LA
REPRESSIONE
Il terrore tricolore
Il «terrore tricolore» era cominciato con l’ingresso delle truppe regolari. Il 28 maggio, in un manifesto ai Parigini, Mac-Mahon aveva affermato: «Parigi è liberata! Oggi la lotta è finita; l’ordine, il lavoro e la sicurezza rinasceranno».
Fucilazione in massa di insorti in una strada di Parigi nel maggio 1871 |
Quello stesso giorno, verso
mezzogiorno, Thiers
si recò alla chiesa Saint-Louis di Versailles,
per assistere, in presenza del principe Chigi, nunzio del papa, e dei due
vicari apostolici della Cina, alla pia cerimonia presieduta dall’arcivescovo di
Versailles.
Vi ascoltò l’ammonimento di questo principe della Chiesa, il quale affermava
che al disopra delle autorità politiche e civili “c’è un’autorità suprema che è
la fonte e deve essere la norma di tutti i poteri”.
Questo ammonimento metafisico,
come la dura repressione militare, rifletteva il programma elaborato dell’Assemblea
nazionale del governo di Versailles.
Sin dal 6
aprile, il guardasigilli Dufaure[1]
avanzava un progetto di legge tendente ad abbreviare le procedure dinanzi ai consigli
di guerra. Si trattava di punire rapidamente i «grandi colpevoli» diceva
Dufaure[1] “che hanno potuto iniziare una guerra sociale circondandosi di evasi
di prigione, di banditi accorsi da tutti gli angoli d’Europa e traviando un
certo numero di guardie nazionali”. Il 20
aprile, a una proposta di Bruner in favore di un accordo con Parigi,
rispondevano risate ironiche e violenze morali, nelle quali si distinguevano
particolarmente il marchese de La Rochejacquelein e il marchese Dampierre,
esclamando: “Non si tratta con i briganti!”. Il 6
maggio l’assemblea copriva di insulti Tolain[2],
il quale cercava di assodare se fosse vero che quattro guardie nazionali fatte
prigioniere erano state giustiziate a colpi di pistola. Dieci giorni dopo, il
visconte Meaux, riferendo una proposta di Cazenove de Pradines, proponeva
all’Assemblea una risoluzione la quale diceva: “Preghiere pubbliche saranno
richieste in tutta la Francia per supplicare Dio di calmare le nostre discordie
civili e di mettere un termine ai mali che ci affliggono”.
Questa risoluzione,
timidamente combattuta da Langlois,
era votata da 413 voti contro 3. La sinistra si rifugiava in massa
nell’astensione.
ll 22
maggio Thiers,
esponendo, d'altronde in modo scarsamente esatto, l’ingresso dell'esercito in
Parigi, complimentava quest'ultimo, celebrava la vittoria prossima e annunciava
la repressione: “Soltanto le leggi interverranno, ma esse saranno eseguite in
tutto il loro vigore. Con le leggi si debbono colpire gli scellerati che hanno
violato le proprietà, che non hanno risparmiato la vita degli uomini più
rispettabili, facendo di essi degli ostaggi, minacciandoli incessantemente, che
hanno abbattuto i
nostri monumenti e hanno fatto ciò che nessun popolo selvaggio avrebbe fatto,
rovesciando i monumenti della nostra gloria nazionale. Signori, l'espiazione
sarà completa, ma sarà, lo ripeto, l”espiazione quale uomini onesti debbono
infiggerla allorché la giustizia lo esige, l'espiazione in nome delle leggi e
mediante le leggi”.
D'altronde, una legge nuova veniva proposta da Jules Simon[3],
per assicurare la ricostruzione della colonna
Vendôme e il rifacimento della cappella espiatoria, e la seduta terminava
con un voto entusiasta e unanime di felicitazione in onore di Thiers,
di Mac-Mahon
e degli eserciti di terra e di mare.
Durante la repressione, il fatto di avere le mani
annerite dalla polvere bastava a mandare i Federati davanti al plotone d’esecuzione. |
Nessuna nazione può coprirli
con l’immunità, e, sul suolo di ciascuna di esse, la loro presenza sarebbe
un’onta e un pericolo. Se dunque voi apprendeste che un individuo compromesso
nell'attentato di Parigi ha varcato la frontiera della nazione presso la quale siete
accreditato, vi invito a sollecitare dalle autorità locali il suo immediato
arresto e a darmene notizia affinché io regoli la situazione con una domanda di
estradizione».
Cosi si annunciava, alla fine
del maggio 1871, lo sforzo internazionale del 1872 inteso a spezzare le
formazioni rivoluzionarie egualmente internazionali.
Intanto il 30 maggio 1871
veniva pubblicano il Proclama del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori a tutti i membri dell'Associazione
in Europa e negli Stati Uniti. Redatta da Karl Marx,
avallata, al loro arrivo a Londra, dai membri
o funzionari della Comune, come Frankel,
Serraillier
e uno dei secondi di Protot,
Le
Moussu, questo proclama fa il racconto degli avvenimenti di Parigi dal 4
settembre in poi. Con vivacità insolente esso stigmatizza il ministro Emile
Picard (“questo Falstaff del Governo
della Difesa nazionale)”, Jules Ferry[4],
Thiers
(“questo gnomo mostruoso), sottolinea che Parigi era “il solo
ostacolo serio sulla strada del complotto controrivoluzionario tramato dai “rurali”
e che la confisca dei cannoni, il 18 marzo, doveva “servire di preliminare
al disarmo generale della capitale”. L’insuccesso del Governo ha permesso
alla Comune
istituita di sperimentare una nuova forma di Governo: il decentramento e
l’espropriazione dei capitalisti. La guerra di Versailles
contro la Comune
è stata una guerra di classe, i cui orrori hanno in Thiers
il grande responsabile, proseguita “sotto il patronato dell'invasore
straniero”. E l’ardente proclama terminava con alcune frasi dalle quali
trae origine l’ulteriore mito della Comune:
«La Parigi operaia, con la sua
Comune, sarà celebrata. per sempre come il glorioso antesignano di una società
nuova. I suoi martiri sono chiusi nel grande cuore della classe operaia. Quanto ai suoi
sterminatori, la storia li ha già inchiodati all'eterna gogna, dalla quale
tutte le preghiere dei loro preti non riusciranno a riscattarli».
La repressione,
denunciata da Karl Marx,
voluta da Versailles,
fu fatta in tre tempi: nel corso della Settimana
sanguinante, mediante esecuzioni sommarie; dopo il 28
maggio, mediante esecuzioni isolate e condanne pronunziate dalle corti
marziali; infine mediante i consigli
di guerra.
Nel suo rapporto d'insieme sulle operazioni contro la Comune, il maresciallo Mac-Mahon indica:
«Quando vorrete!» Dipinto di Los Rios raffigurante l'esecuzione di un gruppo di federati. |
«L’insurrezione aveva subito perdite enormi, noi avevamo
fatto 25.000 prigionieri, preso 1.500 pezzi d'artiglieria e più di 400.000
fucili».
Il generale Appert[5],
nel suo rapporto sulle operazioni della giustizia militare, conferma:
«Dal 21
al 28
maggio, la lotta entro Parigi e le perquisizioni operate nelle case
portarono all’arresto di 26.000 individui inviati immediatamente a Versailles».
Ma Le Siècle del 31
maggio confessa più nettamente:
«I prigionieri di questi
ultimi giorni sono restati a Parigi; è vero che ce ne sono assai pochi. I
nostri soldati hanno ucciso quasi tutti quelli che erano nelle loro mani».
E Thiers,
in una circolare telegrafata ai prefetti, riconosceva la verità:
«Il suolo è coperto dai loro
cadaveri; questo orribile spettacolo servirà di lezione».
Se si fa il conto di un
massimo di 30.000 federati combattenti, si può ammettere un minimo di 25.000
prigionieri, fatti nel corso dei combattimenti. Ma da dove vengono tanti fucili
recuperati dall'esercito regolare? Si tratta, senza dubbio, di quelli dei
quartieri moderati, restituiti senza sforzo alle autorità regolari, ma anche di
quelli sequestrati durante le perquisizioni nei quartieri operai, in seguito a
denunce incontrollate e a inchieste sommarie operate contro i supposti
federati. Ma questi, a misura che le barricate erano prese e settori di Parigi
riconquistati dalle truppe regolari, che altra sorte hanno avuta se non di
essere inviati dinanzi ai tribunali straordinari installati in ogni circondario?
Questi tribunali avevano preso
sede in locali di fortuna, al Politecnico, alla Gare de l'Est, alla Gare du
Nord, allo Châtelet dove incrudeliva il maggiore Vabre, nella caserma di rue de
Tournon, nei municipi. Ufficiali assistiti da commissari di polizia
presiedevano ad interrogatori sommari, utilizzavano a volte elementi
indiscutibili o documenti indirettamente compromettenti, come i processi
verbali alle elezioni della Comune,
che rivelavano i probabili fautori della rivoluzione
del 18 marzo, le prove più dirette delle mani annerite dalla polvere,
documenti malamente falsificati, risposte incerte a domande insidiose, o più
semplicemente poste male, chiacchiere di vicini impauriti o trionfanti,
affermazioni senza sfumature dei portatori di bracciali tricolori (seguaci di
Versailles). Secondo il caso, i sospetti erano rilasciati, o inviati a Versailles,
o designati per i «mattatoi». Di questi mattatoi ce ne sono stati un po'
dappertutto, dove i plotoni di esecuzione non riposavano e dove qualche volta
fu impiegata anche la mitragliatrice per fare più presto. Cosi furono
insanguinati la square Montholon, il Parc Monceau, la Scuola Militare e lo
Champ-de-Mars, il cimitero di Montparnasse, il giardino del Luxembourg,
il Temple e le Arts-et-Metiers, la caserma
Lobau, le Buttes Chaumont, la Place d’ltalie, i Gobelins, il Père-Lachaise,
la Roquette, e, a Montmartre,
la Place Saint-Pierre e la rue
des Rusiers, dove le esecuzioni furono come sacrifici celebrati in onore di
Clément-Thomas
e del generale Lecomte.
l Tribunali straordinari
funzionarono senza soste sino al 30 maggio, perché soltanto il giorno seguente Le
Siècle inserì questa indicazione:
«Le ultime esecuzioni sommarie
hanno avuto luogo ieri, alle 3 del pomeriggio, al Père-Lachaise
accanto alla fossa comune. Il numero del colpevoli passati per le anni e stato
notevole».
Ma all'inizio di giugno altre
esecuzioni avevano ancora lungo, con le mitragliatrici, al Père-Lachaise.
Seppellimento provvisorio dei cadaveri dei federati in
un piazza. Incisione pubblicata nel giugno 1871 dal «The Penny Illustrated Paper». |
«Mio padre abitava dal 1866
al 17 di rue d'Eupatoria a Belleville-Ménilmontant, e prese parte alla difesa
di Parigi (contro i Prussiani) come tenente della Guardia
Nazionale. Nel mese di dicembre, i reumatismi lo costrinsero ad abbandonare
del tutto il servizio. Il 28
maggio una lettera di un cugino, suo vicino, mi comunicava che mo padre era
agli estremi. Io abito in provincia e potei entrare a Parigi il 1° giugno alla
sera, dopo passi e formalità che voi potete immaginare: mio padre era morto. Lo
feci seppellire col rito civile il 4 giugno, e restai a Parigi sino al 7. Il
mattino del 2 giugno, verso le quattro, udii un rumore di tela lacerata
somigliante a un fuoco di plotone mal fatto. Ma sono i macinini del Père-Lachaise.
Oh, spirito parigino! Così gli abitanti designavano le mitragliatrici che
sostituivano i plotoni d’esecuzione. Mi recai sulla strada di Charonne: una breccia era aperta nel
muro; di lì, senza dubbio, venivano introdotte le persone di cui si faceva
strage; a queste venivano aggiunti i disgraziati che si erano nascosti nelle
tombe e che, spinti dalla fame, uscivano dai loro nascondigli….. Affermo nel
modo più formale e sul mio onore che sino al 7 giugno, giorno in cui lasciai
Parigi, ogni mattina, dalle quattro alle quattro e mezzo, queste esecuzioni
avevano luogo mediante mitragliatrice, per mezz’ora. Mi è stato assicurato da
una famiglia abitante nel quartiere che questi massacri sono continuati sino al
12»[6].
D’altronde è impossibile stabilire il numero dei
morti, di quelli che furono uccisi subito, appena prese le barricate, o in base
alle sentenze dei tribunali straordinari. Il capo della giustizia militare,
generale Appert[5], confesserà 17.000 fucilati, e il Consiglio municipale pagò
l’inumazione di 17.000 cadaveri, ma questa cifra non rappresenta che un minimo,
e conviene rimanere incerti tra le cifre di 20.000 e 25.000 morti.
In questo totale incerto rientrano le esecuzioni di
tutti gli infelici che furono presi a torto per membri
o funzionari della Comune. Cosi perirono persone prese erroneamente per Ferré,
Vallès,
Longuet,
Gambon,
Lefrançais,
Parent,
Vaillant,
Billioray,
Cluseret,
Brunel,
Auguste
Fontaine, delegato al Demanio. Cosi perì una donna denunciata come la moglie
del generale La Cecilia.
In questo totale rientra
Varlin,
arrestato in rue Cadet il 29 maggio alle 4 del pomeriggio, condotto insanguinato
in rue
des Rosiers e soltanto allora messo a morte; così morì il dottor Tony Moilin
al quale fu accordato, prima di morire, il favore di sposare la donna
con la quale conviveva; così il dottor Napias-Piquet,
fucilato in rue de Rivoli; così Edouard
Moreau che sua moglie accompagnò sino alla porta della caserma
Lobau.
Queste masse di cadaveri, che imputridivano al sole
di maggio e di giugno, divennero ben presto un terribile pericolo per la
capitale. Ne vennero sepolti in grandi quantità entro vaste fosse scavate nei
cimiteri e lungo i bastioni; ne furono trasportati nei cimiteri del contado; ne
furono colmate le casermette, di cui si tentò di chiudere ermeticamente le
aperture, per procedere poi a spaventevoli incinerazioni. Alle Buttes Chaumont
fu alzato un immenso rogo cosparso di petrolio. Si videro scie di sangue annerire la Senna e cadaveri gonfi risalire
alla superficie dei laghi in cui erano stati gettati.
Vi furono forse ancora
esecuzioni isolate nei primi giorni di giugno, particolarmente al Bois de
Boulogne. Ma dopo avere avuto paura dei Comunardi
vivi, i partigiani dell’ordine ebbero paura dei Comunardi
morti e della terribile pestilenza che si sprigionava dai carnai improvvisati.
Il 2 giugno Paris-Journal stampava: «Non uccidiamo più, neanche gli
assassini, neanche gli incendiari! Non uccidiamo più! Noi non chiediamo loro
grazia, ma una dilazione».
Le National completava:
«Basta con le esecuzioni, basta con il sangue, basta con le vittime!».
L’Opinion
nationale propendeva per la repressione giudiziaria: «Si chiede un serio
esame degli incolpati. Si vorrebbe veder morire soltanto i colpevoli».
Frasi come queste pongono in
risalto l’atrocità delle esecuzioni immediate, volute dagli stati maggiori e
dai soldati che i combattimenti avevano sovreccitati, volute anche da una
stampa scatenata, Le Bien public, Le Figaro, La Patrie,
che per punire il delitto collettivo della Comune
reclamava la morte dei “malfattori” e dei “briganti” che l’avevano sostenuta ed
eccitava con i suoi appelli isterici un esercito che finalmente - grazie alla
guerra civile - si assicurava una vittoria nell’atmosfera di una Parigi
terrorizzata. Lo stato d'assedio era stato infatti proclamato nella capitale,
suddivisa tra i quattro comandanti generali Douai, de Cissey, Ladmirault e Vinoy.
I passanti erano invitati a prestare il loro concorso per la demolizione delle
barricate; l'uscita dalla città era diventata quasi impossibile, l’ingresso difficile; alla sera,
i locali pubblici dovevano chiudere alle 11, pattuglie a cavallo percorrevano
le strade.
Numerosi scritti hanno posto in evidenza la durezza
dei vincitori.
La corte straordinaria dello Chatelet
Le comunerde a Saint-Lazarre il parlatorio Incisione di Lix. |
Negli ultimi giorni della settimana di maggio (dal
mercoledì al lunedì 29), si dava allo Châtelet uno spettacolo diverso, ma che
attirava ugualmente i curiosi. Una folla stretta brulicava e gridava sulla
piazza. Guardie municipali a cavallo (come per le grandi rappresentazioni all'Opéra
o ai Français) contenevano la moltitudine col pettorale delle loro
cavalcature e tenevano sgombro il largo marciapiede che circonda il teatro. Su
questo marciapiede si vedevano stazionare e passeggiare ufficiali, soldati,
poliziotti. C'erano sedie su cui sedevano taluni ufficiali. La porta era
vigilata da un agente di polizia, l’alta statura e dalla faccia feroce, con
l’arma al braccio, la pistola alla cintura, una fascia tricolore sul cheppì.
Ad ogni istante arrivavano prigionieri.
Era un andirivieni continuo, ora file numerose, ora
uomini isolati.
C’era un po' di tutto tra quei disgraziati che i
reparti di truppe conducevano lì. Auguste Vidieu, autore del libro Histoire De La Commune De Paris En 1871,
vi nota «... guardie nazionali, uomini in
camiciotto, donne dei sobborghi, vivandiere, bambini laceri. Aggiungete i
passanti arrestati nelle strade, la gente arrestata in casa, i feriti o gli
ammalati di un’ambulanza evacuata verso la corte marziale. Ne venivano condotti
li da tutta Parigi, dal quartiere degli Champs-Élysées sino al faubourg
Saint-Antoine...... ».
Il tribunale era situato nel foyer una sala,
molto vasta e abbastanza spoglio, posto dietro il ridotto. Giudicava nel
fracasso dei clamori che venivano dall'esterno.
Tra tutti i luoghi di massacro che esistevano allora
a Parigi, questo era il mattatoio centrale. Altri erano designati dal capriccio
di un ufficiale superiore, altri per volontà d'un capo di reparto: questo
sembra fosse stato voluto, istituito dallo stesso Governo. Il signor Vabre nei
giornali del tempo è chiamato «il gran prevosto»......
Vidieu assicura candidamente che «le sentenze della
corte marziale erano pronunciate soltanto in perfetta conoscenza di causa». C’è
da credere allora che i giudici fossero singolarmente perspicaci. I prigionieri
venivano condotti lì a centinaia, erano inviati alla morte a gruppi di venti.
Ciò basta per capire quanto l’istruttoria fosse sbrigativa, il processo
affrettato, la difesa abbreviata e la sentenza rapidamente pronunciata. Niente
documenti, niente testimoni: come discussione, le poche parole che poteva
balbettate un disgraziato spaventato dalle domande brutali. Niente di più
strano di quei capi d'accusa.....
Le vendette particolari, i sospetti più assurdi, una
ferita, un nome o un accento esotico, che altro ancora? portavano al foyer dello
Châtelet, a infornare, quei disgraziati che in pochi minuti il loro turbamento,
la loro emozione, il capriccio di un giudice, in mezzo ai clamori feroci della
folla, facevano, sempre a infornare, a mandare a morte.
Alla porta dello Châreler, la locuzione cambiava: i
soldati chiamavano i prigionieri, a seconda che erano condannati a molle o
provvisoriamente risparmiati i «viaggiatori per Lobau» o i «viaggiatori per Satory»
(Figaro del 30 maggio)......
Quando i convogli dei condannati erano arrivati alla
caserma Lobau, la porta di metallo si apriva per riceverli, si richiudeva
dietro di loro. Subito i fucili sparavano. Alcune fonti rivelano che quel che
accadeva all’interno della caserma, una volta chiuse le porre, non era un’esecuzione,
ma una caccia. Si sguinzagliavano i prigionieri nel cortile, e gli esecutori
sparavano per cosi dite al volo. Mentre i disgraziati si spandevano in gruppi,
all’improvviso il fuoco del plotone crepitava, colpiva nel mucchio. Per la
maggior parte cadevano; ma il caso aveva risparmiato qualcuna delle vittime;
altre, colpite, si dibattevano. si rialzavano con sforzo altre correvano qua e
là; altri spari le coglievano al passaggio. Sparati in fretta, la maggior parte
dei colpì, senza dubbio, non andava a segno. Allora i soldati miravano meglio:
alla fine, tutti erano a terra, nel sangue, gli agonizzanti tra i cadaveri …..
Tutti venivano ammucchiati nella stessa
carretta …..
Auguste Vidieu scrive di aver visto i condannati
entrare; aveva udito il lacerante crepitio della fucileria, che faceva saltare
e vibrare, con una sonorità sorda e profonda, le lastre di metallo delle porte;
poi, in capo a qualche secondo, come da una sorgente intermittente, un ruscello
di sangue fresco, sboccando dal condotto del cortile, tracciava un filo rosso
nel rigagnolo della strada. Finalmente la porta si riapriva e il signor
cappellano appariva, col suo ombrello in mano, e il sangue che gli sciacquava
nelle scarpe.
La scia rossa che correva nelle acque del fiume senza
mescolarsi con esse veniva probabilmente da quel mattatoio. «Si vedeva ieri
sulla Senna» dice La Petite Presse «una lunga striscia di sangue che
seguiva il filo dell'acqua, passando sotto il secondo arco dal lato delle
Tuileries. Questa striscia di sangue non aveva soluzioni di continuità».
L'indicazione del secondo arco dal lato delle
Tuileries corrisponde esattamente all’ubicazione della caserma Lobau.
Dopo ogni esecuzione, il cortile era liberato dai
cadaveri «che venivano sepolti provvisoriamente» dice Vidieu «sulle rive della
Senna, nelle piazze, un po' dappertutto». Il più grosso contingente era
detinato alla square Saint-Jacques-la-Boucherie. Lo Chàtelet, la caserma Lobau,
la square Sainr~jacques formavano le tre rappe delle vittime. La square era
degna del teatro e della caserma.
Vi si scavano vaste trincee, nelle quali i corpi
erano gettati in disordine. «Incaricati di questa lugubre bisogna» dice La
Siècle del 29 maggio «sono i soldati del genio aiutati da lavoratori
borghesi. Si calcola a più di mille il numero dei cadaveri già seppelliti in
questo luogo».
Continua Vidieu: «I cancelli erano chiusi: sentinelle
passeggiavano dinanzi alle porte. Quando ci si avvicinava, lo spettacolo era
orrendo. La primavera si mescolava a tutti gli orrori della guerra civile; e
tutti sanno con quanta magnificenza essa erompa in quel mazzo di arbusti
preziosi, in quelle macchie magnifiche di fiori e di foglie esotiche, che
rendono così graziosi i giardini di Parigi; tutta .quella verzura risplendente
di maggio era devastata; rami spezzati, con i loro nuovi ornamenti, pendevano
al disopra delle fosse. Si intravedevano, sotto lo spessore della vegetazione,
tra i fiori e il fogliame, le aiuole stranamente sollevate, piedi malcoperti,
braccia rivestite di maniche d’uniforme con mani color della cera spuntavano
sinistramente dal suolo, facce putrefatte dagli occhi fissi e morti si levavano
dalla terra. Tutto quel rinnovellamento della natura era orribilmente abitato:
un odore asfissiante di decomposizione umana soffocava i profumi della
primavera e dava la nausea ai passanti; e quando la notte: placava intorno alla
pizza il grande rumore di Parigi, si udiva no uscire di tra la verzura mormorii
terribili, gemiti soffocati ... Perché le carrette erano state vuotate molto in
fretta, e più di un vivo rantolava ancor: nella fossa comune ....».
Perquisizioni, denunce
Ingresso al 3° consiglio di guerra a Versailles Incisione pubblicata nella Histoire de la Révolution de 1870-1871 di Jules Claretie |
Tratto da: Mes
cahiers rouges. – Une journée à la Cour martiale du Luxembourg, di Maxime
Vuillaume.
(Maxime Vuillaume, ex redattore del Père Duchene, è stato arrestato, senza essere tuttavia riconosciuto. Grazie alla complicità benevola di un sergente ha evitato il plotone di esecuzione. Ora si tratta per lui di mettersi al sicuro).
“Ci lasciammo. Un’ora dopo ero in strada. Mi ero
detto che sarei andato sino in rue du Val-de-Gràce dove avevo un amico. Egli
abitava in una casa in fondo a un grande giardino. La sarei stato certamente
tranquillo.
Mi diressi dunque verso la piazza
della Sorbonne, risalendo la rue Saint-Jacques. All'incrocio con la rue
Gay-Lussac, credetti che il coraggio mi abbandonasse. La piazza era grigia di
soldati di un battaglione di cacciatori, con l`arma al piede. Si erano formati
gruppi che guardavano. A un piano superiore, vidi le finestre aprirsi, qualche
testa, qualche cheppì sporgersi, e, bruscamente, cadere pacchi di carte.
Un soldato gettò un fucile che
risonò sul selciato. Si stava facendo una perquisizione nella casa vicina a un
cantiere di demolizione. Dopo poco la porta si apri e vidi uscire una mezza dozzina d'uomini circondati da soldati. Selvaggina
per la Corte marziale o per Versailles.
Il crocicchio
si vuoto. Potei continuare la strada e raggiungere il mio rifugio. Io e un
amico che incontrai lì trascorremmo la giornata in giardino, pronti a
battercela per una porta socchiusa se fossero arrivati gli incaricati delle
perquisizioni.
Queste
perquisizioni...... Chi potrà mai narrare ciò che hanno accumulato di terrori?
….
Dove andare?
Per quanto stretta fosse la parentela che voi poteste invocare, ognuno temeva
per se stesso i metodi di Versailles.
l pretesti per lasciarvi in mezzo alla strada erano numerosi. Ho sentito
raccontare da uno dei miei amici, molto compromesso che arrivando un giorno in casa di una famiglia
fedele vi trovò un altro camerata già accettato. Non fu la famiglia a rimandare
il secondo arrivato, ma il primo nascosto che esclamò: «No, no, tu non puoi
stare qui! Ci farai fucilare tutti! ››.
Alla sera, lasciai il giardino che
non mi offriva se non un asilo incerto. Il boulevard Saint Michel è deserto.
Agli angoli delle strade, sentinelle. Chi va là! …. Girate al largo! ….
Finalmente sono al termine della mia corsa pericolosa. Lassù, sotto i tetti,
brilla una luce. Busso: la porta si apre. Mi arrampico sino al sesto piano.
Effusioni.
«Hai fatto bene a venire» mi dice
l’amico. «Qui sono tranquillo. La casa è stata perquisita. Non verranno più…» I
quattro muri della cameretta dove avevo finalmente trovato il riposo - sino
alla mia fuga da Parigi - non offriva in fondo che una sicurezza relativa.
La casa era stata perquisita, è
vero, e non c’era più da temere una retata della corte marziale.
Tuttavia, c`era ancora di che aver
paura; io, come tutti coloro che erano nella mia situazione, temevo la denuncia
del primo venuto, del vicino, del portinaio, del giornalaio, di chiunque
potesse supporre che qui si nascondeva un insorto.
La vigliaccheria era universale.
Essa fu cosi vergognosa, talmente colossale, talmente schifosa, che la stessa
autorità militare, tutt'altro che tenera nemmeno col più piccolo dei vinti, si
ribellò a questa incredibile bassezza. Capi di reparti fecero bruciare in massa
le migliaia di lettere che ricevevano ogni giorno. Alcuni denunciatori, più
notati degli altri, furono citati dal tribunale straordinario per dare
spiegazioni. Videro i preparativi del massacro e fuggirono spaventati, temendo
di essere messi al muro; quel muro contro il quale avevano sognato di far spingere
il vicino denunciato da loro, a volte un debitore, un rivale in affari o in
amore......”.
Gli arresti in massa
Alla collera selvaggia della
repressine immediata, a quello che Malon
ha definito «il terrore tricolore», vennero dietro le durezze meditate dalle
inchieste giudiziarie. Secondo il generale Appert[5], dal 3
aprile al 20
maggio, 3.500 insorti erano caduti nelle mani delle truppe di Versailles.
Dal 21
al 28
maggio furono operati 26.000 arresti. Poi, dal 1° giugno alla fine di
luglio, vennero presi all’incirca altri 5.000 sospetti. Infine, a partire
dall’agosto 1871 sino al maggio 1872, le autorità civili di Parigi, sostituite
alle autorità militari e a quelle dei dipartimenti, procedettero agli arresti;
ma il trasferimento a Versailles
di questi ultimi prigionieri avveniva con lentezza per causa dell’affollamento
delle prigioni di questa città. In totale, le inchieste giudiziarie si svolsero
su un totale di più di 35.000 persone.
Nell’Enquête
sur le 18 mars il capitano Guichard è arrivato a un totale preciso:
38.568 prigionieri, tra i quali 1.858 donne e 651 bambini; di questi ultimi 47
di 13 anni, 21 di 12, 4 di 10 e uno di 7. Il totale offertoci dal rapporto del
generale Appert[5] è meno elevato: 36.309.
Che cosa siano stati i primi
convogli di prigionieri, lo vediamo in uno dei capitoli del libro di Lissagaray
Histoire
de la Commune de 1871: egli ne ha tratto la sostanza dal Times
del 30 e 31 maggio e
dal Daily News dell’8 giugno 1871. Infatti, che cosa si poteva trovare
di obiettivo nella stampa francese del tempo,
di cui Camille Pelletan[7],
ne La Semaine de Mai, riporta alcuni saggi di violenza
isterica? Cosi Le Soir parlava di «questi briganti, di queste femmine
dalle mammelle pendule». Paris-Soir stampava: «La stupidaggine, il vizio
e il delitto erano ancora dipinti in modo sanguinoso e ardente su tutti quei
volti .... Taluni tentavano di ridere bestialmente; altri si sforzavano di
spremere una lacrima assente chi loto occhi arrossati dalla dissolutezza e dall’orgia.
Tutti d’altronde univano alla laidezza dell’anima quella del viso e a queste la
deformità del corpo».
Le Bien public inseriva una lunga lettera datata 8
giugno, firmata da Alexandra Dumas figlio, che, se biasima, ammettendoli, gli
insulti ai prigionieri, stigmatizza, in frasi corrosive, la «zoologia dei
rivoluzionari», e, dopo aver parlato spaventosamente dei «comunastri», termina
con questa frase terribile: “Non diremo niente delle loro femmine, per
rispetto delle donne alle quali esse somigliano quando sono morte”.
«Comunastri» e «petroliere», bambini dai 12 ai 16
anni, riuniti in lunghe file, ora liberi, ora legati con corde, inquadrati da
cavalieri e da fanti che li punzecchiavano con le baionette e le sciabole,
talvolta attaccanti alla coda di un cavallo, costretti ad inginocchiarsi
davanti alle chiese dei quartieri ricchi, formavano convogli che furono, i
primi giorni, “epurati” in condizioni terribili dal generale Gallifet,
che li attendeva alla Muette[8].
Astanti, sudici di immondizie,
col capo scoperto sotto un sole ardente, istupiditi dalla stanchezza, dalla
fame, dalla sete, i convogli si trascinavano per lunghe ore nella polvere
bruciante della strada, tormentati dagli urli e dai colpi dei cacciatori a
cavallo … All’ingresso di Versailles,
la folla li attendeva, sempre la parte migliore della società francese,
deputati, funzionari, preti, donne di tutte lc categorie...... Le avenues di
Parigi e di Saint~Cloud erano rigurgitanti di questi spettatori che
circondavano i convogli di vociferazioni, di colpi, li coprivano di immondizie,
di cocci di bottiglie .... .. Qualcuna di quelle mani insanguinate raccoglieva
la polvere e la gettava sul volto ai prigionieri.
I primi convogli furono fatti
girare per offrirli in spettacolo nelle vie di Versailles.
Altri stettero fermi per ore sulla piazza d’armi torrida, a due passi dai
grandi alberi di cui veniva rifiutata loro l’ombra, tanto coperti d’iignominie
che i disgraziati sognavano il rifugio dei depositi.
Questi depositi furono
installati nelle cantine delle Grandes-Ecuries, all'Orangerie,
nei doks di Satory,
nel maneggio della Scuola di Saint-Cyr, i primi giorni senza paglia, nei giorni
seguenti forniti di uno strato di paglia che divenne ben presto letame; nutriti
in modo spaventoso, i feriti, gli ammalati erano appena curati; i ribelli
venivano gettati nella Fossa dei Leoni, sotto la grande scalinata rosa della
terrazza. Il campo
di Satory “divenne una delle escursioni favorite della buona società
versagliese”, anche se le migliaia di prigionieri, coperti di sudiciume o di
insetti, parevano offerti alle più pericolose epidemie.
I prigionieri a Versailles I sotterranei dell'Orangerie |
Immaginate un cortile
vastissimo, circondato da mura alte all`incirca tre metri, con alcuni edifici
su un lato. I disgraziati che vi giungevano, con i piedi insanguinati, la gola
ardente, il cervello sconvolto, gli abiti a brandelli, erano ammucchiati li a
migliaia, non negli edifici, ma nel cortile. Per letto avevano il nudo terreno
o infetti mucchi di paglia: per cibo, un pezzetto insufficiente di pan nero; e
per la sete, un poco d'acqua che non bastava a spegnere l'arsura. Riportiamo
quanto scrive il giornale Le National di Hector Pessard (numero del 30
maggio): «Apprendiamo che vari deputati, avendo visitato il campo
di Satory, sono stati commossi dalle condizioni pietose dei prigionieri. Ve
ne sono parecchie migliaia che si trovano allo scoperto, esposti giorno e notte
al vento, al sole, alla pioggia, non avendo per coricarsi altro che la terra
umida e fangosa. Il cibo che vien distribuito loro si compone unicamente di
pane; e insufficiente. Essi non hanno la quantità d'acqua necessaria per
spegnere la sete».
Il primo giorno, il sole
batteva su di loro a suo piacere. Non un filo d”ombra, non un ricovero. La
maggior parte erano senza cappello. Tante sofferenze e tante angosce avevano
turbato la loro ragione. Al redattore del Times che li visitò fu detto
che i capi della Comune li
avevano ubriacati con una miscela di acquavite e di tabacco. Strana e tenace
ebbrezza, che né il lungo viaggio da Parigi a Versailles
né le ore trascorse dopo il loro arresto avevano dissipata. I prigionieri erano
nella maggioranza estranei alla Comune e
arrestati in casa propria. Quella che veniva attribuita all'alcool era la
severa ebbrezza delle torture, delle angosce, con i turbamenti cerebrali che
essa portava con se.
Finché il cielo restò puro, i
dolori della prigione furono relativamente moderati. Il giorno si ardeva, e vi
furono parecchie congestioni; la notte si battevano i denti nei cenci; ma il
giovedì, il tempo si guastò, scoppiarono uragani, lunghe piogge resero fangoso
il terreno. Allora, il supplizio non ebbe più nome. Si immagini la sorte di
quei poveretti, ammollati nei loro miserabili e leggeri vestiti per parecchi
giorni di seguito; e la notte, obbligati a stendersi quant’erano lunghi in una
pozzanghera di fango, sotto il diluvio!... La paglia ch'era stata distribuita
loro era diventata in breve un”immonda lettiera. Essi erano ricoperti di uno
strato di fango. E sempre la pioggia, il freddo umido, i denti che battono, il
corpo che rabbrividisce, il sonno impossibile...
Già la prima pioggia fu
atroce. Era stato impartito l'ordine di star coricati. Era impossibile: rimanere
otto ore distesi in quella cloaca!... Qualcuno non resisteva più e si alzava. I
prigionieri furono avvertiti che le sentinelle avrebbero sparato su di loro, e
infatti ogni volta che una forma nera si drizzava nell'ombra, le sentinelle
sparavano... E quelli che avevano potuto chiudere gli occhi erano risvegliati
dalle detonazioni! C’erano lì donne, bambini, una donna, tra le altre, con
cinque bambini, di cui uno al petto!
Il giorno dopo, per
riscaldarsi, i prigionieri facevano “il mare". Uno di essi, un industriale
arrestato per errore, descrive così questo esercizio: «Due uomini si mettevano
schiena contro schiena, e si dondolavano. Altri venivano ad appoggiarsi ai due
primi, poi altri ancora, seguendo quel movimento di va e vieni. Si formavano
così gruppi di un centinaio di uomini. Al disopra di essi si alzava un vapore
denso come quello dell'acqua bollente».
A partire da quella notte
furono scavate nel muro le famose feritoie. Dietro ciascuna di esse fu posta
una sentinella con un fucile o una mitragliatrice o un cannone carico a
mitraglia per tirare nel mucchio al primo movimento. I giornali di Versailles,
il Times, hanno descritto questi preparativi.
Un particolare è specialmente
orrendo: i prigionieri avevano per latrina un angolo del cortile, in faccia a
una feritoia, un mucchio di terra dietro il quale andavano ad accoccolarsi; ma se,
rialzandosi, il prigioniero mostrava la testa alla sentinella collocata dietro
la feritoia di fronte, un colpo di fucile partiva, e si faceva portar via il
cadavere dai compagni del morto. C'erano pezzi di cervello sul muro.
Scrive George Bourgin nel suo La Comune e la Guerra del 1870-71:
«L'orrore sorpassò ogni limite nella notte dal 27 al 28. Quella notte ci fu una vera tempesta;
torrenti di pioggia si abbattevano senza sosta sul campo in mezzo a
spaventevoli scoppi di tuono; l'acqua cadeva a secchi sull’armento tremante nei
suoi cenci incollati alla pelle e coricato in un vero pantano. Cera da diventar
pazzi; molti, infatti, ebbero veri accessi di delirio. Restare immersi nel
fango, col corpo nell'acqua, la testa nella mota, era impossibile; lo
sconvolgimento della natura aveva scosso tutti gli spiriti: l'armento si agitò,
molti si alzarono, si stirarono, cercarono un ricovero, non sapendo che fare...
Allora le feritoie fecero fuoco, le detonazioni scoppiarono; le palle, la
mitraglia andarono a colpire a caso in quel brulicare di prigionieri smarriti;
il crepitio dei fucili, il fulmine, l’uragano, il rantolo dei feriti e dei
morenti si mischiarono tutta la notte con un formidabile spavento... Vi furono
prigionieri che si alzarono, camminarono a caso, accecati dalla pioggia,
varcarono i limiti, furono uccisi dalle sentinelle... L’alba illuminò i cadaveri...»,
I prigionieri a Versailles incisione da un disegno di
Dariou pubblicato in «The Illustrated Times». |
Il numero dei prigionieri non finiva di aumentare: la
paura, la stupidaggine, la vendetta determinavano gli arresti più inaspettati;
i giornali pubblicavano documenti falsi, che servirono più tardi a dare sostanza
alle requisitorie.
I depositi di Versailles
furono ben presto in condizioni da non poter più ricevere le masse di prigionieri che Parigi vomitava. 20.000 di
questi furono ammassati nei depositi creati, dalle amministrazioni della Guerra
e della Marina, in pontoni
installati sulle coste dell'Oceano, da Cherbourg[9]
a Brest[10],
nei forti e nelle isole. Dal 6
aprile cominciarono le evacuazioni, spesso in condizioni terribili, ma
queste vennero affrettate a cominciare dal 24
maggio. Poi fu necessario restituire al loro uso normale i locali di
Saint-Cyr e dell'Orangerie,
i cui prigionieri furono evacuati nelle due fattorie della Lanterne e della
Ménagerie, sostituite d'altronde ben presto dalla caserma della rue de
Noailles. Gli insorti «più compromessi e pericolosi», secondo l'espressione del
generale Appert[5], furono rinchiusi nelle prigioni civili o nelle case di
correzione di Versailles,
come una parte delle donne. Le altre donne e i bambini furono chiusi
nell'antico magazzino dei grani alla Gare des Chantiers. Furono poi altri
trasferimenti: le donne furono suddivise tra le case di correzione di Rouen[11],
Clermont[12],
Arras[13]
e Amiens[14]; i
bambini inviati a Rouen[11]. Per assicurare il rapido processo degli imputati
da parte dei Consigli
di guerra, vennero creati depositi a breve distanza da questi, a
Saint-Germain, Rueil, Chartres, Rambouillet, Sèvres, Saint-Cloud, Vincennes, al
Mont Valérien e al forte di
lssy.
Il generale Appert[5] si
compiace che i servizi penitenziari e militari siano stati in grado di
assicurare il numero e ai prigionieri di Parigi. Ma a Versailles,
come nei depositi dell'Ovest, la situazione sanitaria fu preoccupante: vennero
registrati 150 decessi a Versailles
per i soli mesi di giugno-agosto, vi furono epidemie di scorbuto e di febbre
tifoidea nei forti, e, in totale, i morti raggiunsero la cifra di 1.000. Il
trattamento inflitto ai prigionieri dei pontoni
e dei depositi terrestri fu d'altra parte spesso odioso, particolarmente sul Breslaw, sul Bayard, al forte Quélern, presso Brest[10], al forte Bayard, alle
Isole Saint-Marcouf[15].
Ecco la relazione inviata a Lissagaray
da Elisée
Reclus, che racconta la propria odissea di prigioniero dal momento della
sua cattura al giorno in cui, grazie ad una domanda delle Società geografiche
europee, fu messo in libertà, vale a dire accompagnato alla frontiera svizzera:
«- 1°. Voi conoscete Satory.
La mancanza d'aria e di sonno mi ci ha reso pazzo per otto ore.
Sorvoliamo.
-
2°. Voi avete anche sentito parlare senza dubbio dei carri bestiame entro i
quali siamo stati trasportati a Brest[10]. Eravamo quaranta ammucchiati nel carro, buttati
gli uni sugli altri. Era una confusione di braccia, di teste e di gambe. Gli
sportelli erano accuratamente chiusi attorno a quel carico di carne umana, per
cui si poteva respirare soltanto attraverso le fenditure e gli interstizi del
legno. Era stato buttato in un angolo un mucchio di gallette sbriciolate; ma
gettati noi stessi sul mucchio, senza sapere che cosa fosse, lo avevamo ben
presto frantumato, ridotto in polvere. Per ventiquattro ore non ci furono dati
altri viveri, niente da bere; soltanto a Laurent ci venne dato un pezzetto di
pane grosso come un pugno. Ma durante tutto il viaggio, vale a dite per trentun
ore, nessuno di noi poté scendere e respirare. Gli escrementi degli ammalati si
mescolarono col fango delle nostre gallette; la follia si impadronì di parecchi
dei nostri compagni: si lottava per avere un po' d'aria, un po' di posto; molti
di noi, allucinati, furiosi, erano simili a bestie feroci.
-
3°. Quélern. I marinai della nave da trasporto avevano scacciato le nostre
guardie di città insultandole, ci avevano trattati cortesemente; respiravamo
l'aria libera del mare, la mattinata era bella, il mare tranquillo. Eravamo
felici e incantati di questo improvviso cambiamento. Un capitano della
gendarmeria, Chevreuil, ci riceve a Quélern. È un soldataccio stupido, grossolano,
capriccioso, ma in fondo non troppo cattivo. Minaccia molto ma non fa gran che.
I custodi sono i soliti tipi che si vedono dappertutto, guardacoste e aguzzini,
tutta gente molto stupita di doverci sorvegliare, la quale chiude volentieri un
occhio sul regolamento.
-Ma
questo era soltanto il periodo di sistemazione. Arriva il direttore, il signor
Delaunay, che voi conoscete, l'ex direttore di Beauvais. Molto educata, sua
signoria, anche molto giusta, giacche la giustizia in un capo carceriere
consiste nel non ammettere reclami e nel credere unicamente alla parola dei
propri subordinati che assai spesso si esprimono secondo le formule
regolamentari e nell'ordine gerarchico. Fatto sta che fummo abbandonati alla
discrezione del capo guardiano, un tal Rousseaux, ex carceriere di una prigione
in Alsazia. Passando da Parigi, egli era stato condotto dinanzi ai membri
della Comune, aveva balbettato qualche frase patriottica e la parola
Alsazia aveva fatto cadere tutte le difficoltà. Versailles
lo ripagò dandogli l'incarico di perseguitare i Comunardi;
egli assolse il suo compito, soprattutto quando la Comune fu
caduta. Sinché essa rimase in piedi, venivamo maltrattati con una certa preoccupazione;
qualche volta sembrava che i nostri tormentatori ci chiedessero perdono, quasi
si scusassero. Dopo le giornate di maggio, non vi fu più clemenza; ormai si
sapeva che non saremmo diventati i padroni.
-Ricoveri:
venti casematte, nelle quali eravamo suddivisi per gruppi di quaranta, coricati
a fianco a fianco su pagliericci insudiciati da prigionieri
precedenti. Nelle casematte a livello del cortile, durante la notte, l'aria
diventava spaventosamente infetta; ma nelle casematte sottostanti, l'odore si
faceva anche più fetido. Le fosse-latrina, mal costruite, lasciavano trasudare
il loro contenuto attraverso i muri e, al mattino, l'essenza degli escrementi
riempiva la prima casamatta sino a uno o due pollici di profondità. C'erano
casematte vuote dal lato opposto; nessuno ebbe mai l'idea di trasferirvi i
prigionieri. Più tardi, quando agli ottocento prigionieri se ne aggiunsero
altri cento, questi vennero messi in una baracca in mezzo al cortile; quando
pioveva, e pioveva spesso, la baracca era piena di acqua.
-Cibo: primo mese,
galletta e lardo rancido. “Chi affermerà che la galletta è muffita andrà in
cella!" Secondo mese, un po' di lesso tutte le domeniche; gli altri
giorni, sbobba e, alternativamente, pane e galletta. La cantina era tenuta da un
piccolo ebreo, rappresentante di un ex prigioniero (così credo, almeno, ma non
potrei affermarlo), diventato fornitore della prigione.
In base al
regolamento, il suo utile avrebbe dovuto essere limitato al 10%. Per cui,
secondo i nostri calcoli, il suo utile non ha mai sorpassato il 480, o 500%.
Grazie all'aria della montagna e alla forza d'animo che ci sosteneva, tutto
andava ancor bene - c'erano stati soltanto cinque morti - quando Jules Simon[3] arrivò per addolcire la nostra sorte. Egli si degnò di
riconoscere che i suoi ex elettori - io non ero nel numero
di questi - avevano una gran brutta faccia, per cui fu deciso di ricorrere alla
severità. Il giorno dopo giunge l'ordine di trasferirmi alla prigione, i corsi
di lezioni che avevamo fondato vengono interrotti per ordine del ministero
dell'istruzione pubblica e otto giorni dopo specie di biblioteca potevamo
disporre venne chiusa. Nello stesso tempo, comincia il regime della
segregazione per i recalcitranti. Il mio migliore amico malvisto per causa di questa
amicizia, ne ha per 35 giorni; un altro, per più di due mesi. Finalmente, a
quanto mi fu detto, papà Delaunay venne chiamato per altre funzioni- la
prigione di Loos - e i miei camerati respirarono. Un còrso che fu chiamato a
Quélern li trattò molto più umanamente.
- 4°. Trébéron,
ospizio militare su un'isoletta di granito, a tre chilometri da Quélern. Qui
stiamo un po' meglio, disputati da quattro governi distinti e gelosi l'uno
dall'altro: le suore di carità, i medici, i più di marina, il tenente di fanteria.
Quest'ultimo avrebbe pur voluto essere cattivo e feroce, ma gli ufficiali di
marina e i medici lo trattavano "ceffo", urlavano di lui e, tutto
sommato ci proteggevano un poco. Quanti ne sono morti in questo ospedale, uno
di quelli in cui venivano ricoverati i malati dei pontoni? I miei camerati mi
hanno detto ottantaquattro, un guardiano mi ha detto una quarantina. Io non li
ho contati; il fatto è che il cimitero dell'isola era troppo piccolo e che le
bare ci venivano spedite a pieni carichi.
- 5°. Fontemoy. Non ci
ho passato in un anno una notte e un giorno, fondo alla sentina, senza aria,
senza luce, soffocando per il caldo, e ansimando. Queste ventiquattr'ore mi
sono parse interminabili. E tuttavia avevo più filosofia di tanti altri e non
ero in carcerato! Tenente di vascello, molto corretto, mi fece entrare egli
stesso in questa prigione, che chiamava “la Santa Barbara, la prigione degli
ufficiali”. E i miei carcerati della prigione!
- 6°. Prigione
militare di Brest[10]. Cortesie, pure, rispetto, viveri
freschi, libri e giornali, tutti dato nel modo più gentile del mondo non ci
mancava che la libertà.
- 7°. Il girone dei Cantieri, a Versailles.
Vi sento il tenente Mercereau, tenente bonapartista, che fa una
vergognosa propaganda mediante scuri di Adam Lux[16]. Ha avuto persino la
faccia tosta di offrirmi queste sudicerie. Qui, siamo in novecento in tre
grandi sale. Il trattamento, lo conoscete grazie alle lettere di Renard. "Non
appena vedete che un gruppo ci si agita, si alzano le braccia, sparate, sono io
a ordinarmelo", dice il colonnello Gaillard ha i soldati. "Noi siamo
la forza è terremo la forza!" E i signori Langlois, Naquet e altri si
presentano alla gherminella di andare a chiedere questo signore informazioni
sul modo con cui sono trattati i prigionieri.
- 8°. Canile di
Saint-Germain. Nel cortile di un capannone del quale siamo chiusi c'è una bella
scuderia; viene riservata per il cavallo del signor colonnello, se si degna di
farci visita. Quanto a noi, saremo sempre troppo bene sistemati. Le finestre
del canile sono chiuse con tavole e sbarre e noi riceviamo l'aria attraverso
uno sportellino; quattro ti nozze per degli escrementi che vengono vuotate al
mattino. Il soffitto è basso, l'aria irrespirabile. Vincendo i cavalli anziani
dell'altro, ci sarebbe per l'appunto posto per sedici animali, e noi siamo in
sessanta, ottanta, cento e persino centodiciassette, mi ha assicurato un
camerata.
- 9°. Prigione di Chautou. Promemoria.
Semplice guardina.
- 10°. Casematte del
Mont Valérien. Freddo terribile. Non siamo abbastanza numerosi per riscaldarci
uni contro gli altri. Di notte, e il nostro fiato e si sale tra le travi del
soffitto si condensa e ricade in pioggia gelida. Per quel che riguarda il
pranzo si tratta di lavatura di piatti. Tutte le sere, un ufficiale molto
educato si presenta e domanda si abbiamo reclami da fare. "Non vogliamo
morire né di freddo e di fame" rispondono i prigionieri. Il signore in questione
assume un'aria impietosita, salutaci cerimoniosamente e il giorno dopo
ricomincia la stessa commedia. Certo, stavamo assai male, e tuttavia, quando un
giorno vedremo entrare undici prigionieri giunti da Saint-Marcouf, capimmo
quanto la nostra sorte fosse stata migliore della loro. Numero di duecento, i
federarti gettati nelle cassematte dell'isolotto di Saint-Marcouf erano stati
per sei mesi più privi d'aria, di luce, di lettura, di conversazione, di
tabacco e passi di cibo. Nient'altro che briciole di galletta ammuffita e lardo
rancido! Lo scorbuto li aveva decimati. Erano tutti ammalati. Di tanto in
tanto, il generale veniva a insultarli. Nelle prigioni che ho percorse da ho
potuto raccogliere migliaia di testimoniare. La mia impressione è che la
peggiore di tutte le prigioni è stata Saint-Marcouf; la più sopportabile quella
di Fourat, alle foci della Charente.
- 11°. Conciargerie.
Conosciuta.
- 12°. Sainte-Pélagie.
Quartiere e i prigionieri comuni le nostre spie sono falsari e condannati per
furto.
- 13°. Prigione di
Pongtarlier. Per ricordo.
-Aggiungo qui la
statistica degli 800 prigionieri di Quélern: Parigini, 160; francesi di
provincia, 562; stranieri 78, soprattutto belgi e lussemburghesi. Alfabeti al
momento dell'ingresso, 650; analfabeti, 150. Tre mesi dopo, alfabeti, 750
danaro estorto durante gli interrogatori: 7200 franchi. Valore degli oggetti
sequestrati: 36.000 franchi».
Il 5°Consiglio di guerra a Versailles giudicò i principali membri della Comune; seduta del 2 settembre. Ai piedi del crocifisso, il colonnello Merlin, presidente, alla sua sinistra il capitano Guibert, alla sua destra il maggiore Goulcet, in piedi, il maggiore Gaveau, commissario del governo, a destra e gli accusati: Ferrè, Assi, Urbain, Billioray, Jourde, Trinquet, Champy, Régère, Lullier, Rastoul, Grousset, Verdure, Ferrat, Descamps, Clément, Parent, Courbet.
[1] Jules
Armand Stanislas Dufaure (Saujon, 4
dicembre 1798 – Rueil-Malmaison, 28 giugno 1881) è stato un politico francese.
È stato il Primo Ministro della Francia cinque volte: la prima dal 19 febbraio
1871 al 18 maggio 1873.
[2] Henri
Louis Tolain (Parigi, 18 giugno
1828 – Parigi, 3 maggio 1897) è stato un politico e giornalista francese,
figura di rilievo del socialismo proudhoniano.
[3] Jules François Simon (Lorient, 27 dicembre 1814 – Parigi, 8 giugno 1896) è
stato un politico francese. È stato il primo ministro della Francia dal 12
dicembre 1876 al 17 maggio 1877.
[4] Jules François Camille Ferry
(Saint-Dié-des-Vosges, 5 aprile 1832 – Parigi, 17 marzo 1893) è stato un
politico francese, oppositore di Napoleone
III e tra le più
eminenti personalità del partito repubblicano nella Terza Repubblica francese.
Attraverso una serie di articoli denunciò le speculazioni finanziarie operate
dal barone Haussmann per il rinnovamento urbanistico di Parigi. Grazie a questa
sua iniziativa il barone venne successivamente estromesso dai poteri concessi.
D'altra parte egli stesso, «avvocato squattrinato», divenuto sindaco di Parigi
alla proclamazione
della Repubblica nel settembre 1870, «riuscì a spremersi un patrimonio
dalla carestia» della città
assediata dai prussiani. Ferry, comprendendo
che la Germania era troppo potente, per perseguire l'idea di acquistare un
grande impero coloniale si fece promotore di una politica di collaborazione con
Otto
von Bismarck al fine di guadagnarne una «benevola neutralità» nel Sistema
bismarckiano.
[5] Félix Antoine Appert
(Saint-Remy-sur-Bussy 12 giugno 1817 - Parigi 18 aprile 1891) era un militare e
diplomatico francese. Durante la Comune e
fino al 1875, comandò la suddivisione di Seine-et-Oise. Come tale, era
responsabile della direzione della giustizia militare che giudicò i Comunardi
a Versailles.
In totale, 95 dei 10.137 ribelli processati dai giudici militari furono
condannati a morte, 251 ai lavori forzati, 1.169 alla deportazione in un
recinto fortificato, 3.417 alla deportazione semplice e 3.359 alla prigione,
compresi 55 minori di età superiore ai 16 anni inviati in una casa di cura.
[6] Georges Bourgin: La Comune e la
Guerra del 1870-71 (Mondadori 1956).
[7] Charles Camille Pelletan (Parigi,
28 giugno 1846 - Parigi, 4 giugno 1915) era storico, giornalista e politico
Francese.
[8] Estratto dal giornale Versagliese Le
Tricolore, fondato per la candidatura del duca d’Aumale alla presidenza
della Repubblica: «Domenica mattina su più di 2000 federati, centoundici di
essi sono stati fucilati nei fossati di Passy, ed in circostanze tali che
dimostrano come la vittoria sia entrata in tutta la maturità della situazione».
[9] Nel
dipartimento della Manica nella regione della Normandia.
[10] Nel
dipartimento del Finistère nella regione della Bretagna, sulla costa
occidentale.
[11] Capoluogo del dipartimento della
Senna Marittima e della regione della Normandia.
[12] Capoluogo
del dipartimento del Puy-de-Dôme nella regione dell'Alvernia-Rodano-Alpi.
[13] Nel
dipartimento del Passo di Calais, di cui è capoluogo, nella regione dell'Alta
Francia.
[14] Nel
dipartimento della Somme nella regione dell'Alta Francia.
[15] Le
Îles Saint-Marcouf comprendono due piccole isole disabitate al largo della
costa della Normandia.
[16] Jean Lux (e non Adam), redattore di
libelli contro Parigi e la Comune: Le
Crime du 18 mars, ecc.
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