NON SOLO PARIGI
Nel corso della Storia, la
ricerca di autonomia da parte del popolo ha prodotto numerosi tentativi di
insurrezione. Lo svincolarsi dai governi nazionali, dall'autoritarismo, dal
despotismo, è stato lo scopo principale di coloro che hanno capito la menzogna
dello Stato, quale sedicente depositario degli strumenti per la tutela dei
cittadini, in realtà prigione per gli stessi. Ecco allora il fiorire di
aggregazioni popolari che hanno dato vita a grandi slanci di coscienza civile
e, di conseguenza, anche a governi popolari locali, dove regnava la giustizia
sociale e la libertà.
Si tratta di episodi soffocati
poi nel sangue da parte dei governi, dalle fazioni regimentate e
istituzionalizzate, rivoluzioni che in alcuni casi sono durate solo un giorno,
ma che tutte indistintamente sono cancellate dai libri di Storia perché
censurati dal sistema, perché la gente non deve sapere, perché si tratta di autogestione anarchica
(non dimentichiamo che già da sola la parola anarchia fa venire un brivido alla
schiena dei governanti).
In Francia questa aggregazione
popolare che si formava in una città, fu chiamava “La Commune”, che poi non sarebbe altro che l’italianissimo comune,
città, ma siccome in francese il vocabolo comune è di genere femminile, allora
nella nostra lingua è stato erroneamente tradotto (e poi sempre, indelebilmente,
rimasto) la Comune.
Le Comuni furono, quindi, il risultato di movimenti rivoluzionari avvenuti
tra la fine del 1870 e l’inizio del 1871, guidati da repubblicani, attivisti di
diversi componenti di estrema sinistra del tempo e da anarchici, che si
insediarono in varie città della Francia istituendo delle organizzazione
comunali autonome al di fuori del potere statale.
E se della Comune
di Parigi si possono ancora, forse, trovare informazioni molto vaghe,
pressoché nulla viene detto invece riguardo le altre Comuni che hanno creduto,
tutte, nell'autogestione libertaria.
Per questo motivo si tende a
considerare la provincia francese come totalmente reazionaria e ostile alla Comune
di Parigi. Mentre molti notabili, rappresentanti del grande capitale
confermarono questa considerazione, ci furono, in molte regioni, cittadini
onesti difensori della Repubblica democratica e sociale.
Non dobbiamo dimenticare che
quando Napoleone
III, Presidente della
Repubblica, con il suo colpo
di stato del 2 dicembre 1851, violò la Costituzione e ripristinò l'impero,
non furono le grandi città che protestarono contro il colpo di stato per
difendere la Costituzione, ma fu la provincia, e ciò lo dimostra il fatto che
32 dipartimenti furono messi sotto assedio da parte del nuovo governo e si
verificano incidenti in circa venti.
Le siège de Paris (L’assedio di Parigi) Jean-Louis-Ernest Meissonnier |
In Francia, quindi, altre
città seguirono l’esempio di Parigi, sollevandosi all'annuncio della sua rivoluzione
del 18 marzo 1871 e proclamandosi a loro volta Comune, come Lyon, che
si sollevò per prima; come Marsiglia,
che tra queste fu la più potente e la più duratura dal 23 marzo al 4 aprile
1871 e che terminò con una repressione sanguinaria che fece 150 morti, come Limoges, Tulle, Saint-Junien, Solignac, Aubusson, La Souterraine,
Saint-Léonard-de-Noblat, Le Creusot,
dove la bandiera
rossa è stata issata e la Comune proclamata più volte da Dumay
e dalla Guardia
Nazionale, ed ogni volta repressa dall'esercito che ha riacquistato il
controllo della città, Narbonne
il 25 marzo, Saint-Etienne dal 23 al 28 marzo, sotto la guida del club de "la
Vergine della Strada" e della Guardia
Nazionale, Toulouse, Béziers il 25 marzo, Perpignan il 25 marzo, Grenoble il 16 aprile, Bordeaux
il 16 e 17 aprile, Nîmes il 18
aprile, Montereau il 10 aprile, Tarare il 30 aprile, Périgueux, Cuers, Foix, Rouen, Le Havre, etc. ed anche ad Algeri, e
dove in tutte la bandiera
rossa sventolò sul municipio e sugli edifici.
Le Comuni di
provincia sono state troppo spesso ignorate, ed è ignorato anche dell'impatto
che i movimenti comunardi, soprattutto quello parigino, hanno avuto fuori dalla
Francia in termini politici, scientifici, sociologici e soprattutto ideologici,
i cui effetti sono stati e sono tuttora lasciati in completo silenzio. Nessuno
è interessato ad estrarre le idee chiave che contribuirono alla nascita e
successivamente alla crescita delle Comuni francesi; ed il motivo è che se
qualcuno dovesse farlo porterebbe acqua al mulino degli anarchici! Ed è per
questo che un eventuale lavoro di ricerca storica sulle Comuni non godono del
favore degli storici e degli scriba governativi.
Noi invece divulghiamo questa
parte di storia che tratta di libertà, di uguaglianza, di emancipazione
sociale, di fratellanza, di lotte e (purtroppo) di repressione, anche se questo
lavoro non potrà mai essere esaustivo.
Quindi è al
fine di istigare la conoscenza di questo movimento, è al fine di diffondere
l’idea libertaria e di svegliare le coscienze intorpidite dal potere dello
Stato che pubblichiamo questo studio, che rende omaggio, a quasi un secolo e
mezzo di distanza, a tutti i combattenti oscuri delle Comuni e in particolare
quei 4500 membri dell’Internazionale
(nel solo dipartimento di Bouches-du-Rhône), che, sotto l'influenza di Bakunin,
si sforzarono di realizzare, con la loro rivoluzione, una nuova società basata
sul federalismo e sulla libertà individuale.
Parigi: l’esempio
Gambetta proclama la Repubblica |
18
marzo 1871, una rivolta scoppiata a Parigi sulla collinetta di Montmartre,
segnò l'inizio della Comune.
L'insurrezione nella capitale durò 72
giorni e si concluse in un orribile bagno di sangue che si sparse in
diverse città di provincia.
Nel mese di luglio 1870,
"il
piccolo Napoleone", per distogliere l’attenzione dei francesi dalla
crisi economica, dai disordini sociali e dalle manifestazioni anti governative
organizzate dagli operai di varie città transalpine, dichiarò guerra
alla Prussia. Impreparati, in inferiorità numerica e per lo più mal
controllati, i soldati francesi furono sopraffatti. Il 2 settembre a Sedan,
Napoleone
III fu fatto
prigioniero. A Parigi, si costituì un governo
provvisorio di difesa nazionale sotto la presidenza del generale Trochu,
governatore militare. Era composto da repubblicani, i più famosi erano Léon
Gambetta, ministro degli Interni, Jules
Favre e Jules Ferry[1].
Sotto la pressione dell'opinione pubblica, la Terza Repubblica fu proclamata il
4
settembre. L'assedio
di Parigi, da parte dei prussiani, ebbe inizio il 19 dello stesso mese. In
un raggio di 10 km intorno alla capitale, le armate prussiane circondarono la
città, si accamparono ed aspettarono. Le truppe di Parigi, soldati e uomini
della Guardia
Nazionale (vale a dire civili mobilitati), provarono con un paio di sortite
di far saltare l’assedio,
ma i loro tentativi fallirono. Agli inizi di ottobre, Gambetta
lasciò Parigi in mongolfiera per recarsi a Tours[2]
dove in quella città riorganizzò l'esercito per liberare la città. Tentativo coraggioso, ma senza futuro. A
Metz, lo stesso mese di ottobre, il generale François Achille Bazaine[3] e i suoi
100.000 uomini si arresero! Nella capitale, molti club
rivoluzionari organizzarono delle agitazioni politiche al fine di mantenere
e far crescere sempre di più, nelle menti dei parigini, lo spirito delle due
idee ereditate della rivoluzione del 1793: «il paese in pericolo» e la «rivolta
di massa». Una prima manifestazione si svolse il 31
ottobre 1870. Si reclamò una Comune,
cioè a dire un governo di popolo destinato ad instaurare, come nello spirito
del 1792, misure di salute pubblica. Ma questo primo movimento fu represso.
Benoît Malon |
Arrivò terribilmente
l'inverno, e con esso il bombardamento dell'artiglieria prussiana. La penuria
iniziò; i prezzi salirono, aumentò la mortalità. Gli animali dello zoo,
elefanti, antilopi e cammelli vennero sacrificati per imbandire le tavole di
lusso. I più umili, per cibarsi, cacciarono gatti, cani e ratti. Il 22 gennaio
1871, il generale[3], dopo la disastrosa battaglia di Buzenval,
si dimise e chiese la capitolazione. Scoppiò una rivolta, i delegati della Guardia
Nazionale, i club politici
parigini, i comitati
di vigilanza, decisero di fare una manifestazione nella piazza dell'Hôtel
de Ville, ma i soldati spararono sulla folla che si disperse,
mentre le guardie nazionali rispondevano al fuoco. Parigi capitolò e Jules
Favre firmò l'armistizio il 28 gennaio, nonostante Gambetta
volesse continuare la lotta. Dieci giorni prima ci fu la così detta
«umiliazione di Versailles»,
perché fu in quella città che Guglielmo di Prussia venne proclamato imperatore
tedesco.
L'armistizio fu firmato dopo
un paio di settimane, per dare il tempo ai vinti di eleggere un'assemblea nazionale.
Bismark,
infatti, aveva bisogno che il trattato di pace definitivo fosse ratificato da
parte di un'autorità legittima al fine di non essere messo in discussione in
seguito. Le elezioni dell’8 febbraio 1871 diedero il potere ad una grande
maggioranza monarchica, di diverse tendenze. Ma a Parigi furono i repubblicani
ad avere la maggioranza. L'Assemblea nazionale, rifugiata a Bordeaux,
nominò così Adolphe
Thiers capo del governo. Fu lui che cercò di concludere un trattato di pace
con la Prussia. Il 1° marzo, dei militari prussiani sfilarono per le vie della
capitale dove le statue furono velate di nero dai residenti. La popolazione
masticava amaro la sua umiliazione. Georges
Clemenceau, sindaco di Montmartre,
affisse un proclama in cui si leggeva: «Siamo
in balia di noi stessi. Qualsiasi resistenza è stata resa impossibile».
Una serie di misure adottate
dal governo (ritornato Versailles
dato che adesso era protetto dalle truppe del Kaiser) diede fuoco alle polveri.
Il 10 marzo, fu deciso di revocare la moratoria sul rimborso delle carte
commerciali e sugli affitti che furono introdotti all'inizio della guerra. Fu
soppressa anche l'indennità di 30 centesimi al giorno ai 180.000 uomini della Guardia
Nazionale, per lo più composta da piccoli borghesi e da operai: 180.000
uomini in armi! Thiers
accese finalmente la miccia della rivolta decidendo di recuperare 227 cannoni
posizionati sulle colline di Montmartre
e di Belleville.
Il 18
marzo, la folla si radunò e si piazzò di fronte ai militari inviati dal
capo del governo. I soldati sciolsero le fila e fraternizzarono con il popolo.
I generali Lecomte
e Clement-Thomas
furono arrestati e successivamente fucilati. Il secondo, Clement-Thomas,
nel 1848,
represse duramente la rivolta repubblicana. Altri scontri si verificano allo
stesso tempo in altre parti di Parigi e ovunque i soldati fraternizzarono con
gli insorti. I battaglioni della Guardia
Nazionale si unirono in federazioni, da qui il nome "federati" che venne dato gli
insorti.
Eugène Varlin |
Il 26
marzo, si svolsero le
elezioni per nominare i membri del Consiglio generale della Comune
di Parigi. Votò la metà degli elettori. L'altra metà, benestanti e funzionari,
fuggì a Versailles.
Oltre una ventina di repubblicani, tutte le tendenze socialiste furono
rappresentati. Tra i rivoluzionari, c’erano i "giacobini[4]"
centralisti e intransigenti, Delescluze,
Gambon,
Pyat
... ammiratori della rivoluzione del 1789 e che avevano l'intenzione
di portare avanti la lotta contro la borghesia e la chiesa. I "blanquisti[5]",
privati della loro capo, imprigionato in Bretagna, erano una decina: Chardon,
Ferré,
Eudes,
Rigault
... seguaci di una insurrezione avanguardista più che di un movimento ampio di
massa. I "radicali" Arnould,
Amouroux
che erano
sostenitori dell’autonomia comunale e di una repubblica democratica e sociale.
C’erano ancora gli internazionalisti "proudhoniani[6]"
Eugène
Varlin e Benoît
Malon, entrambi i leader dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (la 1a
Internazionale, fondata nel 1864), e gli "indipendenti": Jules
Vallès e il pittore Gustave
Courbet ...
Contrariamente alle altre
Comuni francesi, che durarono all’incirca da un paio di giorni ad un paio di
settimane, nella capitale la Comune
mantenne il potere per più di due mesi ed ha decretato misure all'avanguardia
in molti settori, misure cancellate immediatamente dopo la sua caduta e che non
saranno più riproposte se non molto più avanti nel tempo. Alla fine di marzo,
il Consiglio
della Comune di Parigi creò dieci commissioni: esecutivo, militare, di
sussistenza, finanza, giustizia, sicurezza generale, il lavoro, l'industria e
il commercio, i servizi pubblici e l'istruzione. Ribadì la libertà di stampa e
rimise in sesto i servizi pubblici; il servizio postale venne ripristinato in
quarantotto ore. Costituì una compagnia di ambulanze; rimpiazzò gli uffici di
beneficenza con l'assistenza comunale. Decretò la separazione tra religione e
Stato, la soppressione delle sovvenzioni al culto, la confisca delle proprietà
delle congregazioni, il divieto di insegnamento confessionale. I termini degli
affitti furono annullati senza indennizzi per i proprietari e furono requisite
le case abbandonate dove si fecero trasferire coloro le cui case erano state
danneggiate dai bombardamenti. Per quanto riguarda la giustizia, la Comune
ha deciso libero uso gratuito dei ricorsi ai giudici e stabilì che questi
ultimi fossero eletti dal popolo; rimosse gli uffici di notai, funzionari e
ufficiali giudiziari per renderli dipendenti pubblici. Stabilì che gli atti
notarili fossero gratuiti (donazioni, testamenti ...). Le perquisizioni e
requisizioni senza mandato furono vietate e la Comune
decretò l'obbligo di registrare il motivo dell'arresto su appositi registri.
Fu deciso il libero matrimonio per comune accordo (16
anni per le donne, 18 per gli uomini). La laicizzazione dell’istruzione fu
intrapresa con vigore, ma la Comune
non fu in grado di imporre l'obbligo scolastico e la sua gratuità. Il delegato
all’insegnamento, Edouard
Vaillant, invitò la municipalità ad istituire delle scuole di formazione
professionale, in particolare per le ragazze. Due scuole furono aperte, una in rue Lhomond, l’altra in rue Dupuytren.
La Comune
inoltre decise di aumentare gli stipendi degli insegnanti e delle insegnanti.
Per la prima volta, venne proclamata la parità di retribuzione tra uomini e
donne. In materia di lavoro, Eugène
Varlin e Leò
Fankel incoraggiarono le associazioni di lavoratori di produzione per
sostituire i padroni che fuggirono, preludio delle cooperative di lavoratori.
Furono incoraggiate le associazioni di donne. La Comune
vietò le multe e le trattenute sul salario nelle amministrazioni pubbliche e
nelle aziende private. Instaurò uffici di collocamento comunali della
manodopera in sostituzione delle imprese private "negriere".
Per mancanza di mezzi e di consenso tra le diverse
fazioni, la Comune
non ha avuto alcuna possibilità di raggiungere i suoi obiettivi. Il progetto
messo in opera rimane tuttavia grande in considerazione della breve durata
dell'avventura. Questo è stato il primo tentativo di autogoverno, molto
discusso anche nei giorni nostri, in quanto si trattò di una organizzazione
razionale della società che si basava su un modello di ispirazione libertaria.
Per Marx
e Bakunin
la Comune
e i suoi martiri “rimarranno sempre nel
grande cuore della classe operaia” ed inaugurarono "la guerra del proletariato mondiale contro
la borghesia mondiale". Per Bakunin,
la Comune
di Parigi è stata soprattutto "una rivoluzione contro lo Stato in quanto tale, contro
quel mostro sovrannaturale prodotto dalla società; è stata l’audace
negazione dello Stato ed è un dato di fatto che questo enorme negazione dello
Stato si sia manifestata precisamente in Francia, che è stata finora il paese
della centralizzazione politica per eccellenza e che si tratti di Parigi, la
mente e la storica creatrice di questa nuova civiltà francese che ha preso
l'iniziativa...". [ … ]
Illustrazione di Jacques Tardy tratta da Cri du peuple |
[1] Jules François Camille Ferry
(Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un
politico francese, oppositore di Napoleone
III e tra le più eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza
Repubblica francese. Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni
finanziarie operate dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di
Parigi. Grazie a questa sua iniziativa il barone venne successivamente
estromesso dai poteri concessi. D'altra parte egli stesso, «avvocato
squattrinato», divenuto sindaco di Parigi alla proclamazione
della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio
dalla carestia» della città
assediata dai prussiani. Ferry, comprendendo
che la Germania era troppo potente, per perseguire l'idea di acquistare un
grande impero coloniale si fece promotore di una politica di collaborazione con
Otto
von Bismarck al fine di guadagnarne una «benevola neutralità» nel Sistema
bismarckiano.
[2] Situata
nella Francia
centro-occidentale, è il capoluogo del dipartimento Indre e Loira nella regione Centro-Valle della Loira. Il 25 settembre 1461, il nuovo re Luigi XI spostò la sua residenza da Parigi a Tours, città a lui devota, e la rese capoluogo della contea di Tours o Turenna. Pose la sua nuova residenza nel castello dei Montils (attuale castello del Plessis a La Riche, nei sobborghi di Tours) e impiantò le prime seterie, una nuova zecca (Denier Tournois) e due grandi Fiere Reali di quindici giorni a maggio e a settembre. Fino al XVI secolo Tours e la sua regione rimasero residenza stabile dei re di Francia e della loro corte con Luigi XI, Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I. Ebbe così inizio il cosiddetto Rinascimento francese. Tours ancora oggi si caratterizza per i grandiosi monumenti sorti durante quel periodo, quando furono costruite numerose dimore private e castelli, in parti riuniti sotto la generica denominazione di castelli della Loira. Il ritorno permanente della corte a Parigi e quindi a Versailles segnarono l'inizio di un lento declino. Nonostante ciò il ruolo di capitale di Francia le si ripresentò per altre due volte, anche se per brevi e non molto felici vicissitudini. Come nella disfatta del 1870 nella Guerra franco-prussiana, quando il governo in fuga da Parigi vi si rifugiò prima che anche Tours cadesse sotto i prussiani. Come pure nel 1940 quando il governo francese in fuga dai nazisti vi fece tappa prima di rifugiarsi a Vichy.
[3] François
Achille Bazaine (Versailles, 13
febbraio 1811 – Madrid, 23 settembre 1888) è stato un generale francese,
maresciallo di Francia dal 1864. Allo scoppio della Guerra franco-prussiana il
maresciallo Bazaine fu posto al comando del III Corpo d'armata dell'Armata del Reno.
Prese parte alle prime battaglie, ma Napoleone
III ben presto gli
affidò il comando dell'intera armata.
[4] Con
il termine giacobinismo si intende un movimento e un'ideologia politica
risalenti all'esperienza del Club dei Giacobini durante la Rivoluzione francese (il
club des Jacobins fu un'associazione politica fondata a Parigi nel
novembre 1789 con sede nel convento domenicano di San Giacomo
-Saint-Jacobus- in rue Saint-Honoré). Il giacobinismo si diffuse in buona parte
dell'Europa durante l'epoca rivoluzionaria ed ebbe un'influenza politica
notevole nella storia francese per tutto il XIX secolo, in particolare negli eventi della
Rivoluzione di luglio, della Rivoluzione
francese del 1848 e, soprattutto, nell'esperienza della Comune di
Parigi del 1871. Il giacobinismo è sopravvissuto a lungo alla sua fine
storica, che viene canonicamente fissata al 1800. Quello che Vovelle ha
definito giacobinismo trans-storico ha infatti alimentato le vicende
politiche della Francia e, in parte, anche del resto d'Europa. Durante la Rivoluzione
di luglio, nel 1830, si assisté a una nuova fase del giacobinismo, dove
tuttavia andarono a mescolarsi istanze repubblicane, socialiste e cattoliche,
unite solo dall'opposizione a una nuova esperienza monarchica[. Il “neogiacobinismo” del XIX
secolo, sempre più legato al socialismo repubblicano, si consolidò con la rivoluzione
del 1848 e con la Seconda
Repubblica, ma finì per essere spazzato via dall'ascesa di Napoleone
III. Con la brevissima e drammatica esperienza della Comune di
Parigi (1871), il giacobinismo tornò al governo della capitale francese, in
una replica delle forme dell'anno II, a partire dalla ricostituzione del Comitato
di salute pubblica e dalla rinnovata applicazione del vecchio Calendario
repubblicano. La diffusione del comunismo su scala europea, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, alimentò
le ipotesi di una sua discendenza dal giacobinismo. Karl Marx
e Friedrich Engels, nel 1848,
lo scrissero esplicitamente: “Il giacobino del 1793 è diventato il comunista dei
giorni nostri”.
[5] Il blanquismo fu un movimento
dottrinale e attivista a favore, in primo luogo, della Repubblica e, una volta
raggiunta, del comunismo in Francia,
che era in vigore durante il diciannovesimo
secolo, penetrò fino in fondo in modo dominante ed eccitante tra intellettuali
e studenti, e fu anche caratterizzato da una forte disciplina
rivoluzionaria combattiva. Deve il suo nome allo scrittore, politico e leader di questa
fazione, il francese Louis
Auguste Blanqui.
[6] Per proudhoniani s’intendono
definire i seguaci del filosofo francese Pierre-Joseph
Proudhon, fondato essenzialmente sul mutualismo e sul federalismo, da molti
studiosi inserito impropriamente nell’ambito di quello che Marx
definì socialismo utopistico. L’anarchismo proudhoniano educa i seguaci ad una
società libera e federata, di artigiani e piccoli contadini, che pone al centro
i problemi del credito e del prestito ad interessi limitati. Gli elementi
basilari dell’anarchismo proudhoniano sono il federalismo, il decentramento, il
controllo diretto da parte dei lavoratori, abolizione della proprietà (ma non
del possesso poiché reputato naturale), l'istruzione sotto il controllo degli
insegnanti e dei genitori, l'istruzione legata all’apprendistato ecc.