Parigi avrebbe rispettato i trattati.
Jules Vallès, distinguendo la borghesia parassitaria della classe media "lavoratrice", chiamò quest’ultima a collaborare con la Comune; Pierre Denis scrisse: "Dove non ci sono garanzie, non ci può essere riconciliazione, perché non c'è sicurezza".
Un grande sforzo fu fatto per esortare i parigini a partecipare alle elezioni, il 26 marzo, in maniera massiccia, come allo stesso modo aveva esortato la popolazione della capitale a votare alle elezioni per l'Assemblea nazionale, sostenendo i candidati della sinistra. Nel numero 26 venne pubblicato l'elenco dei candidati e il manifesto del Comitato centrale repubblicano dei venti arrondissements, manifesto che conteneva le idee essenziali del comunitarismo.
La calma in cui le elezioni ebbero luogo e il loro successo ispirarono Vallès che, molto commosso, scrisse un breve articolo nel numero 27: "Che giornata! il sole caldo e luminoso che indora le bocche dei cannoni, l’odore dei mazzi di fiori, lo sventolio delle bandiere! Il mormorio di questa rivoluzione, che passa tranquillo e bello come un fiume azzurro".
Nelle elezioni  di marzo Jules Vallès venne eletto nel XV arrondissement, e Jean-Baptiste Clément a Montmartre. A causa della sua elezione, Vallès collaborò poco alla stesura del giornale, smise di scrivere, infatti, dopo 19 aprile perché il suo compito di membro eletto della Comune lo tenne lontano per un po'.
Nel numero 29: in un articolo, firmato Le Cri du Peuple, la proclamazione della Comune venne descritta in termini piuttosto pomposi: "Oggi è la festa nunziale dell'idea e la Rivoluzione", e concludeva con "Dopo la poesia del trionfo, la prosa del lavoro".
Élisée Reclus me tre legge Le Cri du Peuplenel giardino della sua casa di Bruxelles
Il giornale adottò sin dai primi giorni della Comune, un atteggiamento equilibrato, chiedendo che i generali reazionari, rimasti a Parigi, non venissero puniti, ma giudicati. Il tono cambiò durante la guerra civile, dal 2 aprile. I redattori del Cri du Peuple erano divisi tra i sostenitori di una marcia su Versailles e il rifiuto di ogni riconciliazione. L'apertura delle ostilità suscitò ovviamente rabbia. In "Essere o non essere", pubblicato nel numero 32, Bouis esclamava: "Vogliamo vivere fino alla fine ... Noi siamo stati gli eterni diseredati. Noi siamo il popolo degli sfruttati, che per seimila anni, dissanguati per tutto il nostro cammino, rantolare su tutto il calvario, e dobbiamo prenderci la nostra rivincita, la rivincita della giustizia".
Nel numero 33 Valles ha scritto un bel appello alla borghesia: con un articolo dal titolo "Decidete", in cui ha predetto i terribili massacri che accompagnarono la vittoria della reazione.
A partire dal numero 34, spazio alle "Ultime Notizie", alle notizie dei combattimenti ("La Battaglia"), agli atti ufficiali, agli avvisi e alle relazioni, che crescono notevolmente a discapito degli articoli di fondo, ad eccezione del numero 38 dove Denis pubblicò un progetto di trattato tra il Governo di Versailles e "Parigi, città libera", che delimitava l'autonomia della Città, e dove Vallès parlava dei funerali delle guardie nazionali uccise in combattimento: "Le baionette, questa stasera, hanno avuto barlumi malinconici e tristi sotto il cielo grigio, e c'erano lampi di tristezza terribile, negli occhi senza lacrime!"
Dopo il 13 aprile, e il rifiuto di Thiers a qualsiasi negoziato, all'unanimità l'intera redazione si dichiarò a favore della guerra ad oltranza. Centrarono i loro articoli con le notizie sulla guerra, sulle storie degli scontri, i giornalisti esaltarono il coraggio dei federati.
Il numero 48 spiegava perché, ormai, gli articoli stessi saranno rari: "I redattori del Cri du Peuple sono ciascuno nel loro posto; uno all’Hôtel de Ville, come membro della Comune; un altro in un municipio, come presidente della sezione; un altro ancora al comando di un battaglione in prima linea. Tutti i redattori si danno da fare per salvare la Repubblica e per liberare per sempre Parigi. Che i lettori de Le Cri du Peuple non si stupiscano nel non vedere la firma alla fine degli articoli, che noi non abbiamo né il tempo né il coraggio di scrivere, tra l'odore della polvere da sparo e la tempesta scatenata dai cannoni. Non occorre pesare le gocce d'inchiostro, quando scorrono fiumi di sangue, e non con una penna, ma con una baionetta, che deve essere scritta questa meravigliosa storia di Parigi, sollevata e vittoriosa ...".
Prima pagina del primo numero alla sua ricomparsa nel 1883
(Domenica 28 ottobre)
I grandi articoli che apparivano ancora erano per lo più scritti da Pierre Denis, e definivano il programma comunale: "La nostra rivoluzione" (numero 50), "Centralizzatori" (numero 54); gli altri analizzavano l’attualità: "La Provincia" (numero 55), "Thiers e la Rivoluzione" (numero 57). Gli articoli di J. B. Clément: "Il pugno di faziosi" (numero 59) e "I croccanti di Bagnolet" (numero 63) erano contro i contadini nei pressi di Parigi, che erano troppo presi dai loro soldi e dalla loro terra per capire che Parigi moriva per la loro libertà.
Nel mese di maggio, Le Cri du Peuple rispecchiava le opinioni della minoranza e la sua ostilità al Comitato di Salute pubblica. Tuttavia, in "Silenzio in politica" (numero 75), Pierre Denis chiedeva che nel momento in cui entrava in azione "tutto deve tacere davanti l'organizzazione, il lavoro e il combattimento".
Nel numero 78 apparve un articolo firmato Le Cri du Peuple sulla demolizione della colonna Vendôme: "È caduta, questa colonna fatta di cannoni acquistate da tanti cadaveri; ... monumento della dittatura della sciabola, del dispotismo militare ... Giustizia è fatta!" Gli ultimi numeri richiamavano all'unità: "Non c’è oggi, e non può più esserci un popolo pronto a conquistare o pronto a morire ... Le discussioni? I dubbi? - In nome della salvezza pubblica, cerchiamo di essere uniti fino alla vittoria ...". Questo appello corrispondeva alla parte più generale del programma che si era fissato il giornale: "Le Cri du Peuple persegue con un obiettivo: il trionfo della Rivoluzione" (numero 60).
Dopo la Settimana sanguinante, Le Cri du Peuple cessò le sue pubblicazioni.
Annuncio della pubblicazione di Germinal nel 1885
I suoi giornalisti, come tutti gli altri giornalisti che collaborarono con i giornali favorevoli alla Comune, furono severamente puniti dal governo di Versailles vincitore: Jules Vallès (che era riuscito a fuggire nascondendosi a Londra, una città che odiava) fu condannato a morte in contumacia Henri Place, condannato alla deportazione in una fortezza; Casimir Bouis condannato alla deportazione in una fortezza; Jean-Baptiste Clément condannato a morte in contumacia; Eugene Vermersch condannato a morte in contumacia; Pierre Denis condannato in contumacia alla deportazione in una fortezza ... Molti di loro avevano svolto anche mansioni in campo militare o nell’ amministrazione civile della Comune, ma in ogni caso la loro collaborazione con la stampa comunarda fu un fattore aggravante per la condanna. Jules Vallès nel 1880, grazie all’amnistia, ritornò a Parigi, con l'aiuto finanziario di Adrien Guebhard[4] e con la collaborazione intellettuale di Séverine[5], la compagna di quest'ultimo, Vallès rilanciò il giornale il 28 ottobre 1883. Questa seconda versione continuò ad essere pubblicata anche dopo la morte del suo fondatore, diretta, durante i primi anni, da Séverine[5].
Le Cri du Peuple, sia per le sue modifiche che per gli errori di numerazione, è uno dei giornali più difficili da dare dal punto di vista bibliografico. Per chiarezza, lo seguiremo giorno per giorno.
N° 6, lunedi 27 febbraio. - Uscito in grande formato. La reditoriale e l’amministrazione passano in rue d'Aboukir 9.
N° 8, martedì 1 febbraio, edizione del mattino. È un errore Dovrebbe essere: mercoledì 1 marzo. Edizione del mattino. Questo numero conteneva una dichiarazione dei Comitati della Corderie che esortava il popolo a rimanere calmo all'ingresso dei Prussiani a Parigi. Questa dichiarazione è stata stampata nella forma del giornale, con lo stesso titolo, con il numero 8, ma senza data, da Towne e Vossen, rue di Aboukir 9, ed affisso nei faubourgs e sui boulevards.
N° 9, mercoledì 1 marzo, nuova edizione. È stato stampato con un bordo nero in segno di lutto per l’ingresso dei Prussiani a Parigi.
Il 2 e 3 marzo il giornale non è uscito a seguito dell'ingresso dei prussiani a Parigi. Venne ripubblicato il 4 marzo con il numero 10.
N° 18, domenica 12 marzo. - Questo è l'ultimo numero della prima serie. Soppresso con decreto del generale Vinoy.
Il 19 marzo, Jules Vallès ha pubblicato il suo giornale sotto il titolo di Le Drapeau (La Bandiera): ma la rivoluzione del 18 marzo gli consentì di riprendere il suo precedente titolo.
N° 19, martedì 21 marzo. Ripubblicazione. - H. Rolle, Direttore e stampatore, rue Aboukir 9. - Henri Bellenger, segretario della redazione.
N° 21. - Questa è la seconda edizione del n° 20, mercoledì 22 marzo. Porta del resto la stessa data..
N° 24, sabato 25 marzo. Jules Vallès, Stampatore-Direttore,  rue Aboukir 9.
N° 30, sabato 1 aprile. È un errore Questo è il n° 31.
N° 7, sabato 13 maggio. È il numero 73, di cui quasi tutte le copie sono stampate con questo errore. Il vero numero 7 è di martedì 28 febbraio.
Infine, N° 74, domenica 14 maggio. Responsabile: J. Vallès. – Stampato da Dubuisson e C. - Redazione, ufficio vendita e amministrazione, rue d'Argout 8.


Le copie di Le Cri du Peuple

Interruzione della pubblicazione del Cri du Peuple per decisione del generale Vinoy

Mettiamo a disposizione anche il Le Cry du Peupe del 18 marzo 1914 dove c’è un’ampia revocazione del 18 marzo 1871.

                                                                        Le Cri du Peuple nuova edizione n° 1 - 18 marzo 1914



[1] Per proudhoniani s’intendono definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx definì socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una società libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro i problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.
[2] Il blanquismo fu un movimento dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta raggiunta, del comunismo in Francia, che era in vigore durante il diciannovesimo secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa fazione, il francese Louis Auguste Blanqui.
[3] Con il termine giacobinismo si intende un movimento e un'ideologia politica risalenti all'esperienza del Club dei Giacobini durante la Rivoluzione francese (il club des Jacobins fu un'associazione politica fondata a Parigi nel novembre 1789 con sede nel convento domenicano di San Giacomo -Saint-Jacobus- in rue Saint-Honoré). Il giacobinismo si diffuse in buona parte dell'Europa durante l'epoca rivoluzionaria ed ebbe un'influenza politica notevole nella storia francese per tutto il XIX secolo, in particolare negli eventi della Rivoluzione di luglio, della Rivoluzione francese del 1848 e, soprattutto, nell'esperienza della Comune di Parigi del 1871. Il giacobinismo è sopravvissuto a lungo alla sua fine storica, che viene canonicamente fissata al 1800. Quello che Vovelle ha definito giacobinismo trans-storico ha infatti alimentato le vicende politiche della Francia e, in parte, anche del resto d'Europa. Durante la Rivoluzione di luglio, nel 1830, si assisté a una nuova fase del giacobinismo, dove tuttavia andarono a mescolarsi istanze repubblicane, socialiste e cattoliche, unite solo dall'opposizione a una nuova esperienza monarchica[. Il “neogiacobinismo” del XIX secolo, sempre più legato al socialismo repubblicano, si consolidò con la rivoluzione del 1848 e con la Seconda Repubblica, ma finì per essere spazzato via dall'ascesa di Napoleone III. Con la brevissima e drammatica esperienza della Comune di Parigi (1871), il giacobinismo tornò al governo della capitale francese, in una replica delle forme dell'anno II, a partire dalla ricostituzione del Comitato di salute pubblica e dalla rinnovata applicazione del vecchio Calendario repubblicano. La diffusione del comunismo su scala europea, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, alimentò le ipotesi di una sua discendenza dal giacobinismo. Karl Marx e Friedrich Engels, nel 1848, lo scrissero esplicitamente: “Il giacobino del 1793 è diventato il comunista dei giorni nostri”.
[4] Adrien Guebhard (1849-1924), professore di medicina, figlio di una ricca famiglia svizzera, e sposo (nel 1885) della scrittrice e giornalista francese, di idee libertarie e femministe, Caroline Rémy de Guebhard, conosciuta anche con lo pseudonimo di Séverine[5].
[5] Caroline Rémy de Guebhard (Parigi, 27 aprile 1855 - Pierrefonds, Francia, 24 aprile 1929) è stata una giornalista francese simpatizzante dell'anarchismo, militante della Lega dei Diritti dell'Uomo e femminista conosciuta anche con il nome di Séverine. Caroline si sposa a 17 anni con il suo primo marito, Antoine-Henri Montrobert, un impiegato del settore del gas. Dopo aver dato alla luce un figlio, divorzia dal marito e diviene la compagna di Adrien Guebhard[4], professore di medicina e figlio di una ricca famiglia svizzera, con cui si sposa nel 1885, ovvero non appena il divorzio viene autorizzato legalmente in Francia. Da questo rapporto nasce un altro figlio, Roland. Nel 1879 conosce a Bruxelles il comunardo e internazionalista Jules Vallès e ne diviene la segretaria. Questo incontro cambierà per sempre la sua vita. Grazie al sostegno finanziario del dottor Guebhard[4] rilancia la pubblicazione de Le Cri du peuple, giornale aperto a tutte le tendenze del socialismo (compreso l'anarchismo), di cui prende la direzione dopo la morte del suo fondatore, ma che poi abbandonerà nel 1888 dopo un conflitto con il marxista Jules Guesde. Innamoratasi nel 1885 di Georges de Labruyère, giornalista de L'Echo de Paris, convivrà con lui sino al 1920, anno di morte del giornalista. Nel 1897, dietro lo pseudonimo di Arthur Vingtras, pubblica alcune cronache libertarie in «La Fronde», il quotidiano femminile di Marguerite Durand, una giornalista femminista a cui era molto legata. Séverine prosegue a scrivere per altri giornali, nei quali esalta l'emancipazione femminile e denuncerà ogni sorta di ingiustizia sociale: dal cosiddetto «Affaire Dreyfus» alla difesa degli imputati della Banda Bonnot e di tutti i libertari che nel tempo furono accusati di ogni sorta di reato: Clément Duval, Germaine Berton, Auguste Vaillant, Francisco Ascaso, Buenaventura Durruti e Gregorio Jover. Nel luglio 1927 partecipa alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti e denuncia la montatura giudiziaria ordita ai loro danni.