giovedì 29 novembre 2018

02-04 - L'opera della Comune

L'OPERA DELLA COMUNE


La stampa

Tra i primi provvedimenti del Comitato Centrale, all'indomani del 18 marzo, vi era stato quello di garantire libertà di stampa per tutti, anche se in maggio, nelle ultime settimane della sua esistenza, la Comune soppresse tutti i giornali conservatori e reazionari, che del resto continuarono ad uscire a Versailles, dove trasferirono le redazioni.


Le finanze e i servizi

Si stabilì che anche i non-francesi avevano pieno diritto di cittadinanza nella Comune, dal momento che in una repubblica universale «tutte le città hanno il diritto di considerare propri cittadini gli stranieri che la servono». Avvenne così che due polacchi, Dombrowski e Wroblewski, furono tra i comandanti militari e l'ungherese Léo Frankel uno dei commissari della Comune.
L'esercito permanente venne abolito con decreto del 29 marzo: nella tradizione di tutti gli Stati esso era utilizzato non solo per aggredire i popoli stranieri, ma per opprimere gli stessi concittadini. Pertanto, ad esso subentrò la Guardia Nazionale, che rappresentò tutto il popolo armato. La polizia venne adibita all'esclusivo esercizio della repressione dei reati comuni, togliendole ogni funzione politica.
Per quanto riguarda la burocrazia, nello stesso decreto venne adottato il provvedimento di eleggere i funzionari amministrativi, che in tal modo divennero revocabili in qualsiasi momento. Il loro stipendio massimo era fissato a 6.000 franchi annui: lo stipendio dei membri del Consiglio, pari a 5.475 franchi (15 franchi al giorno) era così inferiore a quello di un dirigente della pubblica amministrazione.
La Comune, come scritto in altro capitolo, commise il grave errore di non nazionalizzare la Banca di Francia, la quale possedeva, in marzo, più di due miliardi e mezzo di franchi tra contanti e titoli. Avendo a disposizione, per le spese correnti, poco più di quattro milioni e mezzo di franchi, la Comune, nei circa due mesi della sua esistenza, richiese alla Banca prestiti scaglionati per un importo complessivo di circa venti milioni, una somma evidentemente minima rispetto alle disponibilità della Banca di Francia.
Quella di concedere sovvenzioni ad intermittenza fu una politica suggerita ai governatori della Banca direttamente da Thiers, il quale temeva che in caso di resistenze essa fosse nazionalizzata. Versailles, nello stesso tempo, ottenne sovvenzioni per più di 257 milioni, una somma superiore di più di dieci volte a quella percepita da Parigi. La responsabilità di non aver controllato direttamente il maggior organismo finanziario della Francia va assegnata ai due commissari Charles Beslay e François Jourde, ma più in generale al «timore sacro» provato da gran parte degli uomini della Comune di fronte all'istituzione finanziaria.
Con risorse modeste, la Comune doveva provvedere a mantenere in funzione i servizi pubblici, dai quali erano scomparsi i tre quarti degli impiegati; gli ospedali ad esempio, furono svuotati delle attrezzature dal governo di Versailles e il personale, composto in gran parte da suore, aveva scarsa volontà di collaborare. Anche le poste erano da rimettere a posto. Un altro problema era rappresentato dal tentativo di Thiers di affamare la città, impedendo che i treni merci raggiungessero Parigi.


La politica sociale

La Comune non ebbe il tempo materiale per organizzare un coerente programma di riforme sociali e dovette affrontare solo i problemi più urgenti del momento.
Decreto sugli affitti, 29 marzo
Il problema degli alloggi era certamente uno dei più importanti per una città che aveva subito un lungo assedio. Il 30 marzo 1871 si decretò che per tre trimestri, dal 1° ottobre 1870 al 30 giugno del 1871, gli affitti non erano dovuti (si trattò dunque di un'esenzione e non di un rinvio dei pagamenti degli affitti) in quanto «è giusto che anche la proprietà sopporti la sua parte di sacrifici». Il 25 aprile si requisirono gli alloggi sfitti per assegnarli alle famiglie le cui abitazioni erano state danneggiate dai bombardamenti delle truppe di Thiers.
Il problema del pagamento delle cambiali in scadenza, problema particolarmente sentito da artigiani e piccoli commercianti messi in difficoltà dal crollo dei consumi verificatosi durante l'assedio, fu preso in considerazione dal 19 marzo con l'emanazione di un decreto di rinvio delle scadenze, e il 18 aprile fu stabilito che i pagamenti dovevano essere effettuati dal 15 luglio, in tre anni e senza interessi.
Quello del pignoramento degli oggetti depositati al Monte di Pietà era un altro problema che assillava gran parte della popolazione che, vivendo in generale povertà, era far uso impegnare le poche cose di valore nei momenti di particolare difficoltà. Il direttore del Monte di Pietà aveva annunciato, il 20 marzo, la vendita all'asta, a partire dal 1° aprile, degli oggetti pignorati. Sulla questione ci furono delle divisioni tra coloro che volevano abolire immediatamente il Monte di Pietà «sia per l'immoralità del principio che li regge, sia per l'assoluta inefficacia del loro funzionamento economico». Dopo un decreto di sospensione delle aste, emanato il 29 marzo, fu deciso il 7 maggio di concedere la restituzione gratuita degli oggetti impegnati di prima necessità di un valore pari o inferiore ai 20 franchi: la Comune si assumeva l'onere di rimborsare il Monte, per una spesa che superava i 300.000 franchi.
Per affrontare il problema della disoccupazione, aumentata a seguito della fuga da Parigi dei proprietari di aziende grandi e piccole, il 16 aprile la commissione lavoro istituì una commissione d'inchiesta, a cura delle camere sindacali, che fece un elenco delle officine e laboratori inattivi, inventariò i loro beni e provvide a costituire cooperative di lavoratori che ne presero possesso. Un tribunale arbitrale avrebbe poi commisurato l'entità degli indennizzi spettanti ai proprietari.
Il 27 aprile un decreto stabilì la soppressione delle multe sui salari operai (un'abitudine del padronato del Secondo Impero) e impose la restituzione di quelle inflitte dopo il 18 marzo.
 
Decreto sulla soppressione delle multe sui salari operai, 27 aprile

Decreto sulla soppressione delle multe sui salari operai

Dallo stesso 27 aprile venne stabilita la soppressione del lavoro notturno nelle panetterie: a seguito della resistenza dei proprietari dei forni, l'entrata in vigore del decreto fu spostata al 3 maggio, confiscando i prodotti di quelle panetterie che continuarono ad ignorare il provvedimento.
Decreto sulla soppressione del lavoro notturno, 20 aprile
Il 12 maggio si stabilì che nelle gare di appalto si privilegino le corporazioni operaie e che i prezzi vengano stabiliti in accordo tra le corporazioni, l'intendenza e la commissione lavoro. Nello stesso decreto, considerando che «durante l'assedio alcuni funzionari e benestanti hanno goduto degli stessi redditi fruiti in tempi normali», si impose il versamento degli interessi nelle casse municipali.
L'8 aprile fu decretata l'erogazione di una pensione a tutti i feriti, e il 10 aprile agli orfani e alle vedove delle guardie nazionali cadute in combattimento, senza fare distinzioni tra mogli legittime o «illegittime» e tra figli legittimi o naturali (“Versailles si incaricò, con le condanne di morte, di quelle pensioni” - Louise Michel: La Comune).
Fu stabilito anche che la donna, che, poggiandosi su prove inarrestabili, avesse chiesto la separazione di corpo contro il proprio marito, aveva diritto alla pensione alimentare.
Il 23 aprile l'unione dei meccanici e l'associazione dei metallurgici invitarono le altre corporazioni operaie a nominare propri delegati alla commissione d'inchiesta, mentre davano ai propri delegati il mandato di agire per «porre fine allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo» e per «organizzare il lavoro mediante associazioni che posseggono collettivamente un capitale inalienabile».


Sull'istruzione e la cultura

Gustave Courbet
Fin da marzo era stata avanzata la questione dell'istruzione. La «Società per una nuova educazione» aveva richiesto alla Comune la separazione della scuola dalla Chiesa (nessuna istruzione religiosa e nessun oggetto di culto negli edifici scolastici) e l'istruzione obbligatoria, gratuita e impostata su basi scientifiche. La Comune si era dichiarata d'accordo e dal 21 aprile la Commissione istruzione si occupò del problema.
Il 19 maggio fu emanato il decreto sulla laicità della scuola. Nel suo manifesto del 18 maggio il commissario Édouard Vaillant aveva scritto che «il carattere essenzialmente socialista della rivoluzione comunale doveva poggiare su una riforma dell'insegnamento che garantisca a ciascuno la vera base dell'eguaglianza sociale, ossia l'istruzione integrale alla quale ogni cittadino ha diritto». Il 21 maggio furono raddoppiati gli stipendi dei maestri e a questi furono parificate le retribuzioni delle maestre.
Furono istituiti due nuovi istituti professionali, di cui uno femminile in rue Dupuytren. Alcuni municipi di rione avevano già anticipato il decreto del Consiglio. Il 3° arrondissement istituì un asilo per 94 bambini, laicizzò tre scuole dirette da congregazioni religiose e, per realizzare in parte il principio della gratuità dell'istruzione, fornì gratuitamente i materiali scolastici. Il 5° arrondissement rese laica la scuola elementare di rue Rollin, il 13° arrondissement quella del faubourg Saint-Martin.
Parigi era da decenni all'avanguardia, in Europa e perciò nel mondo, in campo artistico. Furono i pre-impressionisti della Scuola di Barbizon[1], poi gli impressionisti come Manet e i realisti come Courbet che s'incaricarono di regolare definitivamente i conti con la vecchia pittura accademica e retorica cara al Regime, che infatti non accettava le loro opere nelle esposizioni ufficiali dei Salon[2].
Il 25 marzo 1871 la Comune decise di riaprire i musei, rimasti chiusi durante l'assedio, incaricandone il pittore Gustave Courbet, eletto in un'assemblea presidente della Federazione degli artisti di Parigi. La Comune s'impegnò a favorire la libera espansione dell'arte, senza porre tutele, e a garantirne l'insegnamento.
La colonna Vendôme abbattuta il 16 maggio 1871
Il nome di Courbet è rimasto legato all'episodio dell'abbattimento della colonna Vendôme. Di questa colonna, imitazione della colonna Traiana, fatta erigere da Napoleone I nel 1810 a celebrazione di se stesso e della Grande Armée, si era già chiesto da molti l'abbattimento fin dal settembre del 1870, alla caduta dell'Impero e alla conseguente proclamazione della Repubblica e Courbet era solo uno dei tanti che la considerava un odioso simbolo di un passato deprecato e da cancellare, in quanto “un monumento di barbarie, un simbolo di forza bruta e di falsa gloria, un'affermazione del militarismo, una negazione del diritto internazionale, un insulto permanente dei vincitori ai vinti, un attentato perpetuo a uno dei tre grandi principi della Repubblica francese, la Fraternità”. Nel Journal Officiel della Comune di Parigi aveva scritto: “Considerato che la colonna Vendôme è un monumento privo di qualsiasi valore artistico e tendente a perpetuare attraverso la sua espressione le idee di guerra e di conquista esistenti nella dinastia imperiale, riprovate dal sentimento di una nazione repubblicana, [il cittadino Courbet] fa voto che il governo di Difesa nazionale voglia autorizzarlo ad abbattere questa colonna”. Il governo ignorò la proposta, ma quel progetto fu ripreso dalla Comune che lo votò il 12 aprile 1871, mettendolo in esecuzione l'8 maggio. Era prevista la vendita a 4 franchi al chilo del materiale, stimato in 200 tonnellate. Il pomeriggio del 16 maggio, mentre ogni energia sarebbe dovuta essere rivolta a combattere i versagliesi, la Comune mobilitò uomini e mezzi per demolire la famosa colonna; gli argani lavorano dalle tre alle sei del pomeriggio. Fu organizzata una cerimonia festosa che iniziò al suono della Marsigliese, quando la colonna si abbatté al suolo e la statua di Napoleone rotolò lontano, la folla inneggiò alla «fine del militarismo» cantando a squarciagola, intrecciando danze e sturando bottiglie. Aimè, non sapevano che di la a cinque giorni sarebbe iniziata la «Settimana sanguinante». Il governo pseudo-repubblicano, succeduto alla repressione della Comune, rimise in piedi la colonna imperiale addebitando spese e risarcimenti per 330.000 franchi al pittore, già arrestato il 7 giugno, che peraltro morì prima di pagare la prima rata dell'assurda somma addebitatagli.
La Comune si occupò anche della gestione dei teatri. Nella seduta del 19 maggio il Consiglio della Comune si rifece alla legge del 17 germinale dell'anno II della I Repubblica (il 6 marzo 1793) che aveva affidato il controllo dei teatri alla commissione della pubblica istruzione, sottraendolo alle iniziative private degli impresari.
Nel decreto, alla cui base vi è l'idea che il teatro sia un istituto di istruzione collettiva, il Consiglio stabilì che «i teatri sono trasferiti sotto la competenza della delegazione all'insegnamento. Viene soppressa qualunque sovvenzione e monopolio dei teatri. La delegazione è incaricata di far cessare per i teatri il regime dello sfruttamento tramite un direttore e una società, e di sostituirvi al più presto il regime dell'associazione». Il decreto fu pubblicato il 21 maggio, il giorno in cui le truppe di Thiers entravano in Parigi per la battaglia decisiva.


La politica religiosa

Nel conflitto tra governo di Versailles e Comune, naturalmente la Chiesa cattolica si schierò subito a fianco del primo. Istituzione profondamente reazionaria fin da quando stabilì una stretta alleanza con l'Impero romano garantendogli l'indottrinamento delle masse in cambio della propria sopravvivenza prima e della propria espansione poi, gestita da una gerarchia di aristocratici, intollerante per la natura dogmatica dei suoi principi, nella sua storia fu sempre al fianco dei regimi autoritari e costituì a sua volta un regime, quello dello Stato pontificio, nel quale la miseria della popolazione era pari solo alla sua ignoranza.
Al tempo della Comune regnava ancora Pio IX, tenuto per venti anni sul trono grazie all'appoggio di Napoleone III il quale, nel 1850, con la legge Falloux aveva garantito alla Chiesa pressoché il monopolio dell'istruzione. Con il decreto del 3 aprile 1871 il Consiglio della Comune abrogò il Concordato napoleonico e affermò che «la libertà è il principio basilare della Repubblica francese» e «la libertà di coscienza è la prima delle libertà», rilevava come «il clero è stato complice dei crimini della monarchia contro la libertà». Proclamava all'articolo 1 la separazione dello Stato dalla Chiesa, all'articolo 2 la soppressione del bilancio dei culti, e all'articolo 3 stabiliva che «i cosiddetti beni di manomorta (mobili o immobili) appartenenti alle congregazioni religiose» fossero dichiarati «proprietà nazionale».
Decreto del 3 aprile 1871 di separazione tra Stato e Chiesa
L'8 aprile fu deciso di dare il bando dalle scuole a tutti i simboli religiosi, immagini, dogmi, preghiere, insomma a tutto ciò che appartiene al campo della coscienza individuale.
Benché rimanesse garantita la libertà di culto, molti parroci abbandonarono le chiese, e questo fatto spinse i club rivoluzionari ad utilizzarle per le loro riunioni, facendo gridare al «sacrilegio» la stampa schierata contro la Comune. In altre chiese il culto poteva svolgersi la mattina, mentre la sera divenivano locali di riunioni dei club.
A Parigi vi erano 69 chiese cattoliche. Una dozzina furono chiuse con l'accusa di svolgervi attività contro-rivoluzionarie, come avvenne per la chiesa di Saint-Pierre, a Montmartre, che fu utilizzata come opificio dove 50 operaie confezionavano uniformi militari. Fu poi adibita a deposito di munizioni, come avvenne anche per Notre-Dame-de-la-Croix e per Saint-Ambroise, mentre quella di Saint-Pierre de Montrouge fu utilizzata come bastione e durante la Settimana sanguinante fu teatro di una battaglia accanita tra Federati e versagliesi, che fucilarono tutti i prigionieri.
Il passaggio dall'insegnamento confessionale a quello laico, benché auspicato, non si poté attuare per diversi motivi, primo fra tutti la mancanza di tempo, poi per una certa forza d'inerzia e per la resistenza del personale religioso.


Il ruolo femminile: l'Unione delle donne

Le donne di Parigi cominciarono a svolgere un'attività importante già all'inizio della guerra con la Prussia, quando molti uomini furono impegnati al fronte e si crearono i comitati di quartiere e i club. Le donne parteciparono alle azioni più significative che precedettero la vittoria della Comune, quali quelle del 31 ottobre 1870, del 22 gennaio e del 18 marzo, quando furono le prime ad opporsi al colpo di mano tentato dai versagliesi a Montmartre.
Con la Comune venne ripreso il tema dell'emancipazione femminile: la sua messa in pratica passò attraverso il lavoro e così il 12 maggio 1871 venne inaugurata la prima scuola professionale femminile di arte industriale, mentre la scrittrice Marguerite Tinayre venne nominata ispettrice generale delle scuole parigine. Altre iniziative prese dalla Comune che riguardavano, direttamente o indirettamente, le donne, furono la proibizione dell'esercizio della prostituzione, l'organizzazione degli asili, l'abolizione, decretata il 17 maggio, della distinzione tra figli legittimi e illegittimi, la concessione di un'indennità alle mogli, o conviventi, delle guardie nazionali.
Un’associazione chiamata «Unione delle donne» era stata fondata durante l'assedio di Parigi, strutturata nei comitati di quartiere e con un comitato centrale.
Poco dopo l'attacco condotto dalle forze di Versailles a Neully, l'11 aprile apparve sul Journal Officiel un «Appello alle cittadine di Parigi», redatto l'8 aprile e firmato «Un gruppo di cittadine», nel quale, preso atto che la guerra con le forze di Versailles era iniziata e che bisognava «vincere o morire», si tracciavano le linee di un programma rivolto espressamente alle donne: «Niente doveri senza diritti, niente diritti senza doveri. Vogliamo il lavoro, ma per conservarne il prodotto. Non più sfruttatori né padroni. Lavoro e benessere per tutti. Autogoverno del popolo [...]». S'invitavano infine le cittadine parigine a riunirsi quella sera al Grand Café de la Nation in rue du Temple 79.
Qui fu fondata l'Union des Femmes pour la Défense de Paris et les soins aux blessés - Unione delle donne per la difesa di Parigi e le cure ai feriti. Quest'associazione assorbì una precedente Unione delle donne, e aprì proprie sezioni nei diversi rioni di Parigi.
Nello statuto, le aderenti, che si distinguevano nell'abito indossando una sciarpa e un bracciale rosso, si impegnavano a riunirsi tutti i giorni e di presentare un rapporto scritto degli avvenimenti della giornata. Si prevedeva anche l'uso delle armi in caso di necessità, l'acquisto di petrolio (da qui l'appellativo di petroleuses dato a molte Comunarde), il rifornimento per i combattenti delle barricate e l'assistenza ai feriti. Molte furono le donne che combatterono in prima fila sulle barricate.
Ma l'Unione e in generale le donne di Parigi si occuparono soprattutto dei problemi sociali e politici: il 3 maggio una petizione, firmata da 85 operaie e indirizzata alla commissione lavoro della Comune, chiese di lavorare in ottemperanza della circolare della stessa commissione, datata 10 aprile, che prevedeva l'apertura in ogni arrondissement di una fabbrica espressamente adibita al lavoro femminile.
Il 21 maggio, quando l'esercito di Versailles entrò a Parigi e tutti furono impegnati nei combattimenti: “parecchie donne combattevano in trincea, alcune vestite anche con la divisa della Guardia Nazionale. Non si contavano le vivandiere. Si sa di una diecina uccise in battaglia”. Un giornalista del Vengeur, assistendo il 24 maggio ai combattimenti della «Settimana sanguinante», scriveva di aver già visto “tre rivoluzioni, ma per la prima volta vedo donne e bambini combattere. Sembra che questa rivoluzione sia proprio la loro e lottando, esse lottano per il proprio avvenire”. Infatti, anche ragazzi dai 12 ai 15 anni combatterono sulle barricate: ne saranno arrestati 651 e inviati per lo più in case di correzione.
Le Comunarde furono molto impegnate nelle lotte per le conquiste sociali e per l'emancipazione femminile. Esse rivendicavano la piena uguaglianza dei sessi: «Qualsiasi diseguaglianza e qualsiasi antagonismo tra i sessi costituisce una delle basi del potere delle classi dominanti [...] Uguaglianza dei salari, diritto al divorzio per le donne, diritto all'istruzione laica ed alla formazione professionale per le ragazze». Molte di loro furono arrestate, processate e detenute nelle prigioni francesi. Un documento racconta le condizioni di vita di una Comunarda francese detenuta in carcere, l'insegnante Celeste Hardouin: denunciata in modo anonimo, fu fermata il 7 luglio 1871 e liberata il 17 ottobre dello stesso anno, dopo il pagamento di una cauzione. La sua «colpa» fu quella di avere assistito due volte alle riunioni del club della rivoluzione sociale nella chiesa Saint-Michel del Batignolles.
Le donne del popolo videro nella Comune la loro alleata naturale, la rivendicatrice dei loro diritti, combatterono con essa e per essa eroicamente. Basti citare Louise Michel, di cui gli stessi, che non ne approvavano le idee e i sentimenti, ammirarono pur tuttavia il carattere, la fermezza, l’abnegazione e la forza magnanima di sacrificio.
Ecco una proclamazione della Michel:
– Cittadine – dicevano le rivoluzionarie federate della Comune, indirizzandosi alle donne di Parigi – sopporteremo noi più a lungo che la miseria e l’ignoranza facciano dei nostri figli dei nemici, che padre contro figlio, fratello contro fratello, vengano ad uccidersi fra loro sotto i nostri occhi pel capriccio dei nostri oppressori?
Cittadine, noi vogliamo essere libere!
Che le madri, che le donne, le quali, si dicono «che m’importa del trionfo della nostra causa se debbo perdere coloro che amo?» si persuadano finalmente che il solo modo di salvare coloro che hanno cari – il marito, in cui vedono il loro sostegno – il figlio, in cui mettono la loro speranza – è quello di prendere una parte attiva al combattimento impegnato per far cessare finalmente una lotta fratricida, che ricomincerà in un prossimo avvenire, se il popolo non trionfa.
Guai alle madri, se una volta ancora il popolo soccombesse! Questa disfatta sarebbe pagata dai loro piccoli figli!
Cittadine, tutte risolute, tutte unite, vegliamo alla sicurezza della nostra causa!
E se gl’infami, che fucilano i prigionieri ed assassinano i nostri capi, mitraglieranno una folla di donne inermi, tanto meglio!
L’orrore e l’indignazione della Francia e del mondo compieranno ciò che noi abbiamo incominciato!

Appello dell'Unione delle donne alle operaie di Parigi 18 maggio 1871



[1] Con il termine scuola di Barbizon o Barbisonniers si identifica un gruppo di pittori e una corrente paesaggista del realismo collegata alla località di Barbizon in Francia, non lontana dalla foresta di Fontainebleau.
[2] Il Salon de peinture et de sculpture (Salone della pittura e della scultura), chiamato genericamente le Salon, era un ex evento artistico che si teneva a Parigi dalla fine del diciassettesimo secolo, che esponeva le opere di artisti originariamente approvati dalla Reale accademia di pittura e scultura creata da Mazzarino, poi dall'Accademia di Belle Arti, fino al 1880. L'obiettivo iniziale del Salon era presentare al pubblico le opere degli ultimi vincitori dell'Accademia e, dal 1817, della Scuola di Belle Arti. Il primo evento, iniziato nel 1673 al Palais Royal, fu chiamato «l'Exposition». Dal 1692, le opere dei vari artisti approvati furono presentate al Louvre e la mostra annuale organizzata dall'Accademia dal 1737 prese il nome di «Sallon», perché si svolgeva nella "piazza del Louvre". Verso il 1750, prese il nome di «Salone dell'Accademia Reale di Pittura e Scultura», quindi, con la Rivoluzione, l'Accademia venne soppressa, diventò il "Salone della pittura e della scultura" e venne democratizzata con l’apertura ad artisti di tutte le origini sotto l'impulso dei pittori Jacques-Louis David e Jean-Bernard Restout. Diventò il «Salon de l'académie royale» dopo il 1815, e riprese il nome di «Salon de peinture et de sculpture» sotto la Seconda Repubblica, fino al 1880 quando prese il nome di « Salon des artistes français», nel momento in cui finì il monopolio statale.